UNA STORIA SBAGLIATA

E' una storia da dimenticare
E' una storia da non raccontare
E' una storia un po' complicata
E' una storia sbagliata

Cominciò' con la luna sul posto
E fini' con un fiume d'inchiostro
E' una storia un poco scontata
E' una storia sbagliata

Storia diversa per gente normale
Storia comune per gente speciale
Cos'altro ti serve da queste vite
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite

E' una storia di periferia
Una storia da una botta e via
Una storia sconclusionata
E' una storia sbagliata

Una spiaggia ai piedi del letto
Stazione Termini ai piedi del cuore
Una notte un po' concitata
Una notte sbagliata

Notte diversa per gente normale
Notte comune per gente speciale
Cos'altro ti serve da queste vite
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite

E' una storia vestita di nero
E' una storia da basso impero
Una storia mica male insabbiata
Una storia sbagliata

E' una storia da carabinieri
E' una storia da parrucchieri
Una storia un po' sputtanata
Una storia sbagliata

Storia diversa per gente normale
Storia comune per gente speciale
Cos'altro ti serve da queste vite
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite

Per il segno che c'e' rimasto
Non ripeterci quanto ti spiace
Non ci chiedere piu' com'e' andata tanto lo sai:
e' una storia sbagliata
tanto lo sai: e' una storia sbagliata

Testo: Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
Anno di pubblicazione: 1980

 

UN BLASFEMO (DIETRO OGNI BLASFEMO C'E' UN GIARDINO INCANTATO)

Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore,
più non arrossii nel rubare l'amore
dal momento che Inverno mi convinse che Dio
non sarebbe arrossito rubandomi il mio

Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino,
non avevano leggi per punire un blasfemo,
non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte,
mi cercarono l'anima a forza di botte

Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo,
lo costrinse a viaggiare una vita da scemo,
nel giardino incantato lo costrinse a sognare,
a ignorare che al mondo c'e' il bene e c'è il male

Quando vide che l'uomo allungava le dita
a rubargli il mistero di una mela proibita
per paura che ormai non avesse padroni
lo fermò con la morte, inventò le stagioni

... mi cercarono l'anima a forza di botte

E se furon due guardie a fermarmi la vita,
è proprio qui sulla terra la mela proibita,
e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato,
ci costringe a sognare in un giardino incantato
ci costringe a sognare in un giardino incantato


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN CHIMICO

Solo la morte m'ha portato in collina
un corpo fra i tanti a dar fosforo all'aria
per bivacchi di fuochi che dicono fatui
che non lasciano cenere, non sciolgon la brina
solo la morte m'ha portato in collina

Da chimico un giorno avevo il potere
di sposar gli elementi e farli reagire,
ma gli uomini mai mi riuscì di capire
perché si combinassero attraverso l'amore
affidando ad un gioco la gioia e il dolore

Guardate il sorriso guardate il colore
come giocan sul viso di chi cerca l'amore:
ma lo stesso sorriso lo stesso colore
dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore
dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore

È strano andarsene senza soffrire,
senza un volto di donna da dover ricordare.
Ma è fosse diverso il vostro morire
vuoi che uscite all'amore che cedete all'aprile
cosa c'è di diverso nel vostro morire

Primavera non bussa lei entra sicura
come il fumo lei penetra in ogni fessura
ha le labbra di carne i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano
che paura, che voglia che ti porti lontano

Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare
guardate l'ossigeno al suo fianco dormire:
soltanto una legge che io riesco a capire
ha potuto sposarli senza farli scoppiare
soltanto la legge che io riesco a capire

Fui chimico e, no, non mi volli sposare.
Non sapevo con chi e chi avrei generato:
Son morto in un esperimento sbagliato
proprio come gli idioti che muoion d'amore
e qualcuno dirà che c'è un modo migliore


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN GIUDICE

Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura,
ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente,
o la curiosità d'una ragazza irriverente
che vi avvicina solo per un suo dubbio impertinente:
vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani,
che siano i più forniti della virtù meno apparente,
fra tutte le virtù la più indecente

Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo

Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami diventai procuratore
per imboccar la strada che dalle panche d'una cattedrale
porta alla sacrestia quindi alla cattedra d'un tribunale
giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi mi diceva "Vostro Onore"
e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio
prima di genuflettermi nell'ora dell'addio
non conoscendo affatto la statura di Dio


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN MALATO DI CUORE

"Cominciai a sognare anch'io insieme a loro
poi l'anima d'improvviso prese il volo"

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
al ritmo balordo del tuo cuore malato
e ti viene la voglia di uscire e provare
che cosa ti manca per correre al prato,
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare
come diavolo fanno a riprendere fiato


Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d'un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d'un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti

Eppure un sorriso io l'ho regalato
e ancora ritorna in ogni sua estate
quando io la guidai o fui forse guidato
a contarle i capelli con le mani sudate
non credo che chiesi promesse al suo sguardo,
non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,
quando il cuore stordì e ora no, non ricordo
se fu troppo sgomento o troppo felice,
e il cuore impazzì e ora no, non ricordo,
da quale orizzonte sfumasse la luce

E fra lo spettacolo dolce dell'erba
fra lunghe carezze finite sul volto,
quelle sue cosce color madreperla
rimasero forse un fiore non colto.
Ma che la baciai questo sì lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra

"E l'anima d'improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro
no non mi riesce di sognare con loro"


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN MATTO (DIETRO OGNI SCEMO C'E' UN VILLAGGIO)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro

E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz'ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto

E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l'ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c'è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole

Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
"Una morte pietosa lo strappò alla pazzia"


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN MEDICO

Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando rossi di frutti li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti

Un sogno, fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un dio ma nemmeno per gioco:
perché i ciliegi tornassero in fiore,
perché i ciliegi tornassero in fiore

E quando dottore lo fui finalmente
non volli tradire il bambino per l'uomo
e vennero in tanti e si chiamavano "gente"
ciliegi malati in ogni stagione

E i colleghi d'accordo i colleghi contenti
nel leggermi in cuore tanta voglia d'amare
mi spedirono il meglio dei loro clienti
con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:
ammalato di fame incapace a pagare

E allora capii fui costretto a capire
che fare il dottore è soltanto un mestiere
che la scienza non puoi regalarla alla gente
se non vuoi ammalarti dell'identico male,
se non vuoi che il sistema ti pigli per fame

E il sistema sicuro è pigliarti per fame
nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza,
perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,
l'etichetta diceva: elisir di giovinezza

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo
mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione
inutile al mondo ed alle mie dita
bollato per sempre truffatore imbroglione
dottor professor truffatore imbroglione


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971

UN OTTICO

Prima parte:

Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.

Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare

Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall'orbita e non voler ritornare

Seconda parte:

Primo cliente - Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonto,
l'ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare

Secondo cliente - Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia

Terzo cliente - Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov'è l'ape regina?
Forse è volata ai nidi dell'aurora,
forse volata, forse più non vola

Quarto cliente - Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria
all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo

Faremo gli occhiali così!
Faremo gli occhiali così!


Testo: Giuseppe Bentivoglio e Fabrizio De Andrè
Anno di pubblicazione: 1971