Un pò di Cultura   -   pagina 2

 

Il sistema instaurato dai normanni, in poco tempo, portò intere popolazioni alla miseria e ci vollero secoli, perché la regione si riprendesse da questa situazione di servaggio morale e materiale. I monaci, però, non si sottomisero tanto facilmente ai voleri degli invasori; in modo particolare si opposero alla latinizzazione i basiliani di tutti i monasteri magnogreci tra i quali si distinse il convento di S. Nicodemo, quell'antica e importante struttura monastica fondata dalla stesso Santo, nel secolo decimo, sui pianori delle Limina di Mammola. 

 

Il Santuario di San Nicodemo nei pressi di Mammola

Questa foto ha quasi un secolo....La porta che vedete alle spalle del gioviale gruppo di persone non è altro che l'ingresso del  Monastero di San Nicodemo al bosco. 

 

Non vollero accettare di esser sottomessi all'abbazia benedettina di Mileto, secondo la volontà del gran conte Ruggero I° il Guiscardo, ed anche quando furono addirittura scomunicati dal papa, continuarono la loro lotta sorretti dal vescovo di Gerace. Questi alfieri della tradizione e del rito greco difendevano la loro ortodossia, ma al tempo stesso si opponevano alle angherie degli invasori e al tentativo di cancellare la loro secolare cultura.

 

Mammola: la Grangia di San Biagio: abbazia prima del restauro
Mammola l'abbazia dopo il restauro

 

E, nel mentre si accanisce la burrascosa diatriba tra le due concezioni dei cristianesimo, si fa luce un personaggio particolare, un profondo conoscitore dei greco e del latino, il famoso monaco Bernardo Baarlam di Seminara che diventerà vescovo di Gerace, intorno al tredicesimo secolo. Filosofo, teologo, autore di molti trattati nelle lingue classiche, lasciata la sede vescovile, vagò un po' per l'Italia, alla fine si fermò ad Avignone, in Francia, dove conobbe i grandi poeti Petrarca e Boccaccio, ai quali insegnò il greco ed il latino, gettando così il seme per quel rifiorire della cultura classica che prenderà il nome di Umanesimo.

 

 Il Campanella, autentico gigante del pensiero umano, per le sue dottrine rivoluzionarie, considerate eretiche per quei tempi, dovette scontare ben 27 anni di carcere e si salvò dal rogo, perché finse di essere pazzo. Molteplici sono le sue opere, la più importante è "La città del sole" nella quale vagheggia una nuova società, addirittura comunistica, ma soprattutto un sistema sociale dove siano banditi sofismi, ipocrisia e tirannide ed in modo particolare la lotta all'ignoranza che egli considera la radice di tutti i mali.

Le sue geniali intuizioni non potevano passare inosservate agli studiosi del suo tempo, principalmente ne fecero tesoro i francesi, i famosi autori dell'enciciopedia, cioè i precursori dell'illuminismo che poi sfocerà nella rivoluzione francese. 

 

Stilo: Il paese dove visse Tommaso Campanella

 

Nei secoli sedicesimo e diciassettesimo, non meno importate fu il contributo degli uomini di chiesa allo sviluppo civile della Calabria, per tutti basta citare quel tale S. Francesco da Paola, considerato una gloria, non solamente dalla nostra terra, ma da tutti i cristiani sparsi per il mondo per la sua universale missione di pace e di amore tra tutte le genti di ogni razza e costume. La chiesa cattolica, tra l'altro, annovera numerosi papi, nati in Calabria e formatisi culturalmente in questa terra, così come calabrese è stato un antipapa.  Ma non mancano teologi di grande spessore culturale, altissimi prelati che si sono distinti in studi e ricerche storiche e scientifiche.

