LA PROPRIETÀ DELLA TERRA
In Sardegna vi sono grandi differenze
tra l'uso della terra da pascolo nelle zone del sud pianeggiante e quello
delle zone montane. In queste ultime zone, prettamente pastorali, erano
soprattutto le terre comuni ad essere sfruttate. Si tratta delle località
su cui ebbe scarsa diffusione la chiusura delle terre. Scarsa applicazione
dell'Editto delle chiudende (1823) si ebbe anche nelle zone cerealicole
del sud ma i motivi della mancata chiusura furono senza dubbio differenti.
Nelle zone di montagna (Barbagia e Gerrei)
la proprietà della terra non si concentrò nelle mani di privati
bensì passò per gran parte dalle mani dei feudatari, della
Corona, della Chiesa a far parte delle terre comunali. Altro è il
motivo delle terre aperte del sud cerealicolo:
<<Zone di terreni aperti rimasero anche le pianure meridionali:
Arborea,
Marmilla,
Trexenta,
Campidano. Qui, i coltivatori erano
di gran lunga la classe preponderante ma erano, per la maggior parte, troppo
poveri per poter rinunciare senza contropoartita ai vantaggi del sistema
comunitario. I villaggi di queste zone comprendevano un piccolo numero
di grandi proprietari e un grandissimo numero di braccianti agricoli che
possedevano appezzamenti microscopici, insufficienti persino alle necessità
della loro sussistenza>>, Le Lannou, Pastori e contadini di Sardegna,
Edizioni della Torre, Cagliari, 1992, p.161.
La comunella
Generalmente in tutta l'isola, la proprietà della terra era
di fatto concentrata nelle mani dei contadini. Dove le condizioni non permisero
l'uso della terra comunale, o dove questa non era sufficiente, si sviluppò
la comunella. La comunione pascoli o comunella era (ed è ancora,
seppure con caratteri differenti) un'istituzione che metteva in relazione
i contadini proprietari di terre con i pastori; essa regolava inoltre l'accesso
delle greggi alle terre comunali.
<<La komunella è anche indifferente al tipo di proprietà,
privata o comunale o di altro tipo: serve a regolarne l'uso contemperando
le esigenze di pascolo con quelle della coltivazione. Dove esistano terreni
comunali destinati al pascolo, o alla coltura e al pascolo nella rotazione
biennale, il pastore ha di solito diritto di accesso a questa risorsa pubblica,
in quanto abitante del comune (e quindi parte dei «comunisti»,
come si diceva un tempo): e questo accesso è spesso regolato all'interno
della comunella>>, G. Angioni, I pascoli erranti. Antropologia del
pastore in Sardegna, Liguori Editore, Napoli, 1989, p. 72.
Dunque condizione all'accesso dei pastori alla comunella era l'appartenenza
alla comunità. Spesso, inoltre, essa si affiancava all'organizzazione
della vidazzone. I terreni privati (tranne i chiusi e i vigneti) si mettevano
in comunella affinché i pastori potessero condurvi le greggi; se
i terreni facevano parte della zona riservata alle colture (vidazzone)
venivano aperti al pascolo dopo il periodo del raccolto, se invece si trattava
di terre a riposo (paberile) i pastori vi avevano libero accesso per tutto
l'anno. A seconda del numero dei capi, ogni pastore pagava l'affitto alla
comunione pascoli che provvedeva a distribuire la dovuta quota a ciascun
proprietario. Si tratta di un'istituzione che si è formata parallelamente
alla privatizzazione della terra che si è avuta verso la metà
dell'Ottocento: si tratta di una forma di distribuzione della terra non
più dettata dalla comunità bensì da un accordo tra
privati.
I pastori, per ottenere pascoli sufficientemente ampi per il pascolo
erano costretti ad accorpare terreni che avevano provenienze differenti:
terre di proprietà, terre derivate dall'affitto in linea privata
e ottenute attraverso i canali della comunella. Per far ciò si avvalevano
della propria rete di relazioni personali, sia parentali che amicali. Avevano
maggior riuscita proprio quegli individui che si davano maggiormente da
fare nell'ambito relazionale costruendo e mantenendo in vita i legami (attraverso
rapporti di dono, di amicizia e/o di comparaggio con i proprietari delle
terre). In questo modo, la rete di relazioni di vario genere permetteva
spesso l'accorpamento di diverse porzioni di territorio. L'unione di tali
porzioni garantiva una certa autosufficienza. Ma si trattava sempre di
un espediente sociale che non intaccava la struttura della proprietà
fondiaria fortemente caratterizzata, in tutto il territorio dell'isola,
da polverizzazione e dispersione.
Man mano che ci si avvicina ai nostri giorni, l'affitto della terra
privata coinvolge una sempre maggiore fetta del territorio utilizzato per
il pascolo. Le terre non vengono più sorteggiate e i rapporti privilegiati
tra le persone della comunità (tra proprietari di terra e pastori)
assumono una rilevanza notevole. L'affitto della terra viene stabilito
in base alla rete di rapporti esistenti tra i pastori e i proprietari.
Oltre ai rapporti di parentela, a quelli di amicizia e a quelli di vicinato,
è fondamentale la locazione abituale di pascolo, che talvolta assume
anche un carattere ereditario: <<Il bestiame è abituato a
pascolare in quella zona e bisogna a rispettare le capre. In primavera
vogliono andare in zona fresca (è l'istinto di bestia), in montagna;
in autunno vogliono andare in posto caldo>>, pastore di Villasalto (Cagliari).
I pastori che possedevano una qualche proprietà, seppur esigua,
cercavano di prendere in affitto le terre ad essa adiacenti. Essi ritenevano,
e ritengono, che non si potesse negare loro la cessione in forma d'affitto
di terreni adiacenti a quelli già da tempo utilizzati.
L'uso di un territorio particolare, sebbene composto anche da
terre private prese in affitto, diviene col passare del tempo un diritto
consuetudinario: i pastori di un paese cercano di sfruttare sempre la stessa
zona senza intralciarsi. Le greggi non devono incrociare i loro percorsi
così come i pastori evitano di chiedere in affitto le terre che
sono "tradizionalmente" bacino di altri pastori.
<<Ognuno ha la sua zona da affittare vicino il terreno comprato:
è una regola da rispettare perché il bestiame è abituato
a pascolare in quella zona e quindi bisogna a rispettare le capre>> pastore
di Villasalto.
Questa sorta di diritto consuetudinario all'affitto si è rafforzato
con la crisi dell'agricoltura. Per i pastori è stato sempre più
semplice trovare aree per il pascolo dei propri armenti e la stessa competizione
per accaparrarsi le terre in affitto è via via diminuita. Inoltre
l'acquisto di terre da parte dei pastori non è avvenuta in quella
misura che ci si potrebbe aspettare: la facilità di reperimento
e il costo non eccessivo del pascolo in affitto (soprattutto se regolato
dalla comunella) ha fatto sì che ancora oggi siano pochi i pastori
che decidono di acquistare terre per essere assolutamente indipendenti.
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