AFGHANISTAN: film e video per comprendere trent'anni di conflitti e resistenze |
(di Cristina Balma Tivola, in collaborazione con Giorgio Arduini) Questo
sito è dedicato al rapporto tra antropologia e immagine.
Molti, nei mesi successivi ai tragici eventi dell'11
settembre, hanno riflettuto sul ruolo dell'immagine nella
produzione e nella divulgazione del sapere relativo a
quei fatti e alle loro conseguenze. In relazione a quegli
stessi fatti e alla guerra che li ha seguiti, è
cresciuta, la domanda di informazione relativa alle
culture e alle etnie presenti nel mondo. Inoltre è
cresciuta la domanda di informazione relativa a religione
e culture del Medio Oriente e in particolare
all'Afghanistan (com'era ovvio aspettarsi). |
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Dal momento che molti dei materiali attraverso i quali abbiamo conosciuto questa situazione consistono in riprese televisive, telegiornali o reportage, noi siamo andati piuttosto alla ricerca di materiali meno conosciuti ma più vicini a una certa 'sensibilità antropologica'.
Una documentazione audiovisiva recente è Jung: nella terra dei Mujaheddin, per la regia di Fabrizio Lazzaretti e Alberto Vendemmiati. Realizzato nel 1999, questo documentario ha vinto il premio Planete per la migliore fotografia, il Festival international du grand reportage et du document d'actualité Lille 1999 e il primo premio al Festival Actual Barcelona 1999. Seguendo l'attività di Emergency in Afghanistan, questo lavoro ci offre anche una vivida e 'militante' descrizione del paese negli ultimi anni.
(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it) |
Jung [Giang] vuol dire guerra; per il popolo dell'Afghanistan questa situazione è diventata una dimensione d'esistenza quotidiana. Questo documentario è un viaggio nel nord dell'Afghanistan, terra dei Mujaheddin, costruito sulla figura di Gino Strada, chirurgo dell'organizzazione umanitaria italiana Emergency che offre assistenza alle vittime di guerra. Emergency ha un progetto: aprire un ospedale per alleviare le sofferenze del popolo afghano, domenticato dalla comunità internazionale. |
La sinossi del film e una intervista al suo produttore, Giuseppe Petitto, si trova (in inglese) al sito del Festival Internazionale Cinematografico dei Diritti Umani, festival itinerante attualmente in corso a Boston e prossimamente a San Francisco: http://www.hrw.org/iff/
Il New York Times ha recentemente
dedicato al documentario una recensione nella quale il critico
A.O.Scott rileva la continuità del film con le modalità di
rappresentazione del cinéma vérité (http://www.nytimes.com/2001/11/23/movies/23JUNG.html, 23 novembre 2001). Privo di narrazioni e
di interviste (ad eccezione di alcune domande rivolte ai
combattenti delle milizie nel Nord che vengono ricoverati
nell'ospedale di Emergency), il film si immerge nel caos della
lotta tra talibani e combattenti dei territori del nord
documentando due missioni in Afghanistan, nel 1999 e 2000, di
Gino Strada e dei suoi compagni, Kate Rowlands, infermiera
britannica, e Ettore Mo, giornalista.
Le immagini riprendono tanto operazioni e situazioni-limite in
cui lavorano Strada e la Rowlands, sia le decisioni e le
trattative per garantire la sicurezza (dalla richiesta di
spostare i carri armati della resistenza del nord lontano
dall'ospedale in modo tale da non rischiare un attacco talibano
al divieto di portare armi all'interno della struttura
sanitaria). La formazione delle persone locali diventa
fondamentale per garantire la mediazione culturale necessaria
all'intervento umanitario e alla fine del film l'ospedale sembra
rappresentare un punto di riferimento stabile nel mezzo della
catastrofe in corso.
Tale sensazione è amplificata da una sequenza alla quale
assistiamo verso la fine del film: circondato dalle amorevoli
cure dei suoi parenti in uno spazio apposito all'interno
dell'ospedale, un uomo, afflitto da malattia incurabile, muore.
Ma la dignità di questa morte silenziosa e assistita nel mezzo
del frastuono della guerra può paradossalmente essere letta
anch'essa come un tentativo concreto di ricostruire una
quotidianità alternativa a quella ormai cronica del conflitto.
Lo stesso Gino Strada, attualmente in Afghanistan per gestire l'ospedale e per operare le vittime del conflitto in corso, ha scritto un testo, pubblicato sul sito di Emergency (e ripresa da numerosi giornali italiani) nel quale riflette dall'<interno> sulla comunicazione televisiva in merito alla guerra e alle sue conseguenze.
