Approccio vulcaniano alla metafisica

Una seguace del Dottor Sevrin alla ricerca s'interroga riguardo la possibilità di una religione vulcaniana

Anna Perugini & Dario Giansanti


C'è molta confusione per quanto riguarda la mentalità dei Vulcaniani, la loro visione del mondo, quella che i vecchi filosofi tedeschi avrebbero chiamato, pomposamente, la loro Weltanschauung ... I Vulcaniani si presentano a noi sempre rigidi e alteri, maschere di ghiaccio che evitano destramente di lasciarsi scalfire. Eppure, a voler guardare più a fondo, il loro raziocinio lascia trapelare strane sfumature mistiche, e il loro pensiero, solitamente improntato a una logica cristallina, ci stupisce talvolta con enigmi dal sapore vagamente taoista. I Vulcaniani affermano di essere devoti alla logica, eppure li scopriamo a indulgere in austeri rituali. Allo stesso modo, stentiamo a credere che il loro calmo e quieto distacco sia in realtà il risultato di una disciplina di vita, e che al di sotto di quei loro volti sempre misurati ardino passioni che noi umani non riusciremmo mai a controllare. La cultura vulcaniana, che a una prima occhiata sembra così monocroma, priva di sfumature, nasconde in verità strane contraddizioni. Non stupisce, dunque, la confusione di chi si avvicina per la prima volta a questo popolo di gelidi elfi. Confusione che i Vulcaniani stessi, che sono il riserbo fatto persona, non aiutano certo a dissolvere. K'ho-nar, dicono loro, "sentirsi nudi": ma il loro pudore coinvolge l'intimità della mente oltre che quella del corpo.

Il problema è che li conosciamo troppo poco. Un'affermazione del genere può sembrare strana: i Vulcaniani furono i primi alieni con cui venimmo in contatto, in quello storico 4 aprile del 2063 (1). Un secolo dopo ci guidavano nei nostri primi tentativi di esplorazione della Galassia, schierandosi al nostro fianco nelle Guerre Romulane. E furono, insieme a noi, tra i membri fondatori della Federazione, nel 2161. Eppure, il popolo di Vulcano rimane ancora per molti versi decisamente enigmatico, ravvolto com'è nel suo secolare riserbo, geloso custode della sua cultura e dei suoi costumi.

Già da un secolo la Flotta Stellare esplorava il Quadrante Alfa, quando Spock ruppe questo riserbo iscrivendosi all'Accademia. Fu il primo vulcaniano ad entrare nella Flotta, e non come osservatore, ma come ufficiale a tutti gli effetti, e questo passo gli costò anni di attriti con suo padre, l'ambasciatore Sarek. Possiamo immaginare che la vita su Vulcano non sia stata facile per lui, un mezzo umano con serie difficoltà a controllare le sue emozioni. La Flotta Stellare gli dovette offrire la possibilità di cercare liberamente la propria strada. Nelle registrazioni dei suoi primi viaggi, agli ordini del capitano Pike, vediamo Spock sorridere o manifestare emozioni (2). Era evidentemente ancora confuso sulla strada da percorrere: solo in seguito avrebbe scelto la via di Vulcano.

Spock divenne una leggenda, tra la sua gente, ed altri giovani vulcaniani seguirono il suo esempio. Sonak, Saavik, Tuvok, Valeris. Nei decenni successivi, la presenza vulcaniana nella Flotta si moltiplicò a tutti i livelli di comando. Iniziammo così a conoscere i Vulcaniani con maggiore profondità e scoprimmo di loro cose che non avremmo mai sospettato. Ma ancora oggi, l'essenza più vera e profonda della loro anima continua a sfuggirci.

Moltissimi autori hanno cercato di illuminarci al riguardo e la letteratura efestologica è piena di autorevoli saggi su o questo o quel lato della cultura vulcaniana. Di solito gli studiosi procedono con il metodo comparatistico, confrontando i vari lati della cultura vulcaniana con i loro analoghi umani. Il difetto di tale metodo è che finiamo con il giudicare l'alieno in relazione alle sue affinità o alle sue differenze con l'umano, il che ci porta immancabilmente al fraintendimento. Non è escluso che molta della confusione di cui parlavo dipende proprio dal fatto che comunque siamo costretti a vedere l'alienità con occhi umani.

Purtroppo non abbiamo altri occhi.

 


SPOCK ED IO

La mia conoscenza con Spock risale a molti anni fa. Seguivo il dottor Sevrin, allora, e tutti insieme cercavamo l'Eden. Fummo presi in custodia sull'Enterprise, e di nuovo, come già tante volte era accaduto, ci trovammo a confrontarci con i pregiudizi dei tecnocrati e dei militari. Gli ufficiali dell'Enterprise ci guardavano con disapprovazione, mentre noi giravamo scalzi per i ponti della nave cantando e stuzzicando i giovani guardiamarina (3). Eppure credo che in fondo alla loro contrarietà ci fosse un briciolo di invidia. In un certo senso noi eravamo liberi.

Dicevano del dottor Sevrin che rifiutasse la tecnologia, la scienza, la mentalità razionale. Giudizi superficiali... il dottor Sevrin cercava uno stile di vita più vicino alle nostre più vere radici, un mondo che potessimo percepire direttamente, sulla nostra pelle e con la nostra anima, e non attraverso surrogati tecnologici. Si scoprì in seguito che le intenzioni del dottor Sevrin non erano così limpide... ma non per questo, noi, suoi seguaci, abbiamo rinunciato a cercare il nostro Eden. Magari non lo cerchiamo più tra le stelle, ma la ricerca non è certo conclusa.

Il dottor Sevrin aveva ragione. La tecnologia ci ha dato la galassia ed ha offerto all'umanità occasioni mai sognate prima. Eppure, in un certo senso, ci ha reso meno umani.

Può dunque sembrare strano che l'Accademia delle Scienze di Vulcano abbia chiesto a me di tracciare tali argomenti. A me, che in quanto a logica, non ne possiedo nemmeno un briciolo. Io amo la poesia, l'arte e la danza, credo nell'amore e nelle fate, mi piace viaggiare libera e senza bagagli. Che cosa ho da spartire io con i vulcaniani? Ebbene, signori miei, non dimenticate che c'è un filo misterioso che lega gli hippy alle genti di Vulcano. Ricordate quando arrivammo sull'Enterprise e tutti arricciavano il naso in nostra presenza? Per qualche assurda ragione fu proprio un vulcaniano a comprendere le nostre ragioni. Spock ci venne incontro ponendo le mani a figurare un uovo e pronunciando la parola "uno". Aveva capito il nostro desiderio di ritornare alle origini, alla fondamentalità, all'Assoluto.

E in seguito non disse no quando gli chiedemmo di suonare insieme a noi. Adam cantò "We are going to Eden" e lui suonò la sua lira. Che serata formidabile fu quella!

"Io sono con voi: credo in ciò che cercate"

Aveva detto ad Adam.

Ah, Spock è un mito per i figli dei fiori. Lo è sempre stato. Se consultate le cronache storiche della Terra, scoprirete che nel lontano 1968, quando l'era spaziale era ancora ai primordi, gli hippy impecettavano gli Stati Uniti d'America con adesivi che dicevano "I grok Spock" (4). Sappiamo che il Capitano Kirk fu coinvolto in molte più violazioni temporali di quante ne siano state registrate nei documenti ufficiali della Federazione, ma dubito che persino la famigerata Sezione 37 sappia come mai Spock fosse stato così popolare duecentocinquant'anni prima della sua stessa nascita!

Negli anni seguenti mi sono tenuta in contatto con Spock e abbiamo avuto modo di scambiare le nostre idee su tanti argomenti. L'anno scorso ci siamo incontrati qui, nella Colonia degli Spiriti Liberi di Parallax, dove risiedo da diversi anni, studiando con i miei modesti mezzi quelle tradizioni che l'umanità sembra ormai decisa a dimenticare. Credo sia stata proprio questa mia deformazione "tradizionalista" a spingere il signor Spock a propormi all'Accademia delle Scienze di Vulcano come autrice di questo saggio.

 


ATTEGGIAMENTO ESTERIORE DEI VULCANIANI

La prima impressione, frequentando dei Vulcaniani, è quella di individui votati alla più totale razionalità. La loro visione del mondo è fatta di numeri, calcoli, misure, probabilità. I loro pensieri procedono per consecuzioni logiche e sillogismi. Le loro azioni sono unicamente dettate dalla ragione.

Tanto per dirne una, avete presente che cosa accadde durante il viaggio dell'Enterprise a Babel? I pirati di Orione attaccarono la nave e Spock avrebbe tranquillamente lasciato morire suo padre, l'ambasciatore Sarek, pur di non abbandonare il comando durante l'emergenza. Kirk fu costretto a fingere di essersi rimesso (si era beccato un coltello andoriano nella schiena) pur di convincere il suo cocciutissimo primo ufficiale a tornare in infermeria a farsi cavare il sangue (5).

E ancora, ricordate quando Spock, al suo primo comando, guidò la Galileo in orbita intorno a Taurus II? Una volta esaurito il carburante la navetta sarebbe ricaduta nell'atmosfera del pianeta, bruciando come una meteora. Eppure Spock corse il rischio: espulse il carburante per mandare un segnale all'Enterprise (6). Un tentativo disperato? Macché! A sentire Spock una decisione perfettamente logica, viste le circostanze! (Ma è un piacere, per noi suoi estimatori, riservarci il beneficio del dubbio.)

E ugualmente, ripensando alle argomentazioni, perfettamente logiche, con cui Spock decise di offrirsi come cavia ai Viani al posto di Kirk e McCoy, c'è da farsi accapponare la pelle. Anche qui tuttavia non possiamo fare a meno di chiederci se Spock non sia stato influenzato da un irrazionale sentimento di amicizia. Ma è inutile chiederglielo: non lo ammetterebbe mai (7).

Insomma, per tutta la durata della missione quinquennale dell'Enterprise, siamo testimoni di uno Spock che, sempre calmo e padrone di sé, formalizza in calcoli probabilistici le situazioni più disperate. Assistiamo con piacere ai suoi battibecchi con il dottor McCoy, in cui i due colleghi sembrano quasi consci di completarsi a vicenda come Id e Super-Io (la metafora freudiana non è mia). Lo vediamo limitarsi a sollevare un sopracciglio di fronte all'umorismo umano, di cui è sovente bersaglio, in qualcosa che sta a metà tra la perplessità e la disapprovazione. I Vulcaniani affermano di non avere umorismo ma sanno benissimo come usare il sarcasmo. Quando Amanda Grayson s'infuria, stufa di sentir pronunciare la parola "logica", e Spock chiede a Sarek perché l'avesse sposata, questi afferma tutto serio e tranquillo che a suo tempo gli era sembrata la decisione più logica (8). L'umorismo vulcaniano (e sottolineo umorismo) rassomiglia straordinariamente all'humour inglese!

