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L'ALTRO VIOLINO

Maurizio Padovan

Il violino è l'immagine e il suono della musica "classica". Come l'orchestra, di cui è lo strumento più rappresentativo, il violino è infatti associato a quel genere musicale colto definito impropriamente "classico".

Al violino e ai violinisti sono legati i grandi miti della storia della musica che da secoli vivono e si tramandano nell'immaginario collettivo. Basti pensare ai misteri e ai segreti che avvolgono l'arte dei grandi liutai come Amati, Guarneri e Stradivari o alle leggende che accompagnano i grandi virtuosi quali Tartini e Paganini.

Ma al di là di questo violino, quello della "grande musica" eseguita nei teatri e nelle sale da concerto, quello del frac e dei grandi solisti, esiste, ed è sempre esistito, un "altro violino", quello della "musica minore" che risuona nelle piazze, nelle cascine e nelle sale da ballo durante le numerose ricorrenze festive, i matrimoni e il carnevale. Un "altro violino" riconosciuto e apprezzato nell'ambito delle realtà locali e delle culture tradizionali, tanto quanto il violino "classico" dal pubblico dei grandi eventi concertistici.

E' questo il cosiddetto violino popolare del quale la mostra ripercorre, attraverso le immagini dei suoi interpreti, oltre un secolo di vita.

Sin dalla sua origine, attestata nella prima metà del Cinquecento, il violino era lo strumento con il quale i gruppi di suonatori girovaghi accompagnavano i balli durante le feste.

Con la valorizzazione delle sue capacità espressive il violino entra di diritto nella musica colta rivestendo in breve tempo il ruolo principale dell'orchestra barocca.

Ma è il violino danzante, quello dei suonatori ambulanti che girano di paese in paese portando la festa nelle strade e nelle piazze, che si radicherà nella cultura popolare divenendo lo strumento più importante per l'accompagnamento dei balli, ruolo che manterrà sia solisticamente sia in associazione con altri strumenti fino ai primi decenni del nostro secolo quando verrà gradualmente sostituito dagli strumenti delle nuove mode.

Le tradizioni violinistiche

In area italiana è possibile identificare numerose tradizioni violinistiche, frutto di una evoluzione maturata in ambienti socio-culturali profondamente diversi che hanno dato luogo a linguaggi musicali, stili e repertori differenti.

Solo alcune di queste tradizioni sono attualmente viventi: quella della Val Caffaro in Lombardia, quella della Val Resia in Friuli, quella di Fabriano nelle Marche e quella di Canosa in Puglia. Di altre, recentemente scomparse, sono pervenute preziose testimonianze attraverso gli ultimi anziani violinisti: è questo il caso della Val Varaita in Piemonte, delle Colline Pavesi e dell'Appennino Emiliano. Di altre ancora è giunto solo il ricordo.

Dal punto di vista socio-economico il violinista popolare è un professionista ambulante o, più frequentemente, un semiprofessionista il cui primo lavoro è quello di artigiano, commerciante o contadino. Si tratta di attività che lasciano il tempo necessario per l'apprendimento dello strumento, per le prove e per le trasferte nelle località dove è richiesto l'intervento musicale.

L'esperienza musicale rappresenta per il violinista oltre che una manifestazione di autentica passione, anche un modo, più o meno proficuo, per incrementare i propri profitti con prezioso denaro liquido, particolarmente raro in ambiente rurale.

L'apprendimento dello strumento avviene secondo varie modalità in relazione ai diversi fattori ambientali. Il violinista principiante può acquisire i primi rudimenti direttamente dagli stessi membri della famiglia, da altri suonatori della comunità o frequentando alcune lezioni dal maestro del paese, quanto basta per apprendere quegli elementi base della diteggiatura e della condotta dell'arco sufficienti per iniziare ad eseguire "ad orecchio" semplici melodie.

Nell'ambito delle culture e delle comunità montane, più di altre isolate da barriere geografiche, le tradizioni violinistiche appaiono caratterizzate da stili e linguaggi musicali chiaramente definiti. In questo contesto l'apprendimento del violino rappresenta una sorta di trasmissione ereditaria all'interno di un linguaggio consolidato e sedimentato da secoli, regolato da precise norme musicali, all'interno delle quali ciascun esecutore contribuisce, attraverso l'apporto personale, ad assicurarne l'evoluzione e la sopravvivenza.

