PARLANDO DEL NAUFRAGO DELLA LONDON VALOUR

I marinai foglie di coca digeriscono in coperta
il capitano ha un'amore al collo venuto apposta dall'Inghilterra
il pasticcere di via Roma sta scendendo le scale
ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare
ha una frusta giocattolo sotto l'abito da tè.

E la radio di bordo è una sfera di cristallo
dice che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo
il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto
ride con gli occhi al circo Togni quando l'acrobata sbaglia il salto.

E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli
i marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli
il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe
per far pace con gli applausi per sentirsi più distante
la sua stella sì e oscurata da quando ha vinto la gara del sollevamento pesi.

E con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
ruba l'amore del capitano attorcigliandole la vita
il macellaio mani di seta si è dato un nome da battaglia
tiene fasciate dentro il frigo nove mascelle antiguerriglia
ha un grembiule antiproiettile tra il giornale e il gilè.

E il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua coperta
si ritrovarono sul molo con sorrisi da cruciverba
a sorseggiarsi il capitano che si sparava negli occhi
e il pomeriggio a dimenticarlo con le sue pipe e i suoi scacchi
e si fiutarono compatti nei sottintesi e nelle azioni
contro ogni sorta di naufragi o di altre rivoluzioni
e il macellaio mani di seta distribuì le munizioni.


Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1978

 

PER I TUOI LARGHI OCCHI

Per i tuoi larghi occhi
per i tuoi larghi occhi chiari
che non piangono mai
che non piangono mai
e perché non mi hai dato
che un addio troppo greve
perché dietro a quegli occhi
batte un cuore di neve

Io ti dico che mai
il ricordo in me lascerai
sarà stretto al mio cuore
da un motivo d'amore
non pensarlo perché
tutto quel che ricordo di te
di quegli attimi amari
sono i tuoi occhi chiari

I tuoi larghi occhi
che restavan lontani
anche quando io sognavo
anche mentre ti amavo
e se tu tornerai
ti amerò come sempre ti amai
come un bel sogno inutile
che si scorda al mattino

Ma i tuoi larghi occhi
i tuoi larghi occhi chiari
anche se non verrai
non li scorderò mai

Testo: De Andrè, Monti
Anno di pubblicazione: 1965

PREGHIERA IN GENNAIO

Lascia che sia fiorito Signore il suo sentiero
quando a Te la sua anima e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare quando verrà al Tuo cielo
là dove in pieno giorno risplendono le stelle

Quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà baciandoli alla fronte
"Venite in paradiso là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno nel mondo del buon Dio"

Fate che giunga a Voi con le sue ossa stanche
seguito da migliaia di quelle facce bianche
fate che a Voi ritorni fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio

Signori benpensanti spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi Dio fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte

Dio di misericordia il Tuo bel paradiso
lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto con la coscienza pura
l'inferno esiste solo per chi ne ha paura

Meglio di Lui nessuno mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare
ascolta la sua voce che ormai canta nel vento
Dio di misericordia vedrai sarai contento

Testo: De Andrè
Anno di pubblicazione: 1967

PRINCESA

Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare

Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l'orizzonte prima del cielo
era lo sguardo di mia madre

"Che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita"

E io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica

Nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina
corro all'incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna

Nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno semi miracolosi

Perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l'amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore

E allora il bisturi per seni e fianchi
una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sui lungomare di Bahia

Sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita

Dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l'altro s'arrende

Che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un'unica stella
che squilla di luce e di nome Princesa

A un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone

o matu (la campagna)
o céu (il cielo)
a senda (il sentiero)
a escola (la scuola)
a igreja (la chiesa)
a desonra (la vergogna)
a saia (la gonna)
o esmalte (lo smalto)
o espelho (lo specchio)
o baton (il rossetto)
o medo (la paura)
a rua (la strada)
a bombadeira (la modellatrice)
a vertigem (la vertigine)
o encanto (l'incantesimo)
a magia (la magia)
os carroc (le macchine)
a policia (la polizia)
a canseira (la stanchezza)
o brio (la dignità)
o noivo (il fidanzato)
o capanga (lo sgherro)
o fidalgo (il gransignore)
o porcalhao (lo sporcaccione)
o azar (la sfortuna)
a bebedeira (la sbronza)
as pancadas (le botte)
os carinhos (le carezze)
a falta (il fallimento)
o nojo (lo schifo)
a formusura (la bellezza)
viver (vivere)


Nota:
"Princesa" è liberamente tratta dall'omonimo
romanzo-intervista di Maurizio Jannelli
e Fernanda Farias


Testo: Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati
Anno di pubblicazione: 1996

QUELLO CHE NON HO

Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è un segreto in banca
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.

Quello che non ho è un orologio avanti
per correre più in fretta e avervi più distanti
quello che non ho è un treno arrugginito
che mi riporti indietro da dove sono partito.

Quello che non ho sono i tuoi denti d'oro
quello che non ho è un pranzo di lavoro
quello che non ho è questa prateria
per correre più forte della malinconia.

Quello che non ho sono le mani in pasta
quello che non ho è un indirizzo in tasca
quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte.

Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è di farla franca
quello che non ho sono le sue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho...


Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1981

RIMINI

Teresa ha gli occhi secchi
guarda verso il mare
per lei figlia di pirati
penso che sia normale
Teresa parla poco
ha labbra screpolate
mi indica un amore perso
a Rimini d'estate.

Lei dice "Bruciato in piazza
dalla santa inquisizione
forse perduto a Cuba
nella rivoluzione
o nel porto di New York
nella caccia alle streghe
oppure in nessun posto"
ma nessuno le crede.
Coro: Rimini, Rimini

E Colombo la chiama
dalla sua portantina
lei gli toglie le manette ai polsi
gli rimbocca le lenzuola
"Per un triste Re Cattolico - le dice -
ho inventato un regno
e lui lo ha macellato
su di una croce di legno.
E due errori ho commesso
due errori di saggezza
abortire l'America
e poi guardarla con dolcezza
ma voi che siete uomini
sotto il vento e le vele
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene".
Coro: Rimini, Rimini

Ora Teresa è all'Harrys' Bar
guarda verso il mare
per lei figlia di droghieri
penso che sia normale
porta una lametta al collo
è vecchia di cent'anni
di lei ho saputo poco
ma sembra non inganni.

"E un errore ho commesso - dice -
un errore di saggezza
abortire il figlio del bagnino
e poi guardarlo con dolcezza
ma voi che siete a Rimini
tra i gelati e le bandiere
non fate più scommesse
sulla figlia del droghiere".
Coro: Rimini, Rimini


Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1978

SALLY

Mia madre mi disse - Non devi giocare
con gli zingari nel bosco
Mia madre mi disse - Non devi giocare
con gli zingari nel bosco
Ma il bosco era scuro l'erba già verde
lì venne Sally con un tamburello
ma il bosco era scuro l'erba già alta
dite a mia madre che non tornerò

Andai verso il mare senza barche per traversare
spesi cento lire per un pesciolino d'oro
Andai verso il mare senza barche per traversare
spesi cento lire per un pesciolino cieco
Gli montai sulla groppa e sparii in un baleno
andate a dire a Sally che non tornerò
Gli montai sulla groppa e sparii in un momento
dite a mia madre che non tornerò

Vicino alla città trovai Pilar del mare
con due gocce di eroina si addormentava il cuore
Vicino alle roulottes trovai Pilar dei meli
bocca sporca di mirtilli un coltello in mezzo ai seni
Mi svegliai sulla quercia l'assassino era fuggito
dite al pesciolino che non tornerò
Mi guardai nello stagno l'assassino s'era già lavato
dite a mia madre che non tornerò

Seduto sotto un ponte si annusava il re dei topi
sulla strada le sue bambole bruciavano copertoni
Sdraiato sotto il ponte si adorava il re dei topi
sulla strada le sue bambole adescavano i signori
Mi parlò sulla bocca mi donò un braccialetto
dite alla quercia che non tornerò
Mi baciò sulla bocca mi propose il suo letto
dite a mia madre che non tornerò

Mia madre mi disse - Non devi giocare
con gli zingari del bosco
Ma il bosco era scuro l'erba già verde
lì venne Sally con un tamburello


Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1978

SE TI TAGLIASSERO A PEZZETTI

Se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio di Dio il sorriso

Ti ho trovata lungo il fiume
che suonavi una foglia di fiore
che cantavi parole leggere, parole d'amore
ho assaggiato le tue labbra di miele rosso rosso
ti ho detto "Dammi quello che vuoi, io quel che posso"

Rosa gialla rosa di rame
mai ballato così a lungo
lungo il filo della notte sulle pietre del giorno
io suonatore di chitarra io suonatore di mandolino
alla fine siamo caduti sopra il fieno

Persa per molto persa per poco
presa sul serio presa per gioco
non c'è stato molto da dire o da pensare
la fortuna sorrideva come uno stagno a primavera
spettinata da tutti i venti della sera

E adesso aspetterò domani
per avere nostalgia
signora libertà signorina fantasia
così preziosa come il vino così gratis come la tristezza
con la tua nuvola di dubbi e di bellezza

Ti ho incrociata alla stazione
che inseguivi il tuo profumo
presa in trappola da un tailleur grigio fumo
i giornali in una mano e nell'altra il tuo destino
camminavi fianco a fianco al tuo assassino

Ma se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio di Dio il sorriso


Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1981

SI CHIAMAVA GESU'

Venuto da molto lontano
a convertire bestie e gente
non si può dire non sia servito a niente
perché prese la terra per mano
vestito di sabbia e di bianco
alcuni lo dissero santo
per altri ebbe meno virtù
si faceva chiamare Gesù

Non intendo cantare la gloria
né invocare la grazia o il perdono
di chi penso non fu altri che un uomo
come Dio passato alla storia
ma inumano è pur sempre l'amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l'ultima voce
chi lo uccide tra le braccia d'una croce

E per quelli che l'ebbero odiato
nel Getsemani pianse l'addio
come per chi lo adoro come Dio
che gli disse: "Sii sempre lodato"
per chi gli portò in dono alla fine
una lacrima una treccia di spine
accettando ad estremo saluto
la preghiera e l'insulto e lo sputo

E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire che sia servito a molto
perché il male dalla Terra non fu tolto
ebbe forse un po' troppe virtù
ebbe un volto ed un nome Gesù
di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio


Testo: De Andrè
Anno di pubblicazione: 1967