Antonio Panzone


Antonio Panzone e i suoi libri

 

Antonio Panzone vive a Taurasi, dove insegna Materie Letterarie presso l’Istituto Comprensivo “T.Caggiano” – settore Scuola Media.

Ha curato  vari lavori di ricerca, sviluppati  con il contributo dei suoi alunni di turno, come “Pagine su Cesarolo di S.Michele al Tagliamento (VE)”,“Storia di Fontanarosa (AV)”, “Aspetti di storia taurasina (AV)”,“Storie re gente nosta”, “Appunti di storia medioevale e rinascimentale”, solo per citare alcuni lavori.

Ha organizzato rappresentazioni  del teatro di Scarpetta e di Eduardo.

E’ stato referente di storia per conto della Scuola di appartenenza presso il Distretto n.1 di Ariano Irpino. Si interessa di  microstoria.

Il suo impegno politico- sociale mira allo sviluppo della nostra terra finalizzato a consentire ai giovani di trovare un dignitoso spazio vitale anche sul posto, dove si dovranno creare gli opportuni presupposti di lavoro.

Per il volume “Novecento- pagine taurasine”, in cui lo studio del recente passato vuole significare recupero di valori e impegno sociale, ha avuto un  premio della cultura - di mille euro-  per l’anno 2002 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Roma “per la pregevole attività scolta nel settore della storia locale. Per questo lavoro ha avuto”.

Nel lavoro “Ferrovia Avellino - Rocchetta S.A.- Con De Sanctis una rete del Sud” il suo impegno  è rivolto al rilancio della Ferrovia da inserire in una rete più ampia del Sud al fine di favorirne lo sviluppo.

Scene di vita paesana, in ultimo, riprende i motivi di vita paesana affrontati anche in “Novecento Pagine taurasine”. Sono in preparazione altri lavori, segno di una volontà a fare bene la sua parte: pubblicizzare la sua Terra.  

1 - “Novecento- Pagine taurasine

2 - “Avellino – Rocchetta S.Antonio – Con De Sanctis una rete per il Sud”.

3 – Scene di vita paesana- (di prossima pubblicazione)

 

 

 

 

 

Per chiarimenti :

 

Panzone antonio

Via Municipio, 24

83030 Taurasi (AV)  
 
tel.e fax 0827 74007
E-mail raffeu@ libero.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casa Editrice

Padre Pio Pietrelcina


NOVECENTO Pagine taurasine

Hanno detto:

. . .  E’ un piacevolissimo viaggio alla scoperta delle radici dell’Irpinia, per ritrovare un tempo che, senza opere come quella del Prof. Panzone, sarebbe inevitabilmente condannato all’oblìo.

                                                                         (Carmine Ciampa Direttore del giornale)- Voce Libera -

 “Novecento è una ricostruzione, ideale e intima di quello staordinario mondo che ruotava intorno ai vicoli del suggestivo centro storico del paese, alle sue splendide chiese, e alle sue generose campagne, bagnate in parte dalle acque del Calore;  senza dimenticare i  rapporti spesso discutibili tra i ricchi, il clero e i poveri.

L’opera del Panzone è uno “scrigno”, nel quale sono custoditi gli elementi, preziosi e unici, che il lettore può tenere da conto per armonizzare la propria esistenza con la terra d’origine  per mantenere vivi i valori di un tempo e  le proprie radici.  

Altrettanto nobile è  l’elogio del Panzone  per la risorsa agricola che ha fatto conoscere in tutto il mondo il piccolo paese della media valle del Calore, grazie al suo vino, l’ aglianico. Interessante è la panoramica che il professore di Taurasi ha compiuto tra le varie cantine presenti in paese,fiore all’occhiello del territorio.

(Carmine Clericuzio –giornalista- Il Giornale di Avellino – Domenica 3 Giugno 2001)

 

 

“Il libro ripropone personaggi, luoghi e fatti di ogni giorno, mentre, in un misto tra storia, tradizioni, folklore e religione, si estrinsecano  i duri stenti e le umili fatiche della gente del paese, che trova l’unico spiraglio nell’emigrazione. Solo nelle ultime pagine, rapportate ad oggi, quasi come bisogno di rinvenire la giustificazione della permanenza in paese, si fa spazio una motivazione, segno di riscatto sociale e culturale, che l’autore individua nell’Aglianico, quale pezzo forte per vedere risorgere queste terre. Il libro è un classico perché racconta il Taurasi, un vino pregiato che ha conquistato i mercati internazionali. Al Prof. Panzone vada il riconoscimento di tutta l’Irpinia e di tutti coloro che si pongono il problema dei nostri disoccupati del Sud.”

