ALFABETO PERSIANO

Dario Giansanti

 


SOMMARIO
 

Veduta di Isfahan.

 


LINGUA E LETTERATURA PERSIANA

Il persiano [pārsī, o con pronuncia araba, fārsī] appartiene al ramo indoiranico delle lingue indoeuropee ed è oggi lingua ufficiale della repubblica dell'Īrān, dov'è parlato da circa sessanta milioni di persone, ma è anche presente in Tāğīkīstān ed in Afġanistān.

La fase più arcaica della lingua è l'antico persiano, diffuso nell'impero degli Achemenidi (558-331 a.C.) e attestato dalle iscrizioni monumentali lasciate dagli imperatori di questa dinastia, le più importanti delle quali si trovano a Behīstūm, a Ganğnāmé ed a Taht-e Ğamšīd [Persepoli]. Queste iscrizioni erano in caratteri di tipo cuneiforme, di evidente derivazione mesopotamica, ma laddove il cuneiforme assiro-babilonese era una scrittura mista, insieme sillabica e ideografica, il cuneiforme iranico era esclusivamente sillabico. Affine all'antico persiano era l'avestico, la lingua utilizzata dal profeta Zaraθuštra per i suoi inni, i Gāθā, che costituirono il nucleo attorno al quale sorse l'Avestā, il libro sacro della religione mazdea. L'alfabeto avestico era di tipo consonantico-vocalico, essendo derivato dall'aramaico, che intorno alla metà del Primo Millennio a.C. veniva utilizzato come lingua veicolare in tutto il Medio Oriente. Poiché durante il regno degli Achemenidi l'aramaico divenne la lingua amministrativa dell'impero persiano, fu necessario impiegare scribi aramei tanto nel cuore dell'impero fin nelle più lontane satrapie, fatto che influenzò la formazione delle scritture nazionali dell'età successiva e costituì un importante nesso culturale tra il mondo greco e la lontana India, le cui successive scritture furono parimenti di origine aramaica.

Dopo il crollo dell'impero degli Achemenidi ad opera di Alessandro Magno, che aprì il periodo ellenistico, si avvicendarono sull'Īrān prima gli Arsacidi (250 a.C.-224 d.C.), di origine partica, e quindi i Sassanidi (226-561 d.C.). La lingua entrò in una nuova fase, quella del mediopersiano o pahlavī, di cui rimangono però scarsi documenti. L'alfabeto pahlavico, di tipo consonantico, era ancora una volta di derivazione aramaica.

La conquista araba nel 651 segnò l'inizio di una nuova fase della cultura persiana. Per alcuni secoli l'arabo venne usato come lingua dei dotti e della cultura, mentre il popolo continuava ad esprimersi in persiano. La lingua, arricchita da un'infinità di termini di origine araba, intorno all'anno 1000 già cominciava a sviluppare la fisionomia attuale. Con la fase del persiano classico inizia una strepitosa fioritura letteraria. Rudāgī e Daqīqī utilizzarono per la poesia un persiano praticamente puro, e il successore di quest'ultimo, il grande Abū `l-Qasīm Ferdousī (940-1020), cantò nel suo Šāhnāmé ["Libro dei Re"] le glorie degli antichi sovani della tradizione mazdea, dando all'Īrān il suo poema nazionale. In persiano, Elyas Abū Moḥammed Neẓāmī di Ganğé (1141-1204 ca.) scrisse i suoi cinque deliziosi romanzi in versi, ancora oggi considerati capolavori di raffinata bellezza. In persiano compose parimenti una nutrita serie di grandissimi poeti, in cui il canto dei piaceri del mondo si confondeva in afflati di sottilissimi mistici, i cui nomi fanno oggi parte della letteratura mondiale: il notissimo ´Omar Hayyām (1048-1131 ca.) [VEDI], Moṣleḥ od-Dīn Sa´dī di Šīrāz (1184-1291) , Ğalāl od-Dīn Rūmī di Balh (1207-1273), Šams od-Dīn Hāfeẓ di Šīrāz (1326-1390). Nel campo della prosa si affermarono parimenti i grandi trattati di filosofia, scienza, geografia, le opere di favolistica, di istruzione e i dialoghi. Con i folli ġazal d'amore di Mollā Nūr od-Dīn Ğāmī (1414-1492) sembra chiudersi il periodo classico feconda letteratura classica.

