LA STAGIONE DEL TUO AMORE

La stagione del tuo amore
non è più la primavera
ma nei giorni del tuo autunno
hai la dolcezza della sera
se un mattino fra i capelli
troverai un po' di neve
nel giardino del tuo amore
verrò a raccogliere il bucaneve

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
poi ritrovarli nella luce di un'ora

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
puoi ritrovarli nella luce di un'ora


Testo: De Andrè
Anno di pubblicazione: 1968

LAUDATE HOMINEM

Laudate Dominum
Laudate Dominum

Gli umili, gli straccioni:
"Il potere che cercava
il nostro umore
mentre uccideva
nel nome d'un Dio,
nel nome d'un Dio
uccideva un uomo:
nel nome di quel Dio
si assolse.
Poi, poi chiamò Dio
poi chiamo Dio
poi chiamò Dio quell'uomo
e nel suo nome
nuovo nome
altri uomini,
altri, altri uomini
uccise ".

Non voglio pensarti figlio di Dio
ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.

Laudate Dominum
Laudate Dominum

Ancora una volta
abbracciamo
la fede
che insegna ad avere
ad avere il diritto
al perdono, perdono
sul male commesso
nel nome d'un Dio
che il male non volle, il male non volle,
finché
restò uomo
uomo.

Non posso pensarti figlio di Dio
ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.

Qualcuno
qualcuno
tentò di imitarlo
se non ci riuscì
fu scusato
anche lui
perdonato
perché non s'imita
imita un dio,
un Dio va temuto e lodato
lodato...

Laudate hominem

No, non devo pensarti figlio di Dio
ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.

Laudate hominem


Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1970

LE ACCIUGHE FANNO IL PALLONE

Le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una

E alla riva sbarcherò
alla riva verrà la gente
questi pesci sorpresi
li venderò per niente

Se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente

Ogni tre ami
c'è una stella marina
amo per amo
c'è una stella che trema
ogni tre lacrime
batte la campana

Passan le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro
passan sotto le reti
che asciugano sul muro

E in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende

Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola

Bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare
sorso di vena dolce
che liberi dal male

Se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare

Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora

Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora

Le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne resta una
non te ne lascia una
non te ne lascia


Testo: Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati
Anno di pubblicazione: 1996

LEGGENDA DI NATALE

Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea
nel bosco incantato di ogni tua idea

E venne l'inverno che uccide il colore
e un Babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni

Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di pelle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
dai piedi ai capelli ti volle baciare

E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale
la storia d'un fiore appassito a Natale


Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1968

LE NUVOLE

Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell'airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con un rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vengono
vanno
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte e si mettono lì
tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia

Testo: Fabrizio De Andrè, Mauro Pagani
Anno di pubblicazione: 1990

LE PASSANTI

Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità interviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere


Testo: Fabrizio De Andrè - traduzione di una canzone di Georges Brassens, tratta da una poesia di Antoine Paul
Anno di pubblicazione: 1974

LE STORIE DI IERI

Mio padre aveva un sogno comune
condiviso dalla sua generazione
la mascella al cortile parlava
troppi morti lo hanno tradito
tutta gente che aveva capito.

E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare
ogni volta che colpisce una stella
chiude gli occhi e si mette a sognare
chiude gli occhi e si mette a volare.

E i cavalli a Salò sono morti di noia
a giocare col nero perdi sempre
Mussolini ha scritto anche poesie
i poeti che strane creature
ogni volta che parlano è una truffa.

Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
e suo figlio è una nave pirata.

E anche adesso è rimasta una scritta nera
sopra il muro davanti casa mia
dice che il movimento vincerà
il gran capo ha la faccia serena
la cravatta intonata alla camicia.

Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire gli aquiloni
si è seduto tra i ricordi vicini i rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani.


Testo: Francesco De Gregori
Anno di pubblicazione: 1973

L'INFANZIA DI MARIA

Laudate Dominum
Laudate Dominum
Laudate Dominum

Forse fu all'ora terza forse alla nona
cucito qualche giglio sul vestitino alla buona
forse fu per bisogno o peggio per buon esempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio

Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete
a consolare il pianto a calmarti la sete
dicono fosse un angelo a raccontarti le ore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore

Scioglie la neve al sole ritorna l'acqua al mare
il vento e la stagione ritornano a giocare
ma non per te bambina che nel tempio resti china
ma non per te bambina che nel tempio resti china

E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
avevi dodici anni e nessuna colpa addosso
ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio
la tua verginità che si tingeva di rosso
la tua verginità che si tingeva di rosso

E si vuol dar marito a chi non lo voleva
si batte la campagna si fruga la via
popolo senza moglie uomini d'ogni leva
del corpo d'una vergine si fa lotteria
del corpo d'una vergine si fa lotteria.