Ben diversa appare la tradizione violinistica in ambito urbano o di pianura. Grazie infatti alla più facile diffusione dei repertori musicali, alla circolazione degli spartiti e alla possibilità di ascoltare e osservare musicisti colti, il violino popolare non rappresenta più l'espressione di una definita tradizione ma quella di un mondo musicale aperto a varie influenze, attento alle nuove mode e privo di una identità stilistica.

Definire le caratteristiche sonore del violino popolare è impresa alquanto ardua considerando le varietà degli stili, delle tecniche e dei conseguenti risultati ottenuti. L'elemento comune a tutte le tradizioni è sicuramente identificabile in un suono apro e talvolta grattato, caratterizzato da un colpo d'arco estremamente ritmico, dal frequente uso del bordone e dall'assenza del vibrato

Dalle fotografie della mostra è possibile identificare con facilità l'elemento più appariscente della tecnica violinistica popolare: la tenuta dello strumento.

Nella moderna tecnica colta (diversa da quella antica) il violino è poggiato sulla spalla e premuto ad essa con il mento; la stabilità dello strumento, indispensabile per permettere alla mano sinistra di muoversi liberamente sulla tastiera, è ottenuta attraverso elementi accessori quali la mentoniera e la spalliera.

Nell'ambito del violino popolare si possono distinguere tre tipologie di tenuta dello strumento in relazione alla incontaminazione delle tradizioni violinistiche e al livello di scolarizzazione strumentale dei singoli esecutori.

Nelle tecniche più arcaiche (ad esempio in Val Varaita e in Val Resia) lo strumento è tenuto in posizione bassa, appoggiato sul petto, in modo del tutto simile al violino del XVI e XVII secolo. E' questa la testimonianza più evidente di una tradizione che si è protratta dalle origini del violino fino ai nostri giorni e che è ancora viva nell'arco alpino.

Nei casi di tecnica più evoluta il violino è tenuto in una posizione intermedia, poggiato alla base centrale del collo e premuto con il mento.

Nei restanti esempi il violino è tenuto secondo la postura moderna.

Nei documenti fotografici di seguito riportati i violini appaiono talvolta provvisti di mentoniera anche in quei casi in cui la tenuta dello strumento non lo richieda (es. Val Resia). Tale contraddizione è probabilmente da attribuirsi alla commercializzazione dei violini di fabbrica già corredati di questo accessorio e ormai ritenuto parte integrante dello strumento.

Anche la presa dell'arco popolare differisce da quella colta e rimanda a quella in uso nel periodo barocco. La mano destra tiene infatti la bacchetta non in corrispondenza del tallone, ma ad una distanza di uno o più centimetri da esso al fine di accorciare la lunghezza attiva dell'arco.

I repertori

Fino alla fine dell'Ottocento il violinista popolare suona un repertorio prevalentemente di balli tradizionali locali, balli di genere di diffusione interregionale, marce, mattinate e serenate notturne. Repertorio che può derivare dalla letteratura strumentale della fine del Cinquecento, dalle danze del periodo barocco o dai balli di società di epoca napoleonica.

Si tratta di Mantovane, Correnti, Gighe, Furlane, Tarantelle, Monferrine, Quadriglie, Contraddanze e numerosi altri titoli da eseguirsi con violino solo o con svariati insiemi strumentali. Tipica è la formazione del complesso d'archi del Nord Italia formato due o tre violini, basso (bassetto o contrabbasso) e chitarra con eventuali inserimenti di flauto traverso e mandolino.

La graduale sostituzione dei vecchi balli con le nuove danze di coppia quali Walzer, Mazurke, Polke, One step e Tanghi costringe l'orchestrina d'archi ad aggiornare il proprio repertorio, acquisire nuove tecniche e stili strumentali ormai lontani da quelli tradizionali. Molti suonatori sono così in grado di eseguire repertori diversi con stili differenti a testimonianza di una duttilità resa indispensabile da esigenze di mercato che, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, hanno sempre più favorito i balli del "liscio" a discapito di quelli tradizionali. Ma la concorrenza delle fisarmoniche, del clarinetto e di altri strumenti della banda, più adatti ai nuovi repertori e ritenuti più facili da imparare, favorisce ovunque la disgregazione delle scuole violinistiche popolari, ormai prive di ricambi generazionali, ad eccezione di poche isole culturali dove il violino è ancora presente grazie alla forte motivazione rituale del carnevale.

pubblicato in:
G. Grasso, M. Padovan (a cura di), L'ALTRO VIOLINO, catalogo della mostra, Cremona, 1988

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