Fino a non molto tempo fa i Vulcaniani affermavano di essere totalmente privi di emozioni, tanto che molti scienziati umani finivano per ritenerli fisiologicamente incapaci di provare gioia o dolore. In un'occasione vediamo addirittura McCoy spiegare che Spock non può ridere o piangere, aggiungendo che certe emozioni potrebbe ucciderlo (9). È sbalorditivo quanto lo stesso McCoy conoscesse poco della natura del suo migliore amico!

In seguito fu evidente che la natura dei Vulcaniani è passionale quanto e più di quella umana, ma che essi hanno imparato a tenere sotto controllo i loro stati emotivi grazie alla loro disciplina. Il termine vulcaniano arie'mnu, che solitamente è tradotto con "eliminazione delle emozioni" significa in realtà "padronanza delle emozioni" (10). C'è una differenza molto significativa. Quando il Dottore Olografico rimuove il controllo emotivo di Tuvok, questi afferma di sentirsi forte, potente, addirittura euforico. Il suo atteggiamento, conscio della propria superiorità fisica e mentale, vibra di un orgoglio sprezzante, addirittura brutale. La stessa capitana Janeway rimane turbata (e noi con lei) quando sperimenta la natura più intima e segreta di quello che è il suo compassato capo della sicurezza. (11)

A quanto pare, questo era il normale stato emotivo tra i primitivi vulcaniani. In una situazione analoga, Spock non ha ritegno nel mangiare carne e nel flirtare sfacciatamente con Zarabeth (12). Non ci stupisce che i Vulcaniani abbiano combattuto tra di loro per millenni, con armi atomiche e psichiche, fino ad arrivare al limite dell'autodistruzione. E non stentiamo a credere che fondando la disciplina della logica, il grande Surak abbia salvato l'intera specie dall'estinzione.

 


MA CHE DIAVOLO È QUESTA LOGICA?

T'Plana-Hath, la "madre" della filosofia vulcaniana, inizia il suo classico trattato con le parole:

"La logica è il cemento della nostra civilizzazione..." (13)

Logica, logica, logica... A frequentare un vulcaniano ci sentiremo ripetere questa parola cento volte al giorno, fino all'esasperazione. Ma che diavolo è questa logica?

La parola viene dal greco lógos, che significa "discorso". Indica più esattamente il discorso concreto, pragmatico, vicino ai fatti così come si presentano. Da questo punto di vista, lógos fa il paio con la parola mýthos, che indica invece il discorso metaforico, poetico, condotto per immagini e simboli. Attenzione, però, sia il lógos che il mýthos sono discorsi altrettanto "veri", ciascuno nel suo campo d'applicazione. Lógos e mýthos rappresentano l'oggettività e la soggettività, in altre parole ciò che è reale fuori di noi e ciò che è reale dentro di noi. Ma comunque, reale.

La parola vulcaniana per "logica" è c'thia, che a quanto pare ha la connotazione di significato di "verità reale" (14). L'approccio di un vulcaniano alla realtà è razionale e oggettivo al massimo grado. In una mente vulcaniana ben disciplinata c'è una totale aderenza alla realtà, senza fingimenti, illusioni e speranze.

Come dice Amanda Grayson:

"La c'thia è la verità sull'universo, il modo in cui le cose sono davvero, piuttosto che il modo in cui ci piacerebbe che andassero. La parola comprende contemporeaneamente la realtà fisica e quella mentale, in tutti i loro aspetti, e ci suggerisce che se non diciamo all'universo la verità su sé stesso, se non lo trattiamo, insieme alle persone che vivono in esso, come ciò che sono, esseri reali e preziosi, si rivolterà contro di noi, e nulla di ciò che intraprenderemo prospererà." (15)

La definizione di Amanda è, come dice lei stessa, quella che un vulcaniano darebbe a un bambino. Ma il succo del discorso non cambia.

Gira voce che i Vulcaniani siano incapaci di mentire. Sappiamo che non è vero: in almeno un'occasione vediamo Spock mentire, o per lo meno dare informazioni incomplete e fuorvianti (16). I Vulcaniani possono mentire, e magari lo fanno se vi è una ragione logica per farlo, ma debbono comunque fare violenza a sé stessi: la loro aderenza alla "verità reale", cioè all'oggettività, è talmente connaturata nella loro psicologia, da risultare praticamente spontanea. Persino i sospettosi Romulani finiscono per dare per scontato che un vulcaniano non sappia mentire... un pregiudizio che li ha ingannati più di una volta.

La c'thia corrisponde in tutto e per tutto al lógos. Il mýthos sembra essere del tutto assente dalla cultura vulcaniana (ma vedremo che non è proprio così). I Vulcaniani comprendono l'allegoria, ma ho l'impressione che abbiano difficoltà con le metafore. Una volta Tuvok spiegò a Chakotay che la letteratura vulcaniana è normalmente priva di immagini archetipiche e totalmente aderente alla realtà, e Chakotay (che incarna il lato irrazionale e mitico dell'umanità) gli rispose che proprio per questo quella lettura non è popolare che su Vulcano (17).

 


SEMANTICA E SIGNIFICATO

La razionalità è fatta di simboli: il linguaggio, gli operatori matematici, la scrittura, la musica. Una delle definizioni di vita intelligente sta proprio nella capacità di creare astrazioni simboliche della realtà e di formare un linguaggio semantico. Tra le varie lingue aliene conosciute, quella dei Tamariani è sicuramente quella che si è spinta più avanti nel processo di simbolizzazione della realtà (18). Al perfetto contrario, ciò che distingue il modo in cui i Vulcaniani gestiscono i propri simboli sta nella loro totale oggettivazione.

Come ha detto Amanda Grayson (è il caso di ripeterlo),

"la parola [c'thia] comprende contemporeaneamente la realtà fisica e quella mentale, in tutti i loro aspetti" (19).

In altre parole, c'è un rapporto biunivoco tra gli enti della realtà e i simboli che li rappresentano nel linguaggio.

Nel XX secolo, nei suoi studi sulla semantica generale, Alfred Korzybski dimostrò che la parola e il suo referente non sono identici. In altri termini, quando trattiamo un qualunque linguaggio umano, le parole sono dei campi semantici più o meno ampi, più o meno indefiniti, che non corrispondono mai esattamente all'ente che intendiamo indicare. Un termine come "libro" può indicare sia il supporto cartaceo di un'opera letteraria, sia l'opera stessa in quanto serie di dati. Eppure "libro" è un termine grammaticalmente concreto, che ha ancora un campo di applicazione molto preciso. Gli umani stessi non sono ancora riusciti a definire con precisione termini astratti come "melanconia", "amore", "speranza", che pure indicano stati d'animo che tutti loro hanno sperimentato. E usano parole come "politica", "giustizia", "legge", per riferirsi a costruzioni della loro cultura che non hanno alcun riscontro fisico nell'universo reale.

Possiamo fare un esempio pratico trattando dei colori. In italiano la parola "verde" comprende tutta una serie di sfumature che vanno dal verde pisello al verde veronese, dal verde smeraldo al verde sottobosco, più certi tipi di turchese che molti recepiscono piuttosto come azzurro. In giapponese, la parola aoi comprende insieme tutte le tinte dell'azzurro e del verde, sovrapponendosi in parte alla parola midori che invece indica più esplicitamente il verde della vegetazione. In gaelico, glas indica insieme il verde, l'azzurro e il grigio. Altre lingue usano termini che indicano oltre al colore anche altre categorie, come il greco leukós che significa sia "bianco" che "luminoso". In latino la parola albus indica un biancore lucente e come tale si distingue dal candidus che è invece il bianco gessato. In gaelico, fionn indica contemporaneamente il bianco, il luminoso e il bello.

Com'è evidente, ogni termine ha un campo di applicazione più o meno vasto, tanto che quello che è "verde" in una lingua non sempre lo è in un'altra. Nelle lingue umane non c'è quasi mai, insomma, un rapporto biunivoco tra la parola e il suo referente.

In vulcaniano le cose stanno in maniera affatto diversa. Il fatto che la "verità reale" debba adattarsi sia al mondo fisico che al suo equivalente mentale, ha comportato lo sviluppo di un linguaggio quanto più possibile preciso e descrittivo. In vulcaniano ogni concetto viene espresso in modo da ridurre al massimo la possibilità di ambiguità. E poiché il linguaggio costituisce la mappa che struttura la nostra visione della realtà, è facile capire che la lingua vulcaniana si presta mirabilmente a definire proposizioni oggettive e razionali. I termini, sia concreti che astratti, hanno in vulcaniano delle definizioni assai più precise e stringenti di quanto avvenga con le lingue terrestri.

Il lettore non si stupirà a questo punto di sapere che la lingua vulcaniana indica i colori esprimendo, in termini matematici, le percentuali dei colori primari. Ad esempio, la precisa sfumature verde del sangue di un vulcaniano è espressa dalla parola krupat'oram, formata da krup ["azzurro"], più at'or ["0,7 + 0,3"], più ram ["giallo"] (20). Le signore vulcaniane faranno presto a spiegarvi di che colore è il loro vestito nuovo!

Sappiamo che la psicologia vulcaniana dispone, per quanto riguarda la terminologia emotiva, di una serie di termini assai più appropriati di quanto sia possibile nelle varie lingue terrestri. Un umano non riuscirà mai perfettamente ad esprimere a parole le proprie emozioni, proprio a causa dell'inadeguatezza dei termini disponibili. Ma nel corso della loro storia i Vulcaniani si sono sforzati di definire ogni stato emotivo con una parola ben precisa... cosa più semplice per un popolo di telepati in grado di condividere la propria soggettività per accordarsi sulla terminologia. Il processo vulcaniano di decostruzione delle emozioni, il s'at, inizia proprio dall'identificazione di un particolare stato emotivo, che poi viene smantellato logicamente e infine annullato con la meditazione. Ma per intervenire sulle emozioni bisogna saperle definire; ecco dunque la necessità di un linguaggio che sia specchio semantico della "verità reale".

Ricordo quella vecchia assurda frase priva di soluzioni, "Epimenide il cretese dice che i cretesi sono bugiardi", su cui tutti quanti ci siamo divertiti a scervellarci. Se i cretesi sono bugiardi, Epimenide sta mentendo, ma se Epimenide mente allora non è vero che i cretesi siano bugiardi... Queste frasi autocontraddittorie si chiamano "antinomie" e il fatto che le lingue umane possano esprimerle la dice lunga sulla razionalità delle nostre sintassi. Non conosco bene la grammatica vulcaniana, ma sono pronta a scommettere che frasi antinomiche non possano essere espresse nella lingua dei nostri amici orecchiuti, se non come un evidente errore grammaticale.