 

In tutti i campi del sapere e delle conoscenze umane, la Calabria non fu mai seconda a nessuno, fu sempre all'avanguardia.  Una moltitudine di suoi figli diede il contributo tangibile al progresso umano, dalla filosofia alla teologia; non si contano gli umanisti, letterati, scrittori, romanzieri, e poi tantissimi storiografi, glottologi, etnografi, tutti protagonisti che brillano nel firmamento della cultura e nelle scienze mondiali. A questo punto, mi piace ricordare espressamente alcuni grossi personaggi della mia Mammola, con alla testa il monaco Apollinare Agresta, assunto a Generale dei Basiliani, incaricato dal papa del tempo di riordinare il suo ordine monastico e riorganizzarlo su basi nuove e più rispondenti al secolo diciassettesimo.

Oltre ai tanti libri scritti , noi gli siamo particolarmente devoti, perché, per primo, tradusse il Bios o Logos, cioè la pergamena scritta in greco antico, che ci ha tramandato la vita e le opere di S. Nicodemo, Protettore della città di Mammola.

 

Il busto bronzeo di San Nicodemo patrono di Mammola

 

Due altri generali dei basiliani, non per niente il territorio mammolese fu detto l'impero dei basiliani, gli succedettero, tutti e due mammolesi, Gian Crisostomo Scarfò, grecista e latinista insigne, autore di numerose opere scientifiche e filosofiche, oggi patrimonio delle più rinomate biblioteche italiane e straniere, e Giuseppe Maria del Pozzo, che si distinse per la sua alta missione umana e spirituale.

Non posso non ricordare che la calabra terra ha dato al mondo musicisti di altissimo pregio come Francesco Cilea, pittori e scultori le cui opere abbelliscono musei, chiese, palazzi e piazze di ogni città e paese.  Basta citare Mattia Preti di Taverna, discepolo del Caravaggio, Rodolfo del Pozzo di Mammola, e, ultimi in ordine di tempo, viventi, Nick Spatari, noto in tutta Europa, fondatore di un museo d'arte moderna, ricavato tra i ruderi di un antico convento nei pressi di S. Barbara di Mammola.

 

L'antico monastero di Santa Barbara. 

Riportato agli antichi splendori dall'artista mammolese Nik Spatari

 

Vincenzo Guerrazzi, scrittore e pittore di vaglia, pure mammolese, Renato Dulbecco, catanzarese, premio nobel per la medicina, il cardiochirurgo Gallucci, oriundo di Marina di Gioiosa Jonica, un centro a qualche chilometro da Mammola, primo italiano ad operare un trapianto di cuore, il famoso chirurgo Crucitti, che ha operato il Papa, anzi che lo ha salvato dopo il vile attentato. E non è che questa vasta miriade di menti elevate, di uomini dalle grandi capacità intellettive ed imprenditoriali si sia esaurito in quest'ultimo scorcio di secolo.  Tutt'altro! La Calabria non ha industrie, così hanno voluto le classi egemoni, in compenso ha tante scuole, di ogni ordine e grado, più di quante ne abbia la Lombardia. Sembrerebbe un paradosso, ma noi calabresi siamo molto più istruiti delle regioni cosiddette progredite, dove non sono tanto numerosi quelli che  frequentano le scuole superiori, dato che hanno l'accesso immediato nelle attività industriali molto remunerative.

 

Gli affreschi di Nik Spatari si possono ammirare all'interno dell'antico Monastero di Santa Barbara
Un particolare degli affreschi di Nik Spatari

 

E questa cultura siamo costretti a esportarla, Purtroppo!

Difatti, dalle nostre scuole escono legioni di giovani con una preparazione ferrata, i quali, non trovando nella nostra terra quella agognata occupazione, pur con la morte nel cuore, sono costretti ad infoltire la diaspora per tutte le contrade del mondo, dove si affermano, diventano punti di riferimento, esempio vivente di laboriosità. Nel centro e Nord Italia le leve della pubblica amministrazione sono quasi tutte nelle mani dei meridionali.  Così puoi trovare questori, prefetti, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ingegneri capi del genio civile, fra i quali numerosi sono calabresi.  Al tempo stesso, avvocati di grido, professori di università, chirurghi e medici di chiara fama, tutta una vasta gamma di impiegati, lavoratori, operai, insomma, uomini che si distinguono, siano essi preposti ad alte responsabilità che in mansioni minori.

