Antoni Canu

La Poesia di Antoni Canu

di Luciano Cicu

   

Poeta algherese, bilingue, Antoni Canu, è autore della raccolta intitolata En l'arc dels dies, finito di stampare nel dicembre 2000. Trent'uno componimenti brevi, in verso libero, composti in catalano e tradotti in italiano. Essendomi preclusa, per incompetenza, la musicalità dell'algherese, la lettura si fonda sul testo in italiano.

I versi di Antoni Canu raccontano attimi sparsi di vita, emozioni generate da un ricordo   (le preghiere dell'infanzia), da un luogo (Figos), da una persona (Mario Rigoni Stern, Costantino Nivola, Maria Carta, Giulia e Giuseppe Tavani, Maria Lai, Lilli) : essi sono congiunti, direi quasi, immersi in un paesaggio della memoria, che si individua nella immagine mitizzata del Logudoro, della sua vegetazione arborea e soprattutto delle sue messi.

Figos, una località delle campagne di Ozieri, è in particolare il luogo del suo rifugio,  "Dove perdura la bellezza / E il sogno di quietare il tempo / Che inarrestabile cammina / Verso quell'antico riposo / Sulla collina di vento chiaro. / Intorno, odore di elicriso / E lo scampanio della chiesa / Di santa Lucia." ( Da Elegia di " Figos").

Figos è un luogo reale che nella memoria assume i profili del mito. Eterno, immutabile nella luce immensa del sole di luglio: le messi ondeggiano "in un campo aperto e senza fine" (Le tue mani) e le spighe, immagine simbolo, forse inconscia, della vita realizzata e piena, che torna instancabile ritornello in quasi un terzo dei brani, celebrano il loro trionfo d'oro.
Quella campagna è anche lo spazio del lavoro, sentito come gioia, momento di contatto e abbraccio con la terra madre, percepita con sensibilità pagana: "La mia seconda madre / è stata la terra / la terra che reggeva le messi,/ ampia e bionda marea/ che ho abbracciato / per amarla e non perderla/…Sono stato spiga del campo / del sole e delle stelle / e qui sto nella terra / dove il tempo / va consumando gli anni,/ asciugando le radici / dove dimora il pulsare della vita" (La Terra); il luogo dove alligna "l'albero della speranza" (Signora del silenzio) che si coltiva "con mani nodose" (Dio del sole) e si nutre perciò di fatica generosa e di coraggio. Le spigolatrici (Formiche di luglio) cantano a sa disisperada, mentre con "mani ossute" compiono la dura fatica della raccolta.
Da quella terra si staccano dolenti i contadini che vanno alla guerra, intonando Mutos de ispera mentre le madri fremono di paura e angoscia.

Questo ricordo, ormai lontano, suggerisce che il tempo della memoria sprofonda nell'infanzia, radice e fonte dell'Arcadia felice e trepida, perduta per sempre, colorata di luce accecante e di colori primari, il giallo prima di tutto, ma anche il verde del mare e l'azzurro, un'Arcadia dove il silenzio dell'alba non è ancora rotto dal rombo dei motori e il vento canta nell'aria pura di Sardegna.
L'autobiografia è sepolta in cenni indistinti e l'amore è un velo trasparente e diafano che non osa prendere forma, ma si lascia intuire con sommo pudore nelle note di pianoforte suonate da mani femminili.

Negli ultimi componimenti affiora la cronaca contemporanea e il giudizio dolente del poeta, ma la speranza di chi ha conosciuto la fatica dei campi non muore. E così il volume si chiude con un messaggio positivo: "Guardo la faccia del cielo / amica mi è la luna,/ amico mi è questo mondo / che non mi rifiuta."

Il linguaggio è spontaneo: i sintagmi stranianti e le metafore sembrano sgorgare da impulsi più che da ricerca.

 

Luciano Cicu

 


 
© Miquel Canu 2007

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Darrera revisió  04.04.2007

Ultima revisione 04.04.2007