Nel periodo di suo massimo splendore, il persiano godette di grande prestigio, come lingua della poesia e della mistica, ben al di fuori dei confini dell'Īrān. Fu coltivato nell'Impero Ottomano fino a tempi relativamente recenti, in ambito indiano da esuli sunniti sotto la protezione degli imperatori Moghul. In India, anzi, il neopersiano fu lingua ufficiale prima di venire soppiantato dall'inglese nel XIX secolo. Ancora oggi, in Īrān, il persiano è una valida e feconda lingua letteraria e alcuni autori hanno rinomanza internazionale.

La grammatica persiana non è difficile. La lingua ha perduto del tutto il genere grammaticale e utilizza un articolo che viene posposto al nome. I sostantivi di origine persiana formano il plurale con un semplice suffisso, al contrario delle parole di origine araba che hanno conservato le complicate inflessioni interne. Gli aggettivi, anch'essi invariabili, vengono posposti ai sostantivi. La coniugazione verbale mostra le medesime sei persone delle lingue europee (contro le tredici dell'arabo); tempi e modi vengono creati con prefissi e suffissi piuttosto regolari. Dal punto di vista del lessico, buona parte del vocabolario persiano è di origine araba, ma molte parole conservano tuttora le antiche radici indoeuropee.

 


LESSICO FONDAMENTALE

Uomo

Mard

Donna

Zan

Padre

Pedar

Madre

Māadar

Cielo

Āsmān

Terra

Zamīn

Sole

Āftāb

Luna

Qamar

Acqua

Āb

Albero

Deraht

Cane

Sag

Gatto

Gorbé

 


L'ALFABETO PERSIANO

La scrittura arabica, che i popoli dell'Īrān adottarono insieme all'Islām, si adatta pochissimo alle esigenze della lingua persiana. Il persiano non è una lingua semitica ma indoeuropea; ha una gamma vocalica che l'alfabeto arabico non è in grado di segnalare e il suo sistema consonantico è completamente differente da quello arabo. Non c'è dunque da stupirsi se l'alfabeto persiano appaia ibrido e ridondante, con una serie di lettere derivate dall'arabo e non utilizzate in persiano, più altre lettere inventate ex-novo per segnalare quei suoni del persiano che non esistono in arabo.

 


IL SISTEMA CONSONANTICO

L'alfabeto persiano ha desunto integralmente l'alfabeto arabo [VEDI] ma ha dovuto adattarlo alle proprie esigenze fonetiche. Ne vien fuori un ridondante alfabeto di 32 lettere, quattro più dell'alfabeto arabo.

La differente fonetica del persiano ha interpretato gli originali suoni arabi in senso molto diverso, con ampie sovrapposizioni di lettere differenti per indicare suoni uguali, come ora vedremo.

La consonante muta alef, generalmente rappresentata con l'accento lene del greco, ha in persiano la medesima funzione che aveva in arabo, fungendo da aggancio vocalico. Il modo in cui viene utilizzata nel persiano, tuttavia, è un po' diverso, in quanto in persiano alef non funge da supporto per la hamzé.

Le consonanti ed h [ḥey ed hey] portano in persiano la medesima pronuncia di fricativa glottale sorda [h], e corrispondono all'h aspirata iniziale della parola inglese "house" (in arabo la lettera era invece una consonante faringale).

Le lettere h e ġ [hey e ġayn] rappresentano, in persiano come in arabo, la fricativa velare sorda e sonora (anche indicate in alcune trascrizioni con kh e gh). Si tratta in altre parole del ch finale del tedesco "Bach" e della g iniziale dello spagnolo "general".

La lettera q [qāf] (in arabo era un'uvulare sorda, cioè una sorta di c pronunciata in fondo al velo palatino), in persiano è venuta ad avere la medesima pronuncia di ġ, come nell'iniziale dello spagnolo "general".