Senza parlare dei nostri conterranei che operano e lavorano oltre le frontiere e, voi, miei cari compaesani che vivete in questa terra, alla pari di milioni di altri fratelli sparsi nei più svariati stati dei globo, siete la testimonianza vivente di una stirpe che come disse Dante: "Giammai non crolla per soffiar dei venti". Logicamente, a proposito degli uomini più rappresentativi, la mia trattazione è stata svolta a grandi linee, giacché il discorso si sarebbe fatto troppo pesante se avessi elencato tutti gli uomini di una certa levatura.

 

Ad ogni buon conto è  lecito affermare che non c'è città o borgo, villaggio sperduto o grosso paese che non abbia dato i suoi uomini illustri, non vi è sito della Calabria che non abbia i suoi monumenti, quadri, chiese, complessi architettonici che ci ricordano gli antichi splendori.  Nessuno può negare che la nostra regione sia stata, nel corso della sua lunga storia, a cominciare dall'ottavo secolo avanti Cristo, culla e fucina feconda di Santi, letterati, filosofi, poeti e artisti, nonché centro di irraggiamento del sapere.

 

Concerto Bandistico Città di Mammola

Tra le tante attività culturali e ricreative di inizio secolo, quella musicale occupava un posto di rilievo

 

Come mai, mi si potrebbe obiettare, con tanti geni e ingegni, con uomini dall'intelligenza spiccata e assolutamente superiore alla media, con migliaia di personalità che, in ogni tempo e campo, sono state di stimolo e di spinta per l'avanzamento umano e sociale, la Calabria ha subito una battuta d'arresto; in parole povere, è rimasta la Cenerentola tra tutte le regioni d'Italia? E qui la risposta non può venire se non da una dettagliata e spregiudicata analisi degli avvenimenti che hanno caratterizzato i secoli decimonono e ventesimo, se non sì ha il coraggio di riscrivere la storia e di passarla attraverso il vaglio di una critica obiettiva e imparziale.

 

Riandiamo con il pensiero alla fine dei secolo diciassettesimo, inizi dei diciottesimo, dopo la svolta della Rivoluzione francese.Le armate napoleoniche invadono l'Italia, arrivano a Napoli, dove nel 1799 fondano la repubblica partenopea alla quale vi aderirono entusiasticamente molti meridionali, tra cui numerosi calabresi, animati da tante idee nobili e con la speranza che per tutto il Sud abbia inizio un'era di libertà.

Purtroppo, la repubblica ha vita effimera, ma al ritorno dei francesi nel 1805 e durante il decennio, e cioè fino al 1815, dei loro dominio, si riaccendono le speranze di riscossa. Per sventura, alle poche buone leggi riformatrici emanate dal governo di Murat, non corrisponde identica bontà e amore verso le popolazioni, in quanto, i transalpini, pur sbandierando nei loro vessilli il famoso trinomio "Uguaglianza, fratellanza e libertà" , in realtà, si comportano come colonizzatori arroganti ed esosi, provocando la gente che reagiva duramente alle offese e ruberie dei francesi.

 

Si scatenò la repressione da parte loro, che fu dura e spietata, in contrapposto si costituirono le bande armate, in parte aizzate dai borboni e dai preti, in parte per movimenti spontanei. La lotta si accese feroce sulle montagne, dove i calabresi si trovavano a loro agio.  Intanto, i movimenti insurrezionali, dapprima animati da idee di libertà, strada facendo, si frastagliano, si hanno le prime avvisaglie di quel triste fenomeno che passerà alla storia come il brigantaggio sanguinario.