(Antonio Ferrante- giornalista)

 

 

“Nelle trecento pagine del volume rivive naturalmente la storia di questo paese irpino che risale all’osca Taurasia, distrutta dal console Scipione Barbato durante la guerre sannitiche e poi ricostruita sul versante orientale del fiume Calore. Il presidente della Repubblica Pertini amava ricordare che gli Irpini hanno sangue ligure nelle vene ed infatti proprio in queste zone sarebbero stati tradotti dalle loro regioni, nel 180 a.C. i Liguri Bebiani e Corneliani, dopo essere stati sconfitti dalle truppe romane.

Nel periodo romano Taurasi visse probabilmente il momento di maggior fulgore. All’epoca augustea Taurasi rappresentava un fortilizio, che garantiva la sicurezza delle vie di comunicazione interne sulla strada dove passava la via Appia e da dove partiva la via Herdonitana che conduceva in Apulia. Questi stanziamenti agricoli facevano parte del possedimento di Livia Drusa, la moglie dell’imperatore Augusto, che, importandolo dalla Grecia, fece trapiantare nelle nostre terre la vita “ellenica”, diventata poi “aglianico”. L’antica Aeclanum costituiva un centro commerciale, Taurasi ne era l’entroterra agricolo.

     Ampio spazio, inoltre, viene dedicato al vescovo Marciano, patrono del paese, che viene festeggiato il 14 giugno, secondo la tradizione giorno della sua morte (nel 496). Marciano di Frigento consolidò a Taurasi la dottrina cattolica, abbattendo l’eresia ariana. A lui è dedicata la Chiesa Collegiata, con una pregevole statua del santo vescovo, in legno policromo, realizzata nel 1708 da Giacomo Colombo e successivamente restaurata nel 1819.

     Ma la parte che più ci piace è quella dedicata alla Taurasi che vive ancora nella memoria dei più anziani e che i giovani alunni hanno amorevolmente raccolto: la Taurasi dei cantinieri (gli osti), dei crastaporcelli (veterinari improvvisati che castravano i maiali), degli ‘mpaglia segge (che riparavano le sedie impagliate), dei conzacaurare (gli stagnari), dei vardari (sellaio); la Taurasi dei proverbi sapienziali (A Santa Caterina la neve s’avvicina. Febbraio sicco, massaro ricco) e dei cunti, i racconti che un tempo, quando non c’era la televisione, aiutavano a passare le serate davanti al focolare e che ora sono stati amorevolmente raccolti.”

(Otto pagine – sabato 19.5.2001)

 

“L’autore ascolta le voci che giungono dal labirinto dei vicoli, che  raccontano proverbi intessuti di saggezza,  fanno rivivere lontani mestieri, riordinando porzioni di storia smarrita nelle crepe della terra. . .  ricordi insecchiti affissi sul muro della memoria: il banditore che si fermava ai crocicchi, i boscaioli tutti tinti di nero, il barbiere dove “si passava alla vigilia della festività”, il calzolaio intento a lavorare con le sue “tecse e centrelle”; “i cunti re lo focoliero” che le donne contavano ai bambini nelle fredde e nevose sere d’inverno, accanto al focolare, a vincere le fatiche della giornata e a passare qualche ora nella spensieratezza; e poi il rito, sacro per questa terra, della celebrazione al dio Bacco, con il vino aglianico, rosso rubino e profumato, prodotto dai vitigni attorcigliati, tanto decantato dal Carducci, ma anche dagli scrittori delle epoche passate, come i Romani che assaggiarono per ispirare le loro opere immortali. E, ancora, Panzone inneggia agli emigranti ai quali “noi vogliamo cantare la bellezza della nostra terra, le comuni tradizioni, i tenaci affetti per i luoghi comuni, la nostalgia che il paese ispira

Il Professore Panzone, meticoloso ricercatore del tempo passato, con questo suo canto ha celebrato l’inno del ritorno alle origini, alle radici, allo stesso modo di Ulisse che ritorna carico di esperienza, di storia, alla sua Itaca.