La consonante ´ayn, trascritta con l'accento aspro del greco (in arabo una faringale), in persiano è divenuta un'occlusiva glottale sorda, cioè un'interruzione istantanea dell'emissione del suono nel corso della parola. In questo caso, assumendo il valore originario di alef.

Le consonanti č e ğ [ čey e ğīm] rappresentano rispettivamente l'occlusiva palatale sorda e sonora, ovvero la c(i) e la g(i) italiane. La prima delle due lettere è un'innovazione dell'alfabeto persiano, non esistendo in arabo.

Le consonanti š e ž [ šīn e žey] rappresentano rispettivamente la fricativa postalveolare sorda e sonora, ovvero lo sc(i) italiano di "sciocco" e la j francese di "jamais". La seconda lettera è di nuovo un'invenzione del persiano, non essendo contemplata dalla fonetica araba.

Le lettere s e z [sīn e zey] corrispondono alla fricativa dentale sorda e sonora, cioè rispettivamente alla s aspra di "sole" e alla s dolce di "rosa".

Non esistendo in persiano alcune classi di suoni presenti nell'arabo, come le spiranti interdentali e le faringalizzate, le lettere che in arabo segnavano questi suoni, in persiano sono venute a sovrapporsi alla pronuncia di s e z. Per esempio, le due lettere s e [sey e sạ̄d] (che in arabo rappresentavano rispettivamente il th sordo inglese di "thing" e una s faringalizzata), in persiano si sovrappongono alla lettera s [sīn] nella pronuncia della fricativa dentale sorda (s aspra di "sole").

Analogamente, le lettere z, ż e [zal, żād e ẓāy] (che in arabo rappresentavano rispettivamente il th sonoro inglese di "that" e una d e una z faringalizzate), in persiano si sovrappongono a z [zey] nella pronuncia della fricativa dentale sonora (s dolce di "rosa").

 


AFFINITÀ E DIFFERENZE TRA GLI ALFABETI PERSIANO E ARABO

La differenza più evidente tra alfabeto arabo e persiano sono le quattro lettere aggiuntive p č ž g che il persiano ha dovuto creare ex novo per indicare dei suoni inesistenti in arabo, e cioè rispettivamente la p, la c(i) palatale, la j francese e la g velare (dura).

Tali lettere sono state formate a partire da lettere arabe dalla pronuncia simile, ma sono state distinte, almenbo tre di esse, con un diacritico a tre punti. Il loro uso è del tutto conforme a quello delle lettere da cui sono derivate.

Alla fonetica persiana mancano alcune serie di suoni, come le enfatiche e le faringali. Per questa ragione ben nove lettere dell'alfabeto arabo non hanno alcun riscontro in persiano e vengono usate solo nelle parole di origine araba (o, in pochi casi, per distinguere parole omofone). Esse sono:

La pronuncia persiana di questi otto segni è ben diversa da quella araba, venendo a sovrapporsi al suono di lettere già presenti nell'alfabeto persiano, cosa che spiega il gran numero di lettere pronunciate allo stesso modo.

L'alfabeto persiano può essere dunque schematizzato dividendo le sue lettere in quelle già presenti nell'alfabeto arabo e quelle che bastano per i suoni del persiano: i due insiemi si intersecano indicando un gruppo, più contenuto, di lettere comuni.

Un'altra curiosa differenza tra i due alfabeti riguarda la successione delle lettere wāw ed hey, che nell'alfabeto persiano è invertita rispetto all'alfabeto arabo. Il persiano scrive inoltre la lettera , almeno nelle forme isolata e finale, priva dei due puntini sottoposti che la caratterizzano in arabo.

 


GRAFIA DELLE CONSONANTI

Le regole di scrittura dell'alfabeto persiano sono le medesime dell'arabo. La scrittura è continua, come nel nostro corsivo, e la forma delle lettere muta, più o meno sensibilmente, a seconda che sia isolata, iniziale, mediana o finale. Ogni lettera si lega dunque alla precedente ed è legata alla successiva. Solo le sette lettere ` d z r z ž v non legano alla successiva, interrompendo di fatto la continuità grafica della parola; la lettera che segue dovrà dunque riprendere con la forma iniziale.

