Henri BRESC

Pantelleria medievale.

 

    La situazione geografica e l'evoluzione politica e culturale del Medio Evo fanno di Pantelleria medievale un ponte, o, meglio una marca, zona di penetrazione, di scambio, di compromesso tra Sicilia e Maghreb. Ricordiamo brevemente la situazione particolare dell'isola tra gli anni della conquista di Cartagine e l'840, rifugio della popolazione africana legata alla Chiesa e allo Stato bizantino, che ci viene ricordata da al-Tijânî. In quel momento e fino alla conquista definitiva della Sicilia da parte dell'Islam maghrebino, Pantelleria appare come un posto all'avanguardia della civiltà bizantino verso l'Africa, richiamo di quello che era stato Cartagine, con un carattere più spiccatamente greco, un conservatorio dei valori e della cultura che cambiavano in Ifriqiyya. A quel momento, Pantelleria è anche il luogo dove si incrociano i destini individuali dei protagonisti del gran cambiamento: nel 833, una harraqa bizantina viene catturata da una armata musulmana in operazione presso l'isola ; trovano su di essa un musulmano rinnegato, che verrà giustiziato . Nel 803, Carlomagno riscatta parecchi dei sessanta monaci dell'isola messi in vendita in Ispania dai Mori, e la cui cattura segnava la distruzione del gran monastero di San Giovanni , e permette ai monaci di tornare a casa, probabilmente in Sicilia. La conquista definitiva non interviene prima degli Aghlabidi , ma non sappiamo se l'isola fu subito popolata dai Musulmani: secondo la testimonianza d'al-Himyarî l'arcipelago maltese rimase spopolato dal 870 al 1048-9 . Anche il poema di Ibn Hamdis sembra evocare un radicale spopolamento per Pantelleria dopo il massacro degli abitanti cristiani. Un periodo di abbandono, simile a quello dell'arcipelago maltese, potrebbe d'altronde spiegare la paura per i luoghi deserti dell'isola che al-Dimishqî descrive come l'abitato dei cattivi geni .

    Un primo problema viene posto dalla presenza di questo monastero sulla via di Cartagine, testimoniato anche dalla persistenza del proprio Typikon: la localizzazione archeologica non è chiara, né si può verificare l'ampiezza dell'edificio, e l'eventuale ricostruzione nel '100, che viene indicata da due documenti poco affidabili della Biblioteca del Comune di Palermo  e di cui non si capisce bene il senso e la data della fabbricazione. La presenza del monastero bizantino, invece, si capisce perfettamente se si tiene in conto la tradizione di sacralizzare con edifici religiosi i capi e le isole, rito di protezione universale nel Mediterraneo orientale, ma anche sul litorale andaluso, in Portogallo ad esempio al Capo San Vincenzo: questa presenza viene di solito accettata dai musulmani e spesso raddoppiata con un ribât, una zawîya o una semplice moschea, senza distruzione dell'edificio cristiano. Rimane da spiegare la violenza dell'803.

    La conquista normanna, allo stesso modo, viene tardi, nel 1127, dopo un periodo intermedio dove l'isola è lasciata come campanello d'allarme per un Maghreb presto minacciato . Pantelleria viene di nuovo fatta il conservatorio di un mondo originale: il "regno arabo" voluto dai primi sovrani normanni anche nel Maghreb poggiava su dei governi locali, strettamente subordinati ad una monarchia sovrana e amministrati dalla Sicilia da una burocrazia di lingua greca e araba, e inquadrava delle comunità unite dalla lingua ma religiosamente eterogenee. All'inizio, una maggioranza di musulmani, contadini e artigiani, e una minoranza di ebrei arabofoni, mercanti e artigiani, venivano dominati dall'alleanza tra i conquistatori e i cristiani mozarabi, nobiltà del sapere e della gestione del potere. Questo modello, un pò teorico, ha avuto in Sicilia una vita molto breve, subito travolto dall'immigrazione massiccia di "borgesi" latini, e incrinato dai fenomeni di conversione e dall'emigrazione dei quadri musulmani verso il Maghreb.