(Antonio Ferrante – giornalista, scrittore- in “Giornale di Avellino” – mercoledì, 30.5.2001)

 

Sublimi sono le ultime pagine, che, illustrando gli avvenimenti recenti del paese, riportano la realizzazione in Piazza Padre Pio-ex Madonnella dell’angolo dedicato a Padre Pio, oggi Santo Pio, ormai parte integrante dell’ambiente e della nostra comunità. Ma a questo punto preferiamo riproporre integralmente gli articoli del Prof. Panzone.

(Antonio Froncillo –giornalista)

        

“Cercare di agire, avere più coraggio è un nostro dovere".

Nostro dovere è anche l’abbandono defìnitivo del pessimismo e della pi­grizia che. tanti danni ha fatto al nostro Sud.".

     E' questo lo spirito con il quale Antonio Panzone ha curato il presente volume.

    Testimonianze, documenti, re­portage fotografici, interviste, ricer­che, articoli giornalistici: un insieme di elementi che fanno di questo libro un'autentica "perla" nel panorama culturale e storico irpino.

     Panzone ha ripercorso le tappe e le vicende più salienti che riguar­dano la storia della ferrovia Avellino ­- Rocchetta, un tratto di strada ferrata, lunga 118 chilometri, che negli ultimi anni è stato al centro del dibattito politico con l'obiettivo di un suo ri­lancio (ancora da definire}, in modo da fornire un impulso allo sviluppo economico delle zone interne dell' Ir­pinia.

     Ma la ferrovia in questione non è solo un lungo serpentone che si in­terseca nelle verdi valli della provin­cia.

     Il tronco ferroviario Avellino - Rocchetta Sant’Antonio ha rappresentato per intere generazioni l'unico riferi­mento per "uscire" dai propri paesi. Un collegamento con il "mondo e­sterno", nel quale si riponevano sogni e speranze, voglia di riscatto e pas­sioni. La strada ferrata "entra" nel cuore dell'Irpinia, lascia il proprio segno nei territori, lancia il proprio sguardo nei paesi arroccati sui monti, scrive in un ipotetico “libro” la storia delle nostre genti.

     Fa parte di noi.

     Panzone, quindi, ha avvertito l’esigenza di lasciare una testimonianza forte, viva, sincera, che guardasse al futuro ripercorrendo la “strada” tracciata dalla storia.

     Un “insegnamento” prezioso da trasmettere alle generazioni future, alle quali “passare” il testimone della vita. I 118 km di strada ferrata rappresentano per le Ferrovie dello Stato “un ramo secco” e quindi da tagliare.

     Ma l’Irpinia non ha mai accettato questa assurda “sentenza” e si è mobilitata. Istituzioni e cittadini si sono uniti per difendere la “propria” ferrovia. E così, alcuni anni fa, iniziarono i dibattiti, i confronti, le proposte. In occasione del Centenario, 1995, si diede vita ad un “tour” tra le varie stazioni con il coinvolgimento delle scuole. Sul tronco ferroviario ricominciarono a battere i “cuori” dell’Irpinia e allo stesso tempo le iniziative e i progetti che miravano ad una riqualificazione “moderna” venivano tirati fuori dai cassetti.

     Questi gli obiettivi: ristrutturare la ferrovia per scopi commerciali, in considerazione della vicinanza con numerosi nuclei industriali, e, accanto a questo “disegno”, tracciare una sorta di percorso turistico per potenziare l'offerta delle co­siddette "strade del vino e dei castel­li". Puntare sull'industrializzazione,quindi, ma anche sull'enoga­stronomia e sul turismo rura­le.

     Tuttavia, la ferrovia cara al De Sanctis non si è ancora trasformata in ciò che è stato pro­spettato in questi anni, e senza dubbio il volume di Panzone offre gli spunti giusti per ricreare quella sinergia, estre­mamente necessaria, per pun­tare a realizzare questo "so­gno”.

 

Il libro dei professore tau­rasino è stato presentato ufficial­mente questo pomeriggio, nell'incantevole chiostro seicen­tesco del Comune di Taurasi, con inizio alle ore 18.00 ed è stato salutato dal oltre 500 persone, che per ben tre ore sono rimaste letteralmente attaccate alle sedie, vista il particolare interesse dell’argomento e la foga dei relatori.

