Su di un livello ]

 

Su di un livello

venezuela_mappa.jpg (58097 byte)


 

Chávez riafferma che liquiderà il latifondo
Torna a inizio pagina
dicembre 2000 - Prensa Latina informa che il Presidente venezuelano, Hugo Chávez, il 10 dicembre scorso ha ratificato che il latifondo sarà eliminato nel paese mediante la prossima promulgazione di una Legge sulle Terre.
"Il latifondo scomparirà in Venezuela o io smetto di chiamarmi Hugo Chávez", ha sentenziato il Presidente durante la sua trasmissione radiofonica "Aló Presidente", nella quale dialoga telefonicamente con la popolazione e che è stato trasmesso in quella data dallo stato di Barinas.
Il Presidente ha assicurato che continuerà la lotta contro l'oligarchia latifondista che, da molti anni, ha sottratto il diritto alla dignità al popolo del Venezuela.
Ha evidenziato che i grandi venezuelani hanno denigrato l'oligarchia e che questo concetto si ripete oggi, perché si è imposta la povertà di tutti sulla la ricchezza di pochi.
Chávez ha aggiunto che condivide il dolore dei contadini che, vivendo in una terra ricca, non hanno nemmeno un pezzo di campo da seminare, mentre alcuni possidenti possiedono grandi estensioni, con molti ettari incolti.
Ha condannato la campagna che i latifondisti stanno conducendo attualmente contro di lui per cercare di confondere i contadini, ma ha sottolineato che ci sarà una Legge che farà giustizia e gli uomini della campagna avranno terra sufficiente nella quale seminare, allevare e produrre.
Secondo l’agenzia Reuters, il Presidente ha affermato che non ha l'intenzione di abolire la proprietà privata, ma che è stato deciso di ridistribuire molti terreni che sono di proprietà di una élite.
"Stiamo per fare e applicare una legge per fare giustizia", ha assicurato.
Infine, il Capo di Stato ha promesso che, insieme alla consegna delle terre, i contadini avranno crediti, appoggio tecnico e mercato per i loro prodotti, "perché si tratta di una rivoluzione agraria".
Secondo la nuova Costituzione approvata con un referendum nazionale lo scorso anno, lo Stato può espropriare terre private non utilizzate, in cambio di un compenso.
Lo scorso mese, il Congresso ha concesso a Chávez poteri speciali per governare con decreto su temi agricoli, tra altre aree economiche.

Misure preventive hanno evitato una nuova catastrofe a causa delle piogge
Torna a inizio pagina
novembre 2000 - Pur se in emergenza per le intense piogge cadute negli ultimi giorni, in Venezuela "la crisi è completamente sotto controllo", ha detto il presidente Hugo Chávez, a Caracas, e ha invitato i mezzi di comunicazione a non "sovradimensionare" il fenomeno meteorologico che, grazie alle misure preventive prese nel dicembre 1999, non ha provocato una catastrofe come quella di allora.
La popolazione venezuelana ha ancora vivo il ricordo delle devastanti precipitazioni che alla fine del 1999 hanno lasciato sulle coste dello stato turistico e portuale di Vargas - il più devastato - tra i 20.000 e i 50.000 morti.
Il fenomeno meteorologico conosciuto come vaguada, insieme a un'onda tropicale, ha flagellato recentemente il litorale centrale, soprattutto il citato stato di Vargas, anche se il Governo concentra il suo intervento negli stati di Zulia, Miranda, Mérida, Trujillo, Carabobo, Falcón, Aragua, Sucre, come pure a Caracas, la capitale.
Alla chiusura di quest'edizione, una notizia dell'agenzia EFE indicava che i temporali hanno causato 7 morti, 2.700 sfollati e 8.000 sinistrati in tutta la nazione, dove le autorità hanno assicurato che sono preparate ad affrontare qualsiasi situazione e che esistono aree sicure nella regione di Vargas per alloggiare circa 5.000 persone.
In questa regione sono straripati i fiumi che hanno inondato quartieri e viali, trascinando detriti, provocando interruzioni alle vie di comunicazione. Il vicepresidente Isaías Rodríguez ha inviato un messaggio tranquillizzante ai residenti, nel quale ha messo in risalto che vi sono piani d'emergenza per proteggere persone e cose.
"L'ultimo rapporto meteorologico ci assicura che il tempo è abbastanza stabile - ha detto il 18 novembre - che vi è la certezza, per lo meno, che nei prossimi tre giorni non vi saranno piogge copiose su Vargas", ha dichiarato, secondo l'agenzia AFP.
Le situazioni rischiose sono sotto controllo - ha insistito - "la gente è preparata, le squadre di salvataggio e le commissioni stanno lavorando e le macchine sono utilizzate per pulire e rimuovere le macerie".
Rodríguez ha precisato, inoltre, che saranno consegnate immediatamente a parte dei danneggiati, due case costruite dal Governo, nonostante che i progetti d'abitazioni previsti per quest'anno saranno completati solo al 70 %.
William Farinas, presidente del Fondo Unico Sociale (FUS) e viceministro dello Sviluppo, ha annunciato che nei prossimi giorni saranno consegnate 7.200 residenze ai colpiti dai nubifragi del 1999, mentre altre 600 abitazioni saranno costruite immediatamente per i danneggiati dalle ultime piogge.
Il presidente Chávez, prima di andare al 10° Vertice di Panama, ha assicurato che 722 danneggiati hanno già avuto delle nuove abitazioni e che esistono, in perfette condizioni, rifugi in installazioni militari e civili per accudire, se fosse necessario, migliaia di persone che debbano abbandonare le loro case.
Tra le decisioni dell'ultima ora, Chávez ha autorizzato il versamento di 25.8 milioni di dollari ai governi delle regioni danneggiate per prestare soccorso alle prime vittime delle inondazioni.
In questo complesso contesto, lo rivela un messaggio inviato a Cuba dall'Ambasciatore a Caracas Germán Sánchez Otero, i medici cubani che offrono un aiuto solidale in Venezuela, hanno rinunciato alle loro vacanze per rimanere al proprio posto di lavoro, anche dopo aver lavorato 11 mesi in condizioni molto avverse.
Il dottor Luis Acao, capo della brigata medica di Cuba, ha affermato che tutto il personale medico sta benissimo e presta la sua opera nelle comunità, comprese quelle che sono rimaste temporaneamente isolate, e nelle quali lavora dal suo arrivo in terra venezuelana.

Rifiuto alla campagna di stampa e dei funzionari degli Stati Uniti
Torna a inizio pagina
novembre 2000 - La campagna intrapresa dalla stampa e dai funzionari degli Stati Uniti contro il Governo venezuelano, ha generato un forte rifiuto nelle autorità locali, partiti politici e altri settori della società.
L'insistenza nella critica dai vari mezzi d'informazione statunitensi, in poco tempo ha fatto svanire la possibilità che si trattasse d'opinioni isolate o fossero puntualizzazioni valide, il fatto si è delineato come un'azione orchestrata da particolari interessi.
Nel giro di pochi giorni, sono apparsi editoriali sui quotidiani Washington Post e New York Times, nei quali si qualifica il Presidente Hugo Chávez come "il nuovo Fidel Castro" che andrebbe subito frenato, lo hanno definito "quasi dittatore" nonostante il ripetuto appoggio elettorale ottenuto.
Non ancora spento l'eco di queste affermazioni, evidentemente intenzionali, la rivista Forres si è scagliata contro il Presidente ed è arrivata, semplicemente, alla conclusione che il "Venezuela è un caos", riferendosi a una statistica sulla povertà che deriva da molti decenni di malgoverno.
Come se non bastasse, anche il sottosegretario statunitense, Peter Romero - famoso per le sue inopportune dichiarazioni - si è scagliato contro Chávez per il solo fatto della recente visita in Venezuela del Presidente cubano Fidel Castro.
Tale propaganda negativa contrastava, curiosamente, con dichiarazioni più indulgenti da parte della segretaria di Stato, Madeleine Albright, come pure dell'ambasciatrice statunitense, Donna Hrinak, il che, secondo alcuni, conferma un doppio atteggiamento di Washington.
Il Governo venezuelano non ha perso tempo nel denunciare quello che considera una cospirazione destinata a intorbidare le relazioni con gli Stati Uniti, effettuata da settori economici e politici minoritari, ma con un certo peso e influenza negli Stati Uniti e con alleati in Venezuela.
"Non riusciranno a danneggiare certi vincoli che devono essere necessariamente buoni, sono sicuro che continueremo a rafforzarli", ha sottolineato il Presidente, il quale ha anche annunciato un colloquio in merito con l'ambasciatrice Hrinak.
Il Ministro degli Esteri, José Vicente Rangel, ha fatto risaltare l'ignoranza e la mancanza di responsabilità di chi aveva scritto gli articoli, mentre Luis Miquilena, dirigente del partito al Governo ‘Movimento V Repubblica’, ha detto che Chávez non deve sottomettersi alle "regole esterne" ma deve esercitare la sovranità nazionale.
Nello stesso momento in cui i rappresentanti venezuelani hanno annunciato un dibattito sulla presa di posizione della stampa nordamericana al Parlamento Andino e Latino-americano, Il Movimento al Socialismo ha fatto risaltare la provocazione di questa intromissione negli affari interni del paese.
In definitiva, l'ingerenza di questi articoli e opinioni sono stati amplificate solamente dai settori più conservatori del paese, reiteratamente sconfitti alle elezioni, i quali aspirano che arrivi dal poderoso "nord" l'aiuto che non hanno ricevuto dalla popolazione locale.