"[5
novembre 2001] Valle del Panshir, come passa in fretta il
tempo. [...] Ogni minuto trasmesso in diretta, fiumi di parole, di voci, di analisi, di invenzioni sulla guerra. Per una volta, mi verrebbe da dire, viva le televisioni. Capisco che a questo punto la domanda «Ma Gino sta bene o è ammattito?» sia già venuta a qualcuno, ma cercherò ugualmente di spiegarmi. Premetto che qui, in Afghanistan, io posso ricevere tranquillamente tutti i canali televisione e radio italiani e non, per cui ho il privilegio di sentire e vedere quel che si dice e si fa vedere in Italia sull´Afghanistan, standomene comodamente sdraiato su una stuoia e un cuscinotto nella valle del Panshir. |
(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it) |
E vi assicuro che, a volte, è davvero una grande ricompensa: si possono degustare «commenti dal fronte» provenienti da località dove andiamo regolarmente a far la spesa al mercato della verdura, il tutto condito da immagini di bombardieri che sfrecciano tra le nubi cariche di pioggia, mentre qui non si vede una nuvola da venti giorni. E via di questo passo, per arrivare, ma qui mi fermerei, ai commenti dei «politici» sull´Afghanistan, sul terrorismo, sull´Islam. Non è davvero il caso, l´urgenza della situazione non lo consente, di perdere tempo a puntare il dito contro questo e quello ridendone dell´ignoranza o della grossolanità. Se fossi in Italia, probabilmente mi incazzerei quanto voi, ma credo che in questo momento conti poco. Quello che conta, invece, è che questa guerra, a differenza della Guerra del Golfo, la possiamo vedere.
"[5
novembre 2001] Valle del Panshir, come passa in fretta il
tempo. [...] Ogni minuto trasmesso in diretta, fiumi di parole, di voci, di analisi, di invenzioni sulla guerra. Per una volta, mi verrebbe da dire, viva le televisioni. Capisco che a questo punto la domanda «Ma Gino sta bene o è ammattito?» sia già venuta a qualcuno, ma cercherò ugualmente di spiegarmi. Premetto che qui, in Afghanistan, io posso ricevere tranquillamente tutti i canali televisione e radio italiani e non, per cui ho il privilegio di sentire e vedere quel che si dice e si fa vedere in Italia sull´Afghanistan, standomene comodamente sdraiato su una stuoia e un cuscinotto nella valle del Panshir. |
(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it) |
Magari un po´ distorta -
ciascuno tende a portare acqua al suo mulino - ma c´è, la
possiamo vedere. Possiamo perfino seguire la neobattezzata «Cnn
araba», Al Jazira ma voi ve li immaginereste quelli del Qatar
definire la Cnn l´«Al Jazira americana». E possiamo anche
seguire il piccolo neonato sito di Emergency intitolato «Un
altro Afghanistan». Per ora è poco più che una finestrella, ma
se ci pensiamo e ci lavoriamo in tanti, se in tanti saremo
disposti a metterci idee, tempo, professionalità, potrebbe
diventare un progetto molto, molto interessante [...]".
Questo articolo ci sembra interessante non solo per la differenza
che mette in luce tra guerra per immagini e guerra reale (sul
quale anni orsono era stata pubblicato una utile antropologia,
AA.VV., Guerra virtuale e guerra reale / Riflessioni sul
conflitto del Golfo, Collana Mimesis, Associazione culturale
Mimesis, Milano, 1991, con contributi di M. Perniola, C.
Formenti, P. Dalla Vigna, T. Villani, F. Guattari, J. Baudrillard
raccolti da Tiziana Villani e Pierre Dalla Vigna) ma anche
perché la 'chiamata a raccolta' per dare una immagine che
rappresentasse la verità del conflitto attraverso l'uso di
internet si è, in questo caso, risolta nella realizzazione di un
sito ad hoc; esperienza strategica d'uso delle nuove
tecnologie, questa, che è ormai ricorrente da parte di quelle
comunità minoritarie che nel mondo vengono ignorate dai media
ufficiali.
Recentemente abbiamo assistito sul secondo canale della Rai (Rete televisiva italiana) alla trasmissione di un documentario, Massoud, lafghano, sulla figura del comandante della resistenza dei Territori del nord, Ahmed Shah Massoud.
