AFGHANISTAN: film e video per comprendere trent'anni di conflitti e resistenze
   


(di Cristina Balma Tivola, in collaborazione con Giorgio Arduini)

Questo sito è dedicato al rapporto tra antropologia e immagine. Molti, nei mesi successivi ai tragici eventi dell'11 settembre, hanno riflettuto sul ruolo dell'immagine nella produzione e nella divulgazione del sapere relativo a quei fatti e alle loro conseguenze. In relazione a quegli stessi fatti e alla guerra che li ha seguiti, è cresciuta, la domanda di informazione relativa alle culture e alle etnie presenti nel mondo. Inoltre è cresciuta la domanda di informazione relativa a religione e culture del Medio Oriente e in particolare all'Afghanistan (com'era ovvio aspettarsi).
La guerra che sta investendo questo Paese è solo l'ultima delle sanguinose vicende che lo hanno visto protagonista nel corso degli ultimi decenni: oltre alle guerre di resistenza all'invasione sovietica del 1979 durata dieci anni, all'interno, da trent'anni conflitti etnici e regimi integralisti cambiano repentinamente di volta in volta i modi di vita dei suoi abitanti sia alimentando le già gravi carenze economiche e sociali del Paese, sia annullando le possibilità espressive, culturali e formative degli individui.


(dal sito http://www.afghan-network.net)

Dal momento che molti dei materiali attraverso i quali abbiamo conosciuto questa situazione consistono in riprese televisive, telegiornali o reportage, noi siamo andati piuttosto alla ricerca di materiali meno conosciuti ma più vicini a una certa 'sensibilità antropologica'.


Una documentazione audiovisiva recente è Jung: nella terra dei Mujaheddin, per la regia di Fabrizio Lazzaretti e Alberto Vendemmiati. Realizzato nel 1999, questo documentario ha vinto il premio Planete per la migliore fotografia, il Festival international du grand reportage et du document d'actualité Lille 1999 e il primo premio al Festival Actual Barcelona 1999. Seguendo l'attività di Emergency in Afghanistan, questo lavoro ci offre anche una vivida e 'militante' descrizione del paese negli ultimi anni.


(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it)
Jung [Giang] vuol dire guerra; per il popolo dell'Afghanistan questa situazione è diventata una dimensione d'esistenza quotidiana. Questo documentario è un viaggio nel nord dell'Afghanistan, terra dei Mujaheddin, costruito sulla figura di Gino Strada, chirurgo dell'organizzazione umanitaria italiana Emergency che offre assistenza alle vittime di guerra. Emergency ha un progetto: aprire un ospedale per alleviare le sofferenze del popolo afghano, domenticato dalla comunità internazionale.

La sinossi del film e una intervista al suo produttore, Giuseppe Petitto, si trova (in inglese) al sito del Festival Internazionale Cinematografico dei Diritti Umani, festival itinerante attualmente in corso a Boston e prossimamente a San Francisco: http://www.hrw.org/iff/

Il New York Times ha recentemente dedicato al documentario una recensione nella quale il critico A.O.Scott rileva la continuità del film con le modalità di rappresentazione del cinéma vérité (http://www.nytimes.com/2001/11/23/movies/23JUNG.html, 23 novembre 2001). Privo di narrazioni e di interviste (ad eccezione di alcune domande rivolte ai combattenti delle milizie nel Nord che vengono ricoverati nell'ospedale di Emergency), il film si immerge nel caos della lotta tra talibani e combattenti dei territori del nord documentando due missioni in Afghanistan, nel 1999 e 2000, di Gino Strada e dei suoi compagni, Kate Rowlands, infermiera britannica, e Ettore Mo, giornalista.
Le immagini riprendono tanto operazioni e situazioni-limite in cui lavorano Strada e la Rowlands, sia le decisioni e le trattative per garantire la sicurezza (dalla richiesta di spostare i carri armati della resistenza del nord lontano dall'ospedale in modo tale da non rischiare un attacco talibano al divieto di portare armi all'interno della struttura sanitaria). La formazione delle persone locali diventa fondamentale per garantire la mediazione culturale necessaria all'intervento umanitario e alla fine del film l'ospedale sembra rappresentare un punto di riferimento stabile nel mezzo della catastrofe in corso.
Tale sensazione è amplificata da una sequenza alla quale assistiamo verso la fine del film: circondato dalle amorevoli cure dei suoi parenti in uno spazio apposito all'interno dell'ospedale, un uomo, afflitto da malattia incurabile, muore. Ma la dignità di questa morte silenziosa e assistita nel mezzo del frastuono della guerra può paradossalmente essere letta anch'essa come un tentativo concreto di ricostruire una quotidianità alternativa a quella ormai cronica del conflitto.


