Anche nei paesini più piccoli, come quello in cui sono nato, c'era quell'euforia da dopoguerra che si allargava in un ottimismo incondizionato. Prima delle elezioni di qualsiai tipo, venivano i politici a promettere, anche li, paesino da niente, sotto le costole del vulcano, con la spiaggia nera e pulita bagnata dal Jonio azzurro e pulito, le cose che il buonsenso lasciava intendere che non potevano -e non dovevano, tanto erano esagerate le promesse- mantenute. In segno di concretezza portavano pure pacchi blu di pasta da cinque chili che distribuivano gratis a tutti coloro che si mettevano in fila.
Ma, con i politici e senza i politici, il nuovo arrivava, con la televisione e con i mattoni e la calce e il cemento armato e gli intonaci lisci e puliti luminosi al sole. E insieme arrivava l'acqua corrente, la doccia, il bidet. E cominciava ad andarsene estate dopo estate l'odore di pesce e sudore dalla pelle dei pescatori di trent'anni che ne dimostravano più di cinquanta, sempre vestiti, anche in pieno luglio, con una maglia di lana grezza filata a mano dalle mogli e dalle figlie che così si allenavano a diventare mogli di altri pescatori con la maglia di lana grezza lavorata ai ferri. Le cose cambiavano in fretta e le ragazze non fecero in tempo a diventare mogli di pescatori con la maglia i lana grezza. Arrivarono prima le barche a motore, i finanziamenti per la pesca, i palamati a mille ami di nailon giapponese, le stive piene di bellissimi pescespada con la pelle brillante e i grandi occhi lucidi, i grossisti, gli affari, i soldi, la banchina nuova del porticciuolo. Non erano passati che poco più di dieci anni dai Malavoglia di Acitrezza de "La terra trema" di Visconti e il progresso stava per spazzare via gli ultimi pescatori siciliani pezzenti e con le maglie di lana grezza. I muratori avevano un bel da fare a costruire case nuove per le mogli e i figli e le nuore dei nuovi pescatori di tonni e pescespada. Facevo le elementari e mi arrampicavo dopo la scuola sui ponteggi di legno per vedere da vicino come facevano i muratori a fare le case. Il capomastro mi diceva di stare attento, soprattutto a non cadere, e mi lasciava a guardare. D'estate, poi, dopo il mare veniva il cantiere. Erano come compiti da fare per le vacanze le mie arrampicate sui ponteggi e le ore passate a vedere fare case. Il più paziente era Salvatore, un muratore giovane, fratello del capomastro. Ascoltava la fila delle mie domande e cercava di dare a tutto una risposta per me comprensibile. Fu così che piano piano acquistai le prime conoscenze di mattoni, malte, intonaci, metri, regoli, fili a piombo, compassi di lenze, squadre -regola del 3,4,5- semplici elementi di simmetria, e funzionalità popolare, muri e gettate di cemento. Fu così che cominciai a farmi un'idea di manovali, garzoni, muratori semplici e rifiniti, capimastri, geometri e ingegneri. Di architetti nessuno ne aveva un qualche idea. In fondo li il vero architetto era il capomastro titolare dell'impresa, che prendeva le decisioni e gli accordi di progetto (spesso in corso d'opera) con i proprietari (o meglio soprattuto con la moglie o la fidanzata e la commare), stabilendo la posizione della casa nel lotto, il disegno della facciata, il numero, la posizione, la dimensione delle stanze. La cucina era un elemento fisso: l'ultima stanza dal lato del cortile e dell'orto. Proprio il quegli anni l'acqua corrente e il bagno provocarono lo scompiglio di un'organizzazione funzionale secolare. Durante gli anni della media, conobbi un gesuita appassionato di cosmologia, sismologia e vulcanologia. Fu il primo contatto con l'idea di scienza e la filosofia. Natura, scienza e filosofia camminavano sempre sottobraccio nelle chiaccherate di Padre Damiani. In un certo senso fu così che mi feci la prima idea seria dell'architettura del mondo e di Dio. Mio cugino Pinuccio, giovanissimo professore di lettere classiche, marxista, patito di storia e letture, un giorno mi regalò un volumetto su Le Corbusier: la villa Savoye, La Tourette, Chandigarh. Fu cosi, partendo da quel fondamentale segmento di architettura moderna e dal suo celebre autore, che cominciai a capire e amare l'architettura. Prima di partire per Firenze, per l'università, in una delle primissime edizioni della Rassegna d'Arte Contemporanea di Acireale, conobbi l'artista Roberto Barni, Fu il mio primo vero incontro con l'arte contemporanea. Le prime realizzazioni, tra il Settanta e l'Ottanta sono costruzioni, quasi clandestine, progettate prima della laurea. Alcune le considero prove importanti con segni che avrebbero avuto un seguito nei futuri progetti. Acitrezza, 5/8/01 |
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Lo schizzo non è altro in fondo che un'istantanea del pensiero, elaborata e rielaborata chissà quante volte, dalla mente e dal cuore, a nostra insaputa. |
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