ECOLOGIA: DA SCIENZA EMPIRICA A
NORMATIVA ETICA di
Andrea Bramucci L'ecologia
nasce nel 1866 come una partizione della scienza biologica. Oggetto del suo
studio è la relazione che intercorre tra gli organismi viventi ed il loro
ambiente naturale: "L'ecologia è lo studio dell'economia e del modo di
abitare degli organismi animali. Essa include le relazioni degli animali con
l'ambiente organico ed inorganico, soprattutto i rapporti positivi o
negativi, diretti ed indiretti con piante ed altri animali: in una parola
tutta quella intricata serie di rapporti ai quali Darwin si è riferito
parlando di condizioni della lotta per l'esistenza". Questa la
definizione classica di Ernst Haeckel (1). Accanto
a questa notazione scientifica, che pone l'ecologia nell'universo delle
Naturwissenschaften, possiamo registrare una pratica
ecologica che, se prende spunto dalle scoperte della scienza empirica
stessa, si rivolge, poi, alla elaborazione di una teoria sociale (2)
rientrando così nell'ambito delle Geisteswissenschaften. Nel corso
dell'ultimo ventennio abbiamo perciò assistito al costituirsi di una nuova
scienza sociale: l'ecologia politica. Questa si è presentata prima come denuncia
(3), delle distruzioni ambientali e dell'inquinamento provocato dalla società
industriale, poi come critica organica alla economia politica sia
marginalista che marxista (4); infine come proposta politica per costruire
una nuova società. La distinzione ora fatta tra una ecologia scientifica ed
una ecologia pratica, se è valida da un punto di vista logico, quale schema
semplificativo di riferimento, e da un punto di vista storico, può
risultare, tuttavia, ad una analisi più approfondita, in parte artificiosa
in quanto non ci dà un'esatta descrizione del fenomeno ecologico. In
effetti risulta oggi difficile separare l'ecologia quale Naturwissenschaft
da un ecologismo pratico (5) appartenente alle scienze dello spirito, quando
in realtà questi due aspetti si compenetrano strettamente l'uno con
l'altro. I risultati tecnico-scientifici raggiunti dalla scienza ecologica
diventano subito proposte pratiche, possibilità di azione politica
all'interno della società; mentre dall'altra parte le "battaglie"
condotte dagli ecologisti, contro gli inquinamenti e gli sprechi, stimolano
studi e ricerche intorno a certi argomenti di più immediato interesse
pratico (problema dell'energia, del riciclo rifiuti, dell'eutrofizzazione,
per citare solo alcuni esempi). Questa dialettica tra la forma gnoseologica
e la forma pratica dell'ecologia, fonda un campo eterogeneo di esperienza
dove i contenuti e le idee circolano liberamente costituendo così un
diverso approccio sia alla conoscenza che all'azione pratico-morale. Nel mio
discorso intorno all'ecologia e alle sue forme è ora necessario elencare
alcune categorie ecologiche fondamentali. 1.
Globalità-tempo biologico-limite. Nel panorama delle scienze costituitesi durante il secolo XIX, l'ecologia riveste un ruolo anomalo e unico. Innanzitutto l'ecologia è una scienza antibaconiana; essa non utilizza verifiche sperimentali di controllo alle sue proposizioni scientifiche, "non ha bisogno di costruire situazioni che non si danno in natura, a differenza della chimica, in cui si operano accostamenti di sostanze e di eventi quali non avvengono in natura" (6). In secondo luogo il modello specialistico che caratterizza tutte le scienze che si sviluppano in questo secolo, non informa per nulla il discorso ecologico. Al contrario, l'ecologia, come detto sopra, nasce sì come una partizione della biologia, ma ben presto allarga sempre più la sua sfera di interessi fino a comprendere un immenso orizzonte di conoscenza: la Natura tutta. "L’ecologia che è al vertice della gerarchia delle scienze della vita, utilizza l'intero contenuto empirico di tutte le scienze sottostanti nella gerarchia oltre che, naturalmente, i concetti che le sono contestualmente peculiari (7). Dunque, ecologia come vertice delle scienze della vita, ma anche crocevia, punto d'incontro di un patrimonio scientifico che proviene da svariati campi del sapere: zoologia, geografia, botanica, metereologia, etologia, microbiologia, genetica, termodinamica, ecc. L'interdisciplinarità
caratterizza il discorso ecologico, il quale assume dati, nozioni,
informazioni, da tutta una serie di scienze empiriche che partecipano, in
modo inconsapevole, alla formulazione dei protocolli ecologici. Rispetto