Qualche esempio di parole scritte in persiano:

 


IL SISTEMA VOCALICO

Il vocalismo persiano è ricco e variegato, e questa è la maggiore difficoltà che la scrittura arabica incontra nel rendere la fonetica del persiano. La fonetica araba contempla soltanto tre vocali, a u i, che possono apparire in forma lunga o breve, di cui la scrittura segna soltanto le lunghe. Si può capire quanto poco un sistema così rudimentale si adatti al persiano, che conta non meno di sette vocali, tra lunghe e brevi, e in più svariati dittonghi. Adottando l'alfabeto arabo, il persiano ha dovuto utilizzare un sistema grafico basato su tre sole vocali per esprimere una più ricca variazione di suoni. Di conseguenza, gli iranisti sono spesso incerti se trascrivere dal persiano attenendosi all'ortografia araba o riportare l'effettiva pronuncia persiana: è questa la ragione per cui spesso si trovano grafie differenti per i medesimi nomi (ed esempio la traslitterazione arabica del nome del poeta Firdūsī contro una resa più fedele al vocalismo persiano quale Ferdousī).

Poiché un rigoroso sistema di traslitterazione dovrebbe innanzitutto permettere di risalire senza ambiguità dalla forma trascritta in alfabeto latino a quella nell'alfabeto originale, bisognerebbe privilegiare la grafia della parola, lasciando l'esattezza della pronuncia alla conoscenza delle regole ortografiche da parte del lettore. Ma d'altra parte, il vocalismo persiano è profondamente differente da quello arabo, e vocali che in Arabia sono considerate omofone non lo sono in Īrān. Il metodo di trascrizione che abbiamo adottato, seguito da molti autori, pur non essendo strettamente formale, è altrettanto rigoroso.

Graficamente, l'alfabeto persiano segnala tre vocali brevi e tre lunghe, le medesime dell'alfabeto arabo. Senonché il colore delle vocali in persiano è avvertito con maggior importanza della loro lunghezza, che anzi è raramente distintiva di significato. Questa è la ragione per cui nella traslitterazione del persiano si usa distinguere ogni volta e da i, od o da u, mentre la lunghezza viene segnalata con un macron soprattutto in ossequio alla grafia di origine araba.

Queste sono le vocali segnate come brevi:

Qui a si pronuncia come una e molto aperta, o ed e sono invece pronunciate come le rispettive vocali chiuse dell'italiano.

Le tre vocali segnate come lunghe sono formalmente considerate corrispondenti alle tre brevi:

Qui ā è una vocale molto aperta, intermedia tra a ed o, mentre ū ed ī hanno lo stesso colore delle rispettive vocali italiane.

Abbiamo infine un'ultima vocale, tipica del persiano:

Traslitterata generalmente con l'accento acuto (ma in altri testi anche grave), é corrisponde a una e tonica posta in fin di parola.

 


VOCALI BREVI

Avendo derivato le proprie regole di scrittura dall'arabo, il persiano non scrive le vocali brevi, ma soltanto il nudo scheletro consonantico delle parole. Questo, nonostante che il persiano non sia una lingua semitica e quindi dia meno risalto alla struttura consonantica. La corretta lettura delle vocali viene dettata dal contesto della frase e dall'esperienza del lettore.

Le tre vocali brevi dunque non vengono segnate in alcun modo, essendo considerate implicite:

Negli esempi è evidente che le vocali compaiono solo in traslitterazione, mai nell'originale grafia persiana:

All'inizio di parola, un po' come in arabo, le vocali brevi sono rette dalla consonante debole alef. In persiano, però, al contrario dell'arabo, alef viene utilizzata nuda (senza il supporto della hamzé) a reggere la vocale.

Negli esempi la presenza della vocale compare ancora una volta soltanto in trascrizione, ma mai nella grafia originale. Infatti la vocale non va identificata con alef, che è una consonante muta posta a reggere la vocale ma non deve essere confusa con essa.