Nel sito
internet dedicato al festival cinematografico annuale Asiatica Film Mediale, che si tiene a Roma in novembre,
abbiamo trovato dati tecnici del film citato e di
un'altra opera documentaria dello stesso autore. Massoud, lafghan (1998) Massoud, lafghano Christophe de Ponfilly Fotografia: Christophe de Ponfilly Montaggio: Jean-Franáois Giré e Tatiana Andrews Suono: Bertrand Gallet, Michel Bernard Produzione: Interscoop-La Sept Arte - Francia Durata: 89 |
(dal sito http://www.asiaticafilmmediale.it) |
"Nel susseguirsi tumultuoso
delle immagini e dei suoni del mondo moderno, ha ancora un
significato imbracciare una cinepresa?". Il film si apre con
questo interrogativo, urgente tanto per chi si occupa di studi
antropologici e audiovisivi, tanto per chi questi materiali li
realizza come film/videomaker o regista.
Iniziato nel 1981 in pieno regime di guerra in Afghanistan, Massoud,
lafghan è un ritratto del leggendario leader
carismatico della resistenza afghana allesercito sovietico,
ma rappresenta anche una lucida riflessione del regista sul senso
della di documentazione, rappresentazione e interpretazione per
immagini del mondo in cui viviamo.
(dal sito http://www.asiaticafilmmediale.it) |
Vies
clandestines, nos annés aghanes (2000) Vite clandestine, i nostri anni in Afghanistan Christophe de Ponfilly Fotografia: Christophe de Ponfilly Montaggio: Valérie Salvy Suono: Christophe de Ponfilly Produzione: Interscoop-France2 - Francia Durata: 90 |
Questo film descrive le
esperienze vissute da cittadini francesi, uomini e donne, durante
la guerra in Afghanistan, negli anni 80, testimoniando le
ragioni e i motivi che hanno spinto più di un milione di persone
a ritrovarsi coinvolti nella clandestinità, spesso mettendo in
pericolo la propria vita, dentro una guerra che, a priori, non
era la loro.
Semplici cittadini sono diventati protagonisti di questo
conflitto: giornalisti e spie per qualcuno, chirurghi umanitari e
personalità politiche per qualcun altro. Il film vuole mettere
in luce questo impegno, la sua forza e le sue conseguenze.
Uno sguardo di genere e militante è rappresentato dal sito internet del RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) che da tempo si batte per il riconoscimento dei diritti delle donne afghane e "per la pace, la libertà e la democrazia nel Paese".
Le donne che aderiscono a RAWA si trovano tutt'ora in Afghanistan, dove anche sotto il regime talibano hanno sempre svolto attività sanitarie, educative, economiche e informative. Nella home page del sito una galleria ricchissima di fotografie scattate in segreto dalle persone del luogo o da organizzazioni umanitarie testimoniano la storia drammatica recente dell'Afghanistan. Nel sito sono anche disponibili clip e video acuistabili presso una televisione inglese loro partner.
Nelle sezioni nazionali del sito (vi è anche quella italiana), oltre a trovare informazioni sul movimento e su come sostenerlo, numerosi articoli descrivono la condizione delle donne dall'avvento del regime dei talibani alla situazione odierna; rimaste in Afghanistan le corrispondenti - amiche e parenti delle rifugiate che hanno dato vita a RAWA - cercano di far sentire la propria voce e le testimonianze raccolte attraverso una fitta rete di legami e scambi segreti vengono divulgate via internet; tra gli articoli ospitati:
Altri materiali riprendono documentazioni e riflessioni che diversi media (televisione, cinema, stampa) hanno dedicato alla situazione in corso:
Per discutere la situazione delle
donne afghane in questi anni un esempio eloquente ci viene dalla
pluripremiata produzione a soggetto Viaggio a Kandahar
(2001, 85') di Moshen Makhmalbaf.
Dal sito internet del regista e della sua casa di produzione, http://www.makhmalbaf.com, abbiamo tratto i dati tecnici e le
fotografie del film.
Sceneggiatura,
regia, montaggio: Moshen Makhmalbaf Direttore della fotografia: Ebrahim Ghafouri Musiche originali: Mohamad Reza Darvishi Suono: Behrouz Shahamat, Faroukh Fadai Affari internazionali: Mohammad Reza Safiri Direttore di produzione: Siamak Alagheband, Produzione: Makhmalbaf Film House (Iran) and Bac Fillms (France) |
Un articolo apparso recentemente
sullo Yomiuri Shimbun racconta, con gli occhi della protagonista,
Pazira Niloufar, figura alla quale si è anche ispirato il
regista nella sceneggiatura originale del film, la vita delle
donne afghane durante il regime talibano e la loro opera di
resistenza sotto la 'copertura' offerta dal burqa.