Si è vero, che a capo di orde di malfattori operano individui tristi aventi per fine le rapine, ma è anche vero che i francesi ne approfittarono e trattarono tutti alla stessa stregua, considerandoli briganti, pur se non lo erano, perché nella maggioranza dei casi erano insorti alla ricerca della libertà perduta. Il triste fenomeno del brigantaggio fu poi ingigantito, propagandato in tutta Europa. 

 

Dei calabresi si parlava come gente rozza, sporca, spietata.  A quest'opera di disinformazione e calunnie gratuite ci pensarono gli inviati speciali francesi, i reporter o viaggiatori in malafede che ce la misero tutta a presentare sotto una luce nefasta e negativa tutti quanti i calabresi, ma non dissero mai niente degli eccidi, delle fucilazioni in massa di contadini inermi, della distruzione di interi villaggi, delle ruberie 

Avevano il dente avvelenato e seminarono veleno e fango su una moltitudine di gente onesta che il mondo vedeva come un'accozzaglia di cafoni, se non addirittura come gli uomini delle caverne. I francesi poi se ne andarono, al ritorno dei borboni, qualcosa era cambiata, anche se la restaurazione non vedeva o si illudeva che in tanti anni la storia si fosse fermata. Quelle idee di libertà che i francesi avevano divulgato e che non avevano concretizzato, erano rimaste nell'animo di tanti calabresi, di quella parte emancipata che aveva creduto ai principi fondamentali della rivoluzione, si vanno diffondendo attraverso le sette segrete organizzate dalla massoneria.

Le logge si ramificano, anche Mammola è una delle prime ad avere la sua organizzazione segreta, denominata "Loggia della Viola", si badi bene, però non era qualcosa come la P.2, gli aderenti si battevano per ideali nobilissimi e non per tornaconto personale. Le logge, ben presto, furono assorbite dalla Carboneria, però, la reazione era in agguato e i carbonari mammolesi furono scoperti ed arrestati alla pari di tanti loro fratelli in molte città del Meridione. Fra gli arrestati mammolesi c'era un prete, un grande filosofo, scrittore, letterato.  Egli non era contro la chiesa, bensì per il rinnovamento della chiesa stessa, vagheggiava quello che poi il Concilio Vaticano secondo realizzò, cioè quella separazione netta tra il potere spirituale e temporale. In quegli anni di repressione, innumerevoli furono i patrioti calabresi che diedero un grosso contributo di sangue alla causa dell'indipendenza dell'Italia.  La provincia di Reggio fu quella che ebbe il maggior numero di martiri e la stessa Mammola annovera un suo caduto, il giovane universitario, Francesco Ferrari, impiccato a Reggio Cal.

 

Mammola: la piazza centrale intitolata a Francesco Ferrari
Mammola by night.... Piazza Ferrari

 

Praticamente, la parte più avanzata della regione, artigiani, studenti, professionisti, uomini di cultura, molta parte dei clero, furono in prima fila, era calabrese il tenente Morelli che iniziò i famosi moti dei 1820, che costrinsero il re di Napoli, Ferdinando, a concedere la costituzione, primo stato in Italia a promulgare le libertà fondamentali. Dal 1820 al 1860 c'è in atto un lavorio intenso, teso alla preparazione del momento tanto atteso per sollevarsi contro i borboni, ed all'arrivo di Garibaldi, la masse sono pronte ad accoglierlo come trionfatore.  In ogni paese, dove il cosiddetto eroe dei due mondi vi transitava, furono alzati gli archi in segno di festa.

Quanta fiducia la gente aveva riposto in lui e nei piemontesi che, immediatamente, calarono come avvoltoi affamati, altro che fratelli liberatori, altro che libertà. Ad un re ottuso e reazionario, il Borbone, si contrappone un altro, il Savoia, che non era da meno, quanto a leggi inique e punitrici delle masse contadine e proletarie. Non maestri di scuola per combattere l'analfabetismo arrivano in Calabria, non una politica sociale ed un vasto piano di lavori pubblici per alleviare la disoccupazione, non il potenziamento delle strutture industriali, che c'erano ed erano tante.