 


VOCALI LUNGHE

Come in arabo, anche in persiano la presenza delle vocali lunghe ā ū ī viene indicata facendo seguire alla vocale implicita una consonante di prolungamento (matres lectionis), che a seconda del caso sarà rispettivamente una delle tre consonanti deboli ` w y [alef vāv yā].

Negli esempi che seguono, le consonanti deboli ` w y non vanno considerate come le rispettive vocali lunghe ma come lettere di prolungamento delle vocali implicite:

All'inizio di parola, le vocali lunghe vengono indicate con una alef seguita da una lettera di prolungamento (matres lectionis), che per le vocali ā ū ī sarà rispettivamente la consonante debole ` w y [alef vāv yā]. Nel caso di ā, analogamente a quanto accade in arabo, non essendo possibile disporre due alef di seguito, si provvede con una alef madda, ovvero una alef sormontata da un'altra piccola alef scritta di traverso.

Qualche esempio:

 


HEY FINALE

Alle vocali di cui abbiamo parlato, che si sovrappongono a quelle già contemplate dalla scrittura araba, si unisce in persiano la tipica vocale é, posta alla fin della parola e sempre tonica (accentata). Viene indicata dalla lettera hey, che normalmente è la consonante aspirata h, ma che in fin di parola, qualora non sia preceduta da una consonante lunga, acquista appunto il valore di é.

Esempi:

 


DITTONGHI

Nel persiano moderno vi sono quattro dittonghi, che vengono rappresentati così:

Questi vengono contrassegnati usando combinazioni delle stesse consonanti deboli usate anche per le vocali lunghe. È importante pronunziare distintamente i due elementi del dittongo, perché ne dipende il senso della parola.

All'inizio di parola, il dittongo è introdotto da alef, in questo modo:

Vediamo qualche esempio:

L'attento lettore avrà notato che vi è nella notazione dei dittonghi un certo grado di ambiguità con le stesse vocali. Non c'è modo di capire quando una vāv nel corpo della parola vada pronunciata ū e quando sia invece il dittongo ou. Analogamente non c'è modo di distinguere una da pronunciarsi ī da una che indichi invece il dittongo ey. Ci sono addirittura dei casi in cui la lettura vocalica e quella dittongata sono distintive di significato, come ad esempio nella parola , "capello", che letta dittongata nella forma mou diventa invece "tralcio di vite". Soltanto una buona conoscenza della lingua aiuterà a riconoscere, parola per parola, la giusta ortografia.

Si noti ancora che nel parlato i dittonghi tendono a trasformarsi in vocali. Così āy è spesso pronunciato come una e lunga, mentre ou diventa una o lunga.

 


MOZIONI VOCALICHE

La notazione araba delle vocali consisteva in una serie di tre diacritici che, posti sopra o sotto la consonante, le davano la colorazione vocalica a i u. Questo sistema è passato anche in persiano, dove le tre mozioni sono chiamate rispettivamente fetḥé, żemmé e kesré (oppure seber, pīš e sīr).

Il persiano deve però coprire con queste tre mozioni un campo vocalico assai più vasto. Dunque fetḥé si usa per segnalare a ed ā, e anche é in fin di parola; żemmé segnala o ed ū; kesré segnala infine e ed ī.

Vi è inoltre una quarta mozione, anch'essa derivata dall'arabo e chiamata in persiano sokoun, la quale, posta su una consonante, indica l'assenza di vocale. Al contrario dell'arabo, però, l'ortografia tradizionale persiana evita di mettere il sokoun sulla consonante finale della parola.

Vediamo qualche esempio che ne renda evidente l'uso:

Detto questo, bisogna però aggiungere che il persiano non usa scrivere le mozioni vocaliche, lasciando la pronuncia delle vocali all'esperienza del lettore.

 


USO DELLA HAMZÉ

Ereditato dall'arabo, dove accompagnava le semivocali destinate a rappresentare le vocali brevi, in persiano il segno chiamato hamzé, traslitterato con lo spirito dolce del greco, ha perduto quest'uso e lo ritroviamo soltanto sulla hey finale, qualora faccia le veci della vocale é, e sulla seguita da un'altra (nel qual caso la prima perde i due puntini).

