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Il Rinascimento

Esiste un problema storiografico per quel che riguarda il Rinascimento.

E’ un periodo che inizia in Italia tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV.

Si svilupperà in Europa ma con 70 anni di ritardo rispetto alla situazione italiana.

Gli uomini del Rinascimento erano consapevoli di vivere in un’età nuova di rinascita degli antichi valori soprattutto quelli della classicità e questo fa si che poi venga dato al Medioevo il nome di "Medioevo" cioè età di mezzo tra l’età classica e il ritorno agli ideali dell’antichità classica che è il Rinascimento.

Rinascimento come rinascita dei valori che nel Medioevo non hanno trovato modo di esprimersi.

Su questo fenomeno culturale abbiamo diverse posizioni di carattere storiografico.

Ce ne sono due emblematiche di due storici del nostro secolo: Burckhardt e Burdach.

Per la prima esiste una frattura tra Medioevo e Rinascimento. Frattura per cui il Rinascimento è l’età dell’individualismo rispetto al Medioevo che è l’età dell’universalismo. Il Rinascimento è l’età della visione laica e dell’immanenza rispetto al Medioevo che è l’età della visione religiosa e della trascendenza.

MEDIOEVO

RINASCIMENTO

Universalismo

Individualismo

Visione religiosa

Visione laica

Trascendenza

Immanenza

Per la seconda non esiste una frattura così profonda ma esiste una linea di continuità. Gli esempi che dimostrano questa tesi sono il culto di Petrarca per il mondo antico e Dante che sceglie come guida Virgilio.

Attualmente la storiografia ha superato queste due posizioni di frattura e di continuità sostenendo che non si deve badare ai contenuti ma al modo in cui questi sono trattati. Se badiamo a questo infatti troviamo una frattura tra Medioevo e Rinascimento. Questi storici hanno individuato questa diversità soprattutto in tre punti fondamentali:

  1. NASCITA DELLA DIMENSIONE STORICA cioè della prospettiva storica. Nell’ambito del Rinascimento nasce il concetto della dimensione storica cioè della prospettiva tra l’oggetto che studio e l’oggetto studiato. Questo concetto era assente nel Medioevo, infatti, ad esempio, la scolastica usava concetti elaborati dalla filosofia greca per giustificare le verità cristiane che niente hanno a che vedere con il contesto in cui tali sono nati. Nel Medioevo troviamo questa assenza anche dal punto di vista architettonico dove si sfruttavano edifici romani per la chiese cristiane. Una delle discipline fondamentali che nascono nel Rinascimento è la FILOLOGIA la quale, nell’analisi di un testo, studia la lingua per rivelarne l’epoca in cui è stato scritto. La prospettiva storica ha quindi la stessa funzione della prospettiva ottica nell’ambito della pittura. Nel 1440 Lorenzo Valla dimostra la falsità della donazione di Costantino (con la quale la Chiesa si era impossessata dello Stato Pontificio) facendo risalire il latino in cui era stata scritta all’ottavo secolo e non al quarto nel quale visse Costantino.
  2. RIVALUTAZIONE DELLA FUNZIONE DELL’UOMO sia nell’ambito della storia che in quello della natura. Questa rivalutazione della funzione dell’uomo non significa esaltazione ma comporta un maggiore senso di responsabilità perché se l’uomo è artefice dei propri progetti evidentemente ne è anche il responsabile sia che questi portino ad un buon o cattivo fine. Tutto questo comporta un senso di problematicità della storia che è lo stesso che sentiva Machiavelli per il quale la conoscenza della storia deve servire a far si che l’uomo riesca a controllare quella parte di avvenimenti che è dovuta alla fortuna e a dare degli ammaestramenti per la scelta delle cose da farsi. Nel primo periodo del Rinascimento il senso di responsabilità che l’uomo sente nei confronti della storia, della politica e quindi del suo progetto nei confronti della realtà politica, fa si che nasca una vera e propria discussione intorno alla superiorità delle arti attive rispetto a quelle contemplative. Si ritiene che discipline come la morale e la politica siano superiori ad una conoscenza contemplativa della realtà. E’ questo il periodo in cui c’è un coinvolgimento della borghesia produttiva nella conduzione politica della città in cui non c’è separazione tra politica e borghesia. Gli intellettuali sono uomini coinvolti nella conduzione economica e politica della città. E’ questo il periodo più prospero delle Signorie. Quando nella seconda metà del ‘400 avviene una separazione tra principe e popolo (borghesia) abbiamo anche un mutamento sia nella figura dell’intellettuale sia nell’oggetto stesso della riflessione filosofica. Così come c’è una separazione tra politica e attività produttiva c’è una separazione tra intellettuale e popolo. L’intellettuale diventa cortigiano protetto dal principe che si dedica alla filosofia, alla musica… Ciò sposta l’interesse della riflessione filosofica, la quale non sarà più legata all’attività politica, cioè dal rapporto tra uomo e storia, ma si concentra sul rapporto tra uomo e natura. L’uomo viene inteso come il minor mundus che riflette il maior mundus, cioè il microcosmo che riflette il macrocosmo. Il mondo è il mondo naturale, la natura creata da Dio nella quale l’uomo rappresenta il momento culminante, cioè quello in cui la natura esprime il massimo di se stessa e diventa capace di riflettere su se stessa e si rispecchia in questa riflessione. Ciò determina la ripresa della dottrina del Neoplatonismo non più in termini religiosi ma mondani e laici. Infatti nel Neoplatonismo antico il centro dell’universo era l’Uno, mentre nel Neoplatonismo rinascimentale è l’uomo lo strumento di misura senza il quale il mondo non avrebbe senso.
  3. TOLLERANZA RELIGIOSA perché c’è il contatto con il mondo pagano. Questo legame con la classicità fa si che lo spirito religioso rinascimentale senta il Cristianesimo come il completamento della riflessione filosofica che giunta al massimo della sua espressione aveva solo più bisogno della rivelazione.