     Dopo il saluto del sindaco di Taurasi, Emiliano De Matteis, la relazione è stata affidata a Gabriele Gior­gio, che con Antonio Tenore, curò la pubblicazione del volume sul trat­to Avellino - Rocchetta dal titolo "Viaggio nel futuro.. .e questione meridionale”.

     Diversi sono stati gli interventi tra le persone autorevoli presenti.

Il Sindaco di Castelfranci Vincenzo Pacifico, il funzionario delle Ferrovie dello Stato Pietro Mitrione, il segretario provinciale della Uil-Scuola, Antonio D'Oria, il coordinatore provinciale della Margherita Enrico Froncillo, il dirigente sco­lastico Angelo Di Talia, il presidente dell'Amministrazione provinciale, Francesco Maselli e il funzionario della prefettura Dott. Lelio Recinto. Un telegramma di buon lavoro  è stato inviato dal  vescovo di Avellino, mons. Antonio Forte, da padre Diodato Maria Fasano, temporaneamente assente, dell’assessore regionale al Bilancio, Luigi Anzalone. E proprio quest'ultimo, quando oc­cupava la carica di presidente della Provincia, fu in prima linea contro il taglio del tronco ferroviario.

Il presidente della Provincia Maselli, nel dirsi favorevole allo sviluppo della Ferrovia in Irpinia, ha promesso che avrebbe sollecitato l’assessore ai Trasporti della regione Campania, Cascetta, per seguire  una linea di azione comune.

Le con­clusioni  sono state affidate al senatore Nicola Mancino, che ha sottolineato la presenza di un numeroso pubblico, importante perché anche un parlamentare deve sentirsi spalleggiato dalla base. Ha promesso che si sarebbe sentito col ministro dei trasporti, Pietro Nardi e con Cimoli per fare il punto della situazione alla luce delle  proposte emerse nel corso del dibattito. Il dibat­tito è stato. moderato dall’eccellente  giornalista Salvatore Salvatore.

 

CORRIERE  Sabato 12 luglio 2003

     CARMINE CLERICUZIO

   


Presentazione del libro “Avellino-Rocchetta S.A.

Con De Sanctis una rete per il Sud

Ponte Principe- (lungo 300m.) in territorio di Lapio


Il futuro dei nostri giovani-

Le  infrastrutture contribuiscono allo sviluppo-

 

 La stazione di Taurasi di una volta-


Una storia legata alla ferrovia di Taurasi

Il nonno di Benigno De Matteis viveva in America, ma intorno al 1907/08, venne in Italia per assolvere  all’obbligo di leva.

A Taurasi era conosciuto col nome di “’Ndonino l’arianese o l’americano”, appunto perché era emigrato in America con la sua famiglia nei primi anni del 1900.

In servizio in una delle caserme sparse per l’Italia, in seguito ad un permesso breve, giunse nella stazione del suo paese nativo dopo un lungo viaggio, con uno dei nuovi treni da poco inaugurato. Come tanti altri, una volta fuori dalla ferrovia, non avendo trovato alcun passaggio, procedeva a piedi verso il paese. La sua meta era Ariano, però era giovane e il lungo tratto che gli restava da fare non lo impressionava. E poi era una bella giornata di primavera, che gli aveva ridato vigore e ottimismo. In prossimità del paese  incontrò una giovane contadina, che procedeva spedita. con una gran cesta in equilibrio sulla testa*(1), in cui era stato riposta la colazione per alcuni operai, che lavoravano in un fondo di sua proprietà.

A lei chiese dove abitasse Gaetano Di Donato; ma la giovane fanciulla non gli diede retta. E non gli diede retta per tutto il tratto che fecero assieme, perché, manco a farlo apposta, il signore, che costui cercava, abitava proprio sulla strada che andava a Mirabella; mentre lei doveva raggiungere “o Vrecchiale” (=zona dove è diffusa la breccia), nel cui terreno, stavano lavorando gli operai.

‘Ndonino l’arianese, che era rimasto colpito da quella ragazza, non si diede per vinto. Chiese notizie ai parenti di Taurasi di lei, Filomena, e venne a sapere che apparteneva alla famiglia Palladino, un’antica famiglia di taurasini benestanti. Tornò più spesso a trovarla  e poi la chiese in sposa ai genitori e se la portò in America.

