Stacco
e volo
PRIMI
STACCHI (5-10 mt)
Se
le operazioni di gonfiaggio e corsa in assetto di decollo sono eseguite
correttamente, è sufficiente compiere le stesse manovre su di un terreno
con una pendenza lievemente superiore per sentirsi sollevare dolcemente
e decollare. Dal momento però che, prevedibilmente, ci si staccherà
dal suolo, diviene indispensabile introdurre un nuovo, fondamentale,
momento che, d'ora in poi, non tralasceremo mai: il controllo visivo
della vela.
CONTROLLO
VISIVO DELLA VELA
Prima
di "prendere il volo", al termine della fase di gonfiaggio, è indispensabile
verificare visivamente che la vela sia nel giusto assetto: tutti i
cassoni gonfi, i cavetti ben distesi, i freni liberi da "giri" che
impedirebbero le manovre in volo. A differenza di quanto accade, ad
esempio, con il deltaplano, in parapendio è sempre possibile "abortire"
un decollo (vedi le osservazioni sulla scelta del terreno di decollo),
interrompendolo con un rallentamento ed una "affondata" di freni,
nel caso il gonfiaggio non sia perfettamente riuscito. Il controllo
visivo serve anche per rilevare eventuali asimmetrie di assetto (vela
che si alza più da una parte che dall'altra) e correggere, se necessario,
azionando il freno della parte più alta.
LO
STACCO VERO E PROPRIO
Specie
ai primi tentativi il movimento della corsa, se disordinato, può impedire
alla vela di sviluppare portanza e la corsa stessa prosegue per decine
di metri senza che ci si senta sollevati. In questo caso i nostri
sforzi saranno volti a mantenere un assetto di corsa ordinato ed uniforme.
In altri casi la corsa, pur ordinata, accelera continuamente, fino
al raggiungimento della nostra capacità di velocità massima, senza
alcun decollo: in questo caso è necessario frenare maggiormente la
vela posizionando i freni all'altezza delle spalle, anzichè delle
orecchie. Come vedremo tra breve, infatti, i freni, oltre che per
le virate, devono essere utilizzati (insieme) per modificare le velocità
di volo e l'inclinazione della traiettoria. Una maggiore azione sui
freni si traduce in una maggiore efficienza (oltre che in un rallentamento)
ed è probabile che, sullo stesso pendio di prima, ora si riesca a
"staccare" dolcemente. Riassumento, quindi, se stiamo correndo con
la vela gonfia al massimo della nostra velocità senza staccarci dal
suolo (e non stiamo tentando di decollare con il vento posteriore)
probabilmente stiamo tenendo le mani troppo alte.
"CARRELLO"
ESTRATTO E FRENI ALLE ORECCHIE
Per
la frequenza con cui si presentano, vale la pena di analizzare due
errori, tipici del campetto, dai quali ci dobbiamo liberare prima
di passare ai voli veri e propri.
Il primo è quello di "buttarsi" nella selletta sollevando le gambe
in avanti alle prime avvisaglie di portanza: il risultato, di solito,
è un brusco ritorno al terreno e benedetta sia l'asse di compensato,
sottile diaframma tra la parte più morbida del corpo ed il ruvido
terreno. Bisogna infatti ricordare che, affidando di colpo tutto il
nostro peso alla vela, questa tende ad accelerare bruscamente ed a
perdere un metro o due (in genere ben più della distanza che separa
i due elementi sopra citati).
Pertanto, quando percepiamo le prime avvisaglie di "stacco", semplicemente
ignoriamole, proseguendo la corsa come se nulla fosse: molto meglio
fare un paio di falcate a vuoto che pestare pesantemente l'osso sacro.
Il secondo errore, ancora più grave, consiste nell'abbassare bruscamente
i freni nel tentativo di recuperare l'equilibrio precario: ora e per
sempre ricordiamo che, tranne che nel momento dello stallo finale,
i freni non devono mai essere abbassai al di sotto dell'ombelico (e
mai e poi mai al di sotto del sellino).
Ciò che accade in seguito a questo errore è molto semplice: la vela
rallenta bruscamente sollevandoci e facendoci penzolare in avanti
(come in altalena), quindi si chiude, in risposta al nostro (involontario)
comando, deponendoci al suolo con una violenza che dipende soltanto
dall'altezza raggiunta in quel momento. Forse proprio per evitare
tale (madornale) errore molti istruttori preferiscono fare effettuare
i primi stacchi con i freni completamente rilasciati (braccia distese
in alto).