Esempi:

Si noti ancora che la hamzé, che alla fine di alcune parole arabe segnava un colpo di glottide, sparisce allorché tali parole passano in persiano.

 


GEMINAZIONE

Come abbiamo detto, il persiano non fa uso di diacritici. Non segna le mozioni vocaliche, né fa uso di altri segni. Analogamente, il raddoppiamento delle consonanti non viene mai segnato, per quanto il persiano disponga di un segno apposito mutuato dall'arabo, il tašdīd.

 


ACCENTO

In persiano l'accento cade pressoché regolarmente sull'ultima sillaba.

 


SEGNI D'INTERPUNTIZIONE

In persiano non esistono segni d'interpuntizione. Si usa la congiunzione va ["e"] in luogo della virgola o dei due punti. Il punto fermo, l'interrogativo e l'esclamativo non sono mai segnati e solo nel parlato si avvertono dalla modulazione della voce.

 


NUMERALI

I numerali persiani sono derivati da quelli arabici, di cui conservano la forma. Fanno eccezione i numerali per 4, 5 e 6 che hanno una loro forma propria.

In persiano come in arabo, le cifre dei numerali decorrono da sinistra a destra, in senso opposto a quello della scrittura.

A titolo di curiosità, facciamo notare la rassomiglianza dei numeri in persiano con quelli delle altre lingue indoeuropee. Ad esempio: persiano yak (cfr. greco eis), persiano dou (cfr. greco dúo, latino duo), persiano panğ (cfr. greco pénte), persiano šaš (cfr. latino sex), persiano haft (cfr. greco heptá), persiano hašt (cfr. greco oktṓ), persiano noh (cfr. latino nouem), persiano dah (cfr. greco déka, latino decem).

 


RIFORMA ORTOGRAFICA

Una proposta di riforma dell'alfabeto persiano è stata presentata negli ultimi anni, sì da abbandonare la grafia arabica in luogo di un più preciso sistema basato sull'alfabeto latino. In questo nuovo sistema, chiamato UniPers, il persiano non viene più traslitterato, bensì l'intera ortografia viene ricostruita foneticamente in modo che ad ogni suono corrisponde una sola lettera. Tale alfabeto riformato consisterebbe di 30 lettere:

Il valore delle varie lettere è evidente. Viene utilizzato q per indicare la fricativa velare sonora gh, precedentemente segnata da ġayn e qāf, ed x per la fricativa velare sorda segnata da hey. Le vocali sono indicate esclusivamente per il loro colore e non per la differenza di lunghezza, che d'altronde nel persiano moderno non ha molto senso.

Questa proposta ha suscitato sia consensi che dissensi. Per quanto non manchino precedenti di adozione dell'alfabeto latino da parte di una lingua precedentemente scritta con grafia araba (ad esempio il turco), sarà molto difficile che tale riforma venga attuata, vista la grande importanza che ha l'alfabeto arabo nella tradizione e nella cultura persiane.

 


SCHEMA GENERALE

 


BIBLIOGRAFIA E LETTURE CONSIGLIATE

 


UN MONDO DI SCRITTURE

Scritture latine: Alfabeto Irlandese

Scritture latine: Alfabeto Gallese

Scritture latine: Alfabeto Bretone

Scritture latine: Alfabeto Cèco

Scritture latine: Alfabeto Slovacco

Scritture latine: Alfabeto Polacco

Scritture latine: Alfabeto Sloveno

Scritture latine: Alfabeto Lettone

Scritture latine: Alfabeto Lituano

Scritture latine: Alfabeto Estone

Scritture latine: Alfabeto Finlandese

Scritture latine: Alfabeto Ungherese

Scritture barbare: Alfabeto Ogamico

Scritture arabiche: Introduzione

Scritture arabiche: Alfabeto Sudarabo

Scritture arabiche: Alfabeto Arabo

Scritture arabiche: Alfabeto Persiano

Scritture ebraiche: Alfabeto Ebraico Biblico

Scritture ebraiche: Alfabeto Neoebraico

Scritture indiane: Alfabeto Sanscrito

L'ANGOLO DI DARIO