alla parcellizzazione del sapere (8), soprattutto tecnologico, avvenuto nei
secoli XIX e XX, l'ecologia rappresenta un modello di conoscenza nuovo e
capace di produrre sintesi di pensiero che si prestano ad una visione
organicista del mondo (9). Il modo di pensare ecologico è informato da un
atteggiamento olistico nei confronti della natura e delle azioni umane ad
essa rivolte (10). "Gli studi ambientali ed ecologici si sforzano di
recuperare una dimensione globale e quindi di cercare gli effetti lontani di
ogni intervento sul mondo" (11). Nella
ecologia è quindi presente una esigenza di globalità. Il
concetto di globalità è insito nello studio dei cicli naturali. L'ecologia
ci ha dimostrato come l'intera natura vivente sia pervasa da cicli naturali
(12), che si intersecano e si avvolgono a spirale uno dentro l'altro. Ognuno
di questi cicli naturali è orientato, cioè ha un verso, una direzione, e
non è reversibile. Elementi o sostanze quali: azoto, ossigeno, acqua,
passano da uno stato all'altro senza poter invertire le modalità dei
passaggi esperiti in milioni di anni. Questo vettore direzionale presente
nei cicli naturali, caratterizza il tempo biologico, il quale non è mai
divisibile in frazioni uguali l'una all'altra, ma è ogni istante
qualitativamente diverso e in ciò si oppone sia al tempo della fisica
newtoniana, sia al tempo economico il quale assume che l'istante t sia
sempre uguale e produttore degli stessi effetti dell'istante t'. "Il
tempo non è privo di direzioni preferite, (non è isotropo) come lo spazio.
Il tempo possiede una direzione. Il concetto dinamico classico del tempo,
con la sua reversibilità, non ha niente a che vedere con la realtà e con
la natura" (13). Questa tesi è avvalorata dal concetto di entropia
(14). L'entropia è la dispersione, la confusione dell'energia. E' la
capacità sempre minore per un sistema di produrre lavoro (in termini
fisici), quindi di avere a disposizione materie prime o energia per compiere
determinate attività. "L'entropia introduce in biologia il concetto di
freccia del tempo, cioè l'esistenza di un verso privilegiato del tempo, dal
passato al futuro, dall'entropia minore all'entropia maggiore" (15). Il
pianeta Terra, considerato un sistema chiuso dagli ecologi, tende ad
aumentare il suo grado di entropia fino ad uno stato di equilibrio finale in
cui il disordine regnerà sovrano. Si tratta ora di decidere se si vuole
accelerare a dismisura questo processo, continuando l'attuale distruzione e
spreco sistematico delle risorse naturali, oppure se si vogliono introdurre
dei limiti a quelle che Prigogine chiama "strutture dissipative". Un
unico filo logico unisce la nozione di limite con quella di tempo biologico
e con il concetto di globalità. La nozione di limite comprende in sé sia
una percezione spaziale che abbraccia tutto il pianeta Terra e la sua
atmosfera (effetto globalità), che una percezione temporale dei risultati e
selle situazioni future innescate dalla smisurata crescita industriale e
demografica (effetto tempo biologico). Il
consumo vistoso (17) delle risorse naturali (materie prime, energia,
terre fertili), porterà ad una penuria di questi beni e farà insorgere
lotte fratricide simili a quelle che, nei primordi della storia umana, si
erano combattute tra i popoli allevatori e i popoli agricoltori per il
controllo delle fonti e delle terre. L'esplodere
di guerre per la sopravvivenza costituirà secondo gli ecologisti, l'intorno
del limite, parafrasando il concetto matematico, al quale ci stiamo
avvicinando a grandi passi, se non si cambierà l'attuale rapporto con la
natura. La nozione di limite alla crescita, espresso in primo luogo dai
teorici del MIT (18), ci rimanda ad una idea di natura ambivalente: "Da
una parte c'è una natura-procreazione che è di una generosità
catastrofica, dall'altra parte c'è una natura-ambiente che è avara ed ha
dei limiti ben precisi" (19).La società industriale con la sua enorme
capacità di trasformazione ha distrutto gli equilibri esistenti tra questi
due aspetti della natura; la nozione di limite espressa dall'ecologia apre
un dibattito tra tutte le scienze sia empiriche che sociali. Il concetto di
limite alla crescita rappresenta quindi il crinale della scienza ecologica:
al di qua di questo ci sono i protocolli scientifici, al di là vi è il
costituirsi di una scienza sociale. 2.