    Le isole, invece, secondo la mia ipotesi, hanno a lungo conservato la lingua, i valori, i modi d'insediamento, le relazioni tra la comunità sottomessa, l'amministrazione regia e la feudalità, che segnalavano i primi tempi della monarchia normanna e che si possono raggruppare sotto il concetto di "autonomia tributaria". L'arcipelago maltese, così, conserva nel Medioevo parecchi tratti della sua autonomia: la lingua araba, sopravvissuta fino ad oggi, l'insediamento a casali e la ricerca di produzioni intensive capaci di valorizzare al massimo il suolo e di pagare il flusso d'importazione delle cereali, il cotone ed il cimino, e ancora il ruolo eminente degli ebrei nell'economia e anche, fino al Trecento, nell'amministrazione del patrimonio regio nelle isole, una funzione infine di ponte con la Berberia. Le isole maltesi assumono una parte del commercio con l'Ifrîqiyya, ma ricevono anche un nucleo importante di corsari. Se non si può più, dopo la critica del Brincat, parlare dell'arcaicità di queste isole, né dal punto di vista linguistico, né da quello della storia politica, poiché l'autonomia tributaria viene cancellata a Malta molto presto, si può conservare questo concetto per Pantelleria, sottomessa a un condominio fiscale fino al '400.

    Pantelleria medievale ritrova parecchi di questi tratti, la lingua, l'insediamento, la coltura del cotone, destinata a pagare l'importazione di frumento. La sua originalità, però, è di aver conservato fino agli albori dell'età moderna la sua popolazione musulmana: mentre, a Malta, i musulmani sono stati espulsi verso il 1240, si mantiene a Pantelleria questo divario che notava il viaggiatore Nompart de Caumont nel 1420 tra il popolamento musulmano dell'isola e il gruppo di famiglie cristiane che viveva nel castello . Il ruolo militare, di sorveglianza della costa tunisina, è anche più importante che non a Malta, lontana delle coste africane, ma la ridotta capacità del porto non ha favorito né l'attività commerciale né la corsa, e l'isola ha visto moltiplicarsi le presenze di irregolari, e le dominazioni feudali.

 

    I Il conservatorio

    La dominazione normanna non è chiaramente descritta per l'isola. Forse non si è costruito subito un castello: sicura della propria talassocrazia, la monarchia non temeva gran che dall'Africa. Burcardo di Strasburgo, nel 1175, descrive una popolazione che non obbedisce affatto all'autorità siciliano, vive della pastorizia e si rifugia nelle grotte in caso di sbarco , ma sappiamo che l'isola aveva una fortezza testimoniata già dal Carme pisano nel 1087 , e confermata dall'Idrisi verso il 1158, jazîrah hañînah,. L'autonomia tributaria è stata probabilmente applicata all'isola fin dal '100, come a Malta, ma viene testimoniata solo dal documento che ne precisa l'applicazione, il patto tra Federico II e Abž Ishâq b. Ibrâh"m b. Abî Hafs, nel 1221 : l'autogoverno viene garantito alla popolazione musulmana, con la nomina a cura del governo imperiale di un prefetto che sarà sempre di religione islamica ; il tributo verrà percepito dalla amministrazione siciliana, ma la metà ne sarà riversata al tesoro del sovrano di Tunisi. Il patto non precisa quello che è evidente: l'esercizio della giustizia sui musulmani affidato al cadi, di cui conosciamo d'altronde l'esistenza attraverso le fonti musulmane del '400 citate da H.H. Abdulwahhâb . Non si tratta di un condominio politico : l'autorità risiede esclusivamente nelle mani del re di Sicilia. Un problema ancora non risolto è quello del partito politico-religioso degli abitanti e della coscienza che ne avevano gli africani : erano kharijita, della via wahbita come gli abitanti di Gerba, secondo la testimonianza tarda di Yaqût , ma fino a che punto erano distinti dai musulmani aderenti all'almohadismo? Altre istituzioni comunitarie appaiono saltuariamente: nel 1272, un notaio, leethomus, nel 1282 degli Anziani, un tipo di jamâ‘a, nel 1408 degli ambasciatori, l'uno cristiano (Lodovicus de Romeo) e l'altro musulmano (Salem Ben Buael), che ricordano il popolo bipartito, "tam Christiani quam Saraceni", di Malta . Il tributo viene prelevato in bisanti di migliaresi, moneta tunisina, tradotta in onze di Sicilia : 1000 bisanti nel 1270, 58 onze 10 tarì nel 1276, 1300 bisanti o 54 onze 5 tarì nel 1277, 1100 bisanti nel 1282 ; e 30 onze vengono ancora puntualmente corrisposte al sovrano hafsida nel 1399.