 

Una locomotiva delle ferrovie "Calabro-Lucane".

Il meridione d'Italia, prima dell'unità, ebbe la prima ferrovia d'Italia

"la Napoli - Portici"

 

Al contrario scendono reggimenti di carabinieri e guardie di finanza, avidi ed odiosi esattori delle tasse, imposte e gabelle di ogni genere, non ultima la tassa sul macinato che colpisce prevalentemente la gente più povera. E, intanto, era incominciata la spogliazione, il trasferimento degli enormi capitali depositati nel Banco di Napoli, nel Banco di Sicilia e negli altri istituti di credito.  Furono incamerati e venduti i beni ecclesiastici, il tutto per centinaia e centinaia di milioni di quei tempi. Naturalmente, tutte quelle risorse, furono impiegate per sorreggere o far nascere le industrie nella Padania.

Persino i macchinari delle fabbriche che erano in piena attività, quindi, molto fiorenti, furono smontati per essere trasferiti al Nord. Si disse che il Sud doveva concorrere alle spese per l'Unità d'Italia, che bisognava pareggiare i conti dello Stato, purtroppo, tutto ciò fu fatto, ma con il sangue, le lacrime e i sudati risparmi dei meridionali. Alle nostre industrie non furono più assegnate commesse, cioè lavori, ed una alla volta chiusero i cancelli; la fabbrica d'armi e di altri manufatti di Mongiana con quasi 500 operai, una cifra record per quei tempi, quella stessa fonderia che aveva sfornato i primi ponti in ferro, qui in Italia, si avviò al declino.

La stessa fine fecero tutte le altre, i cantieri navali di Napoli e hinterland, di Palermo e di Taranto, le filande che già si stavano avviando a diventare moderni telai meccanici, chiusero anzi tempo per la spietata concorrenza di quelle dei Nord, alle quali il governo dava munifiche sovvenzioni per la ristrutturazione. Persino le famose accademie militari furono trasferite in settentrione, a Modena e a Livorno, mentre la Nunziatella, la prima accademia d'Europa divenne convitto. Desolazione e miseria, disoccupazione e malessere serpeggiante tra tutti gli strati della popolazione. Allora, centinaia di paesi, grandi e piccoli, si ribellarono.  Malcontento, rabbia, delusione furono il denominatore comune di una lotta contro le classi dirigenti che avevano solamente inteso colonizzare una regione.

 

La coltura del baco da seta
Il baco da seta.... un tempo attività fiorente e redditizia in Calabria

1935: Le filatrici

L'arte del ricamo. Un'altra delle attività ormai perdute

 

Come rispose lo Stato unitario?  

Con la repressione più dura, con una ferocia senza pari, alcuni episodi di violenza sono paragonabili agli eccidi dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale. A migliaia i giovani si rifugiano sulle montagne per non sottostare alla leva obbligatoria ed è, appunto, nel corso dei dieci anni della repressione, che si sviluppa ed attecchisce quella mala piante della "ndrangheta" , quella consorteria funesta che arruola numerosi adepti tra le masse di rifugiati nelle montagne. Si calcola che la repressione contro il brigantaggio e contro gli insorti, sia costata allo stato la bellezza di 200 milioni di quei tempi.  D'altro canto, bisognava mantenere in Calabria 120.000 soldati in pieno assetto di guerra. Ai disastri apportati dalla guerriglia, bisogna aggiungere le ricorrenti crisi nell'agricoltura dovute a dazi e protezionismo su alcuni prodotti a scapito di altri, quali olio, vino ed agrumi che erano le risorse e la ricchezza dei Meridione.