Lo stesso Gino Strada, attualmente in Afghanistan per gestire l'ospedale e per operare le vittime del conflitto in corso, ha scritto un testo, pubblicato sul sito di Emergency (e ripresa da numerosi giornali italiani) nel quale riflette dall'<interno> sulla comunicazione televisiva in merito alla guerra e alle sue conseguenze.

"[5 novembre 2001] Valle del Panshir, come passa in fretta il tempo. [...]

Ogni minuto trasmesso in diretta, fiumi di parole, di voci, di analisi, di invenzioni sulla guerra. Per una volta, mi verrebbe da dire, viva le televisioni. Capisco che a questo punto la domanda «Ma Gino sta bene o è ammattito?» sia già venuta a qualcuno, ma cercherò ugualmente di spiegarmi. Premetto che qui, in Afghanistan, io posso ricevere tranquillamente tutti i canali televisione e radio italiani e non, per cui ho il privilegio di sentire e vedere quel che si dice e si fa vedere in Italia sull´Afghanistan, standomene comodamente sdraiato su una stuoia e un cuscinotto nella valle del Panshir.

(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it)

E vi assicuro che, a volte, è davvero una grande ricompensa: si possono degustare «commenti dal fronte» provenienti da località dove andiamo regolarmente a far la spesa al mercato della verdura, il tutto condito da immagini di bombardieri che sfrecciano tra le nubi cariche di pioggia, mentre qui non si vede una nuvola da venti giorni. E via di questo passo, per arrivare, ma qui mi fermerei, ai commenti dei «politici» sull´Afghanistan, sul terrorismo, sull´Islam. Non è davvero il caso, l´urgenza della situazione non lo consente, di perdere tempo a puntare il dito contro questo e quello ridendone dell´ignoranza o della grossolanità. Se fossi in Italia, probabilmente mi incazzerei quanto voi, ma credo che in questo momento conti poco. Quello che conta, invece, è che questa guerra, a differenza della Guerra del Golfo, la possiamo vedere.

"[5 novembre 2001] Valle del Panshir, come passa in fretta il tempo. [...]

Ogni minuto trasmesso in diretta, fiumi di parole, di voci, di analisi, di invenzioni sulla guerra. Per una volta, mi verrebbe da dire, viva le televisioni. Capisco che a questo punto la domanda «Ma Gino sta bene o è ammattito?» sia già venuta a qualcuno, ma cercherò ugualmente di spiegarmi. Premetto che qui, in Afghanistan, io posso ricevere tranquillamente tutti i canali televisione e radio italiani e non, per cui ho il privilegio di sentire e vedere quel che si dice e si fa vedere in Italia sull´Afghanistan, standomene comodamente sdraiato su una stuoia e un cuscinotto nella valle del Panshir.

(dal sito di Emergency, http://www.emergency.it)

Magari un po´ distorta - ciascuno tende a portare acqua al suo mulino - ma c´è, la possiamo vedere. Possiamo perfino seguire la neobattezzata «Cnn araba», Al Jazira ­ ma voi ve li immaginereste quelli del Qatar definire la Cnn l´«Al Jazira americana». E possiamo anche seguire il piccolo neonato sito di Emergency intitolato «Un altro Afghanistan». Per ora è poco più che una finestrella, ma se ci pensiamo e ci lavoriamo in tanti, se in tanti saremo disposti a metterci idee, tempo, professionalità, potrebbe diventare un progetto molto, molto interessante [...]".

Questo articolo ci sembra interessante non solo per la differenza che mette in luce tra guerra per immagini e guerra reale (sul quale anni orsono era stata pubblicato una utile antropologia, AA.VV., Guerra virtuale e guerra reale / Riflessioni sul conflitto del Golfo, Collana Mimesis, Associazione culturale Mimesis, Milano, 1991, con contributi di M. Perniola, C. Formenti, P. Dalla Vigna, T. Villani, F. Guattari, J. Baudrillard raccolti da Tiziana Villani e Pierre Dalla Vigna) ma anche perché la 'chiamata a raccolta' per dare una immagine che rappresentasse la verità del conflitto attraverso l'uso di internet si è, in questo caso, risolta nella realizzazione di un sito ad hoc; esperienza strategica d'uso delle nuove tecnologie, questa, che è ormai ricorrente da parte di quelle comunità minoritarie che nel mondo vengono ignorate dai media ufficiali.