Da lei ebbe 9 figli, a distanza di due anni l’uno dall’altro. L’ottava figlia fu Carmelinda Scaparrotta,  madre del sig. Benigno De Matteis, un ispettore di polizia in pensione, oggi  componente di una cooperativa vinicola, quindi in prima linea nella rivalutazione dell’Aglianico DOCG .

E’ pure questo un modo dell’ispettore in pensione di rendere omaggio alla ferrovia, senza la quale che  sarebbe successo? Oggi le serba  riconoscenza e dice che da quella casuale circostanza  ha avuto origine questa sua famiglia.


“Scene di vita paesana”

                

 

 

 

 

 

Band’e Poppano - Musicanti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 La vita di paese spesso registrava fatti particolari che sono  passati alla storia come aneddoti, che  si sono tenuti e si tengono a mente per generazioni.

Si verificavano in qualsiasi momento: durante un pronto soccorso, nel corso di un convegno, durante una messa solenne, un funerale, una festa, un discorso,ecc..

Nello svolgersi di un avvenimento triste, ad es., forse per un bisogno di esorcizzarne la drammaticità, si inseriva una battuta, che faceva contrasto con la situazione seria, drammatica che si stava vivendo. Era un episodio particolare, che poi veniva raccontato come una storiella piacevole, proprio come un fatto, un aneddoto.

  Sono 200 e oltre storielle taurasine con una introduzione che riguarda l’argomento

  di cui si va a  parlare.Gli aspetti affrontati  riguardano:

La civiltà contadina, la vita di paese, ‘no iuorn. . . ‘na sera. . ., iuorn re festa, al bar, la scola, il fiume Calore,la casa comunale, in pretura. . . in tribunale,  le forze dell’ordine, il mondo sanitario, il mondo del lavoro, il mondo della politica, l’emigrazione, dagli altri paesi.

Personaggi: la gente di Taurasi di una volta, con i loro soprannomi, Marciano Accettullo, lo lupo, la pecora, lo stumpo, pesce pesce, ecc.

I fatti:quelli di ogni giorno presi nei vari momenti, che col tempo sono passati alla memoria. Nostro compito è stato di registrarli per non farli cancellare dal tempo.

     In piazza morì un vecchietto. La moglie, perché era di sera tardi, chiese a degli ubriachi che si attardavano a chiacchierare sulla torretta di porta Maggiore, di aiutarla a trasportare in un lenzuolo il marito morto, dal primo piano alla stanza del piano terra della casa, dove doveva allestire la camera ardente e ricevere il giorno successivo il saluto di cordoglio di parenti ed amici.

Per equilibrare le forze due si sistemarono al lato della testa del morto e altri due al lato dei piedi.

Una volta sulle scale ci fu chi tirava troppo da una parte, per cui il morto stava scivolando fuori del lenzuolo; da un’ altra ci fu chi sentiva pesante il suo lato perché il morto era scivolato tutto dalla sua parte; ci fu chi riteneva che dovevano riportarlo di sopra perchè non ce l’avrebbero fatta a scendere; ecc. Insomma la fortuna (se si poteva dire tale, considerato il momento) fu che il morto era già morto perché di colpi ne aveva presi talmente tanti che se fosse stato vivo sarebbe comunque morto.

Alla fine dopo alquanto tempo di tira e molla, approdarono al piano terra.

Per le  difficoltà dell’operazione e per lo stato di ubriachezza dei quattro soccorritori il momento, da drammatico, finì per perdere tutta la sua sacralità e gravità. Naturalmente si rise non sul povero morto, che nella sostanza non perde di significato, ma, poiché la nostra mente rifugge le situazioni negative, preferendo piuttosto ritenere solo le positive, per cui col tempo il morto perde di consistenza drammatica, mentre la barzelletta si consolida proprio perchè faceta e piacevole. Vi piace? Speriamo di sì!

Nostro obiettivo, comunque, è stato di registrare tanti bei momenti da recuperare e da non dimenticare perché riteniamo che le trovate divertenti mettono  di buon umore e noi  abbiamo bisogno di più momenti di distensione, tenuto conto della complessità della vita che sempre più affligge la nostra esistenza.