    La base della società e dell'economia isolane è dunque il contadino musulmano: il suo abitato è quello dei casali testimoniati nell’infeudazione del 1399 e nella nomina di Symon Negre come procuratore della Corte nel 1444  ; l'attività principale è nella coltura del cotone e probabilmente nell’allevamento ovino. La spazio dell'isola e più ampio che non quello offerto dall'arcipelago maltese e può permettere il pascolo su quegli hermi che vengono segnalati nel 1417 . Anche se è probabile che fossero delle solidarietà tribali o locali, e dunque dei beni collettivi e degli usi "civici", abbiamo le prove di un'appropriazione individuale della terra: nel 1417, gli appezzamenti dati a Pedro de Mursia vengono dette le terre di Rodoan, e ritroviamo il nome di persona arabo Ridwân. Altro pezzo di terra, quello dato nel 1444 ad Arnau Negre, situato a Bugeber, con anche la fossa de la far contigua al dit terreny .

    Accanto alla maggioranza contadina musulmana, gli ebrei esercitano una funzione che si ritrova raramente in Sicilia, quella di "bazarioti", come si dice a Malta nel primo Quattrocento. Assumono la totalità delle importazioni conosciute di grano e della "merceria", i prodotti cioè venduti dal mercerius, ferro, acciaio, ecc. Gli ebrei, che troviamo anche come artigiani, sono raggruppati nel centro, presso al castello e al porto: 43 capifamiglia nel 1444. È la zona commerciale, dove grotte e magazzini occupano lo spazio del fossato, prop del castell… davall lo pont .

    Terza società, legata al castello, quella dei cristiani si identifica probabilmente con la guarnigione: sono solo 26 famiglie nel 1376-1377 quando l'inviato del pontefice, Bertrand du Mazel, preleva una tassa, un focatico su tutti i fedeli di Sicilia, riconciliati dopo un lungo interdetto. Questo numero corrisponde a quello dei servienti del castello.

    Sul modello della Camera regia dei Normanni, il patrimonio della Corona nell'isola viene gestito da "secreti" ebrei, loro stessi "servi della R. Camera", testimoniati nel 1444 (Muxexi Melemmedi) e nel 1460 (Salamuni Malamet, probabile parente del primo). Sono i due soli casi in cui conosciamo i nomi dei "secreti" dell'isola. é un caso unico nella Sicilia del Tre e del Quattrocento, che ci ricorda i "camerari" musulmani o superficialmente convertiti della Sicilia normanna, o ancora, nel 1275, il procuratore delle isole maltesi Roberto Cafuro, anche lui "servo della R. Corte". Dobbiamo però notare che negli anni 1290 la procura dell'isola era stata affidata a Palmerio Abbate, di Trapani , ma non si trattava evidemente di una funzione fiscale, bensì di una quasi-infeudazione.

    Questo patrimonio si compone, come a Malta, di vasti possedimenti atti a ricevere delle imprese agricole, delle "masserie", e di scorte di buoi di lavoro: nel 1408, un paio di buoi viene dato al catalano Guillem Vendrell per arare le sue vigne , e nel 1444 Anthoni Maçot, anche egli catalano, abitante del castello e probabilmente serviente, riceve della terra per sei giornate d'aratura .

    Tutto questo rappresenta l'eredità normanna, passata attraverso la codificazione federiciana, e largamente comune tra Pantelleria e l'arcipelago maltese. Vediamo ora quello che fa la particolarità della storia medievale dell'isola.

 

    II L'originalità pantesca 

    I tratti particolari della storia medievale di Pantelleria manifestano una netta opposizione con l'evoluzione rapida della situazione religiosa dell'arcipelago maltese: la permanenza di una comunità musulmana maggioritaria ha lungamente vietato il rinnovo della pratica cristiana nell'isola. Mentre a Malta si sono ricercati e riscoperti i ricordi della prima cristianizzazione (presenza pretesa di San Paolo), leggende e chiesette pantesche sono moderne. Anche se ridotta dalle razzie di Ruggero di Lauria, la popolazione musulmana è stata protetta dalla situazione demografica debole, dopo la Peste del 1347-1348: la sua espulsione sarebbe stata la rovina dell'isola, il suo lavoro e le tasse pagano la guardia del castello. Quando gli Hafsidi, esasperati dai soprusi dei capi corsari a cui veniva affidata Pantelleria, hanno richiamato in Africa i musulmani dell'isola, la monarchia siciliana ha favorito con ogni modo il loro ritorno, chiedendolo ai sovrani tunisini nel 1438, restituendo liberalmente nel 1413 i propri beni a chi, costretto di abbandonare l'isola, gli aveva lasciati e ci tornava . Nel 1478 ancora ci sono degli abitanti musulmani, ma i due procuratori dell'Università sono tutti e due cristiani, Bartholomeu di Morana e Franchiscu Currachinu.