Apparso
con il titolo "Lavorare all'ombra del burqa" (Working
in the shadow of the burqa), l'articolo
(http://www.yomiuri.co.jp/index-e.htm) riporta che una delle più
grandi difficoltà dell'attrice è stata proprio indossare il
burqa, che non le permetteva di respirare. Quando il regime dei
talibani è stato rovesciato, essendo il burqa diventato un
simbolo della repressione cui erano state condannate le donne, i
media occidentali si affrettarono a parlare della liberazione di
queste ultime, ma si dovettero anche rendere presto conto che il
burqa non veniva così velocemente abbandonato. Dal punto di
vista di Pazira, ciò è dovuto al fatto che, per loro, il burqa
è più che un simbolo di oppressione.
In qualche modo, in quello spazio di confine dove il film venne
girato (tra Iran e Afghanistan), indossare il burqa permetteva un
qualche senso di apparente sicurezza. Lei stessa ha sperimentato
questa sensazione quando a un certo punto ha preferito
istintivamente coprirsi, 'nascondere' il volto di fronte a
sconosciuti. E questo è ciò che probabilmente - lei sostiene -
provano le donne che non lo riescono a togliere ancora oggi, ma
preferiscono mantenere questa forma di illusoria difesa che il
mantello dà loro in un Paese dove torture, violenze e stupri
sono diventate negli ultimi 24 anni la norma.
Dall'altra parte, l'attrice lamenta che l'immaginario occidentale
dell'Afghanistan è stata plasmato in questi anni sui modelli
rappresentativi di film quali Rambo III, dove questo
lavoro, ad esempio, non è tanto sull'Afghanistan bensì
sull'<eroismo americano>. Dal suo punto di vista l'unico
film che invece rappresenterebbe la situazione reale del paese è
The Cyclist (1988) del regista Mohsen Makhmalbaf autore
anche di Kandahar.
La consapevolezza che questa fosse l'immagine che
il mondo 'occidentale' aveva dell'Afghanistan aveva già mosso
Pazira Niloufar ad una intensa opera di controinformazione già
prima di realizzare Viaggio a Kandahar. Quando
infatti l'attrice era sedicenne, si trasferì con la sua famiglia
in Canada, dove più tardi ottenne la laurea in giornalismo
all'università di Ottawa e cominciò a realizzare documentari
sui diritti delle donne nel suo paese d'origine. Per lo stesso
motivo, Pazira critica fermamente i media statunitensi che pur
essendo a conoscenza della situazione afghana da molti anni, vi
hanno rivolto la loro attenzione solo recentemente, dopo gli
attentati dell'11 settembre. E l'hanno fatto demonizzando lo
stato come ospite del terrorismo senza preoccuparsi delle
differenze tra regime integralista e persone comuni.
Perla comprensione del passato
recente del Paese abbiamo trovato come materiali utili i lavori
di Bruce 'Pacho' Lane, antropologo visuale americano, che in
Afghanistan ha realizzato due produzioni audiovisive, Inside
Afghanistan (1988) e The Black Tulip (1988).
Nel sito della Ethnoscope, società di produzione e distribuzione
videocinematografica di Pacho Lane, accanto alla descrizione dei
passaggi in cui sono articolati i documentari trovano anche posto
le riflessioni successive del regista e indicazioni sul modo in
cui queste produzioni sono state realizzate, su chi le ha
finanziate e perché, sul modo in cui i materiali sono stati
girati e che diffusione e utilizzo hanno avuto, nonché cenni
storici più generali relativi al contesto antropologico in cui
sono stati girati.
Inside Afghanistan (Dentro
l'Afghanistan, 1987) è un film di 56 minuti sulla guerra civile,
girato tra Kabul, Herat, Kandahar, Maiwand, il confine pakistano
e molti villaggi in giro per il Paese, nonché in un orfanotrofio
e una scuola di medicina a Tashkent. Il film cerca di restituire
diversi punti di vista sulla guerra, da come questa è stata
concepita dalla classe media afghana alla visione che ne hanno
avuto le donne istruite, dalle posizioni degli ufficiali
dell'esercito che conducevano una 'rivoluzione' di ispirazione
sovietica a quelle dei khan ('possidenti terrieri locali'). Il
film include anche un'intervista con due combattenti talibani in
una prigione di Kandahar, un attacco dei Mujaheddin a un
avamposto dell'esercito e un'intervista pubblica dell'allora
presidente Najibullah.
