LE SCRITTURE ARABICHE

Introduzione

Dario Giansanti


SOMMARIO

 


ORIGINI DELLA SCRITTURA IN ARABIA

La scrittura giunse nella penisola araba dalla Siria, probabilmente tra il 1000 e il 700 avanti Cristo. Le prime iscrizioni compaiono, non a caso, tra le tribù settentrionali del paese. Per tutti questi alfabeti è possibile vedere delle derivazioni grafiche dall'alfabeto fenicio, ma anche molte differenze che sembrano escluderne una derivazione diretta. L'ipotesi più probabile è che gli alfabeti arabici abbiano un'origine molta antica e si siano formati, insieme al fenicio, direttamente dall'ugaritico. Sappiamo infatti che la prima scrittura alfabetica fu sviluppata a Ugarit, sulla costa della Siria, nel corso del II millennio a.C., da cui poi si sarebbe diffusa in Fenicia e in Arabia.

Gli studiosi distinguono le iscrizioni antiche dell'Arabia settentrionale in tre gruppi: tamudeno, liḥyanita e safaitico.

Sulla costa meridionale dell'Arabia (tra lo Yemen e lo ´Oman) si diffuse invece, tra il 1000 a.C. e il 500 d.C., un quarto importante alfabeto, il sudarabico, le cui splendide iscrizioni monumentali testimoniano tuttora la grandezza dei regni di quella che i latini chiamarono Arabia Felix.

La storia di questi regni, all'epoca ricchi e potenti, è oggi sconosciuta. Le condizioni climatiche favorevoli, l'abilità con la quale gli abitanti si assicurarono la fecondità del terreno, che venne strappato al deserto e trasformato in un giardino grazie ad imponenti impianti di dighe, la presenza di piante aromatiche e di spezie, come la mirra, facilitarono il sorgere di stanziamenti stabili nei quali i gruppi tribali poterono dedicarsi all'agricultura e in seguito al commercio e al controllo delle grandi vie carovaniere.

Nel III Secolo a.C., il geografo greco Eratostene di Cirene segnalava quattro regni: il regno dei Minei nello Yemen settentrionale; il regno di Saba nel territorio di Ṣan´ā`; il regno di Qatabān nello Yemen orientale; il regno di Ḥaḍramawt.

Sembra che il regno di Saba finisse in seguito per assorbire gli altri, tanto che, nel suo periodo di massimo splendore, copriva un territorio molto vasto nel sud della penisola araba, con colonie nel nord Arabia e in Africa. Il regno, che aveva capitale a Mārib, durò con alterne vicende per molti secoli. Nell'ultimo periodo più di una volta il regno cadde sotto il dominio aksumita degli Abissini, e infine, indebolito dal crollo della diga di Mārib (le cui rovine sono ancor oggi visibili), nel 575 d.C. fu definitivamente assorbito dall'egemonia persiana.

L'alfabeto sabeo, per quanto semplice, è atteggiato nelle iscrizioni a una grande eleganza stilistica: le lettere presentano proporzioni definite e sono ingentilite da curve e da grazie. Le iscrizioni monumentali, nei siti archeologici dello Yemen e dell'´Oman sono numerose e attestano, se ce ne fosse bisogno, la presenza di una ricca letteratura sudarabica, oggi perduta.

Con il crollo della diga di Mārib e la caduta di Saba, intorno al V sec. d.C., dovette sparire anche questo alfabeto. A partire da esso si svilupparono tuttavia l'alfabeto amarico, ancora oggi in uso in Etiopia, e parallelamente molti alfabeti indiani, dravidici e indocinesi (il birmano, il thailandese, il singalese, il coreano, il tibetano, il bengali, il tamil, il telugu, il malese, per dirne solo alcuni).

Stele sabea incisa con caratteri sudarabici

Stele sabea scolpita con caratteri sudarabici


NASCITA DELLA SCRITTURA ARABICA

Parallelamente, a partire dall'VIII sec. a.C., un altro ramo dell'alfabeto fenicio ebbe un suo sviluppo indipendente da parte del popolo degli Aramei, che lo utilizzò, con minime varianti, per scrivere la propria lingua, l'antico aramaico.