Charles Bouillè

Filosofo francese a cui è necessario fare riferimento per capire il rapporto tra uomo e natura (uomo visto come microcosmo) in questo periodo anche se vive nel 1500. Scrive il "DE SAPIENTE", opera di derivazione neoplatonica. In quest’opera distingue tutta la realtà in 4 gradi:

  1. ESSERE Ù proprio di ogni cosa. Tutto è, anche i sassi.
  2. VITA Ù proprio del mondo vegetale, animale ed umano.
  3. SENTIRE Ù proprio degli animali e dell’uomo.
  4. INTENDERE Ù proprio dell’uomo.

Solo l’uomo può intendere per volontà sua; assomma in se tutta la realtà. L’uomo che giunge all’intendere diventa microcosmo che riflette il macrocosmo, unisce in se tutti i gradi della realtà, raddoppia la sua natura. Se è homo diventa homo homo. Se è consapevole di ciò, triplica la sua natura e diventa homo homo homo. Questo passaggio è una scelta, non è obbligatorio. L’uomo che non giunge è responsabile in negativo di questa scelta così come l’uomo che vi giunge è responsabile in positivo.

Aristotelismo rinascimentale

La differenza tra aristotelismo e platonismo sta nella diversità d’interesse dei rispettivi seguaci.

I platonici hanno un interesse di tipo religioso mentre gli aristotelici hanno un interesse di tipo naturalistico e ritengono che la filosofia di Aristotele sia la più adatta per studiare il mondo naturale.

Il ritorno a questi due filosofi ha le medesime condizioni storiche, che sono:

Il centro della scuola platonica è Firenze mentre quello della scuola aristotelica è l’università di Padova. Già la differenza fra le due sedi è emblematica per capire il diverso atteggiamento di chi preferisce Platone e di chi invece preferisce Aristotele. Infatti il centro degli studi platonici è un’accademia, centro ideale per studiare l’inquietudine del Rinascimento, mentre la sede degli studi aristotelici è l’università, cioè la sede deputata alla ricerca sistematica.

Questa differenza filosofica ed ideologica è importante per capire le differenze fra la scuola pittorica di Firenze (ad esempio Botticelli) e quella veneta (ad esempio Tiziano o Tintoretto).

L’università di Padova diventa la sede degli studi aristotelici fino a tutto il XVII secolo ed è qui che nel 1472 compare la prima traduzione globale delle opere di Averroè.

Nascono due scuole:

  1. scuola AVERROISTICA.
  2. scuola ALESSANDRISTA, la quale segue l’interpretazione di Alessandro di Afrodisia.

Queste due scuole hanno in comune:

  1. il medesimo interesse e cioè lo studio della natura vedendo nella filosofia di Aristotele la condizione fondamentale per accedere a questo studio.
  2. cattiva interpretazione della dottrina della doppia verità di Averroè, la quale diceva che due sono le vie per accedere alla verità: la prima è quella della fede, percorsa dalla gente comune, mentre la seconda è quella della filosofia, percorsa da pochi: è la via della deduzione. Invece, secondo l’interpretazione degli averroisti e degli alessandristi, due sono le verità: una è la filosofia aristotelica, un’altra è invece la verità della chiesa a cui tutti devono credere. In questo modo si tutelano dagli interventi censori.

La loro diversità consiste invece nella diversa interpretazione dell’intelletto, in quanto:

All’università di Padova era consuetudine affiancare due cattedre uguali, una affidata ad un averroista ed una ad un alessandrista in modo che si potesse fare un’analisi comparata delle due filosofie.

Pietro Pomponazzi

E’ l’iniziatore della filosofia alessandrista. Nasce a Mantova nel 1462, studia a Padova e lì insegna. Quando l’università viene chiusa in seguito alla sconfitta di Venezia, va a Bologna ad insegnare e lì muore suicida nel 1524.

Nelle sue opere, in particolare nel "DE IMMORTALITATE ANIME", sostiene dottrine in aperto contrasto con la chiesa cattolica ma si difende con la dottrina della doppia verità e con la protezione di personaggi famosi come Pietro Bembo.

La tesi fondamentale sostenuta da Pomponazzi è l’identificazione dell’ordine naturale con un ordine immutabile e necessario tale che non può essere diverso da com’è. La filosofia di Aristotele è quella che meglio garantisce la presenza di quest’ordine immutabile e necessario che è la condizione per ogni studio della natura in quanto se noi studiamo qualcosa che muta la nostra conoscenza sarà sempre un'opinione e non sarà mai una scienza.

In una delle sue opere fondamentali, il "DE INCANTATIONIBUS", egli esamina miracoli, magie e avvenimenti che sembrano sospendere l’ordine naturale. Egli lo fa per condannare l’interpretazione superstiziosa che si da di questi avvenimenti per cui essi sono opera o di spiriti o di maghi. Ritiene che tutti questi avvenimenti, apparentemente miracolosi e magici, appartengono all’ordine naturale come ogni avvenimento della natura solo che si verificano raramente e gli uomini non ne hanno memoria e ritengono che siano delle sospensioni delle leggi di natura. Il concetto di cui si serve per spiegare tutto ciò è il DETERMINISMO ASTROLOGICO Ù ogni avvenimento naturale avviene per via gerarchica e cioè Dio non agisce direttamente sulle cose del mondo ma attraverso gli astri. Una volta che egli ha causato il moto celeste, siccome la volontà di Dio è immutabile e necessaria, tutto dipende poi dal movimento astrale e non può esistere sospensione della legge di natura. Tutta la realtà è retta dal determinismo astrologico a cui nulla sfugge. Al determinismo astrologico non appartengono solo le leggi che fanno muovere e vivere le cose animate o inanimate ma anche la storia dell’uomo e quindi anche la religione. Infatti ogni religione (Cristianesimo compreso) al suo inizio è caratterizzata da questi avvenimenti che gli uomini ritengono miracolosi ma poi, giunta ad un momento culminante, inizia a discendere fino a quando scompare. Questo lo porta alla tesi del "DE IMMORTALITATE ANIME" dove dimostra come l’anima sia mortale. Infatti se ogni cosa nasce, vive e muore, nulla può sfuggire a quest’ordine, compresa l’anima dell’uomo.