Ecologia versus economia Mediante
il concetto di limite l'ecologia invade il territorio dell'economia
(20).Questa intrusione, già preventivata dall'interesse ecologico per la
casa dell'uomo (oikos), supera l'aspetto meramente critico per approdare ad
una nuova visione e gestione dell'economia nell'attuale società. L'economia
politica impegnata com'è, soprattutto nella versione marginalista, a
giustificare aritmeticamente le sue proposizioni (avvalorandosi di un metro
di giudizio assoluto, quello del numero e del suo mito), non attribuisce
alla natura un valore economico intrinseco. La natura, attraverso le sue
risorse, entra nel processo di produzione umano con un valore economico
nullo, ne esce, invece, sotto forma di merce vendibile, come natura
trasformata, natura seconda, reificata, sottoposta alle leggi del mercato.
La risorsa naturale, pur possedendo in sé un fondamentale valore d'uso, ha,
prima di essere sfruttata come materia prima, un valore di scambio
equivalente a zero. Il legno, per esempio, ricavato da un albero, acquista
un significato economico (valore di scambio) attraverso il processo di
trasformazione (lavoro umano), ma la sua essenza di legno ne rimane
estranea. Il sistema economico non attribuisce alcun valore alle risorse
naturali e al tempo biologico, riservando soltanto al lavoro umano un senso
e la possibilità di attribuire valore: tutto questo è noto all'economia
politica. Ciò che l'ecologia disvela è invece il mito che si cela dietro
l'assunto che la natura abbia un valore economico equivalente a zero: una
natura sempre prodiga di beni, infinita, quindi a valore zero, come ben ci
insegna la matematica a cui la stessa economia è legata. Ciò si scontra
con l'attuale progressiva mancanza non solo di materie prime, ma anche di
acqua e aria pulita indispensabili per poter continuare la produzione
industriale. Questi elementi acquistano improvvisamente una importanza
fondamentale e vengono riciclati oppure ne viene limitato l'accesso. "I
nostri concetti economici di base devono essere completamente rivisti. Il
valore delle risorse naturali diventa oggi prioritario, la rinnovabilità
una preziosa qualità" (21).Nei confronti dell'ambiente circostante la
produzione industriale causa delle disutilità marginali (in
contrapposizione alle utilità marginali) come le chiama Ezra Mishan (22),
che spesso rendono inutile, proprio applicando le stesse leggi economiche,
in termini di disinquinamento e di distruzioni di ambienti naturali,
continuare un certo tipo di produzione. "Le attività che producono
ricchezza ma distruggono sempre di più il patrimonio culturale creano un
valore negativo, o valore dedotto. Non può esservi sviluppo economico senza
uno sviluppo umano che lo preceda e lo accompagni" (23). La fede nel
mito economico di una mancanza di limiti allo sfruttamento della natura,
viene ancor più accentuato dal concetto di sviluppo, la sua opera di
disvelamento delle categorie economiche, cercando di porsi come Verità
dell'economia. Lo sviluppo economico è il totem della società industriale.
