IL DIO DAI PALCHI CERVINI

Le streghe adoravano il diavolo... o cosa?


Uno strano personaggio attraversa la storia mitica d'Europa. Una creatura virile, dalle braccia muscolose e il viso altero, la testa ornata di alte corna di cervo. Confuso con il Diavolo in epoca più tarda, era invocato dalle streghe nei sabba, e non di rado lo vediamo raffigurato al centro di danze demoniache in molti quadri e raffigurazioni.

Ma chi è quest'essere dalle corna da cervo? Un dio o un diavolo? E da quanto tempo accompagna la storia spirituale dell'uomo in Europa?

Vi era in effetti un antico dio celtico dalle corna di cervo, conosciuto in Gallia, in Italia settentrionale, lungo il Danubio, in Celtiberia. Il centro del suo culto si stendeva probabilmente nella Gallia orientale a nord del Giura, in un'ampia fascia compresa tra la Senna e il Reno, fino ai confini della Gallia Belgica. Troviamo, in tutta quest'area, molte figurazioni monumentali di questo Dio Cervo: in sculture, incisioni e bassorilievi provenienti da tutta la Gallia. Importanti sono i monumenti di Autun e Sommérécourt, la stele di Reims, gli altari di Saintes e di Vendeuvres, la figurazione di Nuits-Saint-Georges e il Pilastro dei Naviganti di Parigi. Nelle immagini, il Dio Cervo è spesso accompagnato da altre divinità gallo-romane, oppure da curiosi serpenti dalla testa d'ariete.

Calderone di Gundestrup: immagine del Dio Cervo.La figurazione più raffinata si trova sul meraviglioso Calderone di Gundestrup (I secolo a.C.), oggi custodito al Nationalmuseet di Copenhagen. Qui, in uno dei riquadri interni, il Dio Cervo appare a gambe incrociate. Indossa un vestito e delle brache a strisce verticali, con una cintura in vita. Porta un torques al collo e ne tiene un secondo nella mano destra. Nella sinistra tiene stretto un serpente. Alla sua destra si stagliano un grande cervo e un toro, a sinistra un leone e un lupo; poco lontano sta un piccolo uomo a cavallo di un delfino [vedi immagine].

Come si chiamava questo personaggio? Tutti i monumenti sono anonimi, tranne uno. Esiste una sola figurazione del Dio Cervo che sia accompagnata da un'iscrizione. È il Pilastro dei Naviganti di Parigi, trovato sotto il coro della cattedrale di Nôtre-Dame nel 1711. Qui, in uno dei riquadri ritroviamo il Dio Cervo vestito con una tunica senza maniche che lascia nuda la spalla destra e un torques al collo; la testa, calva e con la fronte corrucciata, ha orecchie e corna di cervo oltre alle normali orecchie umane. Ad ogni corno è appeso un torques [vedi immagine].

Pilastro dei Naviganti di Parigi: immagine del Dio Cervo.Il nome, scritto in cima alla figura, è mutilo nella parte iniziale. Si legge soltanto:

...ERNVNNOS

Nella frattura manca una sola lettera, e fin dall'anno della scoperta fu proposta la lettura Cernunnos. Questa parola richiamava il latino cornu ["corno"] e l'aspetto del dio suggeriva l'accostamento.

Da allora la maggior parte degli studiosi si è pronunciata a favore di questa interpretazione, anche se non sono mancati alcuni dissensi. Si è fatto notare che "corno" in gallico non si diceva cernos, ma carnos. Altri hanno invece pensato pensato alla radice gaelica cern- (da cui l'irlandese moderno cearn ["angolo"] e cearnach ["quadrato"]), chiedendosi se il nome del dio non significhi pressappoco "quattro punte", nel senso de "l'aguzzo", con riferimento alle sue corna. Tale accostamento è giustificata dal fatto che la radice cern- designa anche la fronte dei giovani bovidi rigonfiata dallo sviluppo delle corna. Ma si tratta di voci isolate: fino ad oggi non è stata proposta alcuna teoria che possa opporsi con successo con quella tradizionale.

Dunque, per quanto non si possano escludere etimologie alternative, Cernunnos significa probabilmente "cornuto".

Incisione rupestre della Val CamonicaQuale fosse la personalità di questo dio non si sa con precisione. Si pensa che Cernunnos sia stato il sovrano di tutti gli animali, delle fiere e del bestiame. Dio dal grande fallo, signore della fertilità, Cernunnos possedeva forse la forza combattiva e la potenza sessuale del cervo, nonché il perpetuo rinnovamento simboleggiato dalle sue corna ramificate, che cadono d'inverno per rinascere di nuovo rigogliose a primavera. In certi casi Cernunnos reggeva un sacco da cui dispensava abbondanza e ricchezza... in una figurazione lo vediamo addirittura spargere monete. Al proposito, gli studiosi hanno fatto notare un rilievo a Differdange dove una testa di cervo sputa monete d'oro.

Ma Cernunnos era una divinità celtica?

In realtà ci sono buoni motivi per pensare che questa figura risalga a tempi anteriori l'arrivo degli stessi Celti in Europa. Ne troviamo una traccia in Val canonica, sulle Alpi italiane, in un luogo ben transitato dai Celti. Qui si può ammirare una grande incisione rupestre, databile al IV sec. a.C., che ritrae un personaggio dotato di corna e di grande fallo, accompagnato da un piccolo uomo. La figura cornuta porta un circolo intrecciato intorno al braccio destro che potrebbe anche essere un torques; con la sinistra tiene invece un oggetto allungato non ben definibile, ed è forte la tentazione di pensare ad un serpente [vedi immagine].