L’anima dell’uomo, come dice Aristotele, può essere:

Questo significa che se scompaiono i corpi scompare anche l’anima perché non ha più ragione d’essere. Non solo non è necessario che l’anima sia immortale dal punto di vista conoscitivo, ma neanche un’esigenza morale determina la sua immortalità poiché non è assolutamente necessario che ci sia un premio o un castigo dopo la morte in quanto la virtù è premio a se stessa. Se poi viene anche premiata, questo fatto è accidentale, non essenziale. Così come il peccato è castigo di per se e se viene punito, è solo un fatto accidentale. L’essenza della virtù sta nella virtù stessa, non nell’avere un premio mentre l’essenza del peccato sta nel peccato stesso, non nell’essere punito. Neanche dal punto di vista morale è necessario ammettere l’immortalità dell’anima. Si rende conto che la sua dottrina può essere predicata solo da filosofi ed intellettuali poiché è molto difficile far capire alla gente comune che la virtù è premio a se stessa e che il peccato è castigo a se stesso. Ritiene che per la gente comune la dottrina professata dalla chiesa abbia un’utilità morale e sociale poiché è più facile ottenere un comportamento buono attraverso una promessa, un premio o una minaccia di un castigo che non sostenendo l’essenzialità della virtù e del peccato come premio o castigo a se stessi.

L’ultimo problema è un problema insolubile. L’opera in cui si occupa di questo problema è il "DE FATO DE LIBERO ARBITRIO ET PREDESTINATIONE" in cui cerca di trovare il modo di conciliare razionalmente la prescienza e l’onniscienza divina e la libertà dell’uomo. Il realtà pur cercando di spiegarle, pur di fronte all’onnipotenza divina, non è possibile il modo per conciliare la predestinazione e la libertà. Il che ripropone il problema del male, il quale per Pomponazzi si può risolvere dicendo che il male è necessario per l’armonia del mondo ma non è comunque una spiegazione filosofica e razionale.

Platonismo rinascimentale

Una delle correnti fondamentali della filosofia rinascimentale è il Platonismo. Alcuni contenuti di questa filosofia hanno somiglianza con quelli della filosofia scolastica poiché questa aveva già utilizzato la filosofia di Platone. Il ritorno a Platone è motivato dal fatto che si ritiene che il filosofare platonico, non essendo chiuso in un sistema, sia molto più moderno di quello aristotelico e quindi più idoneo alla sensibilità rinascimentale che intende la filosofia come una ricerca, un muoversi verso una verità che non è data. Inoltre si ritiene che la filosofia platonica sia quella che maggiormente si presta a intendere anche la sensibilità religiosa cristiana in quanto si reputa che Platone sia il filosofo che si è avvicinato maggiormente allo spirito del cristianesimo. Durante il Rinascimento si viene a conoscenza di quasi tutti i dialoghi di Platone. Questo è dovuto a due avvenimenti storici che sono:

Il fiorire degli studi platonici è parallelo al rifiorire degli studi aristotelici. Questo crea una querelle cioè un conflitto ideologico tra coloro che sostengono la superiorità della filosofia di Platone rispetto a quella di Aristotele e viceversa. Il maggior sostenitore della superiorità della filosofia di Platone è Giorgio Gemisto Pletone mentre il maggior sostenitore della superiorità della filosofia di Aristotele è Giorgio Trapesunzio. Esiste un tentativo di conciliazione tra queste due posizioni operato dal cardinale Bessarione. In realtà il motivo del conflitto ideologico deriva da una diversità di interessi: per i platonici è un interesse di tipo religioso mentre per gli aristotelici è un interesse di tipo naturalistico cioè vedono nella filosofia di Aristotele la condizione fondamentale per un approccio allo studio della natura.

I platonici però, pur essendo mossi da un interesse di tipo filosofico, non distinguono bene Platone da Plotino. Questa distinzione avverrà del resto solo nel XIX secolo.

