Di Alfredo Graziani sono convinto che la gran parte dei tempiesi ignori
l'esistenza, nonostante sia un loro concittadino e, potremmo dire,
un loro contemporaneo e la sua figura sia stata già tratteggiata
oltre che da lui stesso, con lo pseudonimo di «Tenente Scopa», suo nome
di battaglia nel libro Fanterie sarde all’ombra del Tricolore del 1934,
anche da altri autori (Camillo Bellieni, Emilio Lussu, Cagliari
1924; Giuseppe Tommasi, Brigata Sassari. Note di guerra, Roma 1925
; Leonardo Motzo, Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari,
Cagliari 1930; Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, Parigi 1938
e Torino 1945), e qualche storico (Giuseppina Fois, Storia della
Brigata Sassari, Sassari, 1981).
Questo ricordo di Alfredo Graziani vuole perciò essere anche
un invito alla lettura di queste opere, e quindi alla conoscenza di una
pagina fondamentale di storia, quella della Brigata Sassari (in cui
Tempio fra l’altro occupa una parte importante perché qui si
costituirono i reparti del 152° reggimento) alla quale si devono alcune
delle imprese più gloriose ed eroiche dell’esercito italiano
nella prima guerra mondiale, e a cui sono direttamente collegati la
nascita del Partito Sardo d’Azione ma anche lo svilupparsi del
fascismo in Sardegna.
Alfredo Graziani, dunque, nacque a Tempio il 2 gennaio 1892. Era
figlio di una famiglia benestante: il padre Carlo era un possidente e
la madre Battistina Morla imparentata con alcune delle più
nobili famiglie tempiesi come i Cao, i Pes, gli Altea. Frequentò
il Liceo Ginnasio in parte a Tempio (fino alla seconda ginnasio
inferiore) e, si presume, in parte a Livorno dove per pochi anni si era
trasferita la famiglia. Si laureò in Giurisprudenza a Sassari e
quindi si arruolò in cavalleria da cui si congedò nel 1914,
lo stesso anno in cui ebbe inizio la prima guerra mondiale. Il congedo
era però destinato a durare poco. L’anno seguente, dopo un anno di
neutralità, nel 1915, anche l’Italia prese parte al conflitto a
fianco delle potenze dell’Intesa (vale a dire soprattutto Inghilterra,
Francia, Russia) contro la Germania e l’impero austro-ungarico (di cui
era stata alleata fino allo scoppio della guerra). Graziani venne quindi
richiamato alle armi nel 18° reggimento di cavalleria «Piacenza»,
ufficiale d’ordinanza del generale comandante della Brigata (1).
Egli non era però uomo da retrovie, e infatti ottenne di far
parte dei corpi combattenti sin dai primi giorni di guerra. Come racconta
Emilio Lussu nel suo celeberrimo "Un anno sull’altipiano"
dove Graziani viene rinominato Grisoni, accadde che, morto il generale,
«in seguito ad una ferita di granata», egli era voluto rimanere nella
brigata e prestava servizio nel suo battaglione. «Come ufficiale di
cavalleria, non poteva essere assegnato ad un reparto di fanteria, ma
il comandante generale della cavalleria gli aveva accordato
un’autorizzazione speciale, con il diritto di conservare ordinanza e
cavallo» (2). Gli fu affidato il comando della 12ª compagnia
(3)
e divenne conosciuto in tutta la brigata (4).
Subito dopo l’arrivo in trincea fu praticamente lui ad inaugurare, il 21
agosto 1915, la tradizione tipicamente «sassarina» delle «azioni
ardite» (5). La sua fu infatti un’azione «di una audacia estrema»:
comandante di un plotone di volontari uscì dai reticolati tra
Bosco Lancia e Bosco Triangolare (6)con un reparto di 30 uomini
(7), «attaccò con slancio singolare il nemico,
continuò claudicante nell’azione che ebbe per risultato l’occupazione
del trinceramento avversario («il dente del groviglio, solida trincea
avanzata, difesa da un battaglione di ungheresi» (8)) e la cattura di 87
nemici, fra cui due ufficiali, e una mitragliatrice» (9).
L’azione gli valse la medaglia di bronzo al valore militare.
«Animo generoso e ardimentoso»
(10).
lo ricorda Giuseppe Tommasi, «spirito entusiasta e generosissimo che
fece tutta la guerra fra i sardi e fu ferito varie volte»(11),
«quadrato e massiccio uomo di azione e di cuore» (12), «un nobile
esempio per i soldati, che lo seguivano ammirati ed entusiasti» (13), Leonardo Motzo.