Aggiungo, per pura onestà intellettuale, che il filosofo Saduk, da me consultato al riguardo, ha delle riserve su questo punto. Attendo con ansia di leggere il suo saggio.

 


LA METAFISICA VULCANIANA: RAPPORTO TRA REALTÀ E VERITÀ

La parola "metafisica" indica letteralmente "ciò che si trova al di là della natura", indicando con questo lo studio di tutto ciò che si supponga trascenda il mondo materiale, con particolare riferimento alla religione e alle categorie dello spirito.

La storia della speculazione metafisica, per noi terrestri, è stata particolarmente confusa fin dagli inizi. Nei tempi pre-scientifici tendevamo a far cadere nella metafisica tutto ciò che non era indagabile con i nostri mezzi. Cadeva un fulmine? Un dio doveva essersi infuriato. Un uomo delirava per la febbre? Niente paura: si mandava a chiamare lo sciamano affinché recuperasse la sua anima. Il cielo stellato ci sgomentava per la sua bellezza? Ci si affidava agli astrologi i quali ne decifravano le congiunture trasformandole in oroscopi appropriati per i nostri bisogni quotidiani.

Ma attenzione, queste risposte che i primitivi davano ai fenomeni della natura, al mistero della vita e della morte, non erano, non intendevano essere, delle spiegazioni. La mania per le spiegazioni sarebbe venuta dopo. Il pensiero pre-scientifico non tendeva al come, ma al perché. Era metafisica e non fisica. Cercava un significato della natura non per sé stessa, ma in relazione alla nostra soggettività. È questo il vero senso del mýthos.

Lo sviluppo del pensiero razionale, con la nascita del metodo scientifico, nel XVII secolo, riuscì finalmente a spiegare i fenomeni fisici in termini di materia/energia e ne formalizzò le leggi secondo precisi rapporti matematici. L'uomo finalmente seppe che un fulmine non era che una scarica elettrica dovuta a una differenza di potenziale tra l'atmosfera e il suolo, che la febbre era la risposta dell'organismo a un'infezione, che il cielo stellato poteva essere soddisfacentemente spiegato con Keplero e Newton. Il campo della metafisica perse terreno da ogni lato, tanto che, dopo nemmeno un secolo, Kant si trovò a chiedersi se erano ancora rimasti degli "a priori" per costruire una metafisica sensata. La morte della metafisica fu in pratica la nascita dell'epistemologia: per tutto il '900 i pochi filosofi rimasti si limitarono a domandarsi quali domande avessero ancora un senso e quali no.

Per quanto possa sembrare strano, la metafisica vulcaniana inizia proprio dove si è arenata quella umana. E cioè con Kir-kin-tha, e il suo famoso Primo Assunto

"L'irreale non esiste" (21)

Non dubitiamo che sia esistita su Vulcano una metafisica precedente a Kir-kin-tha, ma i Vulcaniani a quanto pare non le dànno molta importanza e fanno cominciare proprio da Kir-kin-tha la loro intera speculazione filosofica.

Sarebbe il caso di dilungarmi ora in un ponderoso trattato sul Primo Assunto, e se non lo faccio è innanzitutto perché un tale lavoro è al di là delle mie capacità (lo dico senza peli sulla lingua), ma anche perché sono secoli che i Vulcaniani lo fanno con molta più efficienza e cognizione di causa di quanto potrei mai fare io. Al riguardo c'è una letteratura sterminata e non mi basterebbe la longevità di un el-auriano per documentarmi al proposito. Mi limiterò a poche osservazioni personali.

Innanzitutto bisogna notare che la traduzione in italiano dell'affermazione di Kir-kin-tha è fuorviante. L'originale vulcaniano è formato solo da due parole. Ve le riporterei, se la mia copia della "Metafisica" di Kir-kin-tha, che aveva il testo vulcaniano a fronte, non me l'avesse stracciata la mia gatta circassiana. Doveva preparare il nido per i cuccioli e io l'ho perdonata di buon grado.

Notiamo che nel Primo Assunto non vi è (come potrebbe sembrare) alcuna tautologia. La frase esprime un giudizio preciso. "L'irreale non esiste". Bisogna però capire che cosa intendono i Vulcaniani per "irreale" e per "esistere".

Il problema non è da poco. Nel corso dei secoli i filosofi terrestri si sono affaccendati a dimostrare tutte le possibili combinazioni tra la realtà e il suo grado di esistenza. A partire dai platonici per cui esistevano solo le idee, fino ai positivisti per cui esisteva solo la materia.

Abbiamo visto che, secondo Amanda Grayson, la c'thia comprende contemporaneamente la realtà fisica e quella mentale, in tutti i loro aspetti. Ma la definizione che dà la stessa Grayson al riguardo è più sottile: ella parla infatti di "verità reale" [reality truth]. Possiamo fidarci totalmente della traduzione della Grayson, la quale, prima di trascorrere buona parte della sua vita su Vulcano, quale consorte dell'ambasciatore Sarek, fu una delle fondatrici della filologia efestologica sulla Terra (22). La sua traduzione è molto significativa. Non si tratta, badate bene, della "realtà vera", ma della "verità reale". La resa del termine c'thia sembra privilegiare la forma assoluta, intellettualizzata, astratta, alla concretezza oggettiva.

Ci stiamo avventurando su un terreno infido e bisognerà fare qualche precisazione. Da un lato si potrebbe obbiettare che questa definizione contrasti con ciò che abbiamo detto fino ad adesso: che cioè le forme simboliche del linguaggio e del pensiero vulcaniani siano spinte verso la massima oggettività. Al contrario, la resa di c'thia come "verità reale" (invece di "realtà vera") sembra suggerire che l'oggettività sia considerata quasi una proiezione delle forme soggettive. In altre parole, si rischia di accusare i Vulcaniani dello stesso errore dei razionalisti greci: l'aver usato la logica deduttiva anziché quella induttiva.

Come sappiamo, gli antichi Greci partivano da concetti assoluti e pretendevano di applicarli all'universo. Convinti della perfezione geometrica del cerchio, vollero costringere tutti i pianeti a muoversi in circolo, ricorrendo a complicati calcoli per giustificare le osservazioni fasulle che ottenevano. Ci vollero duemila anni perché Keplero si sbarazzasse dell'aristotelismo e dichiarasse a testa alta, osservazioni alla mano, che i pianeti se ne fregano dei circoli e preferiscono le ellissi, e Newton trovò poi la spiegazione dinamica dell'inesplicabile comportamento dei pianeti. Al contrario, la scienza moderna procede col metodo induttivo, dal particolare al generale. Prima si osserva la realtà, poi vengono formalizzate le leggi che la governano, infine tali leggi sono sottoposte a severe verifiche. Questo è l'unico modo possibile per ottenere giudizi concreti, anche se mai definitivi: milioni di osservazioni a favore non potranno mai dimostrare completamente una teoria, una sola osservazione contraria basta a invalidarla. Ma questo metodo, per quanto lento e limitato, è l'unico in grado di far procedere la scienza.

Il punto è che la logica vulcaniana, per quanto tenda alla repressione della soggettività in favore di una totale aderenza alla realtà oggettiva, rimane profondamente antropica. Ricordate il vecchio problema filosofico dell'albero che cade in un deserto? Possiamo dire che quell'albero fa rumore se nessuno è lì a udire quel rumore? Un phainómenon rimane tale se nessuno lo osserva? La logica vulcaniana procede secondo una modalità antropica: l'universo esiste di per sé stesso, ha le sue leggi e le sue regole, ma ha un significato solo in relazione alla sua concettualizzazione da parte degli esseri senzienti.

Cercai di affrontare questi discorsi con Spock, qui nella Colonia di Parallax. Ricordo che parlava con distacco totale, ignorando nella maniera più assoluta il Danzatore del Vento che gli volteggiava intorno cercando di distrarlo con smorfie buffe e irriverenti.

Mi disse:

"Noi Vulcaniani cerchiamo di essere come dei cristalli di totale limpidezza e trasparenza. Lasciamo filtrare l'universo dentro di noi, ma senza deformarlo o alterarlo in alcun modo. Dopodiché lo trasformiamo in simboli e pensieri, sempre rispettandone la sua più intima natura. La verità si trova nella realtà, ma bisogna adeguarsi ad essa." (23)

Dunque cos'è l'irrealtà? È semplice. L'irrealtà è ciò che non può essere espresso in simboli.

Ma attenzione: esistono più simboli che enti concreti. Abbiamo già visto che molte parole esprimono categorie che appartengono unicamente al mondo soggettivo (parole come "speranza", "gloria", "giustizia", "bene", "male", "fede"). Non hanno un riscontro esterno, esistono soltanto alla nostra realtà concettuale. Dovendo tracciare un profilo insiemistico, si dirà che i simboli a cui corrisponde un oggetto concreto sono solo un sottoinsieme della totalità dei simboli. In altre parole, gli enti della realtà mentale sono più numerosi di quelli della realtà fisica.

Tanto per fare un esempio banale, prendiamo una delle infinite chimere che gremiscono la mitologia umana, quale può essere un unicorno, un grifone, un cavallo alato. Questa creatura non è un simbolo, un'allegoria, un'immagine mitica. Non ha una realtà concreta, ma nell'ambito del suo mondo di categorie soggettive, essa esiste.

I Vulcaniani non considerano illogico meditare sulle chimere della loro più antica cultura, in quanto anche i miti fanno parte della "verità reale". Illogico sarebbe pretendere un'esistenza concreta di tali creature fantastiche o conferire ad esse dei significati estranei alla loro natura. Piuttosto essi considerano tali oziose meditazione una perdita di tempo. L'universo ci offre ogni giorno nuove e inusitate meraviglie, e la vita, anche quella di un vulcaniano, è troppo breve per correre appresso alle chimere. La letteratura vulcaniana non ama il mýthos, ma non per questo lo nega.

Esistono più simboli che oggetti concreti. È proprio questo il senso dell'IDIC. "Infinite Diversità in Infinite Combinazioni". In vulcaniano, kol-ut-shan. Nell'unione tra le diversità scaturisce un'unità che è maggiore della somma delle parti. È un evidente fenomeno di sinergia. Ed è questo il senso più profondo del processo di intellettualizzazione della realtà. I modi con cui possiamo osservare il mondo sono assai più numerosi degli oggetti fisici presenti effettivamente nel mondo. La filosofia stessa della Flotta Stellare ha alla base il principio stesso dell'IDIC. Ex astra scientia.