    Questa situazione ricorda e prolunga quella della Lucera federiciana, manfrediana ed angioina, e spiega che la capitania dell'isola, questa funzione di "prefetto" prevista dal trattato del 1221, sia stata affidata per qualche anno ad un cavaliere musulmano: nel 1272, il miles Leone di Lucera sostituisce Palmerio Abbate denunciato dopo la rivolta di Conrado Capece come filoghibellino. Apparentemente il regno di Sicilia avrebbe rispettato gli impegni presi con Tunisi; in realtà gli anni in cui si è avuto un musulmano alla testa dell'isola sono pochi, dal 1272 al 1278, e sbocca su un vero ricatto: i musulmani hanno pagato caro per essere comandati da un aristocratico da Lucera, di famiglia siciliana di sangue abbastanza buono e di reputazione sufficiente per essere decorato del cingolo militare. Nel 1278 l'oligarchia trapanese ottiene la sua rivincita : Nicola de Caro ricompra la capitania che eserciterà dall'aprile 1278 . Hubert Houben contesta questa interpretazione : pubblica nuovi documenti ritrovati nel fondo Sthamer e capisce la richiesta dei saraceni come quella della revoca di Leone del 1278 . La contestazione si impernia sulle parole del re: i musulmani promettono un tributo raddoppiato si dimicteremus in eadem insula Leonem Saracenum militem de Luceria capitaneum che capisco in modo diverso, non come "se revochiamo", ma come "se lasciamo". L'opposizione tra la richiesta dei saraceni e la nomina di Nicola di Caro viene sottolineata della frase latina, Licet…Tamen, "benché i saraceni abbiano offerto…, ciononostante, Nicola di Caro avendo offerto la stessa somma, più 800 bisanti, abbiamo deciso di mandare". La contestazione, si vede, è di poca ampiezza, porta solo sulla mutazione di ufficiale un del 1278, mentre, in ogni caso, Leone era già capitano di Pantelleria nel 1272 e nel 1276.

    La posizione politica dei musulmani di Pantelleria ricorda ancora quella di Lucera : c'è nell'isola un forte sentimento politico filoghibellino e, nel 1267, due capi, Bulcasimo (Abû'l-Qâsim) e Gaimo hanno preso la parte di Conradino, raccogliendo per Conrado Capece e Nicola Maletta, capi dell'insurrezione 22 500 bisanti. Si tratta di un'iniziativa che la popolazione ha pagato senz'altro caro col trionfo finale degli Angioini.

    La situazione particolare della popolazione musulmana di Pantelleria, sottomessa a un condominio tra Tunisi e Palermo, implicava una larga libertà di viaggiare e di commerciare in Berberia, confermata nel 1413 all'ebreo Salamo Cathalano  e allargata all'isola di Sicilia nel 1430 senza tasse particolari. Gli abitanti godono dei privilegi di Trapani, cioè di quelli di Messina, e un commercio regolare con Tunisi spiega l'uso esclusivo della moneta maghrebina: nel Quattrocento i censi vengono pagati in doppie tunisine , e anche la Secrezia fa i conti in doppie . Almeno negli anni 1350-1370, è probabile che l'isola sia diventata in magazzino dove transitano lane e boldroni acquistati in Tunisia dai Genovesi, Doria, Spinola, e il punto dove le navi "prendono lingua" per sapere se l'accesso è permesso alle acque maghrebine alle navi cristiane caricate in particolare di vino: sono di fatto gli anni della lotta tra i due regni hafsidi di Bugia e di Tunisi. In fondo, anche se il proprio ruolo è minore, e non ostante la scarsa qualità del porto, l'isola si pone in posizione di comunità-uscio, gateway community, secondo la terminologia di K. Polanyi,