Era Graziani tanto ardimentoso e intrepido da distinguersi anche nel
momento del dolore fisico provocatogli dallo scoppio di una bomba, il
27 settembre 1916: «E lui — annotò Tommasi — se ne è
andato via in barella, ridendo e salutando tutti, come se niente fosse,
caro il nostro cavalleggero di Piacenza!».(14)
Tornò in trincea il 9 aprile 1917, «forzando i tempi di una
guarigione che in realtà non sarà mai completa: una serie
interminabile di operazioni chirurgiche, un vero e proprio calvario,
dolori atroci sopiti a sua insaputa con dosi massicce di morfina lo
segneranno profondamente» (15).
Graziani «era una figura caratteristica nella Brigata col suo bavero
verde di cavalleggero» (16), ricorda Motzo. Caratteristica non
solo per l’audacia guerriera ma anche per un certo star fuori dalle
rigide regole della disciplina militare. Oltre che per le imprese
militari egli infatti divenne celebre per altre gesta che di militare
non avevano proprio nulla. Racconta Lussu: «Una sera, mentre stavamo a
riposo, dopo aver bevuto e frammischiato, senza eccessiva misura, alcuni
vini di Piemonte, a cavallo, era penetrato, ugualmente di sorpresa,
nella sala di mensa, in cui pranzava il colonnello con gli ufficiali del
comando del reggimento. Egli non aveva pronunciato una sola parola, ma
il cavallo, che sembrava conoscere perfettamente le gerarchie militari,
aveva lungamente caracollato e nitrito attorno al colonnello. Per questo
fatto diversamente apprezzato, poco era mancato che non fosse rimandato
alla sua Arma» (17).
Sempre lui, Graziani, fu poi a capo della fanfara fatta dal 1°
plotone del battaglione con improvvisati strumenti (al posto della
tromba una grande caffettiera di latta, per clarini e flauti pugni
chiusi da cui levando ora un dito ora l’altro fuoriuscivano soffi d’aria
e quindi suoni variamente modulati, e poi coperchi di gavetta, vecchi
recipienti di cuoio o di tela) nella piazza del municipio dinanzi al
comandante della brigata, il comandante del reggimento e le
autorità civili della città. È sempre Lussu che
racconta: «La compagnia di testa, per quattro, marciava, marziale. I
soldati erano infangati, ma quella tenuta da trincea rendeva più
solenne la parata. Arrivato all’altezza delle autorità,
il tenente Grisoni (cioè Graziani) si drizzò sulle staffe
e, rivolto alla compagnia, comandò: - Attenti a sinistra! - Era
il saluto al comandante di brigata. Ma era anche il segnale convenuto
perché il 1° plotone entrasse in azione. Immediatamente, si
svelò tutta una fanfara accuratamente organizzata. [...] . Ne
risultava un insieme mirabile di musicata allegria di guerra. Il
comandante di brigata s’accigliò, ma infine sorrise» (18).
E ancora anticonformista e "di fegato" Graziani fu in
occasione di una festa d’accoglienza al reggimento organizzata dal
sindaco del paese di Aiello, dove i soldati si erano acquartierati:
accadde che il discorso del sindaco, non propriamente felice e augurale
alle orecchie dei soldati, fu da lui stigmatizzato con ironia in alcuni
dei passaggi più infelici. Racconta infatti Lussu che mentre il
sindaco indugiava sulle «belle attrattive» della guerra, «il tenente di
cavalleria salutò, facendo tintinnare gli speroni, come se il
complimento fosse rivolto particolarmente a lui» (19). E quando il
sindaco inneggiò «Viva il nostro glorioso re di stirpe guerriera!»
, Graziani, che era «il più vicino ad una grande tavola coperta
di coppe di spumante», rapidamente «ne afferrò una ancora piena,
la levò in alto e gridò: Viva il re di coppe!». Nella
tradizione popolare il re di coppe è ritenuto quello che vale
meno, e per il colonnello «fu un colpo in pieno petto. Guardò il
tenente stupito, come se non credesse ai suoi occhi e alle sue orecchie.
Guardò gli ufficiali, per fare appello alla loro tetimonianza, e
disse, più desolato che severo: Tenente Grisoni, anche oggi lei
ha bevuto troppo. Favorisca abbandonare la sala e attendere i miei ordini
. Il tenente batté gli speroni, s’irrigidì sull’attenti,
fece un passo indietro e salutò: Signor sì! E uscì,
con il frustino sotto il braccio, visibilmente soddisfatto» (20).