Da questo punto di vista l'"irreale" è ciò che non può essere concettualizzato. Il Primo Assunto di Kir-kin-tha significa, al negativo, che la realtà è tutto ciò che, passando attraverso il filtro dell'intelligenza, può essere trasformato in simboli.

Ciò che non può essere concettualizzato, non esiste.

 


REALIZZAZIONE ATTRAVERSO LA LOGICA

La massima realizzazione di un vulcaniano è di liberarsi da tutte le emozioni e improntare alla mente alla più pura e cristallina razionalità. Ovviamente non è facile per nessun vulcaniano raggiungere un tale traguardo: è necessario recarsi sugli altopiani di Gol, e lì, tra miasmi sulfurei e sculture che sembrano uscite da un quadro di Ernst, sottoporsi al Kolinahr: una lunga serie di rituali di autodisciplina attraverso cui ci si spoglia di tutti i residui emozionali, per infine ottenere il Riconoscimento di Logica Totale. Da ciò che abbiamo detto, è evidente che per "emozione" un vulcaniano non intende soltanto i nostri banali stati emotivi (gioia, rabbia, dolore, tristezza...), ma tutto ciò che impedisce alla mente una perfetta oggettività; attraverso il Kolinahr si impara a mettere in disparte il proprio Io, sì da non lasciarlo interferire con i processi mentali.

È insomma una specie di "annientamento della personalità", abbastanza simile a quello praticato sulla Terra dagli asceti indù e buddhisti.

Dopo il suo lungo contatto con gli umani, anche Spock a un certo punto avvertì il desiderio di sottoporsi al Kolinahr, ma, come sappiamo, senza successo. Fu con scarsa soddisfazione che Spock ritornò dai suoi amici umani per cercare insieme a loro le risposte che non aveva trovato nel suo tirocinio. Il fallimento lo rese (umanissima reazione) ancora "plus papiste que le Pape": talmente rigido e gelido da lasciare i suoi amici a bocca aperta. "A vulcanian donato non si guarda in bocca" mormorò McCoy a Kirk, come per dire: così è e così ce lo dobbiamo tenere. (24)

Particolarmente significativo al riguardo fu l'incontro tra Spock e Data, su Romulus. Data possedeva per sua stessa natura quel traguardo di razionalità totale che Spock, nonostante i suoi sforzi, non era mai riuscito a raggiungere. Ma al contrario, Data percepiva la sua logica come un limite, un ostacolo che gli sbarrava il suo cammino verso l'umanità. Se esteriormente i due personaggi si comportavano nello stesso modo, ciò che erano e ciò che volevano essere non poteva renderli più differenti. Era come se si fossero incontrati a metà strada proveniendo da due direzioni diametralmente opposte. Spock cercava di cancellare quell'umanità che pure possedeva per trasformarsi in una specie di macchina, Data simulava un'umanità che non possedeva per innalzarsi al di sopra del suo esser macchina. E mentre il primo nascondeva dietro la sua maschera inpassibile la propria natura tormentata, il secondo si muoveva tra gli uomini senza emozioni ma con un'involontaria vis comica. (25)

Non sappiamo quali conclusioni abbia tratto Spock da questo incontro. Sicuramente l'esempio di Data gli avrà dato molte cose su cui riflettere, riguardo la razionalità, la logica, la vita, l'umanità. Disgraziatamente dopo questi fatti i nostri contatti con Spock si sono perduti...

Aspetteremo.

 


ETICA E UTOPIA

Una come me, che sguazza notte e giorno nella fantasia, trova gelida la mentalità vulcaniana. A noi poveri umani piace fingere che le cose siano in maniera diversa da come stanno, a noi fa comodo evitare di guardare in faccia la realtà e cullarci nelle pie illusioni. State pur certi che per un vulcaniano questi sono atteggiamenti mentali non solo indisciplinati, ma addirittura perversi! Per i Vulcaniani non esistono giusto o sbagliato, bello o brutto, buono o cattivo... ma solo logico e illogico. Sono certa che un tribunale vulcaniano potrebbe assolvere anche il più atroce delitto se il reo dimostrasse di averlo compiuto per una ragione logica. Ma è risaputo che su Vulcano i delitti sono rarissimi. La logica porta invariabilmente a una forma di disciplina etica che ha molto dell'antico stoicismo classico. Seneca avrebbe trovato irresistibile la filosofia vulcaniana!

Mentre tra noi umani l'etica è spesso fondata sulla religione (e in maniera talmente radicale che spesso il messaggio etico soppianta quello religioso), tra i Vulcaniani l'etica sembra essere una conseguenza di una ricerca sociale effettuata con i puri strumenti della logica. Detto in un modo un po' meno elegante, l'etica vulcaniana è perfettamente laica.

Secondo la teologia cristiana tutti gli uomini hanno un naturale discernimento tra il bene e il male e la Chiesa riconosce la possibilità di salvarsi anche ai non-cristiani a patto che seguino la loro coscienza. Ma ovviamente la morale approvata dalla Chiesa è considerata superiore a qualsiasi etica suggerita dalla pura ragione. Questo principio, specie nelle tre religioni abramitiche, basate sull'osservazione di una Legge scritta una volta per tutte per rivelazione divina, ha portato all'ovvia difficoltà che, nonostante il progresso tecnologico abbia mutato le realtà sociali, la Legge rimane immutabile, in quanto Parola Divina, e non è possibile cambiarne neppure una virgola. Ne deriva, nei paesi ebrei, cristiani e musulmani, una scissione tra morale "religiosa" e morale "laica", e quindi una gran confusione tra integralisti e modernisti.

L'etica vulcaniana, grazie a Surak, non è religiosa. È basata sulla ragione, o per meglio dire, sulla logica. Più che allo stoicismo classico si potrebbe pensare a Cartesio e alla sua "morale provvisoria". In altre parole, non essendo possibile arrivare con la ragione a una morale perfetta, si sceglieranno dei princìpî dettati dalla logica e destinati ad essere via via migliorati e raffinati man mano che se ne presenterà l'occasione. Sono sicura che i Vulcaniani sottoscriverebbero la morale cartesiana, anche se non si può negare che Cartesio, coinvolto fino al collo nella dicotomia tra corpo e spirito (lui stesso sarà una delle cause della nostra odierna confusione riguardo al katra), aveva comunque in mente una morale definitiva, probabilmente coincidente con quella religiosa, per quanto inaccessibile alla pura ragione.

Sono sicura (ma questa è una mia ipotesi) che i Vulcaniani abbiano poche leggi scritte, in quanto la perfetta aderenza della ragione alla logica e della logica alla realtà dètta il comportamento appropriato nelle varie circostanze. Esistono certamente dei princìpî etici generali, ma qualsiasi vulcaniano sa perfettamente che, in caso di necessità, può decidere liberamente usando la propria ragione.

Ricordate quando T'Pring combinò il duello tra Spock e Kirk, in modo che, qualunque ne fosse stato l'esito, lei avrebbe comunque sposato quel bellimbusto di Stonn? Dire che T'Pring non aveva molto gusto in fatto di uomini è solo il giudizio della mia personalità passionale. T'Pring aveva invece compiuto una scelta del tutto razionale. Persino Spock, ripresosi dal plak-tow, dopo aver praticamente ammazzato il suo capitano, lodò la sua logica stringente e perfetta. Un umano l'avrebbe massacrata! Un vulcaniano no: il comportamento di T'Pring, date le circostanze, è stato perfettamente logico e quindi il più auspicabile. (26)

Se così è, la società vulcaniana rappresenterebbe una forma di anarchia illuminata: l'utopia finale che l'umanità ha sognato fin dall'inizio dei tempi. Un discorso sulle utopie ci porterebbe troppo lontano e poi finirei con impelagarmi in disquisizioni ideologiche che preferirei evitare (sono pur sempre uno Spirito Libero!). Farò solo notare che tutti i tentativi dei Terrestri di creare delle utopie sono miseramente falliti. Il XX è stato il secolo del naufragio delle utopie! Com'è stato ripetuto fino alla nausea, che prima di creare una società perfetta bisognerebbe creare l'uomo perfetto.

Bene, è proprio quello che ha fatto il grande Surak!

Al contrario di tanti ideologi umani, Surak non ha preteso di iniziare la sua rivoluzione mutando le regole della società, bensì mutando la gente. L'insegnamento etico di Surak si basava su un "Risveglio" interiore dei singoli individui. In questo senso, Surak è più vicino a Cristo o a Socrate di quanto non sia a Smith o a Marx. Egli insegnò ai bellicosi Vulcaniani la disciplina, la padronanza delle emozioni, il pensiero razionale. Da qui sarebbe poi derivata un'etica basata sulla ragione, e infine, un'utopia sociale come quella che i Vulcaniani, a quanto pare, sono andati molto vicini a realizzare.

 


RELIGIONE VULCANIANA?

Prima di cercare di capire quale sia la visione metafisica delle genti di Vulcano, bisogna stabilire che cosa s'intende per "religione". La fede in una divinità?

Cielo, no! Il concetto stesso di divinità appartiene al regno della mitologia, intendendo con questa parola l'universo simbolico che aiuta noi esseri umani a rapportarci con i tre livelli del reale: la nostra interiorità, l'ambiente sociale, l'universo esterno. Microcosmo, mesocosmo e macrocosmo. Scopo di ogni sistema mitologico è di fornire i presupposti simbolici su cui gli uomini possano rispettivamente trovare il proprio equilibrio personale, fondare la loro etica sociale, relazionarsi con questo universo vasto e gelido. L'immagine di un dio (in tutte le sue possibili coniugazioni) fa parte di questo sistema di simboli che è la mitologia. Ma ignorando le proprie deformazioni soggettive per attenersi alla "verità reale", i Vulcaniani hanno compiuto un processo di oggettivazione del loro pensiero e dei loro processi psicologici che li ha portati molto lontani dai propri antichi simboli mitologici.

