GEORDIE

Uomo:
Mentre attraversavo London Bridge
un giorno senza sole
vidi una donna pianger d'amore,
piangeva per il suo Geordie

Donna:
Impiccheranno Geordie con una corda d'oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro

Uomo:
Sellate il suo cavallo dalla bianca criniera
sellatele il suo pony
cavalcherà sino a Londra stasera
ad implorare per Geordie

Donna:
Geordie non rubò mai neppure per me
un frutto o un fiore raro.
Rubò sei cervi del parco del re
vedendoli per denaro

Insieme:
Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso,
non ha vent'anni ancora
cadrà l'inverno anche sopra il suo viso,
Uomo:
Potrete impiccarlo allora.
Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re
Geordie potranno salvare,
anche se piangeranno con te
la legge non può cambiare

Insieme:
così lo impiccheranno con una corda d'oro,
è un privilegio raro.
rubò sei cervi nel parco del re

Uomo: vendendoli per denaro

Testo: adattamento De Andrè
Anno di pubblicazione: 1966

GIOVANNA D'ARCO

Attraverso il buio Giovanna D'Arco
precedeva le fiamme cavalcando
nessuna luna per la sua corazza
nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco

"Della guerra sono stanca ormai
al lavoro di un tempo tornerei
a un vestito da sposa o qualcosa di bianco
per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto"

"Son parole le tue che volevo ascoltare
ti ho spiata ogni giorno cavalcare
e a sentirti così ora so cosa voglio
vincere un'eroina così fredda abbracciarne l'orgoglio"

"E chi sei tu" lei disse divertendosi al gioco
"Chi sei tu che mi parli così senza riguardo"
"Veramente stai parlando col fuoco
e amo la tua solitudine amo il tuo sguardo"

"E se tu sei il fuoco raffreddati un poco
le tue mani ora avranno da tenere qualcosa"
e tacendo gli si arrampicò dentro
ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa

E nel profondo del suo cuore rovente
lui prese ad avvolgere Giovanna D'Arco
e là in alto e davanti alla gente
lui appese le ceneri inutili
del suo abito bianco

E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanna è la colpì nel segno
è lei capì chiaramente
che se lui era il fuoco lei doveva essere il legno

Testo: Fabrizio De Andrè - traduzione di una canzone di Leonard Cohen
Anno di pubblicazione: 1972

GIROTONDO

Se verrà la guerra, Marcondiro'ndero
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?

Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà

La guerra è già scoppiata, Marcondiro'ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà
ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà

Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà

L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
l'aeroplano vola, Marcondiro'ndà
se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?

Ci salva l'aviatore che non lo farà
ci salva l'aviatore che la bomba non getterà

La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
la prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà

Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà

Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
non potremo più giocare al Marcondiro'ndera
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà

E voi a divertirvi andate un po' più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà

La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori

Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più
viventi siam rimasti noi e nulla più

La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà
abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...


Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1968

GIUGNO '73

Tua madre ce l'ha molto con me
perché sono sposato e in più canto
però canto bene e non so se tua madre
sia altrettanto capace a vergognarsi di me

La gazza che ti ho regalato
è morta, tua sorella ne ha pianto,
quel giorno non avevano fiori, peccato,
quel giorno vendevano gazze parlanti.
E speravo che avrebbe insegnato a tua madre
A dirmi "Ciao come stai", insomma non proprio a cantare
per quello ci sono già io come sai

I miei amici sono tutti educati con te
però vestono in modo un po' strano
mi consigli di mandarli da un sarto e mi chiedi
"Sono loro stasera i migliori che abbiamo".
E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa
nell'imbuto di un polsino slacciato.
I miei amici ti hanno dato la mano,
li accompagno, il loro viaggio porta un po' più lontano

E tu aspetta un amore più fidato
il tuo accendino sai io l'ho già regalato
e lo stesso quei due peli d'elefante
mi fermavano il sangue
li ho dati a un passante

Poi il resto viene sempre da sé
i tuoi "Aiuto" saranno ancora salvati
io mi dico - E' stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati

Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1973

HOTEL SUPRAMONTE

E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo
tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
e una lettera vera di notte falsa di giorno
e poi scuse e accuse e scuse senza ritorno
e ora viaggi ridi vivi o sei perduta
col tuo ordine discreto dentro il cuore
ma dov'è dov'è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore

Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile
grazie a te ho una barca da scrivere ho un treno da perdere
e un invito all'Hotel Supramonte dove ho visto la neve
sul tuo corpo così dolce di fame così dolce di sete
passerà anche questa stazione senza far male
passerà questa pioggia sottile come passa il dolore
ma dov'è dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore

E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome
ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme
ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano
cosa importa se sono caduto se sono lontano
perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
ma dov'è dov'è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore

Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1981

HO VISTO NINA VOLARE

Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che venga neve

Luce luce lontana
più bassa delle stelle
sarà la stessa mano
che ti accende e ti spegne

Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena

E se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
m'imbarcherò sul mare

Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che faccia neve

Stanotte e venuta l'ombra
l'ombra che mi fa il verso
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso

E se lo sa mio padre
mi metterò in cammino
se mio padre lo sa
m'imbarcherò lontano

Mastica e sputa
da una parte la cera
mastica e sputa
dall'altra parte il miele
mastica e sputa prima che metta neve

Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena

Luce luce lontana
che si accende e si spegne
quale sarà la mano
che illumina le stelle

Mastica e sputa
prima che venga neve

Testo: Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati
Anno di pubblicazione: 1996

IL BOMBAROLO

Chi va dicendo in giro che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore mi dedico al tritolo
è quasi indipendente ancora poche ore
poi gli darò la voce il detonatore

Il mio Pinocchio fragile parente artigianale
di ordigni costruiti su scala industriale
di me non farà mai un cavaliere del lavoro
io son d'un'altra razza son bombarolo

Nello scendere le scale ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui la decisione è mia
sulla condanna a morte o l'amnistia

Per strada tante facce non hanno un bel colore
qui chi non terrorizza si ammala di terrore
c'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo
io sono d'un altro avviso son bombarolo

Intellettuali d'oggi idioti di domani
ridatemi il cervello che basta alle mie mani
profeti molto acrobati della rivoluzione
oggi farò da me senza lezione

Vi scoverò i nemici per voi così distanti
e dopo averli uccisi sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io i latitanti sono loro
ho scelto un'altra scuola son bombarolo

Potere troppe volte delegato ad altre mani
sganciato e restituitoci dai tuoi aeroplani
io vengo a restituirti un po' del tuo terrore
del tuo disordine del tuo rumore

Così pensava forte un trentenne disperato
se non del tutto giusto quasi niente sbagliato
cercando il luogo idoneo adatto al suo tritolo
insomma il posto degno d'un bombarolo

C'è chi lo vide ridere davanti al Parlamento
aspettando l'esplosione che provasse il suo talento
c'è chi lo vide piangere un torrente di vocali
vedendo esplodere un chiosco di giornali

Ma ciò che lo ferì profondamente nell'orgoglio
fu l'immagine di lei che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo in cui lo lasciò solo
ma in prima pagina col bombarolo


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1973

IL FANNULLONE

Senza pretesa di voler strafare
io dormo al giorno quattordici ore
anche per questo nel mio rione
godo la fama di fannullone
ma non si sdegni la brava gente
se nella vita non riesco a far niente

Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte
sognando mille favole di gloria e di vendetta
racconti le sue storie a pochi uomini ormai stanchi
che ridono fissandoti con vuoti sguardi bianchi
tu reciti una parte fastidiosa alla gente
facendo della vita una commedia divertente

Ho anche provato a lavorare
senza risparmio mi diedi da fare
ma il sol risultato dell'esperimento
fu della fame un tragico aumento
non si risenta la gente per bene
se non mi adatto a portar le catene

Ti diedero lavoro in un grande ristorante
a lavare gli avanzi della gente elegante
ma tu dicevi "Il cielo e la mia unica fortuna
e l'acqua dei piatti non rispecchia la luna"
tornasti a cantar storie lungo strade di notte
sfidando il buon umore delle tue scarpe rotte