 

Un frantoio in piena azione

 

La borghesia meridionale, preoccupata di ottenere dall'Unità alcuni vantaggi immediati e locali, come la legittimazione delle terre usurpate e la difesa contro le rivendicazioni contadine, acconsentì che l'effettivo controllo dei poteri andasse ai ceti industriali dei Nord senza capire che in questo modo si ponevano le premesse di quella crisi del Mezzogiorno, o dell'aggravarsi della crisi stessa , che in un tempo non lontano avrebbe travolto anche i suoi interessi. La nostra classe dirigente non capì che la politica protezionistica seguita dal governo, a partire dal 1876, se aiutava l'industria del Nord a non essere sopraffatta dalla concorrenza straniera, penalizzava gli interessi dell'agricoltura meridionale, così come penalizzante risulterà per la Calabria la guerra delle tariffe attuata contro la Francia durante il governo Crispi.

Molte sono le storture e le ingiustizie perpetrate ai danni del Meridione nel primo trentennio dell'Unità d'Italia. Il ribasso dei prezzo dei cereali, l'aumento delle imposte con l'estensione alle regioni dei Sud dei sistema fiscale piemontese, i dazi imposti per ridurre il deficit di bilancio che incisero principalmente sul vino, olio e formaggi, mancanza di credito agricolo ed, infine, l'eliminazione dei dazi doganali con i quali i borboni proteggevano il nostro artigianato dalla concorrenza dei Nord. Questa logica perversa costringerà il Meridione ad essere area di sottosviluppo anche in futuro, cosicché alla povera gente, al proletariato, non rimase che la carta dell'emigrazione di massa, quasi un esodo biblico.

Lo stato, questa volta, fu generoso, volle offrire il famoso passaporto rosso con il quale centinaia di migliaia, forse milioni, di poveri derelitti, furono imbarcati come negri verso l'America dei Sud. E allo scoppio della prima guerra mondiale, guarda caso, proprio nel periodo in cui il Sud si stava riprendendo da una lunga stasi economica, chi paga ancora una volta lo scotto?

 

1936 - Mammola (Via Dante Alighieri) - Il ritorno dalla Campagna d'Africa

Grande fu il contributo di vite umane dato dal meridione a tutte le guerre.

 

Centinaia e centinaia di migliaia di fantaccini, forzatamente arruolati, vengono portati sulle balze dei Trentino e sulle doline del Carso, per difendere quella patria che con loro era stata matrigna, salvando con il loro sacrificio quelle grandi pianure settentrionali e con esse le industrie create sul risparmio del Meridione. L'olocausto in caduti, mutilati, invalidi, e morti in seguito per causa di guerra, fu enorme per il Sud, quando si pensi che la sola Mammola ebbe circa 150 morti in combattimento, numerosissimi gli invalidi e molti altri non sopravvissero a lungo alle malattie contratte nelle interminabili giornate passate nelle trincee in mezzo al fango e alla tormenta. D'altro canto, finita la guerra, ai reduci, tornati nelle loro contrade, quali prospettive di lavoro furono offerte dallo stato liberale?

Il governo dell'epoca, che durante il conflitto aveva promesso la terra ai contadini, occupazione per gli operai e braccianti, si rimangiò gli impegni, abbandonando a se stesse masse di disoccupati e di sottoccupati al limite della sopravvivenza. Nella seconda guerra mondiale il Sud paga fortemente, non solo con la morte in combattimento di molti suoi figli, soprattutto con i bombardamenti e la distruzione di intere città sul mare, poi dà un contributo notevole alla lotta di liberazione contro i nazisti, in quanto, moltissimi soldati meridionali, sorpresi dall'armistizio dell'8 settembre 1943 lontani dai loro paesi, non aderirono alla repubblica sociale e si arruolarono nelle formazioni partigiane, ma nessuno, in seguito, riconobbe questa partecipazione.