Recentemente abbiamo assistito sul secondo canale della Rai (Rete televisiva italiana) alla trasmissione di un documentario, Massoud, l’afghano, sulla figura del comandante della resistenza dei Territori del nord, Ahmed Shah Massoud.

Nel sito internet dedicato al festival cinematografico annuale Asiatica Film Mediale, che si tiene a Roma in novembre, abbiamo trovato dati tecnici del film citato e di un'altra opera documentaria dello stesso autore.

Massoud, l’afghan (1998)
Massoud, l’afghano
Christophe de Ponfilly

Fotografia: Christophe de Ponfilly
Montaggio: Jean-Franáois Giré e Tatiana Andrews
Suono: Bertrand Gallet, Michel Bernard
Produzione: Interscoop-La Sept Arte - Francia
Durata: 89’

(dal sito http://www.asiaticafilmmediale.it)

"Nel susseguirsi tumultuoso delle immagini e dei suoni del mondo moderno, ha ancora un significato imbracciare una cinepresa?". Il film si apre con questo interrogativo, urgente tanto per chi si occupa di studi antropologici e audiovisivi, tanto per chi questi materiali li realizza come film/videomaker o regista.
Iniziato nel 1981 in pieno regime di guerra in Afghanistan, Massoud, l’afghan è un ritratto del leggendario leader carismatico della resistenza afghana all’esercito sovietico, ma rappresenta anche una lucida riflessione del regista sul senso della di documentazione, rappresentazione e interpretazione per immagini del mondo in cui viviamo.

 


(dal sito http://www.asiaticafilmmediale.it)
Vies clandestines, nos annés aghanes (2000)
Vite clandestine, i nostri anni in Afghanistan
Christophe de Ponfilly

Fotografia: Christophe de Ponfilly
Montaggio: Valérie Salvy
Suono: Christophe de Ponfilly
Produzione: Interscoop-France2 - Francia
Durata: 90’

Questo film descrive le esperienze vissute da cittadini francesi, uomini e donne, durante la guerra in Afghanistan, negli anni ’80, testimoniando le ragioni e i motivi che hanno spinto più di un milione di persone a ritrovarsi coinvolti nella clandestinità, spesso mettendo in pericolo la propria vita, dentro una guerra che, a priori, non era la loro.
Semplici cittadini sono diventati protagonisti di questo conflitto: giornalisti e spie per qualcuno, chirurghi umanitari e personalità politiche per qualcun altro. Il film vuole mettere in luce questo impegno, la sua forza e le sue conseguenze.


Uno sguardo di genere e militante è rappresentato dal sito internet del RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) che da tempo si batte per il riconoscimento dei diritti delle donne afghane e "per la pace, la libertà e la democrazia nel Paese".

Le donne che aderiscono a RAWA si trovano tutt'ora in Afghanistan, dove anche sotto il regime talibano hanno sempre svolto attività sanitarie, educative, economiche e informative. Nella home page del sito una galleria ricchissima di fotografie scattate in segreto dalle persone del luogo o da organizzazioni umanitarie testimoniano la storia drammatica recente dell'Afghanistan. Nel sito sono anche disponibili clip e video acuistabili presso una televisione inglese loro partner.

Nelle sezioni nazionali del sito (vi è anche quella italiana), oltre a trovare informazioni sul movimento e su come sostenerlo, numerosi articoli descrivono la condizione delle donne dall'avvento del regime dei talibani alla situazione odierna; rimaste in Afghanistan le corrispondenti - amiche e parenti delle rifugiate che hanno dato vita a RAWA - cercano di far sentire la propria voce e le testimonianze raccolte attraverso una fitta rete di legami e scambi segreti vengono divulgate via internet; tra gli articoli ospitati:

Altri materiali riprendono documentazioni e riflessioni che diversi media (televisione, cinema, stampa) hanno dedicato alla situazione in corso:


Per discutere la situazione delle donne afghane in questi anni un esempio eloquente ci viene dalla pluripremiata produzione a soggetto Viaggio a Kandahar (2001, 85') di Moshen Makhmalbaf.
Dal sito internet del regista e della sua casa di produzione,
http://www.makhmalbaf.com, abbiamo tratto i dati tecnici e le fotografie del film.