E' un aspetto irrinunciabile nella politica dei governi, sia di quelli a
democrazia borghese, sia per i cosiddetti paesi socialisti. Lo sviluppo
economico, nella sua originaria impostazione liberista, doveva distribuire
ricchezze a tutti coloro che prendevano attivamente parte al processo di
produzione, nonché appiattire le differenze economiche tra le diverse
classi della popolazione. Ma
ciò non è avvenuto e non avverrà. La povertà non è un dato oggettivo e
misurabile; al contrario della miseria, della sottoalimentazione, essa
rappresenta uno scarto, una differenza sempre presente e sempre riprodotta
da un sistema sociale che crea penuria (come direbbe Sartre) e ricchezze
crescenti (24). Anzi il consumo stimola la competitività ed instaura una
nuova povertà. Il nuovo bene economico da raggiungere è già superato
quando la maggioranza della popolazione vi è arrivata. Lo scarto tra il
povero e il ricco rimane, "la povertà si modernizza" come disse
Ivan Illich (25), ma non scompare. Il circolo vizioso tra sviluppo economico
e consumismo, per cui l'uno rimanda all'altro con un effetto di feedback
positivo, conduce a definire la pratica dello spreco nella società
industriale. Questa pratica rappresenta la massima distanza tra l'approccio
economico e quello ecologico agli ecosistemi naturali. In questi ultimi lo
spreco è inteso come sovrabbondanza, come eccesso di possibilità, non è
mai comunque distruzione pura e semplice di materia vivente. Lo spreco
invece è una pratica culturale. Esso è già presente nelle società senza
scrittura, per esempio la festa segna un periodo di spreco di risorse
alimentari o emozionali, ma le sue manifestazioni sono regolate da rituali
magico-religiosi che ne limitano gli effetti. Nella società consumistica
allo spreco è fatto carico di buon funzionamento della produzione e della
commercializzazione delle merci. Il consumo si trasforma in spreco nella
misura in cui il percorso della merce da prodotto a rifiuto diviene sempre
più corto: posso chiamare questa legge
fondamentale dello spreco ecologico. 3.
Ecologia ed etica: spunti per una riflessione. La
fondazione di un ecologismo etico è in realtà ancora tutta da definire, e
queste mie vogliono essere soltanto delle note per aprire un dibattito, il
più ampio possibile, all'interno della società. Parlo
di etica ecologica e non di morale; in questo sono discepolo di Italo
Mancini, il quale, nella diversa collocazione tra morale ed etica, pone la
prima come "riferimento all'area del valore, della differenza
qualitativa, dell'imperativo; etica dice riferimento al comportamento
sostanziale" (26). Non che l'ecologismo non abbia valori nuovi da
affermare, ma mi sembrava presuntuoso e immaturo parlare di morale
ecologica: una morale preformata sulla scienza empirica (si potrebbe fare un
parallelo con la sociobiologia) e pronta poi per tutti gli usi possibili; ma
soprattutto mi preme, ancora con Mancini, sottolineare la dimensione attiva,
pratica dell'ecologia, volta a risolvere specifici problemi e quindi a
"delineare capitoli di etica speciale" (27), che richiedono
certamente dei giudizi di valore, nella scelta tra un costante aumento
dell'entropia o la salvaguardia dell'ambiente naturale, ma che non deducono
la totalità della prassi umana da un ricreato novello rapporto tra uomo e
natura. Ciò
può sembrare in contraddizione con il concetto di globalità affermata nel
primo paragrafo. Ma non è così. L'etica ecologista pur riaffermando la
responsabilità umana verso la natura, e pur sottolineando il rapporto
biunivoco tra azione umana ed ecosistemi naturali, rifiuta però, il ritorno
alla natura inteso sia come prospettiva mitica, cioè come uno sfondo sul
quale si stagliano le azioni ecologiste, sia come dimensione fideistica,
l'uomo ecologico rischia di diventare una stortura ai comandi
dell'ideologia; infine l'etica ecologica rifiuta quel mistificato ritorno
alla natura attraverso l'imitazione di culture e valori tratti da altre
epoche storiche o da altre società, considerando ciò una sterile nostalgia
e soprattutto un forzato estraneamento alle difficili scelte da compiere in
questi anni. Già André Gorz (28) in Addio
al proletariato mise in guardia gli ecologisti nel considerare la
Natura, come un nuovo mito, come già nel passato furono sia il progresso
economico che la classe operaia. All'alba
del XXI sec. la coscienza ecologica accusa invece un malessere, una malattia
presente che travaglia le relazioni tra uomo, singolo o in società, e
natura e cerca di capire e s'è possibile di porvi rimedio. La coscienza
ecologica è un prodotto della società industriale (29). Inutili
sono le ipotesi di confronto con le pratiche ecologiche attuate nelle società
preletterate. Là infatti, la dicotomia natura-cultura non esiste, o
perlomeno è poco accentuata; miti, tecnologie, riti, rapporto con
l'ambiente, tutto ciò s'intreccia strettamente come in una maglia tessuta a
più fili da un unico telaio. La tesi che la nostra cultura possa nuocere in
maniera vistosa, attraverso la tecnologia, alla natura, ci allontana
definitivamente dalle sincronie cicliche delle società preletterate. E
proprio la tecnologia, che è stata portata ai massimi livelli nella società
industriale, ci allontana sempre di più dalle società senza scrittura e ci
dà un senso di vertigine. Martin Heidegger ne La questione della tecnica coglie il senso della differenza tra
la tecnica preindustriale che si affida alle forze naturali, in un
atteggiamento di attesa quasi riverenziale, e la tecnica moderna che
pro-voca, che richiede energia e materia dalla natura, in modo che la natura
stessa entri nel processo di produzione: "la centrale idroelettrica non
è costruita nel Reno come l'antico ponte di legno che da secoli unisce una
riva all'altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella
costruzione della centrale. Esso è ciò che ora, come fiume, è cioè
produttore di forza idrica, in base all'essere della centrale" (30).