Indigeni dell’Amazzonia, cavie di scienziati nordamericani
Torna a inizio pagina
novembre 2000 – Leader indigeni, organismi dello Stato e attivisti umanitari del Venezuela esigono garanzie affinché gli indigeni yanomami dell’Amazzonia non siano usati come cavie da scienziati statunitensi.
Denunce sugli esperimenti ai quali sarebbero stati sottoposti gli yanomami negli anni ’60 scuotono il mondo scientifico. Un allievo di Napoleón Chagnon, antropologo statunitense con supposta responsabilità nei fatti di tre decenni prima, si trova attualmente nell’Amazzonia venezuelana, hanno assicurato fonti ufficiali all’agenzia IPS.
Il difensore del popolo dello stato Amazonas e attivista per i diritti indigeni, Luis Bello, ha confermato che il suo ufficio, insieme all’Organizzazione dei Popoli Indigeni del Amazonas (ORPIA), cerca di rilevare la presenza di un ricercatore statunitense nella regione.
Le ricerche senza un consulto né un permesso previo non sono una novità per gli yanomami. Lo stesso Chagnon sembra essere coinvolto in una polemica negli Stati Uniti dopo l’uscita del libro ‘Buio sull’El Dorado: come scienziati e giornalisti hanno devastato l’Amazzonia’, del giornalista Patrick Tierney.
Secondo il libro, il genetista statunitense James Neel, morto nel febbraio scorso, ha inoculato a componenti dell’etnia yanomami il vaccino Edmonston B, con l’appoggio della Commissione dell’Energia Atomica degli Stati Uniti, per osservare sintomi simili a quelli del morbillo.
Secondo le testimonianze raccolte da Tierney, Neel ordinò ai suoi aiutanti di non prestare soccorsi agli yanomami colpiti e con ogni probabilità morirono a centinaia o a migliaia. Secondo il giornalista, l’obiettivo dell’esperimento era quello di analizzare la selezione naturale nelle società umane primitive e geneticamente isolate.
Il libro assicura che l’esperimento è stato fatto senza consultare né il Governo del Venezuela né gli stessi interessati. Prima di allora, gli yanomami non erano mai stati esposti al morbillo.
Non esiste una registrazione ufficiale di un’epidemia di morbillo in quel periodo, ma la deputata indigena Nohelí Pocaterra ha informato che anziani yanomami hanno reso testimonianze al riguardo.
Neel lavorava all’Università del Michigan e faceva parte dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti.
Chagnon ha lavorato con Neel in Amazzonia. Nel 1968 ha pubblicato un libro che lo ha reso famoso "Gli yanomami: il popolo feroce" con il quale ha mostrato all’opinione pubblica questa comunità che oggi è composta da circa 21.000 membri, distribuiti nella foresta amazzonica brasiliana e venezuelana.
A Chagnon, che attualmente lavora presso l’Università della California a Santa Barbara, è proibito l’ingresso nel territorio yanomami da tre anni, "quando lo abbiamo espulso" ha confermato Bello all’agenzia IPS.
Il funzionario ha detto, inoltre, che sia questo scienziato che altri ricercatori stranieri entrano senza permesso né controllo nella foresta venezuelana.
Gli yanomami non sono ricercati solo dagli antropologi. Grandi imprese del settore minerario e del legno hanno speciali interessi nella zona abitata da questa etnia, così come i cercatori d’oro. Più recente è l’interesse dell’industria farmaceutica per brevettare piante medicinali aborigene.
"Tutto questo interesse sugli yanomami è dovuto a tre fattori: l’etnia abita in un luogo con una grande quantità di ricchezze, costituisce la comunità indigena con meno cultura in America Latina e abita nella regione con la più elevata biodiversità del pianeta" ha detto Bello.
Gli yanomami non hanno quasi avuto contatti con il resto del mondo fino alla metà degli anni ‘50. Secondo diversi studiosi di aspetti indigeni, il libro di Chagnon ha contribuito a renderli celebri, ma li ha anche marchiati a causa del carattere "feroce" che ha loro attribuito.
La Direzione per gli Affari Indigeni del Ministero dell’Educazione e la Commissione dei Popoli Indigeni dell’Assemblea Nazionale hanno annunciato che si faranno indagini su Chagnon e su i fatti denunciati nel libro, che ancora non è stato tradotto in spagnolo, riguardo gli esperimenti di Neel.
Membri dell’Associazione Americana di Antropologia, come i professori Terence Turner, dell’Università di Cornell, e Leslie Sponsel, dell’Università delle Hawaii, hanno inviato una comunicazione all’associazione e hanno assicurato che deve essere aperto un dibattito sui metodi adottati dall’antropologia per realizzare i suoi studi.
Turner ha assicurato, inoltre, che Neel ha realizzato negli Stati Uniti esperimenti con l’inoculazione di plutonio radioattivo in esseri umani.
Il deputato indigeno Guillermo Guevara, che è stato presidente della ORPIA per lunghi anni, ha confermato il lavoro su un progetto di legge che stabilisca chiaramente la necessità di proporre e di ottenere l’approvazione delle etnie prima che di iniziare qualunque progetto che le riguardi.
Guevara ha sottolineato che la Costituzione Bolivariana del Venezuela, approvata nel dicembre del 1999, stabilisce una serie di diritti indigeni che ora devono essere regolamentati in modo preciso.

Chávez denuncia un piano per colpire le relazioni con gli Stati Uniti
Torna a inizio pagina
novembre 2000 – Il Presidente venezuelano, Hugo Chávez, ha denunciato che esiste un piano condiviso da alcuni venezuelani per provocare una rottura nelle relazioni del suo paese con gli Stati Uniti.
Il Presidente ha fatto questa rivelazione il 5 novembre durante il suo programma radiofonico ‘Aló Presidente", nel quale dialoga telefonicamente con la popolazione, e ha segnalato che le persone coinvolte in questa cospirazione non hanno limiti e sono capaci di fare qualsiasi cosa.
Il Capo di Stato ha affermato che il proprietario del quotidiano venezuelano ‘El Universal’, Andrés Mata, è legato a gruppi interessati a perturbare i vincoli con gli Stati Uniti e ha prove su questo fatto.
Io so dove va negli Stati Uniti, perché ho amici da tutte le parti, conosciamo con chi si riunisce, ma gli manca l’esperienza e commette molte sciocchezze perché il suo modo di parlare lo tradisce, ha aggiunto.
Ha assicurato che Mata è dietro l’editoriale pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano nordamericano ‘The Washington Post’, in cui si chiede agli aspiranti presidenti degli Stati Uniti di frenare Hugo Chávez, che viene definito il prossimo Fidel Castro.
"Questo editoriale merita la condanna di tutto il Venezuela in quanto irrispettoso, pieno di bugie, falso, travisatore e ingannatore", ha dichiarato.
Si è riferito anche alle domande fatte da ‘El Universal’ all’Ambasciatrice nordamericana a Caracas, Donna Hrinak, in un’intervista pubblicata lo stesso 5 novembre, in cui si cerca di ottenere da lei una risposta negativa sul Governo venezuelano, e le ha definite provocatorie.
Non cadremo in provocazioni e crediamo che non importa il risultato delle elezioni negli Stati Uniti, le relazioni con questo paese continueranno a rafforzarsi nel segno del mutuo rispetto e dei principi fondamentali del diritto internazionale, ha sottolineato.