Dimessi i panni del soldato intemerato e un po’ sfrontato, Graziani
doveva essere un giovane distinto e un dongiovanni, se è vero
che Camillo Bellieni, uno dei fondatori del Partito Sardo d'Azione,
anche lui nella Brigata, ricordando come Lussu fosse stato «uno degli
ufficiali più eleganti e fortunati» in fatto di donne,
precisò che poteva «ricever dei punti solo da Alfredo Graziani,
che nella sua qualità di cavalleggero e d'ordinanza del Generale
godeva fama di rubacuori irresistibile» (21).
Come nello stile del tempo, portava folti baffi, che le annotazioni
riportate in una sua tessera militare di riconoscimento del luglio 1917
indicavano di colore castano così come i capelli e gli occhi.
Inoltre era bruno di carnagione e abbastanza alto per l’altezza media
dei sardi del tempo, m. 1.73 (22).
Graziani lasciò il fronte nel marzo 1918 con una licenza per
convalescenza di 45 giorni impostagli dai medici, e tornò a Tempio
. Trascorse i mesi che mancavano alla fine della guerra (novembre 1918)
addestrando le reclute sui campi della Gallura, ma sempre col rimpianto
e il senso di colpa per essere lontano dal fronte (23),
impossibilitato a partecipare alle drammatiche ma esaltanti giornate del
Piave e «all’ultimo balzo verso Vittorio Veneto» (24), a non poter
riscattare i tanti morti, tra cui suo fratello Francesco morto in
prigionia per malattia il 4 marzo 1918. (25)
Nel dopoguerra, nel 1919, accanto a Diego Pinna e Gavino Gabriel fu
uno dei capi della sezione tempiese dell’Associazione nazionale
combattenti (26) che fornì i quadri sia alla locale sezione
del Partito sardo d’azione (la prima in Sardegna), sia a quella del
Fascio dei combattenti (anche questo il primo in Sardegna), poi
entrambe confluite nel Partito fascista, non senza incertezze e
contrasti dovuti al travaglio politico della dirigenza del Psd’Az
sull’alleanza col partito di Mussolini. Ma non era un uomo di partito
Graziani, e del fascismo ufficiale sarebbe sempre rimasto ai margini,
«anche negli anni in cui il passato di combattente e l’amicizia con
Cesare Maria De Vecchi avrebbero potuto recargli più di un
vantaggio». (27)
Agli inizi degli anni venti sposò Maria Corda, la figlia di
un ricco proprietario tempiese da cui ebbe due figli, Carlo e Francesco.
Nel settembre 1922 si iscrisse all’albo dei procuratori legali,
intraprendendo così la carriera dell’avvocato penalista.
Ma anche in seguito mostrò di non essere fatto per una vita
semplice e "borghese", e quando l’Italia fascista si
trovò impegnata su nuovi fronti da guerra, da questi non volle
restare fuori. La sua «antica vocazione guerriera», come definiva un
po’ scherzando la sua propensione alle armi, lo portarono a partecipare
come volontario alla guerra d’Africa dal settembre 1935 al maggio 1936,
alla guerra civile spagnola con la 138ª Legione della MVSN dal giugno
1937 al marzo 1938, e infine alla seconda guerra mondiale, combattendo
in Grecia col grado di capitano. Tornato poi in Sardegna, riprese
la sua professione "borghese" prima ad Iglesias e poi a Tempio
dove morì l’8 agosto 1950 a 58 anni. (28)
Guido Rombi
NOTE
1. Queste informazioni sono tratte dalla Prefazione di Giuseppina Fois al libro di Alfredo Graziani, Fanterie sarde all’ombra del tricolore, Sassari, Gallizzi, 1987, pp. 7-14.
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2. Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, Torino, Einaudi, p. 10-11. Non c’è dubbio che il tenente Grisoni del libro di Lussu sia Graziani: tutto corrisponde in modo inequivocabile. I due, inoltre, erano stati davvero molto amici come annota Motzo (Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari, Cagliari, Della Torre, 1980, a p. 223), definendo Lussu «l’amico più caro del cavalleggero, di Alfredo Graziani».
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3. Ivi, p. 11.
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4. Ivi, p.12. Graziani ricorda l’azione nel suo libro nelle pp. 67-84.
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5. Cfr. Giuseppina Fois, Storia della Brigata Sassari, Sassari, 1981, 9-10.
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6. Lussu, op. cit., p. 11.
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7. 30 uomini per la Fois (Prefazione a Graziani, op. cit., p.10), 40 per Lussu, op. cit., p. 11 p. 10 e Fois, op. cit, p.86-87.