Per tutta risposta, alla fine delle ostilità, il socialista Nenni se ne venne fuori con il suo famoso slogan "Vento dei Nord" che fornì ai nordisti l'alibi per un presunto diritto di essere loro i liberatori d'Italia ed accampando, ancora una volta, pretesti per imporre la supremazia sull'intera nazione italiana. Da questa illogica presunzione, venne fuori quell'arroganza di potere che permise alla classe egemone e dominante, ossia agli industriali e ai grossi agrari, di progettare il futuro dell'Italia secondo una logica distorta ed innaturale per cui il Sud sarebbe dovuto essere il serbatoio di braccia ed il Settentrione l'espressione più avanzata dello sviluppo industriale italiano. Gli anni cinquanta, per l'ennesima volta, videro un altro esodo, ancora più consistente di quelli precedenti, una vera emorragia che porta via la parte migliore dei nostro popolo che sradica le intelligenze più spiccate, i lavoratori più tenaci La stessa gioventù, delusa ed amareggiata, dopo avere creduto che la repubblica potesse, finalmente aprire orizzonti di pace e di uguaglianza tra tutti gli italiani, si rassegna ad un destino crudele. E vanno via i nostri emigranti, portano poche, povere cose racchiuse nei pacchi incordati e nelle valigie di cartone, vorrebbero tagliare definitivamente i ponti con la madre patria, ma all'atto di abbandonare il paese, la guglia del campanile alla cui ombra hanno giocato bambini, dà loro una speranza che si fa certezza di riscatto e di rivincita, forti anche di quell'immaginetta del loro Santo protettore S. Nicodemo, che conservano gelosamente nel petto.

 

Ogni emigrante mammolese conosce bene questa Croce. Essa si incontra percorrendo la mulattiera de "la seija". La stradina che oggi porta fino al santuario di San Nicodemo. La leggenda ci racconta che ai piedi di questa Croce il Santo si fermasse a pregare. Oggi la strada è percorsa solamente con spirito turistico.

Nik Spatari ha rappresentato così il miracolo de "l'argagnaru". Colui che vendeva le ciotole di terracotta. Secondo i racconti giunti fino a noi, questo episodio si verificò lungo la strada de "la seija"

 

Percorreranno le vie del mondo, soffriranno, lavoreranno duramente per procurarsi un avvenire, ma al tempo stesso concorreranno a creare ricchezza e benessere per gli altri popoli, certi miracoli industriali ed economici.  Il riferimento è diretto soprattutto al Nord d'Italia, sono il frutto del loro sacrificio, ma non dobbiamo, non possiamo dimenticare che grazie alle loro rimesse, l'Italia ha potuto portare a termine la ricostruzione ed iniziare la marcia verso l'industrializzazione ed il progresso. Ecco spiegato a chiare lettere il perché il Sud sia rimasto bloccato, quindi non abbia potuto intraprendere quella marcia verso la riscossa economica morale e sociale.  I ritardi storici, gli errori delle classi dirigenti, non si possono cancellare tanto facilmente, sono come macigni giganteschi che pesano al collo di intere generazioni.

A tutto ciò, in questi ultimi tempi, va aggiunta quella propaganda nefasta dei mass-media che sono stati la cassa di risonanza per fatti delittuosi di grave entità e di cui i primi a dolersi e a vergognarsi sono i calabresi onesti.  E' stato creato attorno a noi il vuoto, ogni nostra azione sa di malaffare, giornalisti ed inviati speciali piombano da noi come avvoltoi al minino accenno di fatti di cronaca nera, ma ci dimenticano e ignorano tutte le belle e nobili iniziative per la pace, per la cultura, per la lotta contro la fame nel mondo, contro il razzismo, manifestazioni che si svolgono continuamente anche nei più sperduti paesi della Calabria.