     A supporto di quanto detto riportiamo qualche altra impressione: “La giornata più perduta di tutte è quella in cui non si è riso” N. DE CHAMFORT (Scrittore francese, 1740 ca. –1794) Massime e pensieri); “Che cosa vieta di dire la verità ridendo? ORAZIO (Poeta latino, 65-8 a. C.) Satire, 1,1, 24-25).

 

 

 

 

 

 

Contiene storie del tipo:

Pacchitiello

 

Quando si è incompetenti. . . o si vuole stravedere?!

 

   Era parsonale (colono) di un “don” del paese.

   Un giorno ricevette la visita del padrone, che era in compagnia della figlia.  

   Stava accudendo “a lo vove” (al bue), quando la ragazza fece un apprezzamento all’animale: “Che belle “menne “ (poppe) che tiene ‘sta vacca! E Pacchitiello precisò: “signuri’ quir’ so’ (quelli sono) cogliuni”.

 

                                        “E mmò dimmi che ‘a purt’a l’ospedale!”

 

Ai vari modi  di  prestare un pronto soccorso si aggiunge anche questo. . .

(Pronto soccorso alla taurasina)

   Con un “furgone” (motocarro a tre ruote) Tizio (un  taurasino) investì una gallina.

   Si fermò, scese e raccolse la bestiola ferita, poi risalì sul furgone, e stava per ripartire.

   Il contadino, proprietario della bestiola, che stava lì di presso, gli disse “ e mmò, dimmi che la purt’a l’ospedale!* “

__________

·        “. . . e adesso dimmi che la porti all’ospedale!”

       ma anche:

Dialogo con Publio Virgilio Marone sulla primavera

A marzo la campagna ancora non produceva : con un pugno di farina, residuo dell’anno precedente, si facevano li fusilli, i cicatielli; e poi verdura:cicoria; carduscielle; vorraina; ieta.

La quaresima imponeva il digiuno: ruoccole e rape con peperoncino; formaggio (chi ce l’ha); uova;  ecc.Comincia il risveglio della natura. . .

 

. . . ONORA PRIMA GLI DEI; CELEBRA LA GRANDE CERERE OGNI ANNO, E SACRIFICA SULLE ERBE IN FIORE, QUANDO FINITO L’INVERNO GIÀ PRIMAVERA È SERENA.

ALLORA SONO PINGUI GLI AGNELLI, I VINI DOLCISSIMI; GRATO È IL SONNO, E LE OMBRE INCUPISCONO SUI MONTI.

ALLE SELVE, ALLE FOGLIE DEI BOSCHI È DOLCE PRIMAVERA. . .

ALLORA IL CIELO, PADRE ONNIPOTENTE, SCENDE CON PIOGGE FERTILI NEL GREMBO DELLA CONSORTE, E IMMENSO SI UNISCE ALL’IMMENSO SUO CORPO, E ACCENDE OGNI SUO GERME.

GLI ARBUSTI REMOTI RISUONANO  DEL CANTO DEGLI UCCELLI, E GLI ARMENTI RICERCANO VENERE, E I PRATI RINVERDISCONO ALLE MITI AURE  DI ZEFIRO.

E I CAMPI SI APRONO; SI SPARGE IL TENERO UMORE; ORA AL NUOVO SOLE SI AFFIDANO I GERMOGLI.

E IL TRALCIO DELLA VITE NON TEME IL LEVARSI DEGLI AUSTRI  NÉ LA PIOGGIA SOSPINTA PER L’ARIA DAI LARGHI AQUILONI, MA LIBERA LE GEMME E SPIEGA LE SUE FOGLIE.

M’INSEGNINO LE MUSE IL CAMMINO DEL CIELO E DELLE STELLE, LE ECLISSI DEL SOLE E LE FASI DELLA LUNA. . .

SIANO A ME CARE  LE ACQUE DELLE VALLI E I CAMPI, I FIUMI E LE SELVE.

. . . L’AGRICOLTORE  SMUOVE LA TERRA CON L’ARATRO, E COSÌ NUTRE I FIGLI E GLI ARMENTI DI BUOI E DI GIOVENCHI  (VIRGILIO).