MANTENIMENTO
DI UNA TRAIETTORIA RETTILINEA
Il
passaggio dal suolo all'aria è, ai primi tentativi, il passaggio
dal movimento caotico ad una perfetta e quasi magica quiete: una volta
in volo, lo sguardo è in avanti (e non puntato sulla verticale sotto
di noi), i piedi sono vicini e le gambe in lieve flessione. Se una
piccola bolla ci solleva (e noi non lo desideriamo), alziamo i freni,
in modo da aumentare non soltanto la velocità orizzontale, ma anche
quella verticale. Al contrario, trazionando i freni, l'effetto "sollevante"
della bolla sarà maggiore.
In nessun caso, comunque, i freni verranno abbassati oltre la linea
delle spalle.
PRIME
CORREZIONI DI ROTTA
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Un
concetto fondamentale del volo in generale, che si applica puntualmente
anche al parapendio, è che le correzioni di rotta e le virate sono
il risultato di due distinti fattori: entità del comando e tempo durante
il quale il comando viene impartito. In altre parole bisogna lasciare
il tempo all'ala di "registrare" il nostro comando e di reagire ad
esso.
L'azione
sul freno deve quindi essere moderata, graduale e protratta, cioè
l'esatto contrario di potente, brusca e brevissima.
Al comando dell'istruttore, quindi, il freno interno alla virata verrà
dolcemente abbassato di 5-15 cm e mantenuto in tale posizione fino
a che l'ala non risponde, virando. Per ripristinare il volo rettilineo
sarà sufficiente riportare il freno alla stessa altezza di quello
controlaterale e, ancora una volta, attendere qualche secondo.
Essendoci passati, proviamo a ricordare i pensieri che erano alla
base degli errori di controllo laterale nei nostri primi stacchi:
"Devo virare a destra quindi ...", brusco abbassamento del freno destro
(20-30 cm!) e suo immediato risollevamento "... non si sa mai". Nessun
effetto. "Ora riprovo ...", altra strattonata a destra e, immediatamente,
"non succede nulla ... devo abbassare di più", ulteriore abbassamento
del freno: il risultato è una notevole inclinazione di lato
che ci sorprende per la sua entità, "è troppo, devo correggere ...
", brusca strattonata del freno controlaterale, ed inizio di un pendolamento
laterale che solo il morbido prato smorza quando si giunge al suolo.
Chissà perchè il tempo sembra dilatarsi durante i primi stacchi ed
i secondi necessari per ottenere la virata sembrano minuti. All'inizio,
quindi, le correzioni di rotta saranno minime, proprio per prendere
confidenza con i "tempi" dell'ala.
ATTERRAGGIO
Dopo
il breve stacco<+> il terreno, inesorabile, ci richiama a sè:
ad un'altezza di circa 2-3 metri iniziamo ad abbassare entrambe i
freni e concludiamo la manovra di stallo portandoli sotto alla selletta
quando ormai i nostri piedi sono a mezzo metro dal suolo. Le gambe,
il nostro carrello, saranno pronte ad ammortizzare il lieve impatto,
facendo qualche passo in avanti per smaltire la eventuale velocità
orizzontale residua e consentire alla vela di ricadere dietro di noi
anzichè sul nostro capo (proseguendo la pratica scopriremo presto
che arrestarsi magicamente a 5 cm da suolo non è un obbiettivo irraggiungibile,
con il parapendio).
Gli errori possibili sono sostanzialmente tre.
1) Stallare troppo presto, cioè troppo in alto.
Se stalliamo a 3-4 metri subiremo semplicemente un atterraggio "brusco",
a patto che non ci venga in mente di rilasciare completamente i freni,
nel tentativo di correggere l'eccessivo anticipo della manovra: sotto
ai 5 metri quando la decisione di stallare è presa, deve essere mantenuta;
del resto mai, per nessuna ragione, abbasseremo completamente i freni
ad un'altezza superiore ai 5 metri, pena la chiusura della vela ed
un arrivo a velocità (troppo) sostenuta.
2) Stallare troppo tardi, cioè quando già i piedi stanno già
toccando il suolo:
proprio per la latenza di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo,
sarà come non stallare affatto; grazie al cielo il parapendio è molto
più "buono" del deltaplano con questo tipo di errore ed una ruzzolata
sul prato, se morbido e privo di rocce, sarà tutto.
3) Stallare ad un altezza giusta, ma in modo asimmetrico
(tirando più un freno dell'altro): in presenza di vento tale asimmetria
si traduce in una virata che può portarci ad atterrare con il vento
di traverso, se non decisamente dietro; è dunque importante mantenere
una perfetta orizzontalità.
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