Con l'affermarsi della tecnica moderna la natura (31) perde definitivamente
la sua inviolabilità, la sua sacralità. La tecnologia diviene il demiurgo
della trasformazione della terra, un progetto che era già implicitamente
presente nella utopia migliorista di Fourier. La tecnologia ha, anzi, essa
stessa ricoperto nell'inconscio collettivo della società industriale gli
spazi lasciati liberi dalla dimensione religiosa e dalla scomparsa di un
rapporto quotidiano con la natura (32). Le
critiche ecologiste allo sviluppo economico, allo spreco ed alla tecnologia,
introducono alla formulazione di due principi basilari per la costituzione
di un'etica ecologica: principio di limitazione, principio di diversità. Il
principio di limitazione stabilisce il diritto che hanno le generazioni
future e i popoli in via di sviluppo di poter disporre delle ricchezze e
delle risorse della biosfera. Nello stesso tempo ribadisce agli attuali
usufruttuari dei beni naturali il dovere di limitarne l'uso e lo spreco. Il
principio di diversità si propone come fine "il tentativo di mantenere
nel loro stato attuale quelle aree della superficie terrestre che ancora non
portano i segni evidenti del lavoro umano e di proteggere dall'estinzione le
specie viventi che l'uomo non ha ancora distrutto" (33). Il principio
di diversità afferma il diritto che tutte le specie viventi sulla terra
siano degnamente rappresentate, e che la progressiva diminuzione di esse
costituisce una massificazione, una perdita di possibilità e di ricchezze
genetiche alternative. Questi
due principi implicano un legiferare intorno all'uso delle risorse naturali
e dell'atteggiamento umano verso gli animali, piante, paesaggi e ritagliano
una nuova sfera giuridica che si rivolge al rapporto triadico uomo-società-natura.
Il principio di limitazione critica la libertà borghese e il suo modo di
rapportarsi alla natura; critica, soprattutto, l'etica utilitaristica e
produttivistica che vede nell'aggressione alla natura una procedura
obbligatoria per il progresso nella salvezza dell'uomo. Il principio di
limitazione allargando il diritto di partecipazione alla gestione delle
risorse naturali alle popolazioni del terzo mondo e alle generazioni future,
include queste nella reale dinamica sociale che finora aveva avuto come
protagonisti i popoli dell'occidente europeo e americano. Nello stesso tempo
il principio di limitazione rende evidente che ogni atto nei confronti degli
eco-sistemi compiuto dal singolo individuo, non può più essere diretto
soltanto in conformità dell'utile personale al fine di un riscontro
pecuniario, ma deve rispondere a delle valutazioni che superino le miopi
vedute dell'imprenditore e si allarghino, invece, ad un orizzonte storico
spaziale ben più vasto. Implicito
in questo principio è quindi la tesi che il mondo va ereditato, alle
generazioni che verranno, in modo il più integro possibile, e in questo
l'ecologia sembra accennare ad un ritorno alle società preindustriali
(anche se ciò è in contraddizione con la mia precedente affermazione di
negare un generico ritorno, nella coscienza ecologica, a civiltà passate). Il
principio di diversità raccoglie le istanze più innovative del discorso
ecologico. In natura la diversità è una costante (34). L'evoluzionismo
prima e la scoperta del DNA e delle mutazioni genetiche ci insegnano che
l'attività dei geni è sempre in movimento creando nuovi aggiustamenti tra
ambiente e specie naturali. La società industriale consumista tende invece
alla massificazione e omogenizzazione delle differenze. L'ibrido
(35), in agricoltura, è la traduzione diretta di questa filosofia. Numerosi
incroci portano alla costruzione artificiale di pochissime specie ibride,
che oltre ad essere sterili (c'è forse un motivo inconscio nel rendere
sterile piante o animali coltivati e potrebbe essere che soltanto l'uomo con
i suoi incroci vuole decidere quali piante o animali possono riprodursi),
riducono lo spettro di possibilità esistente in natura. Il
principio di diversità ribadisce quella che è la tensione della natura
verso la dispersione, contro le politiche accentratrici dell'odierna società.