Nei primi secoli dopo Cristo, dall'alfabeto aramaico si svilupparono tutta una serie di nuove scritture levantine: la scrittura siriaca (che venne utilizzata dai gruppi cristiani orientali) con le varietà palmirena e nabatea. Tutte queste scritture erano caratterizzate dal fatto che le lettere, non più isolate le une dalle altre, venivano unite da tratti continui, un po' come succede nelle moderne scritture corsive. Il risultato fu che le lettere si arrotondarono e in certi casi cominciarono a confondersi le une con le altre, tanto che a un certo punto in siriaco si sentì l'esigenza di introdurre segni diacritici per distinguere i segni simili. Altrettanto non fu fatto in palmireno e nabateo, le cui iscrizioni sono perciò ancora oggi molto difficili da interpretare.

Il più antico esempio di una scrittura che possa essere definita "arabica" si trova su una tomba a Nemara, nel deserto della Siria. La tomba è datata all'anno 328, ma le iscrizioni furono eseguite intorno al V o VI secolo. Si tratta essenzialmente di un'iscrizione nabatea: non vi sono mozioni vocaliche, la lunghezza delle consonanti non è marcata e la varietà della lettere è ancora condizionata dall'originale aramaico, inadeguato per la ricchezza fonetica dell'arabo.

Si può però cominciare a intravedere quello che sarà l'alfabeto arabico: una grafia continua, fatta di curve e picchi e di pochi stacchi, con molte lettere simili distinte da punti e segni diacritici.

Fittamente cesellato, questo Miḥrab (nicchia che indica la direzione della Mecca) si trova nella Moschea di Ibn Tulun (X sec.), al Cairo. L'iscrizione inizia in basso a sinistra e consiste in svariate benedizioni al califfo al-Mustansir.

 


FORMAZIONE E DIFFUSIONE DELL'ALFABETO ARABO

L'alfabeto arabo vero e proprio esplose però solo nella seconda metà del VII secolo, con l'avvento dell'Islām.

L'esigenza di fissare per iscritto la rivelazione di Muḥammad e tramandarne le parole con la massima precisione, portò, subito dopo la morte del Profeta (632), alla necessità di sviluppare quella scrittura che le tribù nomadi dell'Arabia centrale avevano usato fino ad allora solo sporadicamente. Bisognava non solo adattare con precisione l'alfabeto alla lingua araba, ma bisognava anche sviluppare una notazione vocalica affinché la lettura dei versetti coranici potesse essere trasmessa senza ambiguità. E già all'inizio dell'VIII secolo vennero sviluppati ulteriori diacritici da porre sulle consonanti per indicarne le vocali o la loro assenza. Altri diacritici vennero usati per indicare le declinazioni dei sostantivi o le assimilazioni degli articoli. In questo modo, per una pura esigenza religiosa, nacque l'alfabeto arabo.

Non a caso, infatti, il più antico documento in arabo pervenuto fino a noi è proprio una copia del Corano.

Dopo la morte del Profeta, in pochissimi secoli, l'espansione dell'Islām portò la lingua araba nelle regioni più remote del mondo. A occidente, in Palestina e nel nord Africa fino alla lontana Spagna; a oriente, in Iran e in India. La scrittura araba soppiantò i vecchi alfabeti nazionali: il siriaco in ´Iraq e Siria, il pehlevico in Persia, il copto e il greco in Egitto, il berbero in Algeria, e si diffuse in tutto il mondo, insieme alla nuova religione. Si formò così un legame indiscindibile tra religione islamica e lingua araba. La necessità di ogni musulmano di potersi avvicinare al Libro Sacro, portò a una diffusione dell'alfabetizzazione nei paesi musulmani quale non si era mai vista in tutto il mondo antico e non si sarebbe vista, almeno in Europa, per molti secoli ancora.

Assai accurato nel rendere i suoni della lingua araba, oltreché di grande eleganza e praticità, l'alfabeto arabo divenne il più autentico mezzo espressivo di una delle civiltà più feconde e vitali che il Medioevo avesse mai prodotto, l'asse portante di una letteratura che per vastità e profondità ha pochissime rivali al mondo.