Se volete farvi del male, vi consiglio di fare a un vulcaniano una domanda religiosa. Quando chiesi a Spock se secondo lui l'universo potesse essere il risultato dell'azione creatrice di un dio (o di Dio), la sua risposta più o meno fu la seguente:

"Mia cara signora, la sua ipotesi di spiegare l'esistenza universo tramite creazione da parte di un essere superiore, ha probabilità scarse se non nulle di potersi applicare alla realtà. In ogni caso, non risolve neppure il problema dell'esistenza della realtà, ma la sposta indietro di un gradino. Una volta che lei ha ipotizzato l'esistenza dell'universo tramite creazione da parte di un essere superiore, poi dovrebbe poi spiegare la presenza di quest'essere superiore. Mi sembra ovvio che a questo punto rischia un regressus ad infinitum. Un noto principio logico, conosciuto anche agli umani, afferma che le entità non vanno moltiplicate senza ragione. In conclusione, mia cara signora, la sua ipotesi è illogica." (27)

La religione, in senso generale, non ha affatto bisogno del concetto di Dio. Il Buddhismo considera l'idea di Dio come un'altra delle "illusioni" da cui l'uomo si può e si deve liberare se vuole raggiungere l'Illuminazione. È sbagliatissimo considerare il Buddhismo come una filosofia soltanto perché non presenta divinità da venerare o adorare. Anzi, rispetto al Cristianesimo o all'Islām, il Buddhismo amplia ancora di più lo spettro metafisico, portandolo un gradino al di sopra di Dio. È il famoso Nirvāṇa di cui non si può dir nulla tranne che per negazione. Come ben sanno i mistici, la realizzazione metafisica non è esprimibile a parole, perché è al di là delle parole, della ragione, della logica.

Allora che cos'è la religione? Oggi tendiamo a confondere la religione con l'etica, o peggio ancora, a cercare giustificazioni scientifiche nelle verità religiose. Eppure la religione non è un'etica, anche se ha dei risvolti etici; la religione non va confusa con i costumi sociali, anche se contribuisce a plasmarli. Dire che il messaggio del Cristianesimo si risolve nella fratellanza e nell'amore, significa sottovalutare il messaggio di Gesù. Purtroppo sono pochi, nella nostra epoca di viaggiatori stellari, ad andare al di là delle forme esteriori del fenomeno religioso per occuparsi del significato stesso della religione. Gesù ha detto, sì, "ama il prossimo tuo come te stesso", ma soltanto quale logica conseguenza di "ama il Signore Dio tuo con tutta la tua anima e con tutta la tua forza". Il "prossimo" non è solo gente con cui siamo costretti a convivere, ma un'epifania divina!

Liberiamoci dunque dell'idea, fuorviante, che la religione c'insegni l'amore e la fratellanza. Scopo della religione è la realizzazione metafisica dell'individuo.

(Ho detto "metafisica" e non "metafasica": qualche idiota ha addirittura confuso queste due parole nel doppiaggio in italiano di Insurrezione... bah!).

Dunque, ripetiamo:

Scopo della religione è la realizzazione metafisica dell'individuo.

Che cosa intendo? Non è semplice spiegarlo, anche perché le varie religioni esprimono il medesimo concetto in mille modi diversi. Possiamo dire così: mèta che si prefiggono le religioni è ricondurre l'individuo a quel Principio di cui esso è emanazione. Chiamatelo come volete: Brāhman, Nirvāṇa, Ên Sôp, Dio, Mistero, Assoluto. È la stessa cosa. Fiamme differenti di uno stesso Fuoco.

Ogni creatura intelligente sa che la sua scaturigine si trova nel cuore dell'Assoluto. Però noi viviamo in una realtà materiale e contingente: dunque si deve essere operata una rottura tra noi e l'Assoluto. Le varie religioni spiegano questa rottura in termini storici, mitici o psicologici. La tradizione giudaica vuole che la caduta dell'uomo sia avvenuta una volta per tutte all'inizio del tempo, con la cacciata dall'Eden; la tradizione induista parla invece di una rottura interiore che si compie quotidianamente in ogni essere umano, che si sente sganciato dal Brāhman proprio perché prigioniero dell'illusione della materia. Nel primo caso, il ritorno all'Assoluto si compirà con l'apocatastasi finale; nel secondo caso con la disciplina interiore e lo yoga. E questi sono solo due esempi scelti tra infiniti altri. Generalizzando, si può dire che ciò che la religione insegna a ogni uomo è come trascendere questo mondo del tempo e dello spazio e tornare di nuovo a fondersi con l'Assoluto da cui proviene e di cui fa parte.

Possiamo parlare di qualcosa di simile per i Vulcaniani?

 


VERSO UN MISTICISMO VULCANIANO?

Se all'inizio ci figuravamo i Vulcaniani come macchine di incrollabile razionalità, in seguito abbiamo raggiunto un'idea assai più sfumata del popolo dalle orecchie a punta. Di colpo ci siamo resi conto che l'atteggiamento pomposo dei Vulcaniani è quasi ieratico e il loro attaccamento alle tradizioni avite si colora di misticismo.

Scopriamo così che Spock ha un'anima immortale (un'anima? Spock?). Scopriamo che questo katra è stato deposto da Spock nella mente del dottor McCoy, il quale deve portarlo sul monte Seleya su Vulcano. Scopriamo poi che il katra può essere riunito al corpo, con una cerimonia chiamata fal-tor-pan. La cerimonia può essere pericolosa, ma non ci viene spiegato perché. Il "trapianto" di katra riesce e Spock, che era morto, torna in vita (28). Tutta la scena ha l'aria di essere un rito religioso, si mormorano mantra e ci si muove tra spire d'incenso, vulcaniani nerboruti suonano i gong e belle sacerdotesse seminude guidano la processione. Se gli amici di Spock sono perplessi, lo sono anch'io. Questo non è il vulcano logico e razionale che conoscevo!

Evidentemente fino ad oggi i Vulcaniani ci avevano mostrato solo la superficie esterna di quella che era la loro cultura. Si sa, i Vulcaniani sono gente molto riservata...

Ma allora, se ne è dedotto, i razionalissimi Vulcaniani hanno un'anima immortale, hanno una religione!

Calma. È invece probabile che l'atteggiamento dei Vulcaniani riguardo al loro katra non abbia nulla di religioso; semplicemente essi si limitano ad applicare le loro capacità telepatiche e le loro superiori conoscenze psicologiche. A voler vedere il katra come qualcosa di soprannaturale, noi terrestri non faremmo forse una figura migliore di un cavernicolo che cerca di spiegarsi il fulmine come l'atto incomprensibile di un dio irato. È mia opinione che il katra non abbia nulla a che fare con la religione o il soprannaturale e che solo questa illazione farebbe fallire il Kolinahr a un'intera classe di agguerritissimi vulcaniani. Abbiamo già visto che la logica, per un vulcaniano, è la "verità reale", cioè l'aderenza ai fatti concreti e oggettivi. In un tale quadro, non c'è posto per il soprannaturale: ogni elemento, per essere accettato, deve avere una base razionale, empirica, sperimentabile.

Il katra è probabilmente il risultato estremo del principio della fusione mentale, con la differenza che mentre in questa si trasmettono solo ricordi o nozioni superficiali, nel fal-tor-pan viene trasferita l'intera personalità che compone l'individuo. Sono conscia di stare minimizzando una questione delicatissima e assai complessa, ma per adesso il problema di che cosa sia il katra esula dal compito che mi sono prefissa.

Per quel che mi riguarda, anche tradurre katra con "anima" è sbagliato. Sarek non è molto preciso quando definisce il katra "la vera essenza", "tutto ciò che non è fisico", "lo spirito vivente", anche se immagino usi queste parole a puro beneficio di Kirk. Ma è sicuramente più vicino alla realtà pratica quando dice che per un vulcaniano perdere il katra significa perdere "tutto ciò che sa, tutto ciò che è" (29).

Il katra è dunque il punto su cui fa perno qualche forma di religione vulcaniana? È da escludere in virtù della mentalità logica dei Vulcaniani e del fatto che comunque è possibile spiegare il katra in termini fisici. Allora possiamo forse parlare per i Vulcaniani (come è stato fatto) di una religione più "filosofica", come il Buddhismo? Il katra è stato addirittura avvicinato al karma, in virtù della vicinanza fonologica...

No, qui bisogna fare un po' d'ordine.

Nella visione buddhista del mondo, nulla di ciò che ci circonda ha importanza, in quanto tutto quel che appare ai nostri sensi fa parte di quella grande illusione, la māyā, le cui lusinghe ci trattengono nel tempo e nello spazio e impediscono la nostra realizzazione metafisica. Così tutti gli esseri si reincarnano continuamente, di vita in vita, di mondo in mondo, senza scopo e senza fine. Il karma è semplicemente la legge di causa ed effetto, l'automatismo metafisico che dirige questo avvicendarsi di reincarnazioni in forme superiori o inferiori, e non ha nulla a che vedere con il katra nonostante l'assonanza dei nomi. In realtà, lo scopo del buddhista è distaccarsi totalmente da tutto ciò che lo trattiene nel mondo, compresa l'illusione del suo stesso Io, e accedere a sfere sempre più elevate, fino a perdersi in quell'indefinibile Assoluto che è il Nirvāṇa.

Forse qualcuno potrà trovare qualche parallelo tra la reincarnazione buddhista e la "rifusione" a cui Spock è stato soggetto nel fal-tor-pan. Mi spiace, nulla di più diverso. Per il buddhismo, non è l'individuo che si reincarna, ma il suo ātman, il principio vitale. L'Io [aham], che è un'altra delle illusioni del mondo, scompare con la morte, per sempre. Il modo che hanno i Vulcaniani di perpetuare la propria personalità in un'altra mente è dunque decisamente opposto a ciò che intendono i buddhisti per metempsicosi.

Il Buddha forse avrebbe apprezzato lo sforzo vulcaniano di eliminare la propria soggettività, che ha certamente qualcosa di orientale, ma avrebbe disprezzato il rituale del fal-tor-pan e il suo patetico tentativo di duplicare un Io che considera già illusorio in partenza. E soprattutto, non avrebbe apprezzato la logica vulcaniana dell'oggettività, perché per il buddhismo il mondo che ci circonda, lungi dall'essere c'thia, "verità reale", è pura illusione. Dal punto di vista buddhista, l'idea vulcaniana di strutturare i propri processi mentali sulla realtà oggettiva del mondo esterno sarebbe un gravissimo errore!

Tempo fa avevo iniziato scrivere un pezzo teatrale, un dialogo immaginario tra Buddha e Surak, con il primo che cercava di spiegare all'altro l'illusorietà del mondo materiale, e Surak che sollevava un sopracciglio e rispondeva: "Illogico!". Ma era troppo cervellotico, così a un certo punto sono andata sulla scogliera e ho affidato tutto alle onde...

 


RITI E RITUALI

Un altro punto assai controverso è il fatto che spesso vediamo i razionalissimi Vulcaniani indulgere in strani rituali: gli esercizi di meditazione, i riti di passaggio, i matrimoni, le sfide all'ultimo sangue. T'Pau dice al riguardo:

"Questo è il cuore vulcaniano, questa è l'anima vulcaniana, questo è il nostro costume" (30).