Non sono poi quel cagnaccio malvagio
senza morale straccione e randagio
che si accontenta di un osso bucato
con affettuoso disprezzo gettato
al fannullone sa battere il cuore
il cane randagio ha trovato il suo amore

Pensasti al matrimonio come al giro di una danza
amasti la tua donna come un giorno di vacanza
hai preso la tua casa per rifugio alla tua fiacca
per un attaccapanni a cui appendere la giacca
e la tua dolce sposa consolò la sua tristezza
cercando fra la gente chi le offrisse tenerezza

E' andata via senza fare rumore
forse cantando una storia d'amore
la raccontava ad un mondo ormai stanco
che camminava distratto al suo fianco
lei tornerà in una notte d'estate
l'applaudiranno le stelle incantate
rischiareranno dall'alto i lampioni
la strana danza di due fannulloni
la luna avrà dell'argento il colore
sopra la schiena dei gatti in amore

Testo: De Andrè, Villaggio, Monti
Anno di pubblicazione: 1963

IL GORILLA

Sulla piazza d'una città la gente guardava con ammirazione
un gorilla portato là dagli zingari d'un baraccone
con poco senso del pudore le comari di quel rione
contemplavano l'animale non dico come non dico dove

Attenti al gorilla

D'improvviso la grossa gabbia dove viveva l'animale
s'apri di schianto non solo perché fosse l'avevano chiusa male
la bestia uscendo fuori di là disse: "Quest'oggi me la levo"
parlava della verginità di cui ancora viveva schiavo

Attenti al gorilla

Il padrone si mise a urlare: "Il mio gorilla fate attenzione
non ha veduto mai una scimmia potrebbe fare confusione"
tutti i presenti a questo punto fuggirono in ogni direzione
anche le donne dimostrando la differenza fra idea e azione

Attenti al gorilla

Tutta la gente corre di fretta di qua e di là con grande foga
si attardano solo una vecchietta e un giovane giudice con la toga
visto che gli altri avevano squagliato il quadrumane accelerò
e sulla vecchia e sul magistrato con quattro salti si portò

Attenti al gorilla

"Bah" sospirò pensando la vecchia "che io fossi ancora desiderata
sarebbe cosa alquanto strana e più che altro non sperata"
"Che mi si prenda per una scimmia" pensava il giudice col fiato corto
"non è possibile questo è sicuro" - il seguito prova che aveva torto

Attenti al gorilla

Se qualcuno di voi dovesse costretto con le spalle al muro
violare un giudice od una vecchia della sua scelta sarei sicuro
ma si dà il caso che il gorilla considerato un grandioso fusto
da chi l'ha provato però non brilla né per lo spirito né per il gusto

Attenti al gorilla

Infatti lui sdegnata la vecchia si dirige sul magistrato
lo acchiappa forte per un'orecchia e lo trascina in mezzo a un prato
quello che avvenne tra l'erba alta non posso dirlo per intero
ma lo spettacolo fu avvincente e la suspance ci fu davvero

Attenti al gorilla

Dirò soltanto che sul più bello dello spiacevole e cupo dramma
piangeva il giudice come un vitello negli intervalli gridava "Mamma"
gridava "Mamma" come quel tale cui il giorno prima come ad un pollo
con una sentenza un po' originale aveva fatto tagliare il collo

Attenti al gorilla

Testo: Fabrizio De Andrè - traduzione di una canzone di Georges Brassens
Anno di pubblicazione: 1969

IL PESCATORE

All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso

Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi d'un'avventura

E chiese al vecchio: "Dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame"
e chiese al vecchio: "Dammi il vino
ho sete e sono un assassino"

Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva "Ho sete e ho fame"

E fu il calore d'un momento
poi via di nuovo verso il vento
davanti agli occhi ancora il sole
dietro alle spalle un pescatore

Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
è già il rimpianto d'un aprile
giocato all'ombra d'un cortile

Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino

Ma all'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso

Testo: De Andrè
Anno di pubblicazione: 1969