    La base agricola viene dunque modificata rispetto al modello maltese: l'isola produce orzo forse a sufficienza (nel 1402, si esportano 200 salme di orzo), ma i gusti sono cambiati e la licenza d'importazione senza "tratta" di frumento sale da un minimo di 200 salme nel 1429 a 500 salme nel 1430, il che lascia pensare che anche i musulmani dei casali mangiavano pane bianco, mentre a Malta si è sempre mangiato pane d'orzo. Ma l'importazione rimane limitata secondo i registri del Maestro portolano : 183 salme nel 1407-1408, 138 e mezza nel 1412-1413, 158 nel 1413-1414, 74 nel 1416-1417, solo 37 nel 1432, 51 nel 1455-1456. L'isola paga il frumento, come Malta, in cotone filato, esportato dai commercianti ebrei: Sabeti Chassuni nel 1444, che riceve in cambio dell'acciaio, del vino, dei tessuti e dell'argento dal suo corrispondente a Trapani, Muxa‚ aya, Brachamus Misilet nel 1453, Sucha Milimet e Samuel Sala nel 1460, in cambio di panni. Le quantità sono abbastanza massiccie perchè se ne possa riesportare da Palermo verso Barcellona per un valore di 120 onze nel 1457.

    Un'altra possibilità sarebbe di anticipare al Quattrocento la produzione dell'uva passa: abbiamo visto la presenza precoce di vigneti, nel 1408 quello di Petruccio di Cefalù, quello di Giovanni Squarciafico, e di Guillem Vendrell. Mentre il vino viene sempre importato: nel 1413 l'importatore, Johannes de Cordova, paga una gabella di oltre 20 fiorini d'Aragona, tre onze e 10 tarì . Un'ipotesi, forse arrischiata, verrebbe dunque una produzione più precoce dello zibibbo, secondo le tecniche testimoniate d'altronde nella Sicilia medievale come nella vicina Tunisia, tra le basi dell'economia isolana.

    La presenza di una forte comunità islamica conduce ancora a definire un tratto estremamente originale della vita legale dell'isola: la conversione di una parte, probabilmente piccola, dei musulmani riproduce con due secoli di ritardo un'evoluzione del '100 siciliano, e pone il problema della coesistenza di due diritti, in particolare nel campo delle eredità. Nel 1353, il diritto musulmano, che esclude i cristiani dall'eredità di un musulmano, e il diritto romano vengono invocati nel caso dei beni dei defunti Fiakus Aseni ed Amarus Benecheris. La Gran Corte decide che l'eredità andrà al più vicino parente, senza tener conto della religione.

 

    III In fronteria Barbarorum:

    Dopo il 1350, il risveglio militare della Berberia hafsida pone di nuovo Pantelleria sulla frontiera con una potenza navale in teoria nemica, anche se la situazione particolare dell'isola esclude delle operazioni contro la popolazione, come ne sono successe nell'arcipelago maltese. La posizione geografica, molto favorevole alla preparazione di operazioni di corsa contro la costa tunisina, spiega l'interesse di Genovesi e Catalani per ottenerci una base permanente. Già nel 1292, il governo di Giacomo aveva affidato il castello ad un capitano catalano, Bonanat Algerii. Integrata poi alla Camera reginale, Pantelleria sembra avere avuto una certa continuità nel comando dei Catalani: qualche tempo prima del 1353, il capitano era un Arnau Inbancu. Nel 1361, l'isola veniva ancora rivendicata alla Camera della regina Costanza, che portava nell'isola la bandiera degli interessi aragonesi.

    In quell'anno, però, incominciava il governo dei Genovesi: l'ammiraglio Emmanuele Doria riceveva l'isola in feudo; non sappiamo bene che uso ne faceva, ma sono i decenni in cui viene testimoniato il commercio con l'Africa; nel 1395, nella confusione della conquista catalana della Sicilia, un parente dei Doria, Giovanni di Barnabo di San Lazaro, dell'albergo Squarciafico, si impadronisce dell'isola con la forza ; la sua situazione viene regolarizzata con un'infeudazione formale nel 1399 mentre i Doria conservano sempre diritti e redditi sull'isola. È autorizzato a costruire una galera per la difesa dell'isola, ma nel 1403 viene chiamato a partecipare con 60 onze ad una colletta per l'armamento di una galea a Trapani: questo fa pensare che l'isola era allora abbastanza ricca e che Squarciafico non aveva compiuto i propri doveri per la difesa dell'isola. In effetti la minaccia dall'Africa è ripresa: nel 1384, in un contratto commerciale passato da Ambrogio Squarciafico a Palermo, si prevede il caso dell'assedio al castello; e, nel 1402, Abû Faris fa registrare nell'accordo di tregua la legittimità di un tentativo di conquista dell'isola, con un preavviso di sei mesi, e altrettanto viene riconosciuto ai Siciliani per Gerba. A quel momento, sembra che l'isola abbia avuto già la funzione di base di corsa, o almeno di porto di smercio del bottino .