Ma di nuovo, il fatto che i Vulcaniani seguano delle procedure antiche e fortemente ritualizzate, non significa che diano ad esse un significato religioso. Anche il Confucianesimo dava un'importanza estrema al rituale. I riti confuciani, esemplificati nelle prescrizioni dettagliatissime del Li Ji, scandivano tutti i vari momenti della vita nell'antica Cina; toccavano la politica, il diritto, l'ordine sociale, le corti feudali, la cultura dei dotti, l'educazione del popolo, le questioni morali, le regole di cortesia, l'etichetta, le buone maniere, il decoro personale, i rapporti tra coniugi, il comportamento dei funzionari, gli usi e i costumi. Toccavano anche questioni religiose, ma in quanto parte integrante della vita pubblica. Epperò non si trattava di riti religiosi ma civili. Confucio e i suoi seguaci non videro mai la religione come strumento necessario alla salvezza individuale, ma solo come mera codificazione di rituali, allo scopo di stabillire la tradizione e mantenere l'ordine. Ferocemente, il filosofo Mo Zi attaccò il formalismo confuciano: "reputano gli spiriti senz'anima, eppure fanno elaborati funerali". (31)

L'attaccamento dei Vulcaniani ai propri riti, tuttavia, non è un vuoto formalismo, ma piuttosto una precisa scelta di vita. In tutte le società pre-scientifiche della Terra, i riti non sono soltanto formalità civili o religiose, ma assolvono a precise funzioni psico-sociologiche. I riti dei popoli primitivi hanno lo scopo di riorganizzare la psiche degli iniziandi, in maniera irreversibile. Questi riti sono spesso basati su pratiche scioccanti e dolorose: nei riti di passaggio, il bambino viene rapito durante la notte e viene condotto, terrorizzato, in aperta campagna, dove viene sottoposto a prove crudeli: circoncisione, subincisione del pene, scarificazioni del corpo, avulsione degli incisivi, in certi casi delle vere e proprie mutilazioni rituali. Il ragazzo impara i miti e i misteri che sono alla base della vita e della società umana, dopodiché riceve un nuovo nome e viene riportato al villaggio. Da questo giorno non abiterà più con le donne ma con gli uomini, non praticherà più i giochi dei ragazzi, ma sarà un cacciatore e un guerriero. Lo scopo di questi riti (crudeli, dolorosi, esaltanti) è di trasformare un bambino in adulto, non solo formalmente, ma soprattutto psicologicamente. Una volta superato il rito, l'individuo non potrà più tornare bambino. Egli è adulto. Definitivamente.

Nella società umana "moderna" i riti di maturità sono stati soppressi, certo con sollievo da parte degli adolescenti, che però si trovano ad oscillare per anni tra infanzia e maturità, senza appartenere davvero né all'uno né all'altro stato. Si pretende da loro che si comportino da adulti, eppure gli si impedisce di assumersi certe responsabilità. Di qui, tutta una serie di disagi giovanili tipici della nostra società che gli antropologi hanno puntualmente indicato.

Come al solito i Vulcaniani sono stati più saggi di noi: si sono avviati sulla via della razionalità ma hanno mantenuto i loro riti di passaggio. Essendo dei telepati, con precise e dettagliate conoscenze psicologiche, hanno compreso da sempre l'importanza di certi rituali nello sviluppo psicologico degli individui e hanno deciso che era logico mantenerli. Sappiamo che Spock, all'età di sette anni, intraprese l'ordalia del kahs-wan, dimostrando a sé stesso e alla società di poter sopravvivere da solo sulle desolate alture di Llangon (32). Le tappe dell'addestramento formale vulcaniano per diventare adulti sono molte e difficili: anprele, dwemish-nian, enokkafi, norn-la-hal, seleant'lii (33). A ogni tappa corrisponde verosimilmente un preciso livello psicologico raggiunto dall'individuo, approvato e riconosciuto a livello sociale.

Il mantenimento degli antichi riti ha, per i Vulcaniani, un'importanza formativa non indifferente. Un popolo che ha fatto della disciplina il suo stile di vita, deve necessariamente seguire precisi rituali, in funzione di un continuo riequilibrio della personalità dei singoli individui. C'è una differenza enorme tra questo tipo di ritualità vulcaniana, d'impronta psicologica-sociale, e i riti propriamente religiosi.

 


LA LANCIA NEL CUORE DELL'ALTRO

Quanto ho detto prima sull'etica vulcaniana potrebbe però essere messo in discussione semplicemente andando indietro, al Tempo del Risveglio, cercando di analizzare le basi più profonde del messaggio di Surak. Sì, abbiamo detto che l'etica vulcaniana è perfettamente laica e connaturata ai dettami della logica. Eppure ci sono parecchi passi, nei classici della letteratura filosofica vulcaniana, alcuni delle quali attribuiti allo stesso Surak, che sembrano attingere a una sfera più profonda.

"La lancia nel cuore dell'altro è la lancia nel tuo: tu sei lui." (34)

Analizzando questa frase con gli strumenti della logica elementare, si rischia di incorrere in gravi contraddizioni: "tu sei lui" contrasta con le leggi della riflessività e della non contraddizione. È una frase antica, dal carattere pre-Risveglio. Qui bisogna rinunciare agli strumenti della logica per scavare più a fondo. Infatti, se analizziamo la frase alla luce della teologia delle religioni terrestri, scopriamo una serie di illuminanti paralleli.

"Ogni volta che avete fatto ciò a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" dice Gesù (35). C'è nel Cristianesimo, l'idea di una fratellanza universale di tutti gli uomini, che, in quanto creati da Dio, si riconoscono consustanziali l'uno all'altro e tutti insieme consustanziali in Dio. La devozione con cui San Francesco abbraccia il lebbroso non è dovuta solo a un senso di pietà nei confronti del fratello sfortunato, ma proprio al fatto che anche un lebbroso è un'epifania divina. Un rabbino disse una volta, molti secoli fa: "Quando un uomo passa per la strada, un esercito di angeli lo precede, gridando: fate largo, fate largo all'immagine dell'Altissimo!". L'idea, ancora più sviluppata nelle religioni orientali, vuole che ogni uomo sia in realtà una manifestazione dell'Assoluto. Il saluto a mani giunte che gli indù si scambiano tra loro ha l'intensità di una preghiera e significa "Mi inchino dinanzi alla divinità che è in te".

Ciò che ciascuno di noi fa all'altro in realtà lo fa all'Assoluto, e dunque a sé stesso. Per questa ragione il dolore altrui ci appartiene, per questa ragione non si può essere felici se altri sono tristi.

La parola chiave, in un tale contesto, è "compassione". La parola viene dal latino cum patire, "soffrire con", farsi carico del dolore di un altro perché il suo dolore è il nostro dolore. Perché la lancia che trafigge il suo cuore trafigge anche il nostro. Secondo l'Induismo, e secondo quella sua filiazione radicale che è il Buddhismo, la compassione, in sanscrito karuṇa, è l'unico atteggiamento appropriato di fronte alla sofferenza. Poiché noi non siamo che schegge di Assoluto imprigionate in quest'illusione di corporeità e temporalità che è il nostro Io, il nostro dolore è solo l'illusione di un dolore. La compassione non è dunque diretta alla sofferenza, quanto all'ignoranza che è la sorgente della sofferenza. Chi si è ormai staccato dalle passioni, può ben guardare al sofferente con infinita compassione: soffro con te, fratello, e condivido il tuo dolore, perché non c'è differenza tra me e te.

La frase di Surak "tu sei lui" ha un sapore profondamente induista. La ritroviamo pari pari nelle Upaniṣad, dove, nella forma tat tvam asi, si configura la consustanzialità di tutti gli esseri nell'Assoluto (36). Quest'espressione, in sanscrito, vuol dire "Tu sei lui". Ovvero, in quel qualunque "lui", l'indifferenziato Assoluto, causa materiale ed efficiente di tutto ciò che esiste.

Il "Tu sei lui" surakiano sembra riferirsi a una totale consustanzialità tra tutti gli uomini, anche se non credo vi sia un riferimento religioso. La frase sembra scaturire da un ragionamento logico. Il punto è che i Vulcaniani non sembrano dare alla vita umana lo stesso grado d'importanza che le dànno i terrestri. L'atteggiamento dei Vulcaniani nei confronti della vita è più pragmatico e razionale di quello umano. È vero, sono un popolo altamente pacifista, preferiscono affrontarsi sul piano intellettuale che sul piano fisico, le loro arti marziali vengono usate in attività di autodisciplina piuttosto che per l'attacco e la difesa. Il loro rifiuto di mangiare carne, poi, rassomiglia all'ahimsā buddhista. Tuttavia, per una mentalità vulcaniana, la vita ha un valore esclusivamente funzionale.

Un umano potrebbe uccidere per odio, per soldi, per invidia, per vendetta, per amore, per compassione. Potrebbe uccidere e poi pentirsi. Tutto ciò è lontano dalla sfera mentale di un vulcaniano, il quale non esiterebbe a uccidere se ha un motivo logico per farlo: senza emozione, senza odio, senza pentimento. Quando, sulla Voyager, Lon Suder uccide un collega, la perplessità di Tuvok è concentrata piuttosto sul fatto che l'omicidio non sembra avere un movente, ed è lui stesso in seguito a proporre, viste le circostanze, la pena di morte (37). Sappiamo che alcuni riti vulcaniani contemplano la possibilità di uccidere: il kal-if-fee è un caso noto di duello perfettamente ammesso e riconosciuto dalla civiltà vulcaniana. Allo stesso modo Spock è perfettamente convinto che "le esigenze di molti valgono quanto quelle di pochi o di uno". Scegliere tra la vita e la morte per Spock è questione di logica: dovranno essere i suoi amici umani a capovolgere questa logica vulcaniana per ribadire il valore anche di una sola vita (38). Ma questo è un atteggiamento terrestre, ben comprensibile alla luce di ciò che abbiamo detto, la consustanzialità di tutti gli uomini con Dio, e non può e non potrà mai essere un concetto familiare a un vulcaniano, che invece considera più semplicemente ogni vita equivalente a qualsiasi altra vita.

Tornando alla frase di Surak, nego recisamente che, nonostante le somiglianze con analoghe espressioni umane, sia data alla vita un qualunque valore metafisico. L'uguaglianza tra gli uomini e la pari importanza del dolore di ciascuno ha qui un valore perfettamente orizzontale. Etico, dunque, ma non religioso. Anzi, ritengo che questa forma di "co-appartanenza" degli uomini in tutti gli uomini, debba essere più sentita in un popolo naturalmente telepatico com'è quello vulcaniano.

 


L'ENIGMA DI A'THA

A questo punto bisognerà affrontare un altro punto importante: a'Tha.