L'enorme duttilità e scorrevolezza dell'alfabeto arabo si prestava a un numero enorme di variazioni calligrafiche e stilizzazioni. La religione islamica, com'è noto, proibisce la rappresentazione delle immagini. Per questa ragione si cominciò a utilizzare l'alfabeto come decorazione, creando quegli splendidi motivi conosciuti come arabeschi. Non si poteva raffigurare Dio, ma era possibile esaltare il Suo nome con la scrittura...

 


STILI

Nel corso dei secoli i calligrafi arabi svilupparono un enorme numero di elegantissimi stili, usati nel Corano, nelle decorazioni monumentali, nella letteratura e nell'arte.

Già alla fine del primo secolo dell'Islām, accanto alla scrittura corsiva si affermò un nuovo stile, il cufico, così chiamato dalla città irachena di Kufāh. Mentre il normale corsivo non rispondeva a regole formali e rigorose, il cufico poté sviluppare una sua estetica formale caratterizzata da lettere pesanti, quasi rannicchiate, dalle curve strette e minimali.

Il cufico era particolarmente indicato per scrivere sulla pietra o sul metallo, per scolpire iscrizioni sui muri delle moschee e per il conio delle monete. Non c'erano canoni particolari per le forme delle lettere o degli spazi, cosicché i calligrafi e i copisti poterono usare il nuovo stile con una certa libertà, ottenendo i più diversi effetti. Le più antiche copie del Corano che ci siano pervenute sono appunto scritte in cufico e risalgono al periodo tra l'VIII e il X secolo. La scrittura è sovente larga, specialmente nei documenti più antichi, tanto che spesso vi sono pochissime righe per pagina. La calligrafia è rigida, il passo è maestoso e misurato.

Cufico

Stendardo azzurro dal nord Africa, in cufico arcaico, risalente al X secolo. Il testo è un passo del Corano.

 

Un altro stile si affiancò al cufico fin dal IX secolo, il rīq`a, caratterizzato da linee corte ma dalle curve eleganti. Dal rīq`a si sviluppò in sequito lo stile tawqi, che fu largamente impiegato nell'epoca del Califfato Abbaside. La scrittura corsiva usata oggi nelle scuole del mondo arabo è una variazione del rīq`a.

Il cufico fu abbandonato dall'uso generale intorno all'XI secolo. Il nuovo carattere che lo sostituì, il nashi, è tuttora lo stile più popolare nel mondo arabo. Il nashi fu codificato intorno al 1000 da Ibn Muqlāh, e in seguito Ibn al-Bawwāb lo modificò per adattarlo alle esigenze del Libro Sacro. Il nashi è una forma di corsivo, ma leggi specifiche regolano le proporzioni tra le lettere: le linee curve, sempre armoniose, sono segmenti di spirale, e le lettere si sviluppano altrettanto sia sopra che sotto la linea mediana.

Naskhi

Pagina di un Corano del XVIII secolo. Al confronto con il cufico, il nashi è molto semplice da leggere, anche perché normalmente include le mozioni vocaliche. Si noti che il nome di Dio è posto nel "petalo" più alto del fiore centrale.

Dal nashi si evolsero gli stili successivi, innumerevoli. Ogni paese ebbe il suo. In Spagna si sviluppò lo stile magrebino, una forma di cufico con estensioni esagerate di elementi orizzontali, in seguito utilizzato in tutto il nord Africa e caratterizzato da un uso esagerato della policromia.

Maghribi

Pagina del Corano in stile magrebino, forse proveniente dall'Andalusia e risalente intorno al X secolo. La ricchezza cromatica delle linee è tipica del luogo e dell'epoca.

I calligrafi persiani nel XIII secolo inventarono invece il ta´līq, o stile "sospeso", in cui le lettere finali sembrano quasi "gocciolare" giù dalla parola. A tutt'oggi il ta´līq è lo stile preferito da persiani, pakistani e turchi.

Ta'liq

Pagina di uno scritto ottomano in ta´līq. Lo sfondo riofato è tipico di questi tipi di manoscritti. I fiocchi dorati tra le linee sembrano riprendere la scrittura.