Sciogli i capelli e guarda già vengono...

Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda la pelle viene la nebbia
risplende il sole come la neve
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guarda le forme la proporzione
sembra venuta per tentazione
guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guardale gli occhi guarda i capelli
guarda le mani guardale il collo
guarda la carne guarda il suo viso
guarda i capelli del paradiso
guarda la carne guardale il collo
sembra venuta dal suo sorriso
guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso

E fosti tu Giuseppe un reduce del passato
falegname per forza padre per professione
a vederti assegnata da un destino sgarbato
una figlia di più senza alcuna ragione
una bimba su cui non avevi intenzione

E mentre te ne vai stanco d'essere stanco
la bambina per mano la tristezza di fianco
pensi "Quei sacerdoti la diedero in sposa
a dita troppo secche per chiudersi su una rosa
a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa"

Secondo l'ordine ricevuto Giuseppe portò la bambina nella propria casa e subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea.
Rimase lontano quattro anni.


Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1970

MARCIA NUZIALE

Matrimoni per amore matrimoni per forza
nei ho visti d'ogni tipo di gente d'ogni sorta
di poveri straccioni e di grandi signori
di pretesi notai di falsi professori

Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo
io sempre serberò il ricordo contento
delle povere nozze di mio padre e mia madre
decisi a regolare il loro amore sull'altare

Fu su un carro di buoi se si vuol esser fianchi
tirato dagli amici spinto dai parenti
che andarono a sposarsi dopo un fidanzamento
durato tanti anni da chiamarlo ormai d'argento

Cerimonia originale strano tipo di festa
la folla ci guardava di occhi fuori dalla testa
eravamo osservati dalla gente civile
che mai aveva visto matrimoni in quello stile

Ed ecco soffia il vento e si porta lontano
il cappello che mio padre tormentava in una mano
ecco cade la pioggia da un cielo mal disposto
deciso ad impedire le nozze ad ogni costo

Ed io non scorderò mai la sposa in pianto
cullava come un bimbo quei suoi fiori di campo
ed io per consolarla io con la gola tesa
suonavo la mia armonica come un organo da chiesa

Mostrando i pugni nudi gli amici tutti quanti
gridarono: "Per Giove le nozze vanno avanti
per la gente bagnata per gli dei dispettosi
le nozze vanno avanti viva viva gli sposi"

Testo: De Andrè
Anno di pubblicazione: 1969

MARIA NELLA BOTTEGA D'UN FALEGNAME

Maria:
"Falegname col martello
perché fai den den?
Con la pialla su quel legno
perché fai fren fren?
Costruisci le stampelle
per chi in guerra andò?
Dalla Nubia sulle mani
a casa ritornò?"

Il falegname:
"Mio martello non colpisce,
pialla mia non taglia
per foggiare gambe nuove
a chi le offrì in battaglia,
ma tre croci, due per chi
disertò per rubare,
la più grande per chi guerra
insegnò a disertare".

La gente:
"Alle tempie addormentate
di questa città
pulsa il cuore di un martello,
quando smetterà?
Falegname, su quel legno,
quanti corpi ormai,
quanto ancora con la pialla
lo assottiglierai?"

Maria:
"Alle piaghe, alle ferite
che sul legno fai,
falegname su quei tagli
manca il sangue, ormai,
perché spieghino da soli,
con le loro voci,
quali volti sbiancheranno
sopra le tue croci".

Il falegname:
"Questi ceppi che han portato
perché il mio sudore
li trasformi nell'immagine
di tre dolori,
vedran lacrime di Dimaco
e di Tito al ciglio
il più grande che tu guardi
abbraccerà tuo figlio".

La gente:
"Dalla strada alla montagna
sale il tuo den den
ogni valle di Giordania
impara il tuo fren fren;
qualche gruppo di dolore
muove il passo inquieto,
altri aspettan di far bere
a quelle seti aceto".


Testo: Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1970