Nicola Cusano

Nicolas Krebs è il maggior rappresentante della filosofia platonica in età rinascimentale. La sua opera più importante è il "DE DOCTA IGNORANTIA" la quale tratta l’argomento della conoscenza. Egli ritiene che la conoscenza dell’uomo si modelli sulla conoscenza matematica. Nell’ambito della conoscenza noi conosciamo ciò che è ignoto solo se esso ha una proporzionalità con ciò che è già noto. Quindi la conoscenza si basa sull’omogeneità tra noto ed ignoto come in matematica: tanto più le verità sono vicine a ciò che già conosciamo, tanto più facilmente le conosciamo. Di fronte a ciò che non è assolutamente omogeneo a quanto conosciamo noi non possiamo che proclamare la nostra ignoranza, la quale sarà però una "dotta ignoranza" in quanto ne siamo consapevoli. Qui Cusano si riallaccia alla tradizione delfico-pitagorica ê la nostra conoscenza si muove nel finito. Ciò che non è omogeneo all’oggetto della nostra conoscenza è l’infinito che sfugge al nostro sapere. Esso sta alla finitudine della nostra conoscenza come la circonferenza ai poligoni inscritti e circoscritti. All’uomo sfugge quindi la verità assoluta, egli conosce solo le verità relative che possono essere aumentate ma che non coincideranno mai con l’assoluto. Questo però ci dice che l’infinito è aldilà delle norme che regolano la nostra conoscenza e il principio logico su cui si fonda la nostra conoscenza è quello di non-contraddizione. Quindi l’infinito sfugge al principio di non-contraddizione. Di conseguenza l’infinito, cioè Dio è coincidenza degli opposti, quindi in Dio ci sono quegli opposti che assolutamente nel mondo umano non possono coincidere. Cusano spiega tutto questo ancora con un principio matematico. Questa separazione però non implica un’inaccessibilità perché dopo aver separato l’essere dal mondo lo si ritrova nel mondo con un riferimento al Parmenide. Di fronte a Dio l’unico atteggiamento possibile è la congettura cioè il riconoscere che è altro da noi. Una delle sue opere si intitola "NON ALIUD". Questa gli permette di dare una spiegazione del rapporto tra Dio e il mondo che lo porta poi a presupporre delle tesi di tipo astronomico che lo avvicinano a quelle sostenute nell’ambito della rivoluzione scientifica. Cusano usa i termini di complicatio ed esplicatio. Dio è la complicazione del molteplice nell’Uno cioè il mondo che si piega fino a ridursi all’unità in Dio ma contemporaneamente Dio è l’esplicarsi dell’unicità nella molteplicità del mondo. Questo permette una conoscenza del divino che è pura congettura e che comunque si fonda sulla soggettività umana. Cusano dice che noi vediamo Dio così come noi siamo. Il Neoplatonismo viene qui usato per spiegare la realtà partendo dalla soggettività umana. Se Dio è complicatio ed esplicatio è ovunque quindi non esiste nell’Universo una differenza di qualità perché Dio è ovunque e l’universo è infinito come Dio ma è un infinito costrutto in quanto si esplica nella pluralità.

Marsilio Ficino

Il Neoplatonismo in Italia si afferma soprattutto a Firenze dove nasce un vero e proprio centro di studi neoplatonici grazie alla collaborazione tra Cosimo il Vecchio e Marsilio Ficino. Marsilio si occupa della filologia platonica ed è anche un traduttore dei suoi dialoghi. E’ convinto che la teologia e la filosofia siano strettamente congiunte fra loro. La separazione tra le due fa si che la teologia diventi superstizione e la filosofia malvagità. Ritiene che la filosofia platonica sia il pensiero in cui meglio si uniscono ambedue. Si tratta di platonismo filtrato. Distingue la realtà in gradi:

  1. CORPO
  2. QUALITÀ
  3. ANIMA
  4. ANGELO
  5. DIO

L’anima occupa il gradino centrale cioè essa è parimenti distante dal corpo quanto da Dio. La sua centralità fa si che essa abbia una funzione fondamentale per determinare l’armonia del mondo. Essa può scegliere se degradarsi fino al corpo o innalzarsi fino a Dio. In questo modo costituisce tutta la realtà. L’anima è copula mundi. Senza l’anima non sarebbe possibile comprendere il rapporto tra quelli che sono gli estremi della realtà in quanto essa è l’essenza media, appartiene ad ambo i mondi. Questa sua funzione fondamentale determina quelle che sono le connotazioni dell’anima. Essa è infinita ed eterna perché spiega la ragion d’essere del cosmo. Infatti è la misura del tempo ma siccome lo strumento di misurazione non può che essere pari a ciò che misura, allora è infinita ed eterna. E’ libera di scegliere se scendere o salire. Dio ha creato l’uomo attraverso un atto d’amore quindi il cosmo è bello e quindi l’anima nel mondo, attraverso la bellezza, può tornare a Dio. Siamo di fronte ad una concezione neoplatonica della realtà con un’ispirazione umana non religiosa in quanto fa dell’anima l’essenza media perché essa è l’unica che può apprezzare la bellezza del cosmo, quindi tutto il cosmo è in funzione dell’anima e quindi dell’uomo, il quale è l’unico che può giudicare il bello.

Pico della Mirandola

Ultimo rappresentante del Platonismo rinascimentale. Egli, pur proponendo temi legati al platonismo, ritiene che tutta la cultura abbia uno sviluppo omogeneo e quindi sovrappone a quelli che sono i temi classici del Neoplatonismo temi aristotelici, ebraici e musulmani. Secondo lui esiste un’unica materia di ogni forma di sapere che mette a capo di un personaggio mitologico " Hermes Trismigisto" cioè Hermes tre volte grande. Egli voleva proporre novecento tesi da discutere agli intellettuali del suo tempo riunendoli a sue spese a Roma e come prefazione di queste tesi scrive quello che viene considerato il manifesto del Rinascimento italiano e cioè il "DE OMNIS DIGNITATAE". In quest’opera presenta la creazione come è avvenuta nell’Eden. Dio dà a tutti gli esseri una caratteristica ma arrivato all’uomo si accorge di non avere più niente da dargli e allora gli dà la possibilità di scegliere cosa essere, se innalzarsi a Dio o adeguarsi alla carne.

Naturalismo

Una delle correnti fondamentali del rinascimento è il Naturalismo, cioè lo studio della natura, sviluppato in maniera diversa tra loro nelle opere di Telesio, Bruno e Campanella.