Accordo petrolifero per ottenere l'integrazione
Torna a inizio pagina
ottobre 2000 - Il Governo venezuelano, siglando l'Accordo Energetico di Caracas (AEC) con nazioni centroamericane e dei Caraibi, si è proposto di dimostrare nella pratica che "se non c'è integrazione economica, non c'è integrazione su nessun altro piano".
Questa è la risposta del popolo venezuelano ai popoli fratelli dell'America Latina, soprattutto a quelli che hanno gravi problemi nella bilancia dei pagamenti, che hanno bisogno di punti d'appoggio per affrontare il nuovo secolo, ha precisato il presidente Hugo Chávez ricevendo diversi Capi di Stato dell'area.
Convinto anche che l'incontro sull'energia servirà per parlare d'integrazione dei popoli negli ambiti culturale, sociale e politico, Chávez ha affermato che il convegno permetterà a Caracas di mantenere gli accordi con questi paesi, impostati da più di un anno quando nel vertice degli stati Caraibici, a Santo Domingo, il Venezuela disse che era necessario ampliare il Patto di San José, sottoscritto anche dal Messico.
Il Messico e la nazione bolivariana, hanno istituito da 20 anni il Patto di San José che stabilisce la fornitura di 160.000 barili di greggio il giorno a 11 paesi, così come l'investimento del 20 % del fatturato totale in progetti di sviluppo sociale.
Alí Rodríguez, Ministro dell'Energia e delle Miniere, ha osservato che il Governo messicano è stato informato sull'AEC, che sarà firmato in forma bilaterale con ciascun beneficiario.
80.000 barili di petrolio il giorno saranno forniti tramite l'Accordo Energetico di Caracas per mezzo di un finanziamento che permette rate fino a 15 anni per ammortizzare il capitale, il primo anno gratuito e poi il 2 % d'interessi, insieme alla possibilità d'interscambio di beni e servizi contro il greggio.
Fonti di stampa hanno informato che nella prima fase i rappresentanti di Belize, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Panama e Repubblica Dominicana sono stati ricevuti dal presidente venezuelano e da un gruppo ministeriale per mettere in pratica quella che è stata chiamata la prima fase dell'accordo.
La seconda fase dovrà comprendere le isole Barbados, San Vicente e Cuba. Per ratificare la solidarietà verso la regione, il Ministro degli Esteri venezuelano, José Vicente Rangel, ha offerto, inoltre, a ciascuno dei membri dell'Associazione degli Stati del Caribe, compresa la Guyana, la possibilità di un finanziamento adeguato per la vendita di petrolio.
Da parte sua il Vice-Ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Valero, ha messo in risalto il fatto che per l'accordo con Cuba si prenderà come riferimento l'accordo-quadro sottoscritto tra il Venezuela e i primi stati beneficiari, benché "ancora non sono stati definiti altri aspetti".
L'agenzia italiana ANSA ha rilevato che la storica iniziativa presa dalle autorità del Venezuela (terzo produttore mondiale di petrolio), significa poco più del 2.5 % della produzione giornaliera di greggio del paese, che è pari a più di 3.000.000 di barili il giorno.
Il Presidente del Guatemala ha ringraziato il suo collega Hugo Chávez per la solidarietà che si manifesta verso i paesi meno sviluppati della zona con l'entrata in vigore dell'accordo petrolifero. L'amministrazione della presidentessa panamense, Mireya Moscoso, lo ha stimato più utile del Patto di San José. "Il Venezuela sta offrendo affetto, amore e comprensione di fronte alla grave situazione di varie economie regionali", ha sottolineato a Caracas il Capo di Stato dominicano Hipòlito Mejía.

Un accordo bolivariano nel settore energetico
Torna a inizio pagina
ottobre 2000 - Il Presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha ribadito l’intenzione del suo Governo di firmare il Patto Energetico di Caracas che beneficia il Centro America e i Caraibi, dichiarando che le forniture saranno a prezzo di mercato, ma con facilitazioni di pagamento.
Nel programma radiofonico ‘Alò, Presidente’, Chávez ha affermato che l’accordo nel settore petrolifero, le cui basi prevedono "un trattamento molto speciale" alle nazioni dell’istmo, contempla l’acquisto del greggio senza interessi per il primo anno, e con interessi del 2% per i successivi 14 anni.
Rivolgendosi alla nazione, il Presidente ha anche insistito sulle opportunità che offre quest’accordo nel dare la possibilità ai paesi vicini di pagare parte della fornitura petrolifera in spezie, beni e servizi, non disponendo queste nazioni di sufficienti risorse per coprire gli attuali costi del greggio sul mercato mondiale.
"Adesso che abbiamo riottenuto i prezzi giusti per il nostro petrolio, non possiamo dimenticare che questi prezzi, che sono giusti per noi, sono troppo pesanti per l’economia di questi paesi poveri che, inoltre, soffrono quasi tutti gli anni per calamità naturali.
Con questo discorso, il Capo dello Stato ha messo in risalto che questo accordo – che ha definito bolivariano – sarà un beneficio per il Venezuela tenendo conto che paesi come Cuba "potranno aiutarci nei settori medico, scientifico, tecnologico e sportivo".
Il Presidente Hugo Chávez ha stimato che, per esempio, il Costa Rica potrebbe appoggiare il suo paese grazie al suo progresso tecnologico e il Guatemala con l'esperienza nel turismo.
"Quest’accordo – ha ribadito – può diventare molto importante per porre il Venezuela a un livello di competitività nell’area dell’America Latina e dei Caraibi".

Chávez ratifica l’invito a Cuba per l’Accordo Energetico di Caracas
Torna a inizio pagina
ottobre 2000 – Secondo quanto riporta l’agenzia Prensa Latina, il presidente Hugo Chávez ha ratificato l’invito a Cuba affinché partecipi all’Accordo Energetico di Caracas, che verrà sottoscritto il mese prossimo a Caracas e mediante il quale il Venezuela diventerà fornitore delle nazioni centroamericane e dei Caraibi a condizioni vantaggiose per questi stati.
Chávez ha ricevuto il vicepresidente cubano Carlos Lage in visita di lavoro in Venezuela, durante la quale hanno parlato di questioni relative all’industria dello zucchero, alla collaborazione medica, all’educazione, al turismo e all’interscambio commerciale.
Il presidente venezuelano ha annunciato alla stampa che il presidente Fidel Castro visiterà il suo paese prima della fine dell’anno, momento in cui, ha detto, potrebbe concretizzarsi un accordo di cooperazione nei campi della sanità, dello sport, dell’educazione e dell’energia.
Ha aggiunto che potrebbe chiedere l’appoggio di personale medico cubano nel caso i medici venezuelani non si dedichino a un programma rivolto alla cura della salute dei più poveri. "Stiamo elaborando questo piano per dislocare medici in tutto il paese, però non aderisce un numero di medici venezuelani sufficiente per coprire il fabbisogno, pertanto dovremo attivare un piano internazionale di cura e, in questa situazione, ci possono aiutare gli amici cubani", ha spiegato intervenendo al programma radiofonico ‘Aló, Presidente’, secondo quanto riportato dall’agenzia DPA.
Chávez ha confermato l’organizzazione di una partita di rivincita tra una selezione di baseball cubana diretta da Fidel Castro e un’altra venezuelana capitanata da lui stesso. La partita di andata, che era terminata con la vittoria di Cuba per 5-4, si era disputata a La Habana il 18 novembre 1999, al termine del IX Vertice Iberoamericano.
Durante la sua permanenza a Caracas, Lage si è incontrato anche con il vicepresidente Isaías Rodríguez, con il Ministro degli Esteri José Vicente Rangel e con i Ministri dell’Energia, dell’Educazione, della Produzione e del Commercio, oltre ad altre personalità.
La delegazione presieduta dal vicepresidente cubano ha fatto visita alle brigate mediche cubane che stanno prestando aiuto nello stato di Vargas, devastato lo scorso anno da piogge torrenziali.