    Il governo dei Genovesi entra in crisi nel 1407 : gli ambasciatori del popolo doppio dell'isola denunciano i loro eccessi: l'isola è dispopulata, tutti sono fuggiti. Squarciafico è probabilmente morto, mentre una compagnia di ventura capeggiata da un genovese, Nicoloso di Savona, prende il castello; un altro Squarciafico, Bartolomeo, viene ucciso nell'affare. L'occasione era buona per farla finita con quest'eredità del passato: i beni degli Squarciafichi vengono sequestrati dall'usciere catalano Joan Castellar  e, nel 1408, la capitania passa ad un catalano, Matteo Sancho (o Chancho) di Santa Phimia . Fino all'inizio della monarchia spagnola, e tranne i due anni del governo di Simone Corso, di Trapani (1415-1417) l'isola rimarrà nelle mani di catalani e di aragonesi. Sarà il periodo d'oro della corsa basata sul porto di Pantelleria: nel 1411, approfittando della guerra civile siciliana, la galeotta di Matteo Sancho, capeggiata da Giuliano Luquisi da Trapani, prende anche un brigantino siciliano e ferisce gravemente un frate predicatore che viaggiava via mare.

    Un nucleo di avventurieri si è già insediato nel castello: un uomo di mare che porta un soprannome arabo, forse un musulmano, uno schiavo, Maymuni, è il patrono della galeotta di Matteo Sancho nel 1409 e cattura due saraceni, fracta fide ; tra i soci del castello, elencati nel 1444, notiamo tre membri (Simone, Peri e Antonio) di una famiglia, gli Ancona, conosciuta negli ambienti della corsa: nel 1400 Giovanni de Anquona era già corsaro ; tra il 1444 e il 1446, Bartolomeo, cittadino di Siracusa, fratello di Antonio, è il patrono della galeotta pirata del cavaliere maltese Antoni Desguanechs (Inguanez). C'è poco dubbio sulla natura delle funzioni esercitate da Antonio de Ancona: nel 1439, a Marsiglia, viene catturato da una galea provenzale mentre viaggiava su quelle dei Fiorentini e si tratta molto probabilmente di una classica rappresaglia. E, liberato nello stesso anno, esercitava a Palermo la funzione di procuratore, di uomo di fiducia di Francesch Bellvis.

    Nel 1422, l'isola viene affidata in feudo, come castellano regio e come signore naturale, al valenziano Francesc Bellvis, regio falconiere e patrono di una galera al servizio dell'impresa alfonsina di conquista del regno di Napoli. L'infeudazione, parallela a quella di Malta a Francesch de Monroy, non ha suscitato le opposizioni che costringevano Alfonso a recuperare l'arcipelago maltese, segnalando la nascita di una vigorosa personalità maltese. Dal punto di vista del re, si tratta di fare portare il costo della guardia del castello e dell'isola sulla corsa: Bellvis dispone di un brigantino e, sulla galera, utilizza come ciurma ruffiani, vagabundi et homini di mala vita tratti dalle regie carceri palermitane .

    Alla morte di Francesc Bellvis, nel 1437, il figlio, Francesch, eredita l'isola. Viene però denunciato nel 1441 per aver fatto di Pantelleria un "nido di ladri e di malviventi", un niu de lladres e malfactors, e il feudo viene sequestrato. La missione del commissario, Misser Giorgio di Santo Stefano, accompagnato dal notaio trapanese Durdugla ci dà una delle rare occasioni di avere una visione diretta e un documento originale su l'isola : il castello viene inventariato, rivelando un armamento abbondante, ma spesso invecchiato, 24 balestre, 15 corazze, tre buone bombarde e quattro rotte. Il castello era fornito di un mulino con cinque asini, di una cisterna e di una ricca santabarbara con polvere, salnitro, carbone. Si può dunque ipotizzare una guarnigione di una trentina di uomini, numero importante per questi anni, quando la pace è tornata in Sicilia.