Il principio di diversità sancisce perciò, come già quello di
limitazione, un nuovo diritto: il diritto di esistenza per animali, piante,
paesaggi. Questo nuovo diritto, che già trova le prime applicazioni
legislative, vedi la Carta dei diritti degli animali, impensabile fino a
poco tempo fa, si oppone a tutti gli ecocidi, i maltrattamenti e le
distruzioni ambientali ingiustificate. Il termine ingiustificato crea dei problemi all'interno della sfera
etico-giuridica che viene costituendosi nell'ecologismo, in quanto questo
aggettivo da solo non dà garanzie ulteriori per un giudizio di valore che
è sempre esterno, e mai interno alla legge stessa. Il principio di diversità
pone quindi un problema, ma non lo risolve, lo lascia così incompiuto al
pubblico dibattimento per suscitare adesioni o dissensi introno al diritto
di esistenza delle specie. Il
principio di limitazione e quello di diversità si pongono come alternativa
all'attuale modello di sviluppo, la loro applicazione ricade però nell'area
della scelta volontaria e cosciente. Secondo
André Gorz c'è una necessità nell'adeguarsi ai principi testé citati.
Soprattutto è, nel suo pensiero, fondamentale limitare la crescita
industriale, poiché siamo vicini alla soglia, al limite. Per
John Passmore l'uomo ha una responsabilità nei confronti del resto della
natura. In quanto specie pensante autocosciente, l'uomo deve sì, sfruttare
la natura, ma deve cercare di mantenere il più costante possibile gli
equilibri naturali, pena la sua stessa sopravvivenza sulla terra (36).Il
discorso della necessità (Gorz), e quello della responsabilità (Passmore),
non valgono di per sé una costruzione di un'etica ecologica. La necessità
è ancora una categoria dell'utilitarismo economico, magari razionalizzato e
aggiornato dalla nuova situazione storica prodottasi. L'ecologia, in questo
senso, sarebbe, sotto una nuova veste, una continuazione dell'economia
politica, e ne incarnerebbe le stesse esigenze (Gorz comunque fa anche altre
proposte e sarebbe troppo lungo trattare in poche righe argomenti così
interessanti. Gorz parla anche di una società ecologica) (37). Il
concetto di responsabilità verso le altre specie, (oltre ad essere un
discorso tautologico, chiaramente le altre specie, animali per esempio, non
sentono dei doveri verso di noi, il problema rimane sempre quello di fino a
che punto siamo responsabili, quindi un problema di scelta) riporta la
discussione in ambiente ottocentesco, dove la centralità dell'Io, soggetto
unico della storia, era una modalità accettata da tutte le filosofie. Questo
punto di vista non tiene conto né delle variabili temporali (tempo
biologico), né di quelle spaziali (concetto di globalità), né di quelle
avventizie (concetto di limite). Responsabilità
e necessità appartengono perciò ad una cultura di retroguardia che si
affida ancora a valutazioni di tipo economico e di stampo autoritario. I
fondamenti di un'etica ecologica non si trovano nei concetti di necessità o
di responsabilità. D'altronde il discorso ecologico è oggi preso in
considerazione alla luce di paure e bisogni (ciò può essere valido anche
per il pacifismo) che erano fino a poco tempo fa inesistenti. Nella ricerca
dei fondamenti per una etica ecologica siamo giunti ad un impasse difficile
da superare, ed ognuno come già detto può portare il proprio contributo al
dibattito. L'etica
ecologica, per costituirsi come tale, deve superare la sua situazione
contingente, che la riduce ad espressione di una paura (riusciremo a
sopravvivere su questa Terra?) o ad una categoria economica (necessità di
amministrare bene le risorse naturali). L'etica ecologica è ancora