     A Pasqua la festività religiosa vedeva nella dispensa  salumi, come sauzicchi, supersate, uova, animali da cortile, come le galline, oche, poi c’era l’ agnello pasquale, come voleva la tradizione; e poi i dolci del forno della Pasqua, come  casatielle, taralli, pizza co’ lo riso, pizza chiena, o pan’e Spagna, tortano co’ l’uovo, e poi panzetta re agnello cu’ li maccarune, mugliatielli,ecc.

 

In primavera inoltrata  le verdure, gli ortaggi e i primi frutti  abbondavano: verdura cruda e cotta, broccoli di cavoli, di rape, verze, cavolfiori tardivi, scarole, rucola, lattuga, finocchi, cipolle maggiaiole, lardo per le verdure; frutta fresca: mele di S.Giovanni, pere, cerase maiatiche, lappie.

 

LA LUNA APRE GIORNI FECONDI AL LAVORO DEI CAMPI

Ipsa dies alios alio dedit ordine Luna felicis operum.

 

NEI GIORNI DI FESTA IL CONTADINO RIPOSA,

E DISTESO SUL PRATO INTORNO ALL’ARA ACCESA

RIEMPIE I BOCCALI, E COI COMPAGNI INVOCA TE, LENEO . . .

. . . E QUANDO IL PRIMO SOLE RESPIRA SU NOI CON I CAVALLI ANSANTI, LÀ ESPERO ROSSEGGIANTE ACCENDE I LUMI DELLA SERA. .                 

Ipse dies agitat festos fususque per erbam, ignis ubi in medio et socii cratera coronant, te libans Leanee vocat. . .

. . . Nosque ubi primis equis Oriens adflavit anhelis, illic sera rubens accendit lumina Vesper. .  (VIRGILIO)

     

E per  rimetterci di buon umore:

 

Posta in gioco: il maiale

     Si racconta di un villano che in pochi minuti si gioca  i sacrifici di un anno. . .

Quando si dice sfortuna…!

 

    ‘Ndonio, il contadino, che aveva preso il vizio  di giocare a carte, una sera si accanì a tal punto con Nicola, un altro suo pari, che misero come posta il maiale.

     La scopa a otto avrebbe designato il vincitore. La partita fu tirata e la tensione tanta: alla fine ‘Ndonio aspettò inutilmente il sette di danaro che avrebbe decretato la sua vittoria; invece, il sette non arrivò e perse la partita.

     Amareggiato, si portò con Nicola vicino casa e consegnò, come previsto, il maiale al compagno di gioco, poi andò a letto.

   La mattina successiva, la moglie dello  sfortunato giocatore andò a portare da mangiare al maiale, ma non lo trovò; corse subito dal marito e gli chiese se sapeva niente del maiale, e l’altro 

” Statte citto, ca se veneva lo sette re renare, a quest’ora ne tenemmo dduie re puorche!?”*

______________

*(. . . se avessi avuto il sette di denari a quest’ora ne avremmo due di maiali)


L’indiscrezione

In paese, poiché ci si conosce un po’ tutti, capita spesso di vedersi porre domande a volte anche su fatti personali, e comunque indiscrete, come nel caso della storiella che segue.

 

Pasquale era fermo all’angolo della strada in attesa del solito  passaggio.

Enrico ed io sopraggiungemmo e lo facemmo salire in macchina. E., poiché era sera tardi, gli chiese se scendeva  a Madonna delle Grazie o a Taurasi, e P. rispose “a Madonna delle Grazie!?”

E. aggiunse:” Scusa, ma è tardi, non vieni a dormire a Taurasi? O la casa l’hai venduta?” P. a questo punto andò su tutte le furie e, alterando la voce rispose, quasi parlando da solo:

Allora! La casa a Taurasi l’ho venduta per 80 milioni! Se mi chiedete “a chi!?” Rispondo che non lo so  se a uno di Taurasi o ad un forestiero. Mi ha aiutato per l’operazione il geometra Guarino, che già mi ha fatto comprare un pezzetto di terra, per il quale ho speso 10 milioni. Con la somma rimanente il geometra mi farà costruire una casetta con una cucina e una camera da letto, poi affianco ci sarà. . . bla, bla, bla, bla”

E poi, alterando ancora di più il tono di voce:”So’ due mesi che dico sempre le stesse cose a tutti quelli che mi danno un passaggio!? Ma pecchè nun pensate a li cazzi vuosti !?!?”.