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8. Lussu, op. cit, p. 11.
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9. Recita così la motivazione della medaglia al valore assegnatagli, in Prefazione di Fois, op. cit., p. 10. Questa azione è raccontata sia da Tomassi (Brigata Sassari. Note di Guerra, Roma, Tipografia Sociale, 1925) sia da Lussu, sia da Motzo. Cfr. soprattutto Fois, op. cit, pp. 86-87.
Così G. Tomassi, op. cit., p. 38. «L’azione — scrive — allo scopo di conseguire ugualmente il successo con il minore numero di perdite, poiché le schiere erano di già molto assottigliate, cercò di sfruttare il difficilissimo elemento della sorpresa. Pochi uomini, risoluti e svelti, perciò: due plotoni, uno di ciascun reggimento, che volontariamente si offrirono di guidare il tenente Taras, del 152° e il sottotenente Alfredo Graziani da Tempio Pausania, cavalleggero questi del 18° Piacenza, ufficiale d’ordinanza del comandante della Brigata, animo generoso e ardimentoso che continuò poi la campagna come fante pur di combattere, pur di rimanere alla Sassari».
Così Lussu, op. cit., p. 11: «Il 21 agosto del ’15, con quaranta volontari, aveva attaccato di sorpresa e conquistato "il dente del groviglio", solida trincea avanzata, difesa da un battaglione di ungheresi. L’azione era stata di una audacia estrema».
Si veda infine L. Motzo, op. cit., pp. 33-35.
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10. Tommasi, op. cit., p. 38.
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11. Motzo, op. cit., p. 34.
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12. Ivi, p. 130: Motzo riporta un’altra impresa di Graziani: quella in cui, al comando dei «miseri resti» del I e del II battaglione del 151, si avventò sulle trincee nemiche e riuscì ad occuparle.
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13. Ivi, p. 34.
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14. Tommasi, op. cit. Si riporta per intero il passo concernente Graziani, a p. 169: «I comandi hanno rimarcato che la Sassari fa un consumo enorme di munizioni, sproporzionato al consumo di altri reparti. È vero. C’è al mio reggimento il terzo battaglione che usa di rispondere ai colpi nemici con un numero doppio, e per lo più adopera le Benaglia, le bombe da fucile. Graziani, ad esempio, il cavalleggero che comandava la 12a, si divertiva a fare il fuoco a comando, a salve di squadra, di plotone, e persino della compagnia intera. Un’ira di fuoco, e i soldati ci si spassavano. Oggi però a Graziani gli è scoppiata una bomba, austriaca s’intende, fra le gambe ed è rimasto ferito: non si sa quante piccole schegge gli siano penetrate nelle carni. E lui...».
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15. Prefazione di Fois a A. Graziani, op. cit., cit., p. 10.
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16. Motzo, op. cit, p. 34.
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17. Lussu, op. cit., p. 11.
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18. Ivi, pp. 11-12.
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19. Ivi, p. 13.
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20. Ivi, p. 14.
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21. C. Bellieni, Emilio Lussu, Il Nuraghe, Cagliari, 1924, p. 22. Di Graziani Bellieni accenna anche a p. 35 laddove ricorda come gli ufficiali isolani guidati «dall'affettuoso intuito di Emilio Lussu, del Tommasi, del Graziani, di alcuni altri», si relazionarono con sensibilità e intelligenza ai problemi e ai bisogni dei semplici fanti, soprattutto di quelli di estrazione contadina e pastorale.
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22. Cfr. la tessera di riconoscimento militare e una fotografia di Graziani in alta uniforme di ufficiale raccolte nel suo libro.
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23. Graziani, op. cit., pp. 347-354.
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24. Prefazione di Fois a Graziani, op. cit., cit., p. 10.
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25. Quanto penosi fossero quei mesi per la mancanza di notizie del fratello, col triste presagio di morte che incombeva, lo spiegano le pp. 349-351. La data e la causa di morte di Francesco Graziani, appartenente al 3° reggimento genio, è tratta dal libro Ministero dalla Guerra, Militari caduti nella guerra nazionale 1915-1918. Albo d’oro, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1938, p. 169.
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26. Cfr. T. Panu, Come nacque (e come morì) il sardismo tempiese, «CM 3 Gallura, periodico della Comunità Montana N. 3», anno 3°, n. 4, luglio-agosto 1987, pp. 25-27.
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27. Prefazione di Fois a Graziani, op. cit. p. 9.
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28. Per queste altre informazioni biografiche cfr. la Prefazione di Fois a Graziani, op. cit.
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