Bernardino Telesio

Nasce a Cosenza nel 1509. Studia a Padova, sede dell’Aristotelismo. Quando torna in Calabria scrive il "DE RERUM NATURA IUXTA PROPRIA PRINCIPIA", la sua opera principale, e altre opere su fenomeni naturali. Il suo interesse è stato lo studio della natura nelle sue manifestazioni reali e concrete. Telesio concepisce la natura come una realtà oggettiva a sé stante il cui studio può avvenire in base a principi immanenti alla natura stessa e questo è possibile all’uomo perché l’uomo fa parte della natura ê esiste una concordanza tra ciò che i sensi rivelano e ciò che la natura esprime. Questo avviene tramite la sensibilità, cioè l’autorivelazione che la natura fa di sé a quella parte di sé che è l’uomo. Attraverso la sensibilità Telesio ritiene che siano due i principi che agiscono nel mondo naturale: il caldo e il freddo. Il caldo rende le cose leggere e mobili, il freddo le rende pesanti, opache e immobili. Questi due principi si identificano con il Sole e la Terra. Riduce gli elementi ultimi a cui ricondurre tutta la natura a due dei quattro soliti elementi (esclude cioè aria e acqua). Questi due principi agiscono sulla materia inerte, ma perché ciò avvenga occorre che anche tutto il mondo naturale sia fornito di sensibilità. La sensibilità non è propria solo degli esseri animati ma è la caratteristica fondamentale di tutta la realtà perché le cose devono sentire e subire l’influenza di questi due principi, devono essere quindi fornite di sensibilità. In questo modo emerge un concetto della natura simile a quello dei maghi, i quali concepiscono la natura come un enorme organismo vivente. Questo allontana Telesio da quelli che saranno poi i risultati della rivoluzione scientifica, perché la concezione della natura che emerge da Telesio è di tipo qualitativo e animato, anche se si rende conto che per svolgere uno studio veramente esaustivo della natura bisogna anche conoscere la quantità di calore somministrato o sottratto necessario a ottenere i vari effetti. Egli stesso si dice però di non essere in grado di effettuare uno studio di questo tipo, anche se si rende conto della necessità dell’elemento quantitativo. In questa sua riduzione naturalistica della realtà, Tommaso analizza anche le facoltà umane. Ritiene che l’anima sia anch’essa un prodotto della natura, sia nel suo atteggiamento conoscitivo che in quello morale. Infatti il fondamento di tutta la conoscenza è la sensibilità, perché se l’anima è un prodotto della natura lo deve essere anche la sua facoltà conoscitiva e morale. La sensibilità non è da intendere solo come incontro tra i nostri organi di senso e le cose, ma anche come la percezione, la consapevolezza di questo incontro. Anche la conoscenza che l’uomo ritiene principi astratti sono derivanti dall’esperienza, sono basati sulla sensibilità e derivano da un metodo induttivo, sono cioè generalizzazioni derivanti dall’esperienza. Anche la stessa vita morale dell’uomo ha una radice naturale, perché la virtù è l’accrescimento del proprio essere, mentre il vizio è la sua diminuzione. La virtù è accompagnata anche dal piacere perché il piacere è il sentimento che noi proviamo quando abbiamo un accrescimento del nostro essere, mentre dal dolore abbiamo una diminuzione del nostro essere. L’uomo possiede anche un’anima che gli viene infusa direttamente da Dio e che lui chiama "forma superaddita" che è quella proposta dalla fede e dalla vita religiosa.

Giordano Bruno

Nasce nel 1548 a Nola. A quindici anni entra nel chiostro domenicano di Napoli. Presto abbandona la vita claustrale, viene denunciato all’inquisizione a causa della quale muore arso vivo in Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio 1600. A Parigi scrive la sua unica commedia fra tutte le sue opere "IL CANDELAIO", nella quale mette in luce con un l’atteggiamento satirico l’ambiente ipocrita, libresco che ha abbandonato a Napoli. La seconda opera che scrive è un’opera di mnemotecnica, il "DE UMBRIS IDEARUM", dedicata a re Enrico III di Francia. Scrive un grandissimo numero di opere. Il primo gruppo di opere riguarda l’arte della memoria, già diffusa nell’età medioevale a causa della scarsa diffusione dei libri e fondata su un sistema iconografico ("i loci memoriae"). Bruno ritiene che il sapere sia lo sviluppo di una sapienza originaria che è cresciuta con il tempo e a cui hanno contribuito i filosofi, ma che ha trovato una battuta d’arresto nell’età medioevale. Ritiene che quel sapere sia la vera religione mentre la religione tradizionale è "santa asinità", utile solo per i popoli rozzi, mentre per gli intellettuali la religione è la filosofia; è quindi un sapere elitario. La religione, infatti, ci fa agire contro la vera natura, cioè diminuisce il nostro essere. Possiamo concepire Dio in due modi: come mens super omnia o come mens insita omnibus. Nel primo caso l’unica cosa che possiamo dire di Dio è che è un principio assolutamente ineffabile ê è il Dio della religione. Nel secondo caso è il Dio dei filosofi, in quanto principio intelligente all’interno delle cose ê è l’anima del mondo, l’intelligenza al cui interno stanno le forme di tutte le cose. In quanto principio della realtà è ciò che costituisce la realtà ma è unda sua causa, cioè ciò che fa si che la realtà sia quella che è. In quanto intelligenza e anima del mondo Dio è principio e causa di tutte le cose, è la sostanza delle cose, è l’elemento costitutivo della realtà, ma è anche ciò per cui una cosa è quella che è ê è principio statico e dinamico di tutta la realtà. In quanto principio e causa è la materia e la forma delle cose. E’ materia nel senso che è l’elemento di cui le cose sono fatte ed è anche forma per cui ciascuna cosa si determina a essere quella che è. Ma anche se è materia e forma non esiste un dualismo, perché è la stessa materia che caccia fuori da se le sue forme. I concetti che meglio identificano questo principio divino costitutivo di tutta la realtà sono il suo essere uno e il suo essere infinito. In quanto infinito Bruno riprende la terminologia di Cusano, cioè Dio è coincidenza degli opposti. In lui si identificano il massimo e il minimo ed è quindi al di là del principio di contraddizione. Partendo dal concetto dell’infinità di Dio Bruno elabora una dottrina sull’infinito che lo pone all’avanguardia nell’ambito della rivoluzione scientifica e questo nonostante il punto di partenza della sua speculazione metafisica perché parte da considerazioni che non hanno niente a che vedere con un’analisi scientifica e matematica dello spazio, per cui Bruno rappresenta un esempio di quanto sostengono alcuni epistemologi attualmente, cioè che bisogna distinguere in una dottrina o in una teoria il risultato dal punto di partenza. Bruno parte dall’osservazione dello spazio, in particolare del sistema solare, vedendo che il Sole è una stella a cui girano intorno i pianeti e vedendo che nello spazio ci sono infinite stelle, egli si domanda se ogni stella non coincida con un proprio sistema e che quindi il nostro universo non sia l’unico, ma uno dei tanti. D’altra parte ciò è coerente con il concetto di Dio come infinita potenza perché è più coerente che una causa infinita possa dare origine a un effetto infinito che non viceversa ê è più coerente concepire lo spazio come una realtà infinita, se Dio è infinito ed è principio costitutivo della realtà. Bruno ha sicuramente letto il "De Rerum Natura" di Lucrezio, infatti, riprende per primo il concetto di Epicuro e di Democrito sull’infinità dello spazio e l’infinità dei mondi e la teoria corpuscolare della materia e giunge a elaborare tre tesi sono fondamentali nell’ambito della rivoluzione scientifica tra cui l’abbattimento delle mura dell’universo il quale non ha più un suo centro poiché è dappertutto ê non c’è differenza tra mondo celeste e mondo sublunare, e l’infinità dell’universo. Queste tesi, indimostrabili astronomicamente, trovarono grossi ostacoli. La dottrina della conoscenza di Bruno e la sua dottrina morale sono coerenti a questa concezione naturalistica dell’uomo e a questa identificazione tra Dio e la natura. Riprende la concezione gnoseologica di Plotino con la differenza che l’Uno plotiniano è assolutamente trascendentale mentre l’Uno bruniano è immanente. La natura bruniana è un organismo vivente. Bruno aggiunge due gradi che sono: la contratio mentis e la sua reificazione cioè il suo farsi cosa, e quindi il grado culminante della conoscenza per Bruno non è l’uscita da sé, ma l’identificarsi della mente con la cosa stessa ê l’identificarsi della mente con la natura, cioè con Dio. Bruno spiega questo con un mito, il mito di Atteone. Atteone è un giovane cacciatore, va a caccia con due mute di cani: veltri e mastini. Mentre insegue un cervo, vede la dea Diana che si sta bagnando in un lago, la osserva ma la dea se ne accorge e lo punisce trasformandolo in un cervo. Questo mito si interpreta così:

