LE FOSSE GRANARIE

 

In Piazza Imperiale si possono vedere, coperte da una spessa lastra di vetro, due fosse granarie, unici esemplari, su circa una decina precedentemente esistenti, conservati dopo i lavori eseguiti nel 1994 per la costruzione della nuova piazza.

Altre cinque fosse granarie, da alcuni anni definitivamente chiuse ma internamente lasciate intatte, si trovano nello spiazzo antistante Via De Cicco (angolo Via Saitto - fine Vico Annunziata).

In tali fosse molto tempo fa si conservava il grano secondo un'antichissima usanza, diffusa in tutto il Tavoliere sin dai tempi di Federico II di Svevia.

Di forma cilindrica, internamente sono rivestite in pietra come il pavimento o in mattoni e sono situate sotto il livello stradale.

L'imbocco di ogni fossa sfiora la superficie, ha forma circolare ed e' delimitato da cordoli di pietra locale rozzamente lavorata, oggi segnati dal tempo.

Il grano si conservava in questi depositi sotterranei in maniera perfetta, sempre fresco ed asciutto, grazie all'abilita' ed alla cura con cui venivano costruiti, in modo da impedire qualsiasi infiltrazione d'acqua e di umidita'.

Le fosse granarie venivano costruite secondo misure standard.

Generalmente la profondita' di una fossa era di 5 metri ed il diametro di 4,5 metri, mentre l'imboccatura misurava 1,25 metri.

Il grano veniva immesso nelle fosse all'epoca della raccolta e veniva estratto all'occorrenza per il consumo, per la vendita o per la semina.

Per l'estrazione del frumento dalle fosse granarie era necessaria una vera e propria organizzazione di esperti operai, detti "carlantini".

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                 Carlantini al lavoro in Piazza Imperiale (anni '60/70)

Alla base dell'imboccatura veniva realizzato un sostegno in legno costituito da tre o quattro pali ben fissati al terreno, alla cui estremita' superiore era assicurata una carrucola che permetteva, mediante una fune, di issare i recipienti contenenti il grano prelevato dalla fossa.

Prima di scendere nella fossa il carlantino agitava e sbatteva sulle pareti al suo interno, un sacco allo scopo di "rompere il vuoto" (cioe' la mancanza d'aria) e consentire quindi l'ingresso dell'aria nella fossa stessa.

Per assicurarsi che vi fosse aria sufficiente per respirare accendeva poi una candela: la persistenza della fiammella indicava la sufficiente presenza di ossigeno per poter lavorare.

Il grano estratto veniva misurato riempiendo un recipiente in legno detto "tomolo" (misura agraria di capacita' nel sistema metrico borbonico) che corrispondeva a circa 45 litri e stoccato in sacchi.

A Poggio Imperiale operava una compagnia di lavoratori conosciuta col nome di "Carovana facchini", il cui ricordo e' ancora vivo negli anziani del paese.

Ogni fossa era contraddistinta da un numero identificativo scolpito su uno dei cordoli in pietra che la delimitavano (su una fossa dello spiazzo di Via De Cicco e' ancora visibile il nr. 34). Tale numero era anche riportato nelle mappe catastali.

 

Credits:

Alcune notizie sulle fosse granarie sono state tratte dal CD-Rom "San Severo 2000" – U.R.P. Comune di San Severo (FG).