    Il governo vicereale prova a ritornare ad una gestione diretta del castello, con Arnau Negre, poi con Blasco Alagona, nominato il 22 maggio 1444 ; ma si torna subito, il 30 maggio, ad affidare l'isola a un membro della stessa aristocrazia di corte e di guerra, di origine iberica, Gonsalvo de Nava, in quasi-feudo. Anche lui dispone di una galeotta con la quale si va in corsa contro la Berberia nel 1441, e di due galee, anche loro impiegate sulle coste dell'Africa, nel 1442. Durante le tregue il suo brigantino porta frumento e orzo nel golfo delle Sirte e ne trae schiavi negri; in questo modo, più mercantile che guerresco, l'isola continua di vivere in concomitanza con il Maghreb. Nel 1469, il passaggio dell'isola a Alvaro de Nava suscita una breve ribellione, in nome dei diritti conservati della casa dei Bellvis. Giovanni ii finisce con l'accettare il ritorno dell'isola alla famiglia valenziana, Francesco, poi, nel 1486, la figlia Giovanna, che vende però il feudo ai Requesens.

    Il problema principale, di fatto, è il costo della difesa dell'isola: si è ridotto il numero dei soldati, servienti, da trenta a venti nel 1409, ma si è dovuto subito risalire a venticinque nel 1415. A 8 onze et 18 tari di salario annuo, il castello costa 268 onze 18 tari l'anno solo per il soldo della truppa. La secrezia dell'isola non può partecipare al pagamento oltre 150 onze; il rimanente viene riversato sulle secrezie di Marsala, di Trapani, di Sciacca, di Salemi e di Palermo.

    Il rimedio, la corsa, viene ad aggravare i pericoli e i costi: nel 1406, sono sei galee grosse, un brigantino e una galeotta magrebina che stringono d'assedio il porto. Nel 1425, gli Hafsidi preparano, d'intesa con il sultanato mamlûk, una armata potente: 38 galee tunisine, più 30 galee egiziane, e più di cento fuste di 20 banchi e più ; la flotta minaccia Pantelleria, ma si tratta di una dimostrazione verso la Sicilia. Di nuovo, nel 1453 e nel 1457 si teme una invasione saracena, mentre nel 1443 sono i Genovesi a bloccare il castello con sei grandi navi armate ed i servienti, privi di pane e di polvere da sparo, chiedono soccorso.

    Pantelleria, posto di sorveglianza, situato in una zona tempestosa, in un mare sempre imprevedibile, era destinato a raccogliere molti naufraga ed a usare del diritto di ridurre in schiavitù gli infedeli: nel 1443, tre ebrei barbarusi, viaggiando su una barca maltese, vengono catturati sulle spiagge dove il mare li ha buttati e costretti a riscattarsi a colpi di bastone alla Goletta, bastuniandu , nel 1445 una nave di Siviglia va a fondo davanti Pantelleria e il castellano s'impadronisce dei mori e degli ebrei scappati ; una nave di Biscaglini la segue, carica di mercanti granadini; un conflitto oppone il vicecastellano e il regio tesoriere sul loro possesso .

    Pantelleria rimane in fine anche un punto di transito tra islam e cristianità : la nostra documentazione rivela esclusivamente conversioni dall'islam, ma altri passaggi sono largamente probabili. Ricordiamo due casi: nel 1444, Mayameth Lu Mineri, "maurus et cathecumenus", patrono di una barca armata di undici banchi, tradisce i propri compagni e gli consegna agli ufficiali di Pantelleria; il vicerè gliene da quattro in premio e viene accompagnato da Antonio de Ancona come turgimanno, percorrendo le fiere di Sicilia e vendendo uno qui uno là; un altro caso illustra l'ambiguità delle conversioni forzate: nel 1441, Antonio de Belvis espone che, nato a Sussa da una madre maltese prigioniera, ma generato a Malta, poi marinaio su una fusta di pirati saraceni, è fuggito durante una spedizione, sull'isola, dove è stato battezzato nella cappella di Santa Maria del castello; il nome e il cognome rivelano che ha avuto per padrino un membro della famiglia dei Bellvis.