un'ipotesi che potrà diventare una normativa di comportamento soltanto
quando l'uomo non considererà più la natura come nemica ed estranea, come
un aspetto irrazionale e pericoloso che lo insidia, anche nella sua
psicologia individuale, ma come una parte di se stesso. Un
ecologismo etico non può prescindere, secondo me, da un approccio estetico
alla natura. Le infinite forme naturali, la potenza e la bellezza della
natura sono dei deterrenti alla sua completa distruzione molto più di
qualsiasi rendimento economico. Questa idea di bellezza naturale che seduce
l'uomo del duemila, può rappresentare un primo passo verso un'etica
ecologista. Bibliografia (1)
Ernst Haeckel (1834 - 1919), professore di zoologia all'università di Jena
e grande ammiratore di Darwin. Formulò una teoria dell'evoluzione: "La
legge biogenetica fondamentale", che pone un parallelismo tra lo
sviluppo dell'embrione individuale e lo sviluppo della specie cui essa
appartiene. Secondo Haeckel, "l'ontogenesi è una ricapitolazione
abbreviata ed incompleta della filogenesi". Haeckel ricomprese
l'antropologia nella zoologia e negli ultimi anni della sua vita negò ogni
differenza qualitativa tra l'uomo e gli altri animali. Opere principali:
Morfologia generale degli organismi, 1866, Storia naturale della creazione, 1872, Enigmi dell'universo, 1899. (2)
L'ecologia segue così la stessa strada dell'evoluzionismo darwiniano. Il
percorso da disciplina scientifica a teoria sociale sembra essere una
costante delle scienze biologiche: l'evoluzionismo era stato preso a
prestito sia dalla scienza positivista, Derbert Spencer, che da quella
marxista, Engels e poi Lenin. (3)
R. Carson, Primavera silenziosa, Milano, Feltrinelli, 1963. (4)
A. Gorz, Sette tesi per cambiare la vita, Milano, Feltrinelli, 1977. A. Gorz,
Addio al proletariato, Roma, Ed.
Lavoro, 1982. Vedi anche: J. Attuali - M. Guillaume, L'antieconomia, Venezia, Marsilio Editore, 1977. (5)
Il termine ecologismo appare per la prima volta nel saggio di A. Gorz, Ecologie
et liberté. (6)
P. B. e S. S. Medawar, Da Aristotele a
zoo, Milano, Mondadori, 1986, p. 91. (7)
Ibidem, p. 89. (8)
Secondo Jeremy Rifkinn, economista ed ecologista americano,
"l'ultraspecializzazione biologica è uno dei fattori più importanti
che contribuiscono all'estinzione di una specie". Questa affermazione
viene estesa da Rifkin anche ai sistemi sociali e ai processi conoscitivi.
Ribadisce a questo proposito E. Tiezzi che: "perdita di
diversificazione, aumento di entropia, superspecializzazione, significano
anche perdita di cultura interdisciplinare, frammentazione del sapere".
V. J. Rifkin, Entropia, Milano,
Mondadori, 1982 ed. E. Tiezzi, Tempi
storici, tempi biologici, Milano, Garzanti, 1984. (9)
Lovelock, ecologo americano, considera la Terra un enorme organismo vivente.
La Terra, che egli chiama Gaia come gli antichi Greci, riuscirà a
sopravvivere grazie alle sue stesse autodifese che sta mettendo a punto
contro l'inquinamento causato dall'uomo. Nella teoria di Lovelock emerge la
figura di una Terra-madre, una dea che l'uomo non deve e non può
distruggere. J. Lovelock, Gaia, Nuove idee sull'ecologia, Torino, Boringhieri, 1983. (10)
"L'abbattimento delle foreste tropicali in Africa ed in America
meridionale cambierà il clima del mondo. Abbattere la foresta significa,
infatti, restituire alla Terra (e quindi al mare) un immenso serbatoio
d'acqua che oggi viene tenuto a mezz'aria in un continuo rapido alternarsi
di evaporazione e condensazione. E questo, senza calcolare gli effetti
dell'abbattimento della foresta sul bilancio generale dell'ossigeno".