Sceneggiatura, regia, montaggio: Moshen Makhmalbaf
Direttore della fotografia: Ebrahim Ghafouri
Musiche originali: Mohamad Reza Darvishi
Suono: Behrouz Shahamat, Faroukh Fadai
Affari internazionali: Mohammad Reza Safiri
Direttore di produzione: Siamak Alagheband,
Produzione: Makhmalbaf Film House (Iran) and Bac Fillms (France)

Un articolo apparso recentemente sullo Yomiuri Shimbun racconta, con gli occhi della protagonista, Pazira Niloufar, figura alla quale si è anche ispirato il regista nella sceneggiatura originale del film, la vita delle donne afghane durante il regime talibano e la loro opera di resistenza sotto la 'copertura' offerta dal burqa.
Apparso con il titolo "Lavorare all'ombra del burqa" (Working in the shadow of the burqa), l'articolo (http://www.yomiuri.co.jp/index-e.htm) riporta che una delle più grandi difficoltà dell'attrice è stata proprio indossare il burqa, che non le permetteva di respirare. Quando il regime dei talibani è stato rovesciato, essendo il burqa diventato un simbolo della repressione cui erano state condannate le donne, i media occidentali si affrettarono a parlare della liberazione di queste ultime, ma si dovettero anche rendere presto conto che il burqa non veniva così velocemente abbandonato. Dal punto di vista di Pazira, ciò è dovuto al fatto che, per loro, il burqa è più che un simbolo di oppressione.
In qualche modo, in quello spazio di confine dove il film venne girato (tra Iran e Afghanistan), indossare il burqa permetteva un qualche senso di apparente sicurezza. Lei stessa ha sperimentato questa sensazione quando a un certo punto ha preferito istintivamente coprirsi, 'nascondere' il volto di fronte a sconosciuti. E questo è ciò che probabilmente - lei sostiene - provano le donne che non lo riescono a togliere ancora oggi, ma preferiscono mantenere questa forma di illusoria difesa che il mantello dà loro in un Paese dove torture, violenze e stupri sono diventate negli ultimi 24 anni la norma.
Dall'altra parte, l'attrice lamenta che l'immaginario occidentale dell'Afghanistan è stata plasmato in questi anni sui modelli rappresentativi di film quali Rambo III, dove questo lavoro, ad esempio, non è tanto sull'Afghanistan bensì sull'<eroismo americano>. Dal suo punto di vista l'unico film che invece rappresenterebbe la situazione reale del paese è The Cyclist (1988) del regista Mohsen Makhmalbaf autore anche di Kandahar.
La consapevolezza che questa fosse l'immagine che il mondo 'occidentale' aveva dell'Afghanistan aveva già mosso Pazira Niloufar ad una intensa opera di controinformazione già prima di realizzare Viaggio a Kandahar. Quando infatti l'attrice era sedicenne, si trasferì con la sua famiglia in Canada, dove più tardi ottenne la laurea in giornalismo all'università di Ottawa e cominciò a realizzare documentari sui diritti delle donne nel suo paese d'origine. Per lo stesso motivo, Pazira critica fermamente i media statunitensi che pur essendo a conoscenza della situazione afghana da molti anni, vi hanno rivolto la loro attenzione solo recentemente, dopo gli attentati dell'11 settembre. E l'hanno fatto demonizzando lo stato come ospite del terrorismo senza preoccuparsi delle differenze tra regime integralista e persone comuni.


Perla comprensione del passato recente del Paese abbiamo trovato come materiali utili i lavori di Bruce 'Pacho' Lane, antropologo visuale americano, che in Afghanistan ha realizzato due produzioni audiovisive, Inside Afghanistan (1988) e The Black Tulip (1988).
Nel sito della
Ethnoscope, società di produzione e distribuzione videocinematografica di Pacho Lane, accanto alla descrizione dei passaggi in cui sono articolati i documentari trovano anche posto le riflessioni successive del regista e indicazioni sul modo in cui queste produzioni sono state realizzate, su chi le ha finanziate e perché, sul modo in cui i materiali sono stati girati e che diffusione e utilizzo hanno avuto, nonché cenni storici più generali relativi al contesto antropologico in cui sono stati girati.


Inside Afghanistan (Dentro l'Afghanistan, 1987) è un film di 56 minuti sulla guerra civile, girato tra Kabul, Herat, Kandahar, Maiwand, il confine pakistano e molti villaggi in giro per il Paese, nonché in un orfanotrofio e una scuola di medicina a Tashkent. Il film cerca di restituire diversi punti di vista sulla guerra, da come questa è stata concepita dalla classe media afghana alla visione che ne hanno avuto le donne istruite, dalle posizioni degli ufficiali dell'esercito che conducevano una 'rivoluzione' di ispirazione sovietica a quelle dei khan ('possidenti terrieri locali'). Il film include anche un'intervista con due combattenti talibani in una prigione di Kandahar, un attacco dei Mujaheddin a un avamposto dell'esercito e un'intervista pubblica dell'allora presidente Najibullah.