Stando ad alcune contraddittorie informazioni, sembrerebbe che tutti i vulcaniani possiedono un "senso mistico" perfettamente funzionante e perennemente focalizzato sulla presenza divina. La parola chiave è a'Tha. Sembra che questa sia una delle parole più arcaiche della cultura vulcaniana, una delle prime ad essere scritta, tanto che il termine è pressoché immutato in tutte le più antiche lingue del pianeta. Spock traduce a'Tha con "immanenza", anche se è perfettamente conscio della inadeguatezza del termine. Le sue precise parole sono:

"a'Tha è l'esperienza diretta dell'essere o della forza responsabile della creazione e della continuità dell'universo." (39)

Così Spock spiega a'Tha a Kirk e McCoy, durante la loro permanenza su Vulcano, e la mente di Kirk va immediatamente all'idea terrestre di "Dio". Spock si limita a rispondere:

"In questo caso Dio è un termine buono quanto qualsiasi altro. I Vulcaniani sperimentano questa presenza direttamente, costantemente. Lo hanno sempre fatto, per quanto con intensità variabile." (39)

McCoy ne deduce che i Vulcaniani possiedono, per loro virtù naturale, quell'informazione metafisica che altre razze hanno cercato per secoli e in nome della quale hanno persino combattuto delle guerre. Spock approva la definizione, con qualche riserva, e aggiunge che l'"informazione metafisica" di cui il suo popolo beneficerebbe non risponde in realtà alle Grandi Domande e non ha comunque impedito ai suoi antenati di combattersi per secoli, spinti da una sorta di disperazione esistenziale a causa del dissidio tra la presenza di a'Tha e l'effettiva realtà del mondo.

Tutti i Vulcaniani che ho sentito al riguardo sono stati assai laconici: Spock doveva avere un buon grado di affinità con Kirk e McCoy per lasciarsi sfuggire queste indiscrezioni riguardo ad a'Tha. Io ho cercato per giorni di strappargli qualche informazione in più, l'ho addirittura invitato a una cenetta tiburiana cucinata dalla sottoscritta, ma Spock si è limitato a fare lunghi giri di parole senza aggiungere nient'altro oltre a ciò che vi ho riferito.

Riguardo ad a'Tha confesso tutta la mia ignoranza. Cercherò di avvicinarmi al problema come ho sempre fatto, per via comparativa.

Poiché i Vulcaniani sperimentano continuamente la presenza di a'Tha, dobbiamo dedurre con in loro non si è mai verificata quella rottura con l'Assoluto che è all'origine delle religioni terrestri? Sarebbe un bel modo di spiegare perché non esiste una religione vulcaniana. Degli esseri che non hanno mai sperimentato la caduta e il peccato, che bisogno avrebbero di una religione?

Calma. È vero che ad occhio e croce, con a'Tha sembra di parlare di un'esperienza vulcaniana del divino. Ma McCoy sbaglia ad invidiare i Vulcaniani per questa loro "virtù naturale", perché l'esperienza del divino non è affatto negata alle altre razze. Stiamo parlando, signori, dell'esperienza mistica, oggi piuttosto rara tra gli umani, ma diffusa nelle epoche pre-scientifiche. I grandi mistici della tradizione cristiana e musulmana furono in grado di realizzare, durante la loro vita, stati più o meno prolungati di unione con Dio. Basti pensare ad Ezechiele, Gesù, Ildegarda di Bingen, Santa Teresa de Ávila, San Juan de la Cruz, Meister Eckhart, Ğalāl ad-Dīn Rūmī, al-´Irāqī, Ḥallāğ. Gli scritti di queste persone risplendono letteralmente dell'impossibilità di rendere a parole la loro esperienza. La quale in genere viene paragonata a una farfalla, che, attirata dalla fiamma di una candela, arde in essa. I musulmani parlano di al-Fanā`, "la morte mistica". È quel concetto che Dante, con espressione magnifica, definisce "inLuiarsi". L'esperienza mistica è insomma totale, assoluta; l'uomo si spoglia della propria individualità e si perde letteralmente in Dio.

C'è anche da dire che molto spesso i mistici, specialmente i ṣūf ī, cessano di essere dei semplici praticanti per accedere a quello che ai non addetti ai lavori potrà sembrare una forma di irreligiosità, ma in realtà è un superamento di tutte le categorie religiose. Un poeta siriano vissuto intorno all'XI secolo, Abū `l-´Alā al-Ma´arrī, ebbe una volta a dire:

"Sbagliano tutti, musulmani, cristiani, ebrei...
due sole persone formano la Setta Universale:
l'uomo intelligente, senza religione;
l'uomo religioso, senza intelligenza." (40)

Eppure, nel proferire questi versi impietosi, Abū al-Ma´arrī si rifaceva ai più genuini motivi della tradizione sufica: coloro che hanno sperimentato l'unione con Dio non hanno più bisogno di una religione, perché sono arrivati al di là dei riti e dei miti, hanno superato la grande barriera, hanno sollevato l'ultimo velo, hanno avuto la loro fusione con l'Assoluto. La religione appartiene piuttosto a coloro che, non avendo sperimento l'unione con Dio, devono accontentarsi del sermone domenicale.

L'autentica esperienza mistica è però così profonda che non sembra affatto paragonabile alla blanda esperienza di a'Tha sperimentata quotidianamente dai Vulcaniani. A meno che essi non siano mentalmente disciplinati a muoversi soltanto ai bordi di quella Fiamma di cui avvertono l'esistenza, senza mai fissarla direttamente e perderdervisi. Ma anche questo ci sembra alquanto improbabile. Se ne può solo dedurre che l'esperienza di a'Tha delle genti di Vulcano non ha nulla a che vedere col misticismo.

Spock stesso in effetti considera il rapporto tra i Vulcaniani e a'Tha come un fenomeno perfettamente naturale, nient'affatto legato alla sfera metafisica:

"a'Tha è l'unico concetto nella nostra lingua che deve essere continuamente sperimentato per rimanere valido. Non può costringerlo in una data forma, non più di quanto lei possa desiderare di ripetere lo stesso respiro per tutta la vita. Bisogna sperimentare a'Tha ogni secondo in maniera diversa. Ma questa non è una tradizione o un'imposizione, è una semplice conseguenza della struttura dell'universo." (41)

Se ne deduce innanzitutto che il fenomeno della percezione di a'Tha è soggettivo, e che varia a seconda di fattori non ben specificati (per esempio potrebbe diventare più profondo durante la meditazione o passare inavvertito quando si è in altre faccende affaccendati).

Credo che solo l'ignoranza di Kirk in materia di religione lo abbia portato a identificare a'Tha con Dio e immaginare che i Vulcaniani avessero capacità "mistiche" ignote alle altre razze. È ovvio che l'immagine cristiana di Dio non va bene, perché Dio ha creato l'universo, ma Dio non è l'universo. Dio è trascendente mentre Spock ha parlato, giustamente, di immanenza. Tuttavia, una semplice ricerca negli archivi antropologici della Federazione avrebbe risolto il mistero. Le lingue di molti popoli terrestri hanno un termine perfettamente equivalente ad a'Tha.

Se al posto di Kirk ci fosse stato Chakotay, non ci sarebbe stata alcuna difficoltà a capire il concetto di immanenza!

Secondo i pellerossa, il mondo esiste perché in esso è sotteso un principio di cui tutto è parte e da cui tutto promana. Gli Irochesi chiamano questo principio orenda, gli algonchini manitou, i Pequot muundu, i Sioux wakonda, gli Huroni oki. Non è un dio, ma una Forza. Una forza numinosa, impersonale, immutabile. È noto che gli indiani furono assai imbarazzati quando i bianchi chiesero loro di vendergli la terra: loro non sentivano di possedere la terra, perché loro e la terra erano parte di una comune realtà che tutto comprendeva allo stesso modo. Analogamente i Polinesiani usano la parola mana per indicare questa energia sacra. I Giapponesi usano la parola kami, "superiore", per indicare non solo la divinità, ma tutto ciò che supera la dimensione fisica per attingere a un mistero connaturato con le cose, e chiamano aware (parola resa con "commozione") la percezione soggettiva di tale mistero: ma l'aware ha alla sua base un principio estetico, in cui il mistero della sacralità del mondo si fonde a una consapevolezza zen della sua caducità.

Il concetto più vicino a questo tipo di immanenza che il Cristianesimo abbia mai escogitato, è, usando l'ultimissimo verso di Dante, "l'Amor che move il sole e l'altre stelle" (42). Il mondo esiste perché l'amore divino lo compenetra in un continuo e cosciente processo creativo.

Dunque abbiamo appurato che a'Tha non è altro che la sensazione di percepire il mistero del mondo. Il fatto che sia una concetto antichissimo è ovvia prova che risalga ai primordi dell'evoluzione dei Vulcaniani, a epoche antecedenti il Tempo del Risveglio. Potremmo insomma considerarlo un concetto pre-logico che continua a sussistere nell'odierna cultura vulcaniana, che in seguito ha razionalizzato rendendolo come una qualità intrinseca del rapporto tra l'uomo e l'universo.

 


IL SOGNO DI SYBOK

La logica. Non possiamo considerarla una religione, perché manca l'afflato mistico, metafisico o solo intimistico. La logica è la perfetta aderenza alla realtà così com'è, ed è fatta di numeri, di sillogismi e di dimostrazioni induttive. Dunque è prima di tutto una filosofia vicina alla nostra scienza, in secondo luogo una disciplina mentale, in terzo luogo un'etica sociale. Ma non è, e ripeto non è, una religione.

L'unico vulcaniano in qualche modo "religioso" che conosciamo è il folle, melanconico e disperato Sybok. Non per nulla Sybok è un vulcaniano che ha accantonato la logica per esplorare le passioni umane. Dei Vulcaniani che conosciamo, Sybok è l'unico che avvertiva dentro di sé la rottura dell'uomo con l'Assoluto e che per tutta la vita abbia inseguito il sogno del ricongiungimento con il Tutto. L'Uno primigenio, l'Ánthropos cosmico, l'Eden, l'Ên Sôp.

Personalmente mi dispiace di non aver conosciuto Sybok; Anche noi sevrinisti cercavamo, come lui, l'Eden. E poi non dimentichiamo che Sybok era proprio un bell'uomo. Carismatico, affascinante. Mi sarebbe piaciuto essere dei suoi. Scusate, sto divagando. Dicevo, il fatto che Sybok sentisse così forte lo strazio della rottura con l'Assoluto è una bella contraddizione con l'idea che i Vulcaniani avvertino costantemente l'Assoluto in a'Tha. O Sybok era l'unico angelo ribelle di Vulcano, o, più ragionevolmente, a'Tha non è quello che McCoy e Kirk hanno creduto.