Buona intesa con i membri dell’OPEP
Torna a inizio pagina
agosto 2000 – Senza fare discriminazioni verso qualsiasi paese e soddisfatto per i risultati del suo viaggio, il Presidente venezuelano Hugo Chávez ha compiuto agli inizi di questo mese un giro per i paesi membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEP), con l’intento principale di invitare i capi di stato di queste nazioni a partecipare al vertice dell’Organizzazione, previsto a settembre in Venezuela.
Accompagnato dal Ministro per l’Energia e le Miniere del Venezuela e attuale presidente temporaneo dell’OPEP, Alí Rodríguez, Chávez ha visitato Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Iran, Indonesia, Libia, Algeria e Nigeria, dove ha ricevuto una cordiale accoglienza e voti a favore della realizzazione del forum del cartello del petrolio che festeggerà il quarantesimo anniversario della sua esistenza.
Di ritorno nel Venezuela, il Presidente, che recentemente ha ottenuto un’ampia vittoria alle elezioni venezuelane, ha dichiarato di fronte all’opinione pubblica che ha discusso con gli stati arabi dell’attuale prezzo del petrolio e del suo equilibrio mediante una strategia di produzione incamminata a rafforzare l’OPEP.
In materia economica e di investimenti ha detto che vi è stato interesse per investimenti in Venezuela, con la proposta del blocco arabo della costruzione di un gasdotto nei Caraibi, avendo come precedente la loro esperienza nella vendita di gas alla Spagna e alla Francia per mezzo di un impianto simile di oltre mille chilometri.
Ha annunciato che il Venezuela vorrebbe costruirne uno simile che passi per il Centroamerica, i Caraibi, il Messico e giunga fino in Florida, e pertanto una missione di tecnici algerini farà gli studi al riguardo.
Tuttavia, il viaggio del presidente sudamericano è stato preceduto da insistenti critiche da parte di Washington per la sua decisione di visitare la Libia, e in particolar modo l’Iraq, ancora sotto le severe sanzioni economiche imposte dalle Nazioni Unite, dopo la guerra del Golfo.
Il portavoce del Dipartimento di Stato nordamericano ha considerato che era una "sospetta distinzione" per Chávez quella di incontrarsi con un dittatore che invade paesi confinanti.
Di fronte a questi criteri, considerati dal Ministro degli Esteri venezuelano, José Vicente Rangel, "più che un’ingerenza, un’impertinenza", Chávez ha spiegato ai suoi compatrioti che Saddam Hussein "non è il diavolo e i bambini di Bagdad sono esseri umani come quelli degli Stati Uniti, che amano, sentono fame e desiderio di vivere".

Il Venezuela ha detto sì a Cuba
Torna a inizio pagina
agosto 2000 – Senza lasciare dubbi, sulle recenti e storiche elezioni venezuelane si possono fare varie e interessanti interpretazioni. Per prima cosa, nonostante la quasi totalità dei mezzi di comunicazione, stampa, radio, televisione, sia venezuelani sia degli Stati Uniti, insieme ai grandi imprenditori, al vertice della chiesa venezuelana e, naturalmente, alla mafia cubano-americana, abbiano optato e appoggiato, sfacciatamente e senza limiti, fin dal primo momento l’opportunista, senza scrupoli (mercenario-politico) Areas Cárdenas, non hanno potuto impedire la schiacciante, giusta e storica vittoria di Hugo Chávez.
D’altra parte, se consideriamo che da alcuni mesi anche la quasi totalità dei mezzi di diffusione venezuelani e nordamericani hanno portato avanti una campagna senza precedenti di accuse, diffamazioni, menzogne, tergiversazioni, contro Hugo Chávez, Fidel Castro e la Rivoluzione cubana - per creare in questo modo confusione e scontro, come se votare e appoggiare Chávez significasse dare appoggio a Castro e alla sua Rivoluzione, che se avesse vinto Chávez il Venezuela sarebbe diventato in un’altra Cuba – e nonostante questo non sono riusciti a ottenere che Chávez facesse qualsiasi dichiarazione o intervento contro Fidel o contro la Rivoluzione cubana ma, al contrario, le relazioni tra i due presidenti, sia personali sia politiche, non sono mai state così buone.
E’ chiaro che questa immorale strategia, lungi dallo spaventare o dal confondere il popolo venezuelano, si è trasformata per i suoi patrocinatori in un’altra "Girón". Una volta di più, il popolo di Bolívar - che conosco molto bene e rispetto per avere vissuto, partecipato e soprattutto per avermi formato ideologicamente – è stato all’altezza della situazione.
Ovviamente, di fronte a tale evidenza, il popolo venezuelano ha votato pure e ha detto sì a Fidel e alla sua Rivoluzione. Si può affermare, senza rischio di sbagliare, che con il trionfo di Chávez si apre un periodo di sogni e di speranze, non solo in America Latina ma anche nel Terzo Mondo, di rivoluzioni pacifiche. Era ora!

Chávez rieletto Presidente del Venezuela
Torna a inizio pagina
agosto 2000 - Il presidente venezuelano, Hugo Chávez Frías, ha ottenuto una schiacciante vittoria sull’altro aspirante alla presidenza della Repubblica, Francisco Arias Cárdenas, precedendolo di circa un milione di voti secondo il primo comunicato emesso dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) lo scorso 30 luglio alle ore 10.30 della sera.
In questo modo Chávez è rilegittimato secondo le norme della nuova Costituzione Bolivariana, approvata lo scorso dicembre con un referendum popolare. La conferma dell’incarico lo porta alla prima carica del paese per un periodo di sei anni.
Il presidente del CNE, César Peña Vigas, ha detto che Hugo Chávez aveva ottenuto 2.896.948 voti, Francisco Arias Cárdenas 1.882.583, mentre Claudio Fermín ne aveva avuti 143.588.
I venezuelani sono usciti in strada a festeggiare il trionfo di Chávez.
Tali risultati confermano i pronostici di una vittoria annunciata, anche se, in poco più di un anno e mezzo di governo, il rieletto presidente ha affrontato la forte pressione dell’opposizione, la catastrofe naturale più grave della storia del paese, una complessa situazione economica (anche con il rialzo del prezzo del petrolio) e la maggiore spirale di delinquenza che ricordi il paese, cose che supponevano un logoramento per chi aveva dedicato questa fase allo smantellamento dell’apparato politico ereditato dalla scomparsa IV Repubblica.
Il recentemente eletto presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frías, ha proclamato la nascita della V Repubblica con il consenso popolare costituente, davanti a un’immensa adunata di persone di fronte al Balcone del Popolo, nel Palazzo di Miraflores, dopo aver saputo i risultati.
I portavoce degli osservatori internazionali e nazionali, che in 10.000 hanno presenziato nei collegi elettorali e nelle sale di conteggio regionali e nazionali, hanno segnalato che disciplina, ordine ed entusiasmo hanno caratterizzato la massiccia partecipazione popolare. Sia Chávez che Arias Cárdenas hanno dato atto dell’alto spirito civico dei loro compatrioti.
Anche se i venezuelani sono accorsi in massa a votare dal mattino presto, approfittando di un giorno di sole in quasi tutto il paese, le operazioni di voto sono state rallentate, principalmente per la difficoltà di compilare le schede. Per tale motivo la maggioranza degli oltre 8.000 seggi elettorali ha chiuso a notte inoltrata.
Basti pensare che complessivamente erano iscritti 4.658 candidati aspiranti a 774 incarichi elettivi in un ventaglio che andava dal presidente nazionale, passando dai deputati all’Assemblea Nazionale, ai governatori, ai sindaci, ai consigli regionali e ai deputati per i Parlamenti Andino e Latinoamericano.
Nel suo discorso, durato fino all’alba di questo lunedì, dopo la vittoria, Chávez ha esortato a dare un nuovo contenuto alla democrazia con una maggiore partecipazione del popolo che è l’unico a legittimare qualsiasi governo. Ha invocato una rivoluzione economica e sociale, nuovi progetti per estendere l’istruzione popolare e gratuita e ha annunciato che il prossimo 2 agosto, al compimento di un anno e mezzo dal suo arrivo al potere, renderà nota una serie di misure per proseguire il progetto iniziato con la rivoluzione politica. Ha anche fatto appello all’unità, alla concordia, al consenso, alla pace per costruire insieme il nuovo Venezuela.
Un totale di 10.000 osservatori, di cui 200 internazionali, guidati da James Carter e dagli ex presidenti Rodrigo Carazo, del Costa Rica, e Luis Alberto Lacalle, dell’Uruguay, sono stati presenti negli oltre 8.000 seggi disseminati in tutto il paese e nei quali avrebbero dovuto esercitare il loro diritto civico circa 12 milioni di venezuelani di età superiore a 18 anni. Essi hanno espresso la loro soddisfazione per l’andamento delle votazioni.
Migliaia di simpatizzanti di Chávez, dalla sera, stazionavano davanti alla sede del Consiglio Nazionale Elettorale nell’emblematica Piazza Caracas, nel El Silencio; mentre proprio lì vicino, nel Palazzo di Miraflores, si concentravano entusiasti seguaci del presidente con i loro berretti rossi, cartelli e canzoni. Il trionfo è stato salutato anche da fuochi d’artificio che hanno illuminato la notte di Caracas.

