L'Alguer

Sillabe - Parole - Pagine

        Bisogna conoscere Alghero, il posto in cui Antonio Canu vive, per capire da dove hanno origine i temi che il poeta tocca e tratta nel suo modo speciale di comporre versi, lavorandoli in testa e sulla bocca prima che sulla carta, partendo dal baluginìo di sillabe iniziali, poi via via in un fluire in apparenza ininterrotto ma cercato invece a lungo e coccolato nel gioco della ripetizione a memoria per dei mesi fino alla stesura finale, completa e sicura. I suoi versi, egli dice, gli ronzano in testa come api, e vorrebbe che avessero l’effetto di “sciogliere il gelo/ nel cuore della gente”.

        Ad Alghero l’occhio spazia tra tanti elementi non riducibili unicamente alla posizione geografica di una città situata in una incantevole baia, ma, ad attrarre l’attenzione del cantore, non sono solo le bellezze architettoniche della città storica, le rocce di Les Trones, la dolcezza della spiaggia dalla sabbia tropicale che offre sullo sfondo la visione di muraglie e torrioni carichi di anni, la darsena così romantica con i pennoni dai vessilli in movimento, il tramonto sul mare che infiamma nostalgie e desideri…

        L’anima sensibile del poeta si aggira attraverso questi elementi decorativi, li ammira con occhi incantati, li trasfigura e nei suoi testi esprime riconoscenza per il privilegio di godere delle tante meraviglie che la vita gli ha riservato e continua a regalargli. È  inoltre cosciente che il suo canto sarà destinato a sgorgare per qualcuno anche dopo il termine della vita terrena. Perché l’arte dà questa certezza.

        Il ricordo rievoca il passato dell’infanzia contadina con l’esperienza della fatica nei campi, ecco giustificato il ricorso nei testi alle immagini del vomere che incide il terreno, metafora indovinata quando viene attribuita alle sillabe e alle parole vergate sulla pagina bianca, come se questa fosse un campo da arare e seminare. “Mari di spighe e onde di grano” ne sono i frutti. Sillabe come semi di frumento disseminati a formare delle parole disposte in composizioni pulite, prive di punteggiatura, al massimo qualche maiuscola, dove si respira l’odore della terra e del mare, del pane fresco e della paglia.

        Ma vediamo quali sono i motivi ricorrenti nei tre libri di Canu (Poesies, En l’arc dels dies, Nou cant, tutti con testo in catalano – algherese a fronte, arricchiti dagli armoniosi acquerelli e dai disegni del pittore Manlio Masu): il mare, di volta in volta citato in vari modi (l’amico mare, l’immenso mare, il mare verde, l’azzurro del mare, il respiro del mare, la voce calma del mare…); il sole e la luce (le onde di luce, la luce dell’estate, la luce antica, la luce del crepuscolo); il silenzio e i tramonti, non uno ma tanti, a significare la ripetizione delle giornate concesse dalla vita; l’anima (sbrigliata, inquieta); l’amore per le persone care, viventi o defunte, alcune delle quali sono le dedicatarie di una poesia, o, nel caso della moglie, di un intero libro; la memoria e la nostalgia; il tempo che passa, la stanchezza degli anni e la vecchiaia (“gli anni/ sono canuti/ e fragili/ come colombe di vetro”).

        Infine, la coscienza del destino che ci aspetta. Il poeta dallo sguardo lucido è consapevole della comune condizione di mortali ma è sempre sorretto dalla speranza (ali di speranza, guizzi di speranza, nuvole di speranza) rappresentata con l’immagine ricorrente degli uccelli (le allodole e i bianchi gabbiani, “le rondini/ unite nel volo/ della speranza”).

        Se dai testi di Canu si togliessero i riferimenti specifici ai luoghi che consentono di individuare la zona di Alghero e la terra Sarda, la sua diventerebbe la poesia del canto universale, quello dell’uomo stupito davanti al creato come se fosse agli albori della civiltà, circondato dalla natura presente in modo materno, non ancora contaminata dai mali che sappiamo affliggerla (pesticidi, inquinamento, rifiuti lungo le strade). Del resto la Sardegna, per chi proviene dal Continente, mostra parecchi angoli vergini, con il verde dei pascoli e dei boschi a primavera, le fioriture di papaveri e asfodeli, i gigli della sabbia sulle dune in piena estate, che resistono ai piedi dei turisti stagione dopo stagione.

        L’antica lingua dei padri aiuta a comprendere ogni cosa a questo mondo ed offre parole poderose come gli alberi di ulivi secolari, o come i Nuraghi, che vegliano affinché uno strumento così prezioso sia tramandato e non si perda.

        La poesia di Antonio Canu rappresenta un’alta testimonianza di canto alla vita nei vari momenti, nell’allegria come nella malinconia. Importante è viverli, sentirli e saperli comunicare.

 

Maurizia Rossella Perandin   


 
Miquel Canu 2000 - 2008

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Darrera revisió  08.01.2008

Ultima revisione 08.01.2008