(dal sito della Ethnoscope, http://www.docfilm.com) |
The Black Tulip (Il
tulipano nero, 1987) è una riflessione di 27 minuti sui costi
della guerra - in questo caso dell'intervento sovietico in
Afghanistan. Girato tra Kabul, Kandahar, Tashkent e Mosca, esso
include una visita alla base dell'esercito sovietico a Kabul, un
attacco con l'elicottero all'aeroporto di Kabul, il conflitto a
fuoco alla base sovietica fuori Kabul e a un avamposto a
Kandahar. A Mosca vi è la visita alla tomba del milite ignoto e
al cimitero dei soldati russi morti nella guerra in Afghanistan.
Il lavoro si conclude con una commovente intervista alla madre di
uno dei caduti.
(dal sito della Ethnoscope, http://www.docfilm.com)
Infine, anche se non
ambientato in Afghanistan, vogliamo segnalare il film di John
Baily, Amir: an Afghan refugee musician's life in
Peshawar, Pakistan (Amir: vita di un musicista,
rifugiato afghano a Peshawar, Pakistan, 1986).
Classico dell'antropologia visiva inglese, le informazioni su Amir
sono prese dal sito del Royal anthropological Institute e del Documentary Educational Resources.
Il film ritrae la vita di un rifugiato afghano nella città di Peshawar, del nord del Pakistan, attraverso l'esperienza del musicista Amir. Le aspirazioni dei rifugiati sono espresse attraverso le loro canzoni politiche, che parlano della guerra civile, dell'esilio, del nazionalismo afghano, e della rivoluzione islamica. In queste circostanze, la musica ha quasi una funzione catartica e solidaristica. La città di Peshawar è divenuta col tempo una risorsa per la popolazione dei rifugiati, per lo più di sesso maschile, che provvede a fornire lavoro e possibilità di commercio, occasioni di divertimento e di centri religiosi.
(dal sito del DER, http://www.der.org)
La musica è considerata sospetta nell'Islam e i fondamentalisti
afghani l'avevano già proibita nel periodo della guerra civile.
In esilio Amir ha trovato accoglienza nel quartiere dei musicisti
di Peshawar e qui lavora in un gruppo musicale suonando il rubab,
un liuto tradizionale nazionale.
Seguendo le sue attività quotidiane, le negoziazioni con i
clienti abituali, i momenti di socializzazione con colleghi e
amici, il film sviluppa una conoscenza dell'ambiente nel quale il
protagonista vive la sua esistenza, ma fornisce anche
informazioni sul modo in cui Amir stesso valutazione la
situazione che sta vivendo.
(dal sito del DER, http://www.der.org) |
Infine segnaliamo, suddivisi per argomento, alcuni links utili per approfondire i temi sviluppati in questo articolo.
Accademici e educativi
Afghan
Information Site, notizie, storia, musica, foto
http://www.afghaninformation.com
Afghan
Educational web site directory, libri, riviste, giornali
online and offline
http://afghana.com/Education/Education.htm
Asian
Studies - Afghanistan, informazioni su storia, economia,
cultura, politica
http://www.icarp.org/afghan.html
Books On
Afghanistan, libri su cultura, storia, popolazione
http://www.afghan-network.net/Books/1.html
Panjsher
Online, foto di Massoud e informazioni sulla valle del
Panjsher
http://www.geocities.com/panjsher
Dunya-e
Jawanan Magazine, rivista online dedicata alla cultura
afghana
http://www.jawanan.com
A Chronology
of Afghan History, cronologia completa dall'antichità
ai giorni nostri
http://www.afghan-web.com/history/
Arti
Afghana!
Music, elenco di risorse internet sulla musica afghana
http://afghana.com/Entertainment/Music.htm
Afghan Media,
http://www.afreehome.com/afghanmedia
Images of
Afghanistan in 1976-78,
http://www-geoimages.berkeley.edu/GeoImages/Powell/PowellAfghan.html
Communities & Internet
AfghanVoice.com,
il più completo sito degli studenti afghani nel mondo
http://www.afghanvoice.com
Webring
"Afghans on Net", webring di siti dedicati
all'Afghanistan
http://www.afghan-network.net
Afghannet!,
comunità degli studenti afghani in Canada
http://www.Afghannet.homestead.com
Afghan
Community in Australasia, comunità afghana in
Australia, Nuova Zelanda e Pacifico
http://www.afghans.com.au
RAWA,
Revolutionary Association of the Women of Afghanis
http://www.rawa.org
Hazara
Online, dedicato alla pace in Afghanistan
http://hazaraonline.cjb.net
URL: http://web.tiscali.it/antropologiavisiva/afghanistan
2002 © Cristina Balma Tivola