Poi,  mi intromisi anche io per calmarlo, dicendo che quanto gli era stato chiesto era solo dettato dall’amicizia, e lui, ritornato parzialmente in sé (calmo) disse:”Appena sarà pronta la casa, mi farà piacere se me facite ‘na visita!?” E scese dalla macchina.

 

Da altri paesi:

Gli scavi di Passo Eclano

 

“ e checcazz’è qua?!

    E’ megli’o paese mio!”.

 

   Si era tanto sentito parlare degli scavi di Passo di Mirabella, tanto da suscitare la curiosità di persone di tutti i ranghi.

   Si assicurava che avevano trovato i resti di una città romana, le terme, la piazza, i tipi di costruzione di una volta, le case, ecc.

   A sentirsi sollecitata fu anche una vecchietta di un paese vicino, che, come si creò l’occasione, non mancò di chiedere che anche lei desiderava visitare questi scavi.

   Ma, come giunsero sul posto, fu tanto il suo stupore, perché, secondo lei, vedeva poco e niente, per cui ebbe a dire “ e checcazz’è qua?!

    E’ megli’o paese mio!”.

Prischitiello, ‘nfacci’a sta pezza

              “Quale stoffa vuoi?”  E Prischitiello “ ‘nfacci’a sta pezza!”

 

   Prischitiello era detto “’nfacci’a sta pezza”, per un’occasione singolare, durante la quale gli fu affibbiato questo nomignolo “’nfacci’a sta pezza” e se lo portò con sè per tutta la vita.

   Si era fermato un giorno di mercato nei pressi di una bancarella per comprare della stoffa per un paio di pantaloni.

   Al rivenditore che gli chiese quale stoffa desiderasse, Prischitiello, indicando con la mano la stoffa prescelta, ebbe a dire “ ‘nfacci’a sta pezza! * (1) ”, gli astanti risero e, da allora, per precisare di chi Prischitiello si voleva parlare, bastava aggiungere il soprannome e non più il cognome.
La prima volta di Napoli

 

“Quanti palazzi, quante macchine, quanta gente?!”

 

Non era mai uscito dal suo paese, dove conosceva ogni persona, ogni angolo, ogni sasso della strada; aveva imparato a distinguere dal loro verso animali della stessa specie, come cani,  somari,  galline,  uccelli; sapeva riconoscere ad occhi chiusi  le persone dal passo, dal colpo di tosse, dalla voce; gli erano familiari  le cose, come lo stridere di una porta, la provenienza di un profumo, il fruscìo delle foglie, il ticchettìo sui vetri della pioggia. . . ; ma... questa città, con tutte questi palazzi così alti, tante, ma tante strade, tante macchine, tanto, tanto di tutto. . .(?!) E poi la gente. . .(?!)  “Tutta ‘sta gente, pensò, addo mangia?!”

 

 

S.Angelo dei Lombardi

L’elemosina

 

“Lo sazio non capisce lo riuno(quello che sta digiuno)?!”

 

    Quel giorno Ciriachino aveva mangiato a crepapelle a lo compleanno re la nipote.

 Po’ se n’era iuto (andato) addiritto ‘nnanz’a lo bar.

     S’era azzezzato (seduto) e s’era sistemato all’ombra re la chianta (della pianta di) re acacia.

     Boccheggiava pecchè nun’ riusceva a fa ‘nu rutto, accussì poteva commenza’ a digeri’ ‘no poco (poteva cominciare a digerire un poco); ma “. . .  era troppo, troppo chino (pieno fino alla gola), fin’a la gola. . .!?”

     A ‘nu tratto s’avvicinave ‘no nano, sì era proprio ‘no nano, che esordì dicenno “. . . Dateme ‘na cosa!” E po’ per motivare più umanamente la sua richiesta “. . . Nun mangio ra tre ghiuorne (da tre giorni)?!”  Ciriachino, aizanno co’ ‘no rito la coppola ca teneve ‘nnanz’ a l’uocchie (sollevando col dito il berretto che aveva davanti agli occhi),  sussurrò a mezza voce  ”. . . Biat’a te (Beat’a te) ?!”.

 

Oltre 200  aneddoti che ci riportano alla semplicità, ma anche al rapporto umano e spontaneo di una volta, che oggi ci manca tanto.

Antonio Panzone