Vittoria schiacciante
In base alle informazioni pervenute alla chiusura di questa edizione, il presidente eletto Hugo Chávez ha ottenuto il 56.27 % dei voti, mentre il suo rivale Francisco Arias Cárdenas il 36.29 %. Il leader della Rivoluzione Bolivariana ha superato di oltre un milione di voti il suo oppositore che era sostenuto dalla grande imprenditoria, dai politici tradizionali e dalla mafia cubano-americana di Miami.
Chávez ha superato Arias di circa il 20 %. I suoi alleati del Polo Patriottico si sono aggiudicati la maggioranza nell’Assemblea Nazionale, nel Parlamento unicamerale che inizierà le sedute prossimamente. Il Movimento V Repubblica (di Chávez) ha ottenuto 93 seggi ai quali si devono aggiungere i 6 del Movimento il Socialismo, alleato al primo. Secondo gli ultimi calcoli, il Polo Patriottico ha anche vinto il governo in 15 stati, oltre alle municipalità Metropolitana e di Caracas.
Li seguono il Partito Azione Democratica, con 32 seggi, Progetto Venezuela con 8 e il socialcristiano Copei con 5, ai quali si aggiungono quelli ottenuti da altre organizzazioni.
Il Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela giurerà il 15 agosto per il suo mandato presidenziale confermato.

I fucili tacciono, però sono vigili, afferma Chávez
Torna a inizio pagina
luglio 2000 – Il Presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha affermato che i fucili tacciono, però sono vigili, affinché la rivoluzione sia rispettata e portata a termine nel paese.
Secondo Prensa Latina, Chávez ha parlato a 393 ufficiali delle differenti armi che sono stati promossi al grado di generale di divisione e di brigata, viceammiraglio e contrammiraglio, colonnello e capitano di vascello.
A sua volta, il Presidente ha ricevuto l’Ordine Croce della Casa Militare della Presidenza di Prima Classe e ha decorato personale militare e civile di questa istituzione, che ha il compito della sicurezza personale del Capo di Stato.
Chávez, che ha manifestato la sua sorpresa per la decisione adottata dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) che in una comunicazione del 1° luglio ha dichiarato riaperta la campagna per le elezioni di domenica 30, ha precisato che le forze armate avranno una parte importante nell’assicurare la limpidezza delle elezioni.
Ha detto che il CNE aveva realizzato previe consultazioni sulla data e sulla durata della campagna elettorale, fatto per il quale si sentiva molto sorpreso per la decisione adottata. Però, ha chiarito, la rispetta e deciderà adesso il modo in cui si svilupperà la parte che gli corrisponde come candidato presidenziale.

L’opposizione cerca di seminare dubbi sulla trasparenza delle elezioni
Torna a inizio pagina
luglio 2000 – La dibattito elettorale occupa l’attualità in Venezuela. La decisione della Commissione Legislativa Nazionale (CLN) che aveva indicato il prossimo 30 luglio come data per effettuare la prima parte delle elezioni generali, ha aperto una nuova fase nel panorama politico del paese. Quel giorno i venezuelani eleggeranno il Presidente della Repubblica, l’Assemblea Nazionale, i Governatori statali, sindaci e deputati ai parlamenti Andino e Latinoamericano.
Il 1° ottobre il ciclo delle votazioni verrà completato con l’elezione dei consiglieri e dei membri delle giunte locali o di circoscrizione. Prensa Latina ha riferito che, dopo che il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) aveva proposto di tenere le elezioni generali in due date e la CNL le aveva determinate, i partiti dell’opposizione hanno cercato di lanciare dubbi sulla trasparenza nelle votazioni.
Sebbene, in realtà, gli oppositori conoscano le ragioni tecniche avanzate dal CNE per la divisione delle elezioni, hanno allineato i loro punti di vista contro la formula approvata, cercando di dilazionare le date e potere così ridurre il vantaggio dei candidati ufficiali.
Questo interesse è evidente, soprattutto, nel candidato alla presidenza Francisco Arias Cárdenas, che, secondo gli ultimi sondaggi, è molto più indietro del presidente Hugo Chávez nelle intenzioni di voto della popolazione.
Arias ha convocato i suoi seguaci per una manifestazione di piazza il 29 giugno davanti agli uffici del CNE e ha lanciato dubbi, pubblicamente, sull’indipendenza di questo ente, al quale prima aveva dato il suo appoggio.
In difesa di questo organo si è posto il suo presidente, ingegnere César Peña, che ha ratificato l’impossibilità di indire delle mega-elezioni nel termine perentorio fissato dal Tribunale Supremo di Giustizia, dopo la sospensione delle elezioni precedenti che avrebbero dovuto tenersi il 28 maggio.
Come forma di pressione, i delegati dei gruppi che sostengono Arias hanno deciso di ritirarsi dal consiglio tecnico del CNE al quale avevano accesso, con una misura a effetto che è arrivata a presentarsi come anticamera di un’eventuale rinuncia del loro candidato a partecipare alle elezioni.
Tuttavia, qualcosa che fa dubitare di questo passo è il fatto che il terzo candidato alla presidenza, Claudio Fermín, ha rifiutato di partecipare assieme ad Arias alle proteste per la data delle elezioni e sembra essere disposto ad arrivare fino alla fine del procedimento.

Chávez sostiene lo spostamento delle elezioni
Torna a inizio pagina
giugno 2000 - Il presidente Hugo Chávez ha ritenuto che lo spostamento delle elezioni di maggio abbia evitato un "disastro" nazionale e ha affermato che questo sarà l’anno del decollo economico del paese.
"Sono sicuro che adesso andiamo con molta fermezza verso una nuova procedura elettorale", ha detto il Presidente in un’intervista per l’emittente Unión Radio citata dall’agenzia Xinhua.
A causa di errori tecnici, la corte suprema di giustizia aveva deciso lo scorso 25 maggio di differire le elezioni generali programmate per il 28 del corrente mese.
Chávez aveva dichiarato che avrebbe sostenuto la nuova data che il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) avesse deciso. Il nuovo direttivo del CNE è entrato in carica il 5 giugno, dopo le dimissioni del precedente, quando sono state spostate le elezioni.
Il Presidente ha detto che, oltre alle decisioni in materia elettorale, il Governo adotta misure per far sì che il 2000 sia l’anno del "decollo economico".
Secondo la AFP, ha affermato che il paese ha riserve per oltre 2.000 milioni di dollari nel Fondo di Stabilizzazione Macroeconomica che si alimenta delle eccedenze dell’introito petrolifero.
"Per la prima volta in molti anni, il Venezuela sta risparmiando. Non abbiamo dirottato tutto l’introito petrolifero, come facevano prima, alla spesa pubblica, che è inflativa", ha assicurato Chávez in un’intervista per il canale televisivo Globovisión.
Dopo aver assicurato che il paese è sulla buona strada, ha promesso che questi soldi saranno riservati a "investimenti produttivi e non alla spesa burocratica che genera inflazione".
"Io ho ricevuto nel 1999 un’economia totalmente distrutta e l’unica fonte di alimentazione del modello economico venezuelano (il petrolio) a meno di nove dollari al barile", ha ribadito.
"Abbiamo iniziato con un progetto economico di transizione, misure che, a poco a poco, stanno avendo effetto", ha detto prima di enumerare i successi del suo Governo: abbattimento dell’inflazione che si colloca al 5.7 % nel periodo trascorso di quest’anno (nel 1999 era stata di circa il 20 %) e una crescita dell’economia dello 0.3 % nel primo trimestre.
Il Presidente ha favorito nella sua politica contro l’inflazione, i mercati popolari esistenti da più di un anno, mediante il piano civico-militare Bolívar 2000 per l’assistenza alle comunità, grazie al quale gli speculatori sono stati costretti ad abbassare i prezzi.
Tuttavia, ha dichiarato che "qui non è possibile un miracolo" e che l’immensa povertà in cui si stima siano immersi circa l’80 % dei cittadini, non possa essere risolta in poco tempo.
Juan Navarro, direttore delle procedure elettorali della ditta spagnola Indra, che è stata incaricata dell’automatizzazione del voto per le elezioni venezuelane, ha segnalato che è necessario spostare le elezioni almeno alla fine di agosto, perché prima è impossibile approntare tutti gli elementi necessari per il buon andamento delle votazioni, ha riferito Prensa Latina.
Per Indra, che in questa occasione è stata obbligata a dividere tale compito con la discussa nordamericana ES&S, terminare il procedimento in luglio è talmente impossibile da essere disposta a ritirarsi se questa è la data fissata.
Ma se questo avvenisse, il nuovo CNE sarebbe costretto ad aprire un’altra gara per le ditte interessate a offrire questo servizio, atto che provocherebbe ritardi.
Al di là di queste complicazioni tecniche, le elezioni venezuelane sono considerate sommamente importanti per l’attuale processo di cambiamenti nella nazione.