L. Conti, Che cos'è l'ecologia,
Milano, Mazzotta, 1977, p. 15. (12)
Si intende per ciclo naturale o un processo regolato da movimenti
astronomici (stagioni, mesi, maree), oppure un processo costituito da
diversi passaggi di stato di un certo elemento o sostanza (ossigeno, acqua,
azoto), o infine da una catena di situazioni collegate (catena alimentare),
in cui la situazione finale è uguale a quella iniziale. (13)
E. Tiezzi, op. cit., p. 55. (14)
L'entropia, indicata con S, misura la tendenza spontanea di degradazione in
calore dell'energia. L'energia degradata in calore non è più utilizzabile
per compiere un lavoro fisico. (15)
E. Tiezzi, op. cit., p. 53. (16)
Chiamasi struttura dissipativa un sistema (città, fabbrica, organismo
biologico) che produce un aumento dell'entropia nell'ambiente naturale. (17)
T. Veblen, Teoria delle classi agiate, Milano, Rizzoli, 1981. (18)
H. Forrester - D. Meadows, I limiti
dello sviluppo, Milano, Mondadori, 1972. (19)
A. Casiccia, Ideologia dei
"limiti dello sviluppo" e ristrutturazione, in "Aut-aut",
(1975), n. 147, maggio-giugno, p. 33. (20)
Per quanto riguarda la critica ecologica all'economia politica vedi: Attali,
Guillaume, L'antieconomica, op. cit., A. Gorz, Ecologia e politica, Milano, Cappelli, 1977; sempre di Gorz i già
citati: Addio al proletariato e Sette
tesi per cambiare la vita. (21)
E. Tiezzi, op. cit., p. 186. (22)
E. Mishan, Il costo dello sviluppo economico, Milano, Angeli ed., 1976. (23)
O. Giarini, Dialogo sulla ricchezza e
il benessere, Milano, Mondadori, 1981. (24)
In Cile si è poveri se si va a piedi nudi, in Cina si è poveri se non si
possiede una bicicletta, in Italia se non ci si può pagare un'automobile. (25)
Vedi di I. Illich, La convivialità,
e Descolarizzare la società, Milano, Mondadori. (26)
I. Mancini, Forme etiche oggi, in
"Rivista di teologia morale", (1983), p. 14. (27)
Ibidem, p. 39. (28)
A. Gorz, Addio al proletariato, op. cit. (29)
L'ecologismo è la reazione ad una distruzione massiccia e reiterata della
natura compiuta dall'uomo negli ultimi 200 anni di storia. Anche se prima si
erano verificate altre catastrofi ecologiche (sembra che la desertificazione
del Sahara sia da imputarsi alle monocolture intensive colà praticate),
solo oggi si concretizzano progetti (vedi l'abbattimento delle foreste
tropicali) che mettono a repentaglio la vita stessa sul pianeta Terra. (30)
M. Heidegger, La questione della
tecnica, in Saggi e discorsi,
Milano, Mursia, 1976, p. 13. (31)
Il concetto di natura esigerebbe una trattazione più approfondita che però
non è possibile sviluppare in questa sede. V. P. Casini, Natura,
Milano, Isedi, 1975; R. Lenoble,
Storia dell'idea di natura, Firenze, Le Monnier, 1976. (32)
Vedi I. Illich, La convivialità, op.
cit. (33)
J. Passmore, La nostra responsabilità
verso la natura, Milano, Feltrinelli, 1986, p. 111. (34)
E' in corso un grosso dibattito a livello internazionale sulla scomparsa di
specie vegetali e la creazione di banche dei semi dove vengono raccolti
tutti i germoplasmi esistenti. Si ritiene che la distruzione delle foreste e
la antropizzazione delle ultime poche aree vergini rimaste sul pianeta,
porti alla sterilità, dal punto di vista genetico, delle principali specie
cerealicole usate come cibo primario dalle società umane. Ciò è ancora più
grave quando in caso di una perdita di vitalità delle attuali sementi non
si avranno a disposizione altri germoplasmi della stessa specie pronti a
sostituire i vecchi. Vedi AA. VV., I semi della discordia, Milano, Clesav, 1985. (35)
L'ibrido racchiude le diverse caratteristiche dei semi da cui ha origine; è
però molto più fragile agli attacchi degli insetti rispetto alle specie di
provenienza. (36)
John Passmore nega la necessità di un'etica ecologica. (37)
A. Gorz, Sette tesi per cambiare la vita, op. cit. Pubblicato
su "STUDI URBINATI".
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