 

Il campanile della Chiesa Matrice

Mammola panorama: "Cundutteiju"

 

Il risultato negativo è che hanno bloccato le correnti turistiche che avevano scoperto il nostro sole, il nostro mare azzurro, la bellezza dei paesaggi, la ricchezza di opere d'arte incomparabili. Una cortina di ferro è stata innalzata per emarginarci, indegne speculazioni sono state imbastite sulla piaga dolorosa dei sequestri di persona, un vero e proprio sciacallaggio mirato a deturpare oltre ogni limite l'immagine di una regione, uno steccato ideale è venuto su, alla sommità del quale c'è vistosa la scritta "Hic sum leones" vale a dire, pericolo di vita. Nessuno, forse, sa con quanto dolore e quanta sofferenza sono stati vissuti dai calabresi gli episodi efferati di delinquenza, per noi è stata un tragedia nella tragedia, abbiamo pensato che era necessaria una catarsi, un atto di purificazione per venire fuori da quell'immagine sciagurata, una forte presa di coscienza per risalire la china e rinascere a nuova vita. La speranza di un riscatto non è venuta meno, la Calabria di tempi tetri e sciagurati, nei lunghi secoli della sua storia, ne ha vissuti abbastanza, ancora una volta saremo in grado di affrontare e vincere le avversità.

 

Panorama di Mammola al tramonto

 

Vagando per le stradine del paese è possibile assistere a scene come questa....

" U Ciucciareiju " ovvero l'asinello. Un tempo mezzo di trasporto indispensabile.

 

Sono sentimenti che scaturiscono dalla consapevolezza del grande passato e dalle infinite potenzialità che il futuro ci riserva. Non ci mancano coraggio e intelligenza, abbiamo volontà e capacità di soffrire e già all'orizzonte si intravede una luce nuova che rischiara il nostro domani

Anzi! Energia ce ne rimane a sufficienza per potere andare alla riscoperta dei tesori d'arte che la nostra terra custodisce e dei segni che su di essa hanno lasciato Bruzi e Greci, Romani e Bizantini, Saraceni e Longobardi, Normanni e Svevi, Angioini e Aragonesi.

Fino a qualche decennio fa, i tre grandi massicci montuosi, il Pollino, la Sila e l'Aspromonte rendevano la regione impervia e non facilmente accessibile, ma la Calabria, finalmente, ha rotto il suo secolare isolamento. Due aeroporti, una serie di porti turistici, veloci linee ferroviarie ed un'autostrada che corre attraverso uno spettacolare scenario di montagne, l'hanno resa agevolmente raggiungibile.

 

Ecco un esempio dei sapori forti della Calabria.

La " Soppressata " tipico salame calabrese molto piccante che ancora viene prodotto artigianalmente e con carne suina altamente genuina..... il tutto, naturalmente, insaporito dal mitico "peperoncino".

Una fase dell'insaccamento delle

 " Soppressate "

 

Una rete stradale interna rende possibile spostarsi velocemente dallo Jonio al Tirreno, dal mare ai boschi ed ai laghi di montagna, ai centri sorici arroccati sulle colline, alle stazioni termali famose già duemila anni fa, lungo itinerari turistici, folkloristici e gastronomici, quest'ultimi, straordinariamente, apprezzati dai buongustai italiani e stranieri per la cucina ricchissima di alimenti genuini e di piatti gustosi e, per i palati forti, anche esplosivi, innaffiati da una gamma di vini che gli intenditori si augurano che non vengano scoperti dal grande pubblico dei consumatori.

Ed, allora, la Calabria, forte della sua innata ospitalità, ricca del suo sole e del suo mare di turchese, dei suoi monumenti e dei suoi superbi paesaggi, ma soprattutto animata da tanto amore, è pronta ad abbracciare e a stringere affettuosamente quei turisti che invaderanno pacificamente i nostri paesi e le nostre contrade per sentire e vivere, a misura d'uomo, le loro giornate di vacanza in un'atmosfera di gioia e di serenità.

 

                                                                Stefano Scarfò