La ricostruzione richiederà più di dieci anni.
Torna a inizio pagina
marzo 2000 - Una densa nube di polvere si impadronisce dell'atmosfera di questa zona turistica praticamente rasa al suolo dalle valanghe provocate dalle intense piogge dello scorso dicembre.
Anche se implica un attentato alla salute per coloro che ritornano o per coloro che sono rimasti a rischio della vita, tale fenomeno rappresenta un segno di speranza: centinaia di macchine pesanti, tra le quali bulldozer e pale meccaniche, insieme ad una infinità di autocarri stanno lavorando per riaprire le vie sepolte o distrutte dalle centinaia di migliaia di tonnellate di materiale roccioso e fango riversatosi dalla vicina Cordigliera di El Avila.
Lungo la costa, dalla città portuale di La Güira fino a Los Caracas, distante circa 40 km, la striscia costiera si allunga in alcuni punti fino a 200 metri, rubando spazio al mare; è l'unico luogo dove è possibile riversare la smisurata quantità di fango invasore.
Priorità assoluta della ricostruzione è il ripristino della viabilità, poiché in più della metà dello stato, principalmente verso est, le comunicazioni via terra sono interrotte.
Una strada provvisoria si sta lentamente costruendo nella direzione citata sopra. Si spera che tale opera sia conclusa prima del 30 giugno; a questa si devono aggiungere il ripristino del 70 % dei ponti, molto numerosi nel tracciato originale della strada.
Per affrontare la complessa opera di ricostruzione di questo stato, il più seriamente danneggiato dalla catastrofe, il Governo ha creato la Autoridad Unica di Vargas, la cui principale responsabilità è quella di studiare il territorio e concentrare gli sforzi per sanare i danni partendo da studi e analisi della realtà e delle prospettive, attenendosi a tesi scientifiche e prendendo in considerazione le necessità economiche e sociali della regione e del paese.
Dati forniti dal Ministero degli Esteri indicano che il finanziamento necessario per la riparazione dei danni nel litorale centrale potrebbe raggiungere i 30.000 milioni di dollari.
Tale somma comporta che il Venezuela si riunisca a breve con la banca internazionale per ottenere dei prestiti. Sembra che ciò sia possibile grazie a un’iniziativa del Presidente francese di creare un gruppo di amici della nazione sudamericana, così come è stato fatto per il Centroamerica dopo il passaggio dell'uragano Mitch, sperando in questo caso di ottenere risultati migliori.
Nonostante questo denaro non sia ancora disponibile, la nazione sta facendosi carico delle necessità più impellenti dal momento stesso in cui ha avuto inizio il disastro naturale più grande della storia venezuelana.
Da qui l'importanza della Autoridad Unica di Vargas, diretta dal giovane ingegnere Carlos Genatios, Ministro della Scienza e Tecnologia. Una delle missioni fondamentali di questa unità è quella di approntare a breve termine un piano maestro per Vargas.
Tra i suoi obiettivi sono il recupero e il miglioramento delle condizioni e qualità della vita della popolazione del territorio, senza aumentare la densità di popolazione, lo studio ed esecuzione di progetti strategici, definizione delle variabili urbane e ambientali considerando il controllo del rischio; l'integrazione delle proposte del settore pubblico e privato, unito alla efficacia e trasparenza dell'utilizzo delle risorse, così come ha precisato il Presidente Hugo Chávez.
Tra i suoi compiti iniziali era la valutazione dei danni. Possiamo citare, a titolo di esempio, che gli studi hanno stabilito il danneggiamento di 8.000 abitazioni, di cui 5.340 andate completamente distrutte.
A questo si deve aggiungere la distruzione di circa la metà delle infrastrutture stradali dello stato. Lo stesso vale per le reti dell'acquedotto e fognaria, la rete elettrica e i servizi fondamentali della Sanità, assieme alla necessità di spostamento di un terzo della popolazione perché danneggiata
I servizi Sanitari Pubblici non solo sono stati garantiti ma in molti luoghi addirittura potenziati. A ciò ha fortemente contribuito la presenza della brigata medica cubana che con più di 300 medici, personale infermieristico e tecnici ha servito tutte le comunità del litorale.
La situazione più complessa riguarda gli insediamenti urbani distrutti: si prospetta la necessità di effettuare studi scientifici preliminari per determinare la vulnerabilità di fronte a eventi catastrofici come quello di dicembre. Dovrà anche essere considerata la modificazione dell'assetto geografico del litorale dopo la catastrofe. Da qui l'importanza strategica che riveste il riordinamento territoriale.
Questa fase di recupero deve tenere in conto l’esperienza internazionale in fatto di prevenzione rischio valanghe mediante opere ingegneristiche. Gli specialisti considerano che saranno necessari non meno di dieci anni per realizzare la colossale opera di ricostruzione.

Un anno dopo
Torna a inizio pagina
febbraio 2000 - Il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha celebrato il suo primo anno alla guida del Paese al culmine della sua popolarità, nonostante durante i passati 365 giorni si sia verificato uno dei più gravi disastri naturali mai avvenuti, che ha lasciato dietro di sé 50.000 morti e più di 100.000 senzatetto.
La tragedia ha avuto inizio con le piogge del 15 dicembre scorso, che hanno provocato inondazioni e fiumare di fango soprattutto nello Stato di Vargas, nel versante caraibico del Venezuela, con la conseguente distruzione di 30.000 abitazioni e il danneggiamento di altre 70.000.
Quello stesso giorno si stava svolgendo il referendum sulla nuova Costituzione venezuelana, che Chávez aveva sostenuto fin dal momento in cui aveva prestato giuramento come Presidente, quando aveva giudicato moribonda la Carta Magna allora in vigore.
La Costituzione, che il Presidente definisce con orgoglio "bolivariana", è una delle pietre miliari di questo suo primo anno di mandato ed è proprio sulla base delle disposizioni in essa contenute, che Chávez ha potuto richiedere ai proprietari terrieri di mettere a disposizione i loro terreni improduttivi, per costruirvi abitazioni da destinare alle vittime delle inondazioni e avviarvi progetti di sviluppo. Tali terreni potranno, se si renderà necessario, essere espropriati.
Durante uno dei suoi interventi radiofonici settimanali, Chávez ha fatto questa riflessione: "Non è possibile che, mentre c’è gente che non possiede un campo, neanche un pezzetto di terra per costruirci una casa, anche la più umile, ci siano invece proprietari terrieri che ne possiedono migliaia di metri quadrati nel cuore delle città".
Il Presidente ha riconfermato il suo impegno a garantire l’applicazione della legge per quanto riguarda il procedimento di assegnazione di una cinquantina di abitazioni, costruite nello stato meridionale di Barinas e completamente attrezzate, a famiglie di senzatetto.
A questo proposito, la stampa venezuelana ha reso noto che il Presidente, già prima che si verificassero le tragiche inondazioni, aveva presentato un piano di sviluppo per gli stati meridionali più spopolati.
E’ stato anche annunciato che il Fondo Statale per lo Sviluppo Urbano darà immediatamente avvio alla costruzione di 50.000 abitazioni provvisorie, per alloggiare le migliaia di senzatetto che ancora vivono in alloggiamenti collettivi, tra cui 1.500 persone che ancora in gennaio continuavano a vivere in abitazioni pericolanti, semidistrutte dall’alluvione, in due quartieri di Caracas.
Particolare rilievo è stato dato alla presenza di Chávez fin dal primo momento nei luoghi maggiormente colpiti dalla tragedia e negli stessi ripari di fortuna dove si raggruppavano i sopravvissuti. Molti analisti assicurano, alcuni non senza una certa preoccupazione, che laggiù il Presidente ha ricevuto un’accoglienza da eroe.
"L’immagine di Chávez esce rafforzata da questa tragedia" – commenta un’agenzia internazionale.
Ciò è dovuto al fatto che egli dimostra integrità e generosità e non solo si dice "preoccupato" per i poveri e per coloro che hanno perso tutto, ma agisce.
Il bilancio di un anno di presidenza deve tener necessariamente conto dell’elezione, nel 1999, dell’Assemblea Costituente, che si è sciolta il giorno 30 gennaio, allo scadere dei sei mesi del suo mandato.
L’entrata in vigore della nuova Costituzione da essa redatta ha determinato lo scioglimento del Congresso; di conseguenza, da qui fino alle prossime elezioni, fissate per il 28 maggio, sarà operante una Commissione ad interim composta da 21 membri e dotata di pieni poteri per procedere alla riforma legislativa.
Tale processo di cambiamento, senza dubbio di portata storica, non ha risparmiato il potere giudiziario. Ciò trova conferma in un’affermazione come la seguente, pubblicata sul quotidiano ‘El Nacional’: "Adesso ci rendiamo conto che si sta tentando di combattere con fermezza la corruzione all’interno del potere giudiziario e che ciò avviene attraverso provvedimenti concreti, non solo a parole e con false promesse. Questo dovrebbe già di per sé essere fonte di motivazione per la società civile. Possiamo perfino incominciare a pensare che un contenzioso in tribunale sia una dimostrazione di capacità e prestigio, piuttosto che di corruzione".
Il quotidiano, che intitola l’editoriale del 3 febbraio "Primo bilancio", riconosce inoltre che "gioca a favore del Presidente l’essere riuscito a mantenere un’efficace politica monetaria e di cambio capovolgendo così i pronostici negativi che prevedevano per il 1999 il crollo del bolívar e un preoccupante tasso d’inflazione".
Tuttavia, è stata la politica economica il bersaglio dell’attacco condotto nei giorni scorsi da un alto funzionario statunitense nei confronti di Chávez, che, da parte sua, non ha esitato a rispondere con orgoglio e decisione.
Peter Romero, sottosegretario di Stato agli Affari Continentali, in una dichiarazione rilasciata a un quotidiano spagnolo ha infatti espresso la preoccupazione degli Stati Uniti riguardo alla situazione economica venezuelana, spiegando che "i gringos non sono famosi per la loro pazienza". Il Governo statunitense, a sua volta, ha fatto sapere che ritiene necessario "che il Venezuela proceda rapidamente alla pianificazione e promulgazione di riforme fiscali e finanziarie, al fine di instaurare un clima favorevole agli investimenti stranieri, da un lato, e porre le basi per una ripresa economica duratura, che dovrà essere orientata alla diversificazione dell’economia stessa".
In questo consiste il programma ad hoc studiato da Washington per Caracas, che il presidente Chávez ha categoricamente rifiutato: il Venezuela deve essere rispettato. "Non tollereremo intromissioni nella nostra politica interna – ha affermato - perché questo è un Paese libero e sovrano".
Il Venezuela, Paese membro fondatore della OPEP - come sottolinea una agenzia di stampa internazionale - possiede le riserve petrolifere più grandi del mondo dopo il Medio Oriente, e ha goduto, in passato, di uno dei più alti standard di vita di tutta l’America Latina. Tuttavia, decenni di errata gestione economica e di corruzione nei pubblici uffici hanno messo fine alla prosperità, con il risultato che attualmente più del 60 % dei venezuelani vive in condizioni di povertà.
Si comprende perciò come lo stesso Hugo Chávez possa affermare: "Il più grande successo di quest’anno non è stato l’aver seppellito la IV Repubblica, né la vecchia Costituzione ormai moribonda, bensì l’essere riusciti a far nascere un nuovo Stato".