(dal sito della Ethnoscope, http://www.docfilm.com)

The Black Tulip (Il tulipano nero, 1987) è una riflessione di 27 minuti sui costi della guerra - in questo caso dell'intervento sovietico in Afghanistan. Girato tra Kabul, Kandahar, Tashkent e Mosca, esso include una visita alla base dell'esercito sovietico a Kabul, un attacco con l'elicottero all'aeroporto di Kabul, il conflitto a fuoco alla base sovietica fuori Kabul e a un avamposto a Kandahar. A Mosca vi è la visita alla tomba del milite ignoto e al cimitero dei soldati russi morti nella guerra in Afghanistan. Il lavoro si conclude con una commovente intervista alla madre di uno dei caduti.


(dal sito della Ethnoscope, http://www.docfilm.com)

 


Infine, anche se non ambientato in Afghanistan, vogliamo segnalare il film di John Baily, Amir: an Afghan refugee musician's life in Peshawar, Pakistan (Amir: vita di un musicista, rifugiato afghano a Peshawar, Pakistan, 1986).
Classico dell'antropologia visiva inglese, le informazioni su Amir sono prese dal sito del
Royal anthropological Institute e del Documentary Educational Resources.

Il film ritrae la vita di un rifugiato afghano nella città di Peshawar, del nord del Pakistan, attraverso l'esperienza del musicista Amir. Le aspirazioni dei rifugiati sono espresse attraverso le loro canzoni politiche, che parlano della guerra civile, dell'esilio, del nazionalismo afghano, e della rivoluzione islamica. In queste circostanze, la musica ha quasi una funzione catartica e solidaristica. La città di Peshawar è divenuta col tempo una risorsa per la popolazione dei rifugiati, per lo più di sesso maschile, che provvede a fornire lavoro e possibilità di commercio, occasioni di divertimento e di centri religiosi.


(dal sito del DER, http://www.der.org)



La musica è considerata sospetta nell'Islam e i fondamentalisti afghani l'avevano già proibita nel periodo della guerra civile. In esilio Amir ha trovato accoglienza nel quartiere dei musicisti di Peshawar e qui lavora in un gruppo musicale suonando il rubab, un liuto tradizionale nazionale.

Seguendo le sue attività quotidiane, le negoziazioni con i clienti abituali, i momenti di socializzazione con colleghi e amici, il film sviluppa una conoscenza dell'ambiente nel quale il protagonista vive la sua esistenza, ma fornisce anche informazioni sul modo in cui Amir stesso valutazione la situazione che sta vivendo.

(dal sito del DER, http://www.der.org)

Infine segnaliamo, suddivisi per argomento, alcuni links utili per approfondire i temi sviluppati in questo articolo.

Accademici e educativi

Afghan Information Site, notizie, storia, musica, foto
http://www.afghaninformation.com

Afghan Educational web site directory, libri, riviste, giornali online and offline
http://afghana.com/Education/Education.htm

Asian Studies - Afghanistan, informazioni su storia, economia, cultura, politica
http://www.icarp.org/afghan.html

Books On Afghanistan, libri su cultura, storia, popolazione
http://www.afghan-network.net/Books/1.html

Panjsher Online, foto di Massoud e informazioni sulla valle del Panjsher
http://www.geocities.com/panjsher

Dunya-e Jawanan Magazine, rivista online dedicata alla cultura afghana
http://www.jawanan.com

A Chronology of Afghan History, cronologia completa dall'antichità ai giorni nostri
http://www.afghan-web.com/history/

 

Arti

Afghana! Music, elenco di risorse internet sulla musica afghana
http://afghana.com/Entertainment/Music.htm

Afghan Media,
http://www.afreehome.com/afghanmedia

Images of Afghanistan in 1976-78,
http://www-geoimages.berkeley.edu/GeoImages/Powell/PowellAfghan.html

 

Communities & Internet

AfghanVoice.com, il più completo sito degli studenti afghani nel mondo
http://www.afghanvoice.com

Webring "Afghans on Net", webring di siti dedicati all'Afghanistan
http://www.afghan-network.net

Afghannet!, comunità degli studenti afghani in Canada
http://www.Afghannet.homestead.com

Afghan Community in Australasia, comunità afghana in Australia, Nuova Zelanda e Pacifico
http://www.afghans.com.au

RAWA, Revolutionary Association of the Women of Afghanis
http://www.rawa.org

Hazara Online, dedicato alla pace in Afghanistan
http://hazaraonline.cjb.net

 

URL: http://web.tiscali.it/antropologiavisiva/afghanistan

2002 © Cristina Balma Tivola