L’opera più importante di Bruno è considerata il "DEGLI EROICI FURORI", perché il filosofo è il furioso, cioè colui che è mosso dal furore, dalla passione (eros platonico) e che non si appaga in questa sua sete di conoscenza di nessun’altra unione se non quella che lo porta a unirsi alla divinità, cioè al principio costitutivo della realtà stessa.

Tommaso Campanella

Nasce a Stilo, in Calabria, nel 1568. Entra nell’ordine domenicano. Le sue dottrine filosofiche, le quali si ispirano, almeno come punto di partenza, alla filosofia di Telesio, ben presto lo portano a subire una serie di condanne, per le quali è tenuto a tornare nella città di nascita. In realtà non obbedirà mai, anzi ordisce una congiura per realizzare un progetto teologico-politico di rinnovamento fondato sulla religione che costituirà lo scopo di tutta la sua esistenza. Vuole effettivamente realizzare questo suo progetto e per farlo si appoggia alla Spagna, la quale non lo asseconda. Questa congiura viene scoperta e lui viene condannato a morte. Si fingerà poi pazzo e la sua pena si trasformerà in carcere a vita; starà in carcere 27 anni e lì continuerà a scrivere e a riscrivere le sue opere. Gli ultimi anni della condanna li trascorrerà nel Palazzo del Santo Uffizio, dove tenta di farsi aiutare dalla Francia per realizzare il suo progetto ma riuscirà solo a fuggire e lì passerà il resto della sua vita. Muore a Parigi nel 1639. Sono numerose le sue opere, le più importanti sono: "FILOSOFIA SENSIBUS DEMONSTRATA", "LA METAFISICA", e la "CITTÀ DEL SOLE", l’opera che contiene il suo progetto politico. Il punto di partenza della filosofia di Campanella è la filosofia di Telesio, in particolare la metafisica. Campanella ammette l’esistenza di due principi agenti (caldo e freddo) e della massa materiale su cui i principi agiscono, e da ciò deriva una sensibilità universale, ma concepisce la natura con una universale animazione ê la concepisce come un gigantesco animale (si allontana dal tentativo di riduzione naturalistico-oggettivistico), secondo una concezione di tipo magico. Campanella ritiene che grazie a questa universale animazione, a questa sensibilità a cui partecipano tutti gli enti, Dio determina il consenso universale tramite l'anima del mondo, cioè l’armonia dell’universo per cui ciascuna cosa, pur seguendo le proprie leggi, in realtà mira al medesimo fine armonico di tutte le altre. Il punto in cui Campanella si accosta di più alla filosofia di Telesio è quello in cui privilegia, nell’ambito della conoscenza, la sensibilità. Campanella ritiene infatti che la sensibilità sia l’incontro tra soggetto e oggetto, ma anche la consapevolezza di questo incontro. Dice che la sensibilità è consapevolezza della sensazione ma occorre che sia preceduta dalla consapevolezza che ciascun ente ha di sé, altrimenti non avrebbe consapevolezza della modificazione che determina in lui la sensazione. A fondamento della sensibilità universale sta quella che Campanella chiama "notitia sui ipsius innata", cioè la consapevolezza che ciascun ente ha di sé. Su questo concetto Campanella fonda la sua metafisica. La notitia sui consiste nella consapevolezza di essere, di sapere e di amare. Ma ciò significa che i principi costitutivi di tutta la realtà sono la potentia, la sapientia e l’amor. Ma essendo tutti gli enti creature ed essendo quindi finiti, non possiedono la potenza, la sapienza e l’amore in maniera assoluta perché questi, in maniera assoluta, stanno solo in Dio. Quindi questa consapevolezza sarà quella di potere ma non di potere in maniera assoluta, ecc. Quindi in realtà nell’ambito del finito partecipa l’opposto, cioè le creature sono finite in quanto per quel che sono, per quel che sanno e per quel che amano, sono costituite da potenza, da sapienza e da amore, ma per quel che non sono partecipa nel loro essere l’impotenza, per quel che non sanno l’insipienza, per quel che non amano l’odio. Questo costituisce il limite del creato rispetto al creatore che invece possiede in maniera assoluta essere, sapienza e amore. Sulla metafisica Campanella fonda il suo ideale politico, che è un vero e proprio progetto, non lo considera un’utopia. Prevede un rinnovamento sociale e politico fondato sulla ragione. Cioè prevede la realizzazione di una città ideale di cui lui ci da anche delle indicazioni fisico-urbanistiche, a capo della quale Campanella ritiene ci debba essere un sacerdote (che chiama sole o metafisico) che è aiutato nell’amministrazione e nel governo da tre principi:

L’elemento caratterizzante è dato dalla religione, che, in questa città, è una religione naturale, razionale, che però si identifica con i dogmi della religione cattolica, per cui lui dice che i solari credono spontaneamente in un Dio uno e trino e in tutti gli altri dogmi della religione cattolica. Secondo Campanella la religione cattolica trova le sue radici nella natura stessa, ma all’uomo deve anche essere rivelata. Nel corso dei secoli sono stati aggiunti al suo nucleo una serie di abusi che possono venire eliminati rifacendosi ai nuclei naturali della religione ê la religione naturale deve servire come norma da osservare per eliminare questi abusi. Campanella si inserisce nella parte della Controriforma che può essere chiamata Riforma Cattolica. E’ un rinnovamento di tipo morale, non dogmatico, perché i dogmi sono insiti nella religione. Campanella ritiene che i solari debbano tutti lavorare sia manualmente che intellettualmente in modo da poter garantire a tutti il tempo di potersi dedicare alle attività intellettuali. Dimostra che si può lavorare quattro ore al giorno e per il resto del tempo dedicarsi all’ imparare giocando, cioè all’approfondire delle esperienze intellettuali in modo da recarsi piacere. Su questo imparare giocando è formata la sua pedagogia. Per lui i bambini devono essere condotti dai maestri lungo le sette mura che circondano la città istoriate in modo da costituire il libro di testo su cui devono essere formati ê la scuola non si deve svolgere in ambiente chiuso perché l’istruzione non deve essere una costrizione.

La rivoluzione scientifica

Il termina "rivoluzione scientifica" è stato introdotto nell’ambito della storia della filosofia solo recentemente anche perché solo adesso si è dato spazio a questo avvenimento culturale che costituisce uno dei fenomeni più importanti dell’età moderna.

Una delle prime opere che si è occupata di questo problema è "The scientific revolution" di Robert Hall (1954). Per rivoluzione scientifica si intende quel complesso di dottrine che portano ad una nuova concezione della natura e dello studio della natura che viene collocato cronologicamente tra la pubblicazione del "De revolutionibus orbium celestium" di Copernico (1543) e la pubblicazione dell’opera di Newton (1687) "Principia matematica". Solo recentemente storici della scienza e filosofi della scienza si sono resi conto dell’importanza di questo periodo: è recente l’inserimento di questo periodo all’interno della storia della filosofia. Questo grazie a storici della scienza come Koyrè, Kulm, Hall e a filosofi della scienza come Popper.

Storici della scienza: analizzano avvenimenti, fatti, figure storiche il cui ruolo è stato determinante per la nascita della fisica moderna.

Filosofi della scienza (o epistemologi): riflettono sui nuovi concetti che emergono da questo nuovo modo di fare scienza.

I due concetti che risultano nuovi nell’ambito della rivoluzione scientifica sono il concetto di natura e di scienza intesa come studio della natura. La natura, nella tradizione, era un insieme essenzialistico e qualitativo; anche nell’ambito del naturalismo rinascimentale la natura era considerata in senso antropomorfo, si attribuivano alla natura caratteristiche umane. Nell’ambito della rivoluzione scientifica, la natura è concepita come un ordine oggettivo e causale degli eventi: la natura viene intesa come una serie di cose che nulla hanno a che vedere con l’uomo, è liberata da ogni antropomorfizzazione, è un insieme di elementi oggettivi retti da un principio causale, per cui conosciuto un effetto si conosce anche la causa ed è un insieme di relazioni che sono una serie di uniformità di comportamento, che sono le leggi fisiche. Ciò porta ad una scienza che è sperimentale, cioè parte da un’osservazione dei fenomeni, che è ora l’osservazione di elementi quantitativi; il fondamento infatti dell’osservazione è la metodologia matematica che si fonda su una struttura matematica. La scienza è intesa come un sapere oggettivo, valido per tutti, e intersoggettivo, cioè che deve essere reso noto. Lo scopo della scienza diventa quello di produrre un sapere che deve migliorare la vita dell’uomo, un sapere che si trasforma anche in tecnica, un sapere neutrale che si basa sull’osservazione del metodo matematico.

Le condizioni che hanno reso possibile la rivoluzione scientifica sono la nascita dello stato moderno e l’ascesa della borghesia perché lo stato moderno ha esigenze che prevedono conoscenze ed applicazioni tecniche e la borghesia per aumentare la produzione ha bisogno di conoscere tecniche. Questo fa si che tramontino la figura dell’artigiano che ha poche conoscenze e che quindi non aumenta la sua produzione e quella dell’intellettuale che studia il sapere per il puro sapere. E’ necessario che il sapere sia messo al servizio della capacità tecnica, infatti nasce la figura dell’ingegnere. Questo noi lo vediamo nella proliferazione di manuali, dalla costruzione di strumenti di misura.