Sybok, dunque, unico vulcaniano religioso, anelava a ricongiungersi con l'Assoluto. Il nome che Sybok dava al suo Eden derivava dall'antica mitologia vulcaniana: Sha Ka Ree. Non so molto di miti vulcaniani per sapere quale fosse l'idea originale alla base del sogno di Sybok. Sappiamo che Sha Ka Ree è il luogo dove risiede l'equivalente vulcaniano di Dio e che si trova al di là di una Grande Barriera. Rifacendosi a non so quali antiche tradizioni, Sybok identificava questa Grande Barriera con quella che si trova verso il centro della Galassia. Perciò Sybok ruba l'Enterprise e la conduce in direzione del nucleo galattico. (43)

Abbiamo detto, i Vulcaniani capiscono l'allegoria e non la metafora. L'errore di Sybok è stato di prendere tutto alla lettera. Sybok avrebbe dovuto condurre la sua ricerca nella sua interiorità, dove si trovano tutti gli archetipi. La Grande Barriera che Sybok doveva oltrepassare era il timore che abbiamo tutti noi di superare l'attaccamento al nostro Io per fonderci con l'Assoluto. La farfalla che diventa fiamma cessa di esser farfalla. Noi terrestri rappresentiamo simbolicamente questo "timore" con l'immagine dei Serafini armati di spade fiammeggianti che si ergono dinanzi alle porte dell'Eden, sbarrandoci il ritorno.

Il mito, ricordiamolo, è una geografia dell'anima. Dante conduce il suo intero viaggio dentro la propria interiorità, prim'ancora che nel cuore dell'Inferno e tra le stelle del Paradiso. E "beatitudine" e "dannazione", come ben sapeva quel grande fiorentino che ne ebbe esperienza nel giorno di Pasqua dell'anno 1300, sono termini che si riferiscono altrettanto bene alla nostra lontananza o vicinanza psicologica con l'Assoluto. ´Omar Hayyām, il sublime astronomo di Persia, ben sapeva che inferni e paradisi sono simboli della nostra interiorità, quando scriveva:

La galassia è una cintura del nostro corpo stanco,
L'oceano una traccia delle nostre filtrate lacrime,
L'inferno è una scintilla del nostro vano dolore,
Il paradiso un attimo di una nostra ora di pace. (44)

I filosofi persiani (Sohravardī, Ibn ´Arabī, Qaysarī) parlavano, efficacemente, del mundus immaginalis dei nostri intimi archetipi, a fare da tramite tra il mundus sensibilis della materia grossolana e il mundus intellegibilis delle essenze trascendenti. Si crea così un trimundio, quello che gli indù chiamano Tribhūvana, di cui il primo livello è il mondo della materia, perfettamente indagabile con gli strumenti della scienza razionale; il secondo è il livello della nostra soggettività, da esplorare attraverso la simbologia mitica; e il terzo, infine, è il piano della trascendenza, che non è possibile descrivere a parole, ma di cui si può tuttavia fare esperienza attraverso la fusione mistica con il Divino.

Con queste premesse, è ovvio che Sybok fallisca. Sybok si illude che il suo rifiuto della logica vulcaniana lo possa portare a superare la realtà, quella realtà di cui la c'thia intende essere specchio fedele, e invece non fa che capovolgerla, quella stessa logica, e nel modo peggiore. Proietta i suoi simboli interiori nella realtà esterna. Per dirla con un gioco di parole, scambia la "verità reale" con la "realtà vera". E il mondo su cui giunge, una volta superata la Grande Barriera, è un planetoide che non ha nulla di metafisico, e la creatura che incontra e che afferma di essere Dio è solo un alieno dagli strani poteri, come tanti che l'Enterprise aveva incontrato nei suoi viaggi e dietro il quale non c'è null'altro che la solita vecchia fisica di Newton, Einstein e Cochrane. Questo sedicente "Dio" compare preceduto da una serie di volti, ognuno dei quali rappresenta un diverso dio, secondo una diversa religione e una diversa mitologia, maschere che si coagulano infine nel volto di un dio degno di un fondamentalista protestante. Siamo evidentemente nel mondo dei simboli soggettivi, parecchio al di qua del trascendente.

Tant'è vero che questo "Dio" chiede un'astronave per essere trasportato nel Quadrante Alfa, dove dovrà essere adorato.

È Kirk il primo ad accorgersi di quanto sia ridicola la messinscena. Il suo "Eeeh... scusa!" spezza col suo tono ironico l'atmosfera solenne. La sua domanda è semplice e spiazzante: "Che bisogno ha Dio di un'astronave?"

Forse Kirk aveva letto il Mago di Oz. Ricordate? Fu Toto, il cagnolino di Dorothy, a smascherare il terribile capoccione del mago che teneva soggiogati la bambina del Kansas e i suoi tre bizzarri compari. (45)

E sarà Spock, il fratello di Sybok che non ha mai rinnegato la logica, ad eliminare quel presunto Dio con una bella scarica di concretissimi disgregatori klingon. (46)

La "religione" di Sybok era più un oppio: alleviava dal dolore che è connaturato con la nostra umanità, che invece andrebbe accettato e superato. Era più simile alle ingenue ricette della New Age che alla disciplina di chi si sottomette a un autentico percorso interiore (il termine sanscrito yoga è corradicale col latino iugum). Kirk si dimostra meno superficiale di Sybok: sa che i suoi errori contribuiscono a renderlo quello che è, e non desidera le acque dell'oblio, vuole guardare in faccia sé stesso ed accettarsi così com'è, con il peso di tutti i suoi errori e rimorsi. Sarà lui stesso, James T. Kirk, il capitano che prende a cazzotti la Galassia, proprio lui, alla fine dell'avventura, a indicare il suo petto dicendo che Dio non va cercato tra le stelle, ma dentro di noi. (47)

 


ULTIMA PAROLA

Chi ha visitato, come ho fatto io, gli alloggi di Spock sull'Enterprise A, avrà notato il quadro che lui tiene appeso proprio di fronte al giaciglio.

È un dipinto di Mark Chagall: "La cacciata dall'Eden". I serafini con le spade fiammeggianti che cacciano Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Di nuovo e ancora, è la rappresentazione della separazione dell'uomo da Dio: la rottura che ha condannato l'uomo a vivere nel mondo della materia. Dal giorno della Cacciata, per tutti i secoli a venire, l'uomo sarà costretto a lavorare la terra col sudore della fronte, o a spingersi tra le stelle dove nessuno è mai giunto prima, ma sempre conservando dentro di sé il ricordo del giardino meraviglioso da cui è stato cacciato e sempre chiedendosi se oserà mai affrontare i terribili serafini che gl'impediscono il passo per tentarvi il ritorno.

Davanti a questo dipinto, Spock medita sulla Grande Barriera che separa l'Uomo dall'Assoluto, quella barriera che il suo folle fratellastro aveva cercato invano di superare a bordo dell'Enterprise. Come tutti, Sybok sentiva dentro di sé lo straziante anelito di ritornare all'Eden, solo che il suo errato capovolgimento di logica lo aveva accecato: quella barriera non si poteva trovare al centro della Galassia, dove lui l'aveva cercata, ma proprio dove aveva detto Kirk, dentro il suo cuore.

È Spock stesso, davanti a quel quadro, a dire a Valeris:

"La logica è l'anticamera della saggezza, e non il suo epilogo." (48)

A tutti voi, lunga vita e prosperità.

 


NOTE

  1. Star Trek VIII: Primo contatto.
  2. Episodio pilota. Lo zoo di Talos.
  3. Serie Classica. Verso Eden.
  4. To grok, in italiano "groccare", è una parola tratta dal romanzo Straniero in Terra Straniera, di Robert Heinlein. Significa conoscere una cosa talmente bene che si partecipa della sua essenza, così che alla fine non c'è alcuna differenza tra il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto.
  5. Serie Classica. Viaggio a Babel.
  6. Serie Classica. La Galileo.
  7. Serie Classica. Il diritto di sopravvivere.
  8. Serie Classica. Viaggio a Babel.
  9. Serie Classica. Umiliati per forza maggiore.
  10. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  11. Voyager. Fusione mentale.
  12. Serie Classica. Un tuffo nel passato.
  13. Star Trek IV: Rotta verso la Terra.
  14. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  15. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  16. Serie Classica. Incidente all'Enterprise.
  17. Star Trek Voyager. Eroi e dèmoni.
  18. The Next Generation. Darmok.
  19. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  20. Zvelebil & Zvelebil: Grammatica Vulcaniana. Traduzione di Dario Giansanti e Anna Perugini.
  21. Star Trek IV: Rotta verso la Terra.
  22. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  23. Conversazione privata con Spock.
  24. Star Trek: The Movie.
  25. The Next Generation. Il segreto di Spock.
  26. Serie Classica. Il duello.
  27. Conversazione privata con Spock.
  28. Star Trek III: Alla ricerca di Spock.
  29. Star Trek III: Alla ricerca di Spock.
  30. Serie Classica. Il duello. (Grazie, Saduk!)
  31. Mo Zi: Mo Zi (XLVIII).
  32. Serie Animata. Viaggio a ritroso nel tempo. L'informazione è confermata dai Files Ufficiali.
  33. Diane Carey: Battlestations!
  34. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  35. Matteo: Vangelo (25: 40).
  36. Chāndoya Upaniṣad (6: 11).
  37. Star Trek Voyager: Fusione mentale.
  38. Star Trek II: L'ira di Khan. Star Trek III: Alla ricerca di Spock.
  39. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  40. Abū `l-´Alā al-Ma´arrī: Luzumiyyāt.
  41. Diane Duane: Il mondo di Spock. Fanucci.
  42. Dante: Paradiso (XXXIII: 146).
  43. Star Trek V: L'ultima frontiera.
  44. ´Omar Hayyām: Ruba`iyyāt.
  45. L. Frank Baum: Il mago di Oz.
  46. Star Trek V: L'ultima frontiera.
  47. Star Trek V: L'ultima frontiera.
  48. Star Trek VI: Rotta verso l'ignoto.

 


AGGANCI

Una versione ridotta di questo saggio, a firma di Anna Perugini, può essere rintracciata nel sito ufficiale della Fondazione Vulcaniana Italiana. [QUI]

 


RITAGLI & SPIRAGLI

© 2002 DARIO GIANSANTI

Il Cristo Crocifisso: il Sole e la Luna

L'ANGOLO DI DARIO

Bellezza e commozione

Approccio vulcaniano alla metafisica

Il dio dai palchi cervini

Poul Anderson - In memoriam