Alla fine dello stesso secolo il famoso calligrafo Mir ´Alī di Tabrīz sviluppò il nasta´līq, una combinazione di nashi e ta´līq, che divenne assai popolare nei lavori letterari persiani. L'elegante nasta´līq fu sovente adoperato nella poesia.

Esempio di scrittura in nasta´līq. Si notino gli animali e le piante che sembrano muoversi attraverso il testo. I versi recitano:

La sua perfezione mi ha esaltato,
la sua bellezza ha cacciato le tenebre,
buone sono le sue qualità,
prega per lui e per la sua famiglia.

Un altro stile assai importante, sviluppatosi dal nashi, fu il tulut, che ebbe la massima fioritura in Egitto durante il periodo dei Mamelucchi. Utilizzato inizialmente nelle iscrizioni monumentali o nella decorazione di oggetti, in seguito divenne assai popolare nella corrispondenza. Il suo nome significa "un terzo", indicando le proporzioni tra la grandezza delle linee e delle curve.

Thuluth

Vaso di ceramica decorato con iscrizioni in tulut. Turchia, XVI secolo.

Nel XV secolo, il calligrafo Ibrahim Munif sviluppò, a partire dal taclīq, un nuovo stile, il dīwani, altamente stilizzato e manierato, che divenne assai popolare in Turchia sotto gli Ottomani. In questo nuovo stile le lettere sono scritte senza segni diacritici e senza vocali, rendendo la lettura piuttosto difficile. Oltretutto il dīwani arrivò a un tale grado di stilizzazione che i calligrafi non trascuravano di intrecciare lettere e parole per ottenere effetti estetici certamente gradevoli, ma rendendone impossibile la lettura.

Diwani

Composizione in stile dīwani del calligrafo Muḥammad 'Izzat al-Karkūki.


SITUAZIONE ATTUALE

Oggi l'alfabeto arabico è il secondo alfabeto più diffuso al mondo, dopo l'alfabeto latino. Per quanto la lingua araba, nel suo vasto dominio (dal nord Africa all'´Iraq), sia frammentata in moltissimi dialetti, la lingua classica e il suo alfabeto sono tuttora utilizzati nella letteratura, nei media, nei documenti, negli incontri internazionali, da centinaia di milioni di persone. Anche i popoli che, pur essendo musulmani, non parlano l'arabo (ad esempio in molti paesi africani e dell'est asiatico), hanno comunque familiarità con il Corano e coi caratteri in cui è scritto.

Nel corso dei secoli la scrittura arabica, nelle sue varianti, è stata utilizzata per scrivere molte lingue oltre l'arabo. Il persiano è forse la lingua letteraria più importante che fa tuttora uso di questa scrittura, seguìto in questo dall'urdu (variante dell'hindī scritta in arabico). Ma in passato molte altre lingue hanno utilizzato la scrittura arabica: albanese, turco, curdo, chirghiso, uzbeco, azero, belucī, kashmiro, panjabī, malayamī, tamil, hausa, swahili e malese, tanto per citarne solo alcune. La maggior parte di queste lingue ha poi abbandonato la scrittura arabica, che è piuttosto inefficiente per rendere le ricche gamme vocaliche delle lingue indoeuropee e altaiche.

Bismala uccello

Bismala pera

Entrambe le iscrizioni recitano la Bismāla, il verso di apertura di tutte le sure del Corano (meno una): "Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso". La cosa curiosa è che, in una cultura dove fare immagini è proibito, è proprio la scrittura a trasformarsi essa stessa in disegno (in questo caso un uccello e una pera), insieme immagine e preghiera, simbolo e poesia.


BIBLIOGRAFIA E LETTURE CONSIGLIATE


UN MONDO DI SCRITTURE

mailto:flandry@tin.it

Le scritture arabiche: Introduzione

Le scritture arabiche: Alfabeto Sudarabo

Le scritture arabiche: Alfabeto Arabo

Le scritture arabiche: Alfabeto Persiano

Le scritture ebraiche: Alfabeto Ebraico Biblico

Le scritture ebraiche: Alfabeto Neoebraico

L'ANGOLO DI DARIO