Quando la cordigliera è scesa al litorale
Torna a inizio pagina
gennaio 2000 - Il ruggito infernale della valanga scesa dal versante costiero della cordigliera di Avila verso la stretta valle al confine con il Mar Caribe, nello stato di Vargas, rimbomba ancora nelle orecchie di centinaia di migliaia di danneggiati come l’incubo peggiore della loro vita.
Un mese dopo la catastrofe sono diverse le interpretazioni, scientifiche e non, sulle cause che hanno causato la frana di migliaia di tonnellate di roccia e fango dalle alture del litorale centrale venezuelano, fenomeno naturale catalogato come il più grave della storia del paese.
I sopravvissuti, e il panorama che la frana si è lasciata dietro, rivelano la ripida formazione di veri fiumi di pietre e fango che hanno raggiunto un’elevata velocità, trasformandosi in macabri trituratori di tutto quanto incontrato sul loro cammino durante la discesa.
Il geologo José Antonio Rodríguez, della Fondazione Venezuelana di Ricerche Sismologhe (FUNVISIS), scarta innanzitutto l’ipotesi di un qualsiasi tipo di movimento sismico che avrebbe contribuito al crollo, come era stato invece ipotizzato.
Nelle zone costiere, afferma, si sono formati "coni di deiezione" simili ai delta dei fiumi. Nota che vi sono stati punti dove queste alluvioni sono penetrate fino a cento metri e più all’interno del mare. Questo fenomeno viene denominato ‘valanga torrenziale’.
Per lo studioso, non è la prima volta che capita un evento tale nella costa di Vargas, poiché si era verificato con diverse intensità già dal 1740, prima occasione in cui appare registrato un fatto simile, fino a un totale di 12, comprendendo l’ultimo, secondo l’Inventario Nazionale dei Rischi Geologici, emesso dalla Fondazione.
L’attivazione di conche idrografiche, come quelle corrispondenti ai letti dei torrenti di Osorio, La Guaira e Naiguatá, nello stesso posto, insieme a quelle dei fiumi San Julián, a Caraballeda, e El Cojo, a Macuto, come quelli di centinaia di ruscelli, hanno facilitato il trasporto dei sedimenti accumulati durante gli anni nelle rispettive conche.
L’esperto ha spiegato che, a causa delle piogge intense, il suolo si era fatto più sdrucciolevole ed è aumentato il peso delle pietre e di altri sedimenti localizzati lungo le ripide pendenze dell’Avila.
Da qui l’effetto valanga che ha caratterizzato le frane, che sono poi cresciute, come una palla di neve, raccogliendo tutto ciò che hanno incontrato sul loro cammino, specialmente lo strato vegetale dei pendii. Questo spiega il perché degli strappi, come giganteschi graffi, che si manifestano sulle montagne.
Le ripide pendenze che caratterizzano qui la zona collinare e le distanze fino al litorale, illustra lo scienziato, spiegano il grado di velocità raggiunto da tali ‘massi di morte’, che stima essere stato di circa 60 chilometri orari in certi casi, come ad Avila, ubicata a quasi mille metri di altezza sulla valle di Caracas, per dare un riferimento.
Il ricercatore riferisce che la condizione del terreno è un altro fattore da tenere in considerazione, essendo formato da rocce corrose in grado di rompersi come fogliettine. Da ciò si evince che queste dovrebbero essere catalogate come superfici a rischio geologico e di ciò si era già provveduto a dare informazione.
A tal proposito, sottolinea come già dal 1973, la Divisione di Geotecnica del Ministero dell’Energia e delle Miniere, avesse fatto una ricerca nella quale si informava che le aree di Maiquetía, di La Guaira e di Caraballeda sono zone a elevato rischio geologico.
Da ciò si osserva la mancanza di volontà politica e di energia per affrontare un avvertimento di questo tipo. A giudizio di altre personalità scientifiche, politiche e sociali consultate, la tragedia ha avuto una portata maggiore anche a causa della speculazione edilizia dovuta alla costruzione di luoghi di passatempo e riposo per le classi agiate nella zona costiera, senza tenere in debita considerazione questi avvertimenti.
Inoltre, questa distribuzione diseguale della ricchezza ha spinto le classi più povere a salire fino ai letti torrentizi e alle colline confinanti per edificare, indiscriminatamente, i cosiddetti quartieri periferici, che sono stati i primi a essere travolti dalla valanga.
Il costo della tragedia è molto alto, specialmente in termini di vite umane. A un mese dalla catastrofe, con la ricostruzione si impone qui una progettazione futura delle comunità distrutte e rase al suolo, non esente da problemi.
Ciò che il Governo di Hugo Chávez ha chiaro, è che tutto il processo di riattivazione delle zone disastrate dipende, necessariamente, dalla disponibilità di risorse materiali e, soprattutto, dalla capacità di vedere integralmente il fenomeno, tenendo in conto i criteri scientifici e sociali, come il grave dilemma dei poveri.