¦¦¦

    Per concludere questa brevi sintesi, ricorderò il carattere di marginalità che le isole del mare africano rivestono agli occhi del governo centrale: luoghi di precoce relegazione e di esilio dei criminali condannati, castelli affidati a truppe straniere, a uomini violenti e pronti al sopruso, mal armati e riforniti in viveri e in munizioni in modo irregolare, porti destinati alla corsa (che non si distingue tanto chiaramente dalla pirateria) più che al negozio, tutti handicap pesanti, cui si deve aggiungere per Pantelleria la mediocrità del proprio porto, tanto che Idrisi suggerisce di attraccare verso il Sud, al riparo dei venti. La creazione continua della frontiera che divide il Mediterraneo è la causa principale del brutale allontanamento degli interessi e degli interventi del potere che affida a capitani feudali, poi a ordini religiosi la difesa e l'amministrazione di Pantelleria come dell'arcipelago maltese. Dietro la scarna documentazione di cancelleria, si può percepire la lenta formazione di una cultura isolana, che condivide con l'Africa "l'abito e la favella", poi incomincia la strada della latinizzazione più che della sicilianizzazione. Una popolazione latina venuta da orizzonti diversi, Romagna, Liguria, Catalogna e Valenza, paesi castigliani anche, fin dal medioevo, elabora una lingua e una cultura orale dove confluiscono anche tecniche, oggetti, parole di un mondo musulmano e arabo in via di riassorbimento. Una creazione di cui vediamo solo nel medioevo i primi passi e che crea questo carattere "pan-mediterraneo" così originale e istruttivo della civiltà pantesca di ieri, e anche di oggi.

H.B. docente all’Università di Parigi-Nanterre, da 30 anni prosegue ricerche e ha scritto libri e numerosi articoli sulla Sicilia medievale.

 

                                                                 HOME                                                                    

 

 

 

 

 

Annexe

ASP Conservatoria di Registro 1016, f. 90v¡-91v¡.

Secundo madii VII indictione.

Lu dictu misser Jorgi, andandu per la possessioni di la Pantellaria, fichi lu inventariu predictu per manu di notari.

Li cosi inventariati et trovati in lu castellu di la Pantellaria assignati a misser Jorgi di Sanctu Stefanu comissariu per Simuni Nigru, locutenenti di Arnau Nigru, castellanu ki era di lu dictu castellu.

In primi balestri di lignu vechi tali quali XII

Item di vilictuni vechi tali quali VIII

Item carcasi cum certi vilictuni VIIII

Item martinecti sani XXIIII

Item martinectu ructu unu

Item tileri unu di balestri vechu I

Item cuyraci seu guarnachi vechi XV

Item coppi vechi di galea XX

Item gurjalini di galea vechi XX

Item cuyraza blanca vecha a la porta I

Item pavisi vechi et ructi X

Item certi pezi di armi et coppi vechi, mezi cuyraci et gamberi di nullu valuri

Item fassi dui di asti et vilictuni II

Item tileri smarrati vechi XXXIIII

Item certa pulviri di bonbarda intru unu quartaloru et barrili

Item sackectu unu di salinitru

Item quartalori di carbuni per pulviri di bonbarda I

Item para ii di moli pichuli di machinari II

Item paru unu di moli di mustarda I

Item molinu unu fornutu cum asini chincu

domestiki ad opu di lu mulinu V

Item paru unu di moli di molinu a la turrecta I

Item molinu unu sfornutu I

Item lictera una et bancu vechi I

Item bancali unu vechu I

Item cona una cum armariu I

Item tavula di manjari cum li trispi I

Item acha I

Item serra grandi I

Item statia I

Item campana una a la turri I

Item torni di balestra IIII

Item bonbardi sani tri III

Item bonbardi ructi IIII

Item bucti intimpagnati III

Item palu i di ferru di bumbarda I

Item para di grigluni VI

Item certi vilictuni

Item tumminu I

Item chippu unu di bonbarda I

Item certa lignami vecha

Item pala i di lignu

Item tavuli longui di navi vechi IV

Item tagli di fusta III

Item certi catusi di gisterna

Item dui currii di bunbarda tali quali

Item chircu unu di bonbarda ructu.

Li cosi di misser Franchiscu di Belvisu ki su alu castellu.

In primis coyraza una coperta di coyru blancu

Item paru i di brazali

Item lanci maniski di chiresi XII

Item lanci longui III

Item balestri di azaru II

Item pectu unu di placta senza li plasti

Item una forchella di ferru.

Li cosi di misser Franchiscu trovati a la sua casa.

Item balestri II, una di azaru et I di lignu

Item dui carcasi di stralli

Item iii chirvelleri et i chirvillera cuperta di sita virdi vecha

Item dui gurjarini di magla

Item coyraza i et cocta i de magla

Item paru i di causi frandinisi

Item i fiskictu

Item lanza i di chiresi

Item scava i nigra nomine Barca

Item choppa i bruna vecha infurrata di pannu di lu corpu di misser Franchiscu.