Immagine preistorica affrescata sulla roccia, nella grotta di Les Trois Frères.Dunque si può pensare che il dio Cernunnos sia l'esito celtico di una figura assai più antica. Non si può non riandare con la memoria (ma qui il paragone è piuttosto debole) allo strano uomo-bestia dalle grandi corna di cervo affrescato nella grotta di Les Trois Frères, presso Montesquieu-Aventes [vedi immagine]. Questa figura risale addirittura al neolitico e non è chiaro se si tratti di una divinità o di un antenato totemico. Si pensa a una figura associata a riti magici o sciamanici per il buon esito della caccia. In tal caso vi era già una figura dai palchi cervini a rappresentare il signore della selvaggina, di cui favoriva la moltiplicazione, assicurando al tempo stesso il rispetto del patto tra preda e cacciatore.

Se così è, i Celti avrebbero preso la figura del Dio Cervo dai popoli indigeni dell'Europa centrale, reinterpretandola secondo le proprie esigenze culturali e religiose.

L'invasione romana della Gallia, e quindi, con l'introduzione del Cristianesimo, la fine totale della cultura celtica, provocò la perdita di quasi tutto il patrimonio tradizionale dei Galli, e quindi la ristrutturazione delle antiche figure mitiche in un nuovo ordine di idee. I miti celtici scomparvero quasi del tutto, e solo poche figure sopravvissero nel folklore posteriore, ormai irrimediabilmente trasformate e travisate. Nel caso di Cernunnos, qualche reminescenza del suo personaggio può essere ancora intravista nella posteriore mitologia dei Celti insulari. Si è pensato all'eroe irlandese Conall Cernach (si noti la radice cern), ma anche al guerriero feniano Finn mac Cumaill e a suo figlio Oisín, le cui leggende sono strettamente legate a immagini di cervi. Tutto ciò, però, potrebbe solo indicare un culto del cervo da parte dei Celti e non necessariamente un esito irlandese del Dio dei Palchi Cervini.

Ma lo stesso non si può dire di una strana divinità gallese, il dio Gwynn ap Nûdd, il re cimrico delle fate, descritto nel folklore con un bel paio di palchi cervini. E non è un mistero che, almeno etimologicamente, la parola gaelica finn vuol dire "bianco splendente", ed è corradicale col gallese gwynn, che ha lo stesso significato.

Falstaff mascherato da Herne, da una rappresentazione delle «Allegre comari di Windsor» a cura della Hampshire Shakespare Company (1997).
Vi è poi il genio dai palchi cervini della tradizione inglese, Herne, tarda emanazione di Gwynn ap Nûdd, che Shakespeare evoca nell'ultimo atto de "Le allegre comari di Windsor", dove vediamo John Falstaff travestirsi da Herne, con un bel paio di corna da cervo in testa, per poi farsi gabbare dalle fanciulle che intendeva sedurre.

Ora, la maggior parte degli studiosi è cauta nel voler equiparare Herne a Cernunnos, e a ben ragione. Vorrei però far notare che l'etimologia classica del nome Cernunnos ["cornuto"] presenta qualche difficoltà, perché "corno" si diceva in gallico carnos e in latino cornu, e quindi bisognerebbe spiegare la transizione di [a/o] > [e]. Questo punto ha dato qualche filo da torcere ai filologi.

Ora, però, mentre la parola "corno" è in inglese horn (con il regolare passaggio tipico delle lingue germaniche [k] > [h]), il genio inglese ha appunto nome Herne (e quindi di nuovo con trasformazione in [e]). A questo punto, senza voler dare una spiegazione filologica, c'è da chiedersi perché due distinti personaggi, dotati entrambi di bei palchi cervini, portino tutti e due la medesima trasformazione vocalica in [e]. Piuttosto che ipotizzare la medesima trasformazione fonetica, è più probabile supporre che la figura di Herne sia derivata direttamente da quella di Cernunnos.

Si può anche pensare a un culto del Dio Cervo, legato probabilmente alle feste della fertilità di Beltaine (1° maggio) che sia sopravvissuto, irrimediabilmente distorto e travisato, ma sempre con corna e fallo prominente, nei sabba delle streghe medievali. Non è un caso che, procedendo nella ricerca degli esiti posteriori del Dio Cervo, si arrivi alle figurazioni medievali del diavolo. Si vedano in tal caso le corna che spuntano dalla testa del diavolo sui monumenti irlandesi (Ahenny e Clonmacnoise) e romanici (cattedrale di Parma), nonché su molti manoscritti miniati. Anche qui si può pensare a una tarda sopravvivenza del dio Cernunnos, dio di un paganesimo ormai sconfitto, e trasformato in un dèmone.

Il culto del Dio Cervo da parte delle combriccole stregonesche è ritornato in auge con il neopaganesimo moderno, che comunque si nutre di "new age" e romanzi fantasy. Robert Graves ha dato parecchio da pensare ai risorti culti druidici con il suo "La dea bianca", e Marion Zimmer Bradley reinventa i riti della fertilità di Beltaine, ipotizzando le nozze sacre tra le vergini e il Re Cervo ne "Le nebbie di Avalon". In ogni caso, ci sono molti motivi, legati alla fertilità, alla ricchezza, alla primavera, al potere fecondante del maschio, che continuano a intrecciare magiche suggestioni intorno a questa affascinante figura.

Certamente da riscoprire.

Cernunnos. Immagine di Mikie Müller.

 


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© 2002 DARIO GIANSANTI

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