Fine dell'anno a Naiguat
Torna a inizio pagina
gennaio 2000 - Una nuvola di polvere avvolge la lunga fila di veicoli e di persone a piedi che tornano verso dove appena alcuni giorni prima la diaspora dello spavento li aveva cacciati via.
Vanno in silenzio. Ciascuno che porta i propri ricordi. Perplessi, riempiono i loro sguardi con un paesaggio che non è il loro. Molti cercano di comporlo, ma alla fine è un macabro rompicapo. La natura ha cancellato brutalmente gli spazi della loro infanzia, dei loro amori. I colori della vita sono stati trasformati in un sinistro amalgama di marroni.
"E' un giorno speciale. E' la fine dell'anno e voglio stare con i miei che sono rimasti nel fango", mi dice un uomo robusto e molto serio. La sua casa è rimasta sepolta e sotto la valanga sono rimasti i suoi due figli e sua moglie. Ancora gli è rimasto negli orecchi il grido di 'papà!!!'.
In un auto tutta infangata ci sono quattro persone. Portano piccozze e badili, ma al di sopra di ogni cosa l'ansia di trovare i resti di quelli che sono rimasti della loro famiglia.
Tutti hanno una triste storia da raccontare. I racconti sono differenti e a volte uguali. Dolore, semplice e drammaticamente dolore è quello che traspare dalle proteste adirate della gente che preme di fronte ai blocchi dell'esercito che impedisce il passaggio al passato.
Le misure di sicurezza sono strette per evitare i saccheggi, per facilitare i lavori di sgombero e di risanamento, per aprire le vie di accesso ancora bloccate da colline di fango e di gigantesche pietre venute dai monti, per impedire che con tante persone si producano epidemie. Risponde un ufficiale con fermezza e serenità alla moltitudine che dà il colpo di grazia alle sue spiegazioni con un'espressione anche di angoscia: "Lo facciamo per voi, signori!". "Ma oggi è l'ultimo giorno di questo maledetto anno, per Dio!", grida uno.
"E' la fine del secolo, la fine del millennio e vogliamo stare con i nostri morti adesso", esige un altro.
Le restrizioni sono severe, ma molti cercano di eludere questo necessario cordone di sicurezza.
Carmen de Uria, Los Corales, Mamo, Los Caracas, lo stesso Naiguat sono paesi fantasma. L'aria salnitrosa che mitiga il calore porta pure indietro il vapore fastidioso di putredine. Qui solo si ascolta il latrato lamentoso dei cani che vagano alla ricerca dei loro padroni, gli uccelli rapaci che cercano il loro cibo e il canto impazzito dei galli a qualsiasi ora come se avessero perso la nozione del tempo nello stordimento della disgrazia. Solo il mare suona una sinfonia luttuosa per gli sfortunati che sono riusciti a entrare in questo gigantesco e proibito camposanto.
In questa notte di baldoria nel mondo intero qui non ci saranno coppe che si innalzano con gli auguri di buona fortuna. Ci saranno molte candele accese per dare sfogo al dolore e in omaggio a quelli come voi e come me che hanno sognato di arrivare fino qui e di continuare. In cambio, le lacrime e il sudore versati sopra questa terra, insieme alla solidarietà daranno, come concime fecondo, il benvenuto alla speranza.
La tragedia è fatta di nomi e di storie
Torna a inizio pagina
gennaio 2000 – "Signore, signore! La collina si è sciolta come un gelato al cioccolato!".
E’ questa l’immagine che Daniel Tobar, 8 anni, conserverà impressa nella memoria per tutta la vita, il ricordo della tragedia che ha vissuto con la madre la notte di giovedì 16 dicembre, quando le piogge hanno trasformato il fianco della collina dove viveva in una spianata di fango sotto la quale sono rimasti sepolti interi caseggiati popolari nella zona di Caraballeda, nello stato di Vargas.
Varrebbe la pena chiedersi se il bimbo che ha voluto raccontarmi la sua storia, come solo i bambini sanno fare, potrà un giorno mangiare un gelato di quel gusto senza ricordarsi della notte in cui la sua innocenza è rimasta sepolta in mezzo al fango umido e mortale dal quale è sopravvissuto.
Edelmira Jiménez racconta che si è sentito prima un rumore secco, come di tamburi, che ha riconosciuto subito come di pietre che rotolavano a tutta velocità:
"Quando ho intuito quello che stava succedendo ho incominciato a gridare per svegliare i bambini, ma ho avuto solo il tempo di far alzare dal letto Joselín, tirandolo per un braccio, che già rotolavamo… Ho perso conoscenza fino al momento in cui ci hanno recuperato sulla costa. Saranno state le 11 di sera quando è successa quella cosa terribile e ci hanno ritrovati all’alba del giorno dopo".
Con lo sguardo perso nel vuoto e il viso segnato come la corteccia di un albero rinsecchito dice:
"E’ la Provvidenza che ha voluto che io e mio figlio ci salvassimo, però se avessi avuto tempo, avrei chiesto a Dio che salvasse al posto mio gli altri tre miei bambini".
Tra le migliaia di persone che aspettano il proprio turno per salire sugli aerei che li porteranno ai centri di evacuazione, cammina un anziano con una croce in mano e in braccio un cagnolino che non abbaia più e dice a tutti con un filo di voce:
"E’ arrivato il giorno del giudizio! E’ arrivato il giorno del giudizio!".
"Quelle che tiene in mano sono le uniche cose che gli sono rimaste" – mi dice una signora che ha visto il pover’uomo scavare con le mani, fino perdere i sensi, nel posto in cui il fango ha sepolto la sua casa e i suoi familiari. Da quando è tornato in sé non fa che ripetere quella frase.
Le pietre rotolavano sotto la pioggia come palle e non si fermavano né davanti alle capanne né davanti alle ville, dietro di loro arrivava il fango e seppelliva tutto. Questa volta la natura non ha creduto né ai ricchi né ai poveri – osserva Efraín Verdecia, un abitante di Los Corales dove il fango trasportato dalle frane ha raggiunto il quarto piano dell’edificio dove viveva, che è rimasto inutilizzato per lungo tempo a causa dei danni provocati ai pilastri portanti e agli impianti.
"Quello che ho visto fa stringere il cuore: bambini soli in cerca dei genitori, persone alla ricerca disperata dei familiari, gente che ti si rivolge come un automa e ti racconta che gli sono morti i figli con una tale apparente normalità che ti fa gelare il sangue, bimbi che si sono dimenticati il proprio nome e il luogo di provenienza, feriti gravi, soprattutto con fratture multiple, molte persone sotto choc, tutti che vengono soccorsi nei centri di prima accoglienza".
Con queste parole la dottoressa Marilys Acosta, medico civile delle Forze Armate Venezuelane, riassume la sua esperienza di questi giorni, durante i quali lavora con una squadra di pronto intervento dell’esercito, a bordo di un elicottero, nelle zone del disastro nello stato di Vargas.
Una volta ho letto che le manifestazioni della natura potevano trasformarsi in una sorta di macabro incubo inarrestabile. La tragedia venezuelana ne è la dimostrazione.

Ringraziamento per gli aiuti solidali
Torna a inizio pagina
gennaio 2000 – "Il Venezuela si riprenderà grazie ai nostri sforzi, il nostro impegno e la volontà di uscire dall’emergenza, ma anche grazie agli aiuti internazionali ricevuti, specialmente da Cuba, un Paese piccolo con un grande cuore che, nonostante le difficili condizioni economiche in cui si trova e i problemi del blocco, con il suo nobile gesto contribuisce a rivitalizzare il nostro popolo in un momento tanto tragico" – ha affermato a La Habana Eloy Torres, incaricato d’affari all’ambasciata di questa nazione nella capitale cubana.
Il funzionario venezuelano ha riferito che, causa le dimensioni della tragedia, la Difesa Civile del Paese non si arrischia a fornire cifre esatte, anche se secondo le stime le vittime sarebbero 25–30.000 e 250.000 i feriti.
Ha sottolineato che Cuba ha inviato, attraverso cinque voli speciali della Cubana de Aviación, 490 esperti, di cui 447 sono medici, infermiere e personale sanitario ausiliario preparati a casi di emergenza come questo.
Il funzionario ha spiegato che il Governo cubano ha donato più di 79.900 dosi di vaccino contro l’epatite B, il tetano e la meningite per prevenire l’insorgere di tali malattie, ha inoltre messo a disposizione 13.492 chilogrammi di medicinali, 12 tonnellate e mezzo di alimentari e 5 tonnellate di disinfettanti biologici.
Ha inoltre esortato le imprese miste che operano a Cuba a contribuire agli aiuti, perché a fronte degli immensi danni subiti il Paese ha bisogno del supporto di tutti. Le donazioni si possono effettuare via internet al seguente indirizzo: http://rescate200.telcel.net.ve. Si possono versare attraverso la carta di credito VISA o Mater e si depositano sul conto n. 01059491 del Banco Unióna favore di Solidaridad Unión.
"La ricostruzione del Paese spetta inevitabilmente, in primo luogo, al suo apparato produttivo" – ha aggiunto Eloy Torres – "e apriamo le porte alle imprese private perché partecipino attivamente all’enorme compito che ci attende e che porteremo avanti insieme".

I danni materiali non sono ancora stati quantificati, ma sono immensi, quasi incalcolabili. Sono distruzioni enormi in un Paese con caratteristiche topografiche tali da provocare molte frane in casi di piogge torrenziali.