Alcuni storici della scienza hanno voluto sottolineare come non bisogna limitarsi a dire le cause della rivoluzione scientifica ma è anche importante l’individuo e quindi sottolineare le capacità individuali.

Gli epistemologi sostengono che non necessariamente un risultato scientificamente valido deriva da un’osservazione di tipo scientifico.

La rivoluzione scientifica stenta ad affermarsi, non entra nell’università, nascono delle accademie, luoghi di ricerca e cultura alternativa all’università. Prima non c’era stata applicazione della scienza per due motivi: perché per i ricchi c’erano gli schiavi e gli altri non ne avevano la possibilità.

Il nuovo metodo ha incontrato ostilità a causa delle teorie che esponeva, soprattutto quelle astronomiche che erano in contrapposizione con le antiche teorie che trovavano conferma nel senso comune, in Aristotele e nella Bibbia.

La rivoluzione astronomica

Il primo aspetto della rivoluzione scientifica è la rivoluzione astronomica. Il sistema astronomico che si afferma è il sistema copernicano, che sostituisce il modello tradizionale per studiare i cieli, quello aristotelico-tolemaico. In realtà sicuramente il primo ad avviare la rivoluzione astronomica e a proporre il sistema eliocentrico in sostituzione di quello geocentrico è Copernico, ma in realtà il sistema copernicano fa ancora molte concessioni all’antico sistema, per arrivare alla soluzione scientifica propria della scienza moderna dobbiamo tener presente gli studi di Keplero e le intuizioni di Giordano Bruno, che ci da il modello astronomico che si è affermato e che è stato ritenuto valido fino alla teoria della relatività di Einstein.

Secondo il sistema aristotelico-tolemaico l’universo è unico, in virtù della teoria dei luoghi naturali di Aristotele, secondo cui ogni materia tende per propria natura a stare nel suo luogo naturale, non può che esserci quindi un unico universo, essendoci un unico luogo per ciascuna materia; è chiuso, infatti secondo Aristotele e Tolomeo, tutto è nell’universo, l’universo non è in nulla, non esiste nulla al di fuori dell’universo, neanche il vuoto; è finito per cui una retta, per Aristotele, è infinita solo dal punto di vista logico-matematico; è geocentrico, al centro dell’universo sta la terra, attorno alla quale ruotano il sole e i pianeti, che ruotano sulle loro orbe, che non sono linee matematiche, ma vere e proprie sfere cristalline, su cui ruotano il sole e i pianeti intorno alla terra; è diviso in due parti, una costituita dal mondo celeste fatta di etere, eterno, l’altra fatta della sostanza sublunare (4 radici empedoclee), generabile e corruttibile. L’etere è eterno perché si muove di moto circolare, mentre non lo fanno le sostanze sublunari. Questo sistema proposto da Aristotele e poi ripreso come vero e proprio modello dell’universo da Tolomeo era anche entrato a far parte del mondo cristiano perché trovava conferma nella Bibbia e perché si prestava a rendere possibile l’incarnazione e la redenzione perché la terra è al centro dell’universo, è il luogo più importante dell’universo, l’uomo è la creatura più importante, ma è anche il luogo della corruzione si compone di materiale generabile e corruttibile: rende necessarie l’incarnazione e la redenzione. Quest’universo è stato considerato vero per tanti secoli perché:

Il primo a proporre una soluzione diversa fu Niccolò Copernico, polacco. Tornato nella sua terra si dedica allo studio dell’astronomia, cercando di trovare una soluzione matematicamente più semplice per spiegare il moto dei cieli, perché l’ipotesi astronomica di Tolomeo era estremamente complessa e prevedeva un’ipotesi di moto diversa per ciascun pianeta; per arrivare ad una soluzione armonica finale i calcoli erano complicatissimi. Copernico trova una semplificazione di questi calcoli spostando il punto di vista che non è quello della terra, ma quello del Sole. Nonostante quest’intuizione corretta e che rappresenta epistemologicamente una grossa novità, che è quella di fare un’unica ipotesi astronomica per tutti i movimenti dei pianeti, fa delle grosse concessioni al sistema aristotelico-tolemaico, perché non elimina il concetto di orbita cristallina e ritiene che il moto dei pianeti intorno al sole sia perfettamente circolare e che l’universo sia unico e chiuso. Questo spiega perché l’opera di Copernico pubblicata nel 1543, "De revolutionibus orbium celestium" non suscita un immediato scandalo perché viene presentata come ipotesi di tipo matematico volta alla semplificazione dei calcoli e quindi non vuole essere un modello reale del cielo. Ha più successo l’opera di Tycho Brahe che propone una sorta di compromesso tra sistema geocentrico e sistema eliocentrico perché prevede che la terra sia al centro, che il sole le giri intorno e che gli altri pianeti ruotino intorno al sole. Chi invece riuscirà a dare un’ipotesi realistica è Johannes Keplero, tedesco. Due sono le opere principali: "Armonices mundi" e "Astronomica nova", in cui ci da le tre leggi che spiegano il moto dei pianeti intorno al sole. Anche Keplero non ipotizza né l’infinità dell’universo né la sua acentricità. Occorre arrivare a Giordano Bruno, le cui tesi sono però accettate molto tiepidamente perché non c’era modo di verificarle sperimentalmente e perché erano tesi in contraddizione con la Bibbia. L’ipotesi attuale è quella che l’universo si pieghi su sé stesso.

Galileo

 

Nasce a Pisa nel 1564, vive a Firenze da bambino e frequenta la facoltà di medicina a Pisa, ma in realtà si interessa agli studi di matematica, in particolare a quelli condotti da Ostilio Ricci, che era allievo del gran matematico Tartaglia. Galileo usa la matematica come strumento quantitativo per risolvere problemi di fisica abbandonando quindi una concezione pitagorico-platonica della matematica come struttura metafisica dell’universo. Galileo inventò strumenti come la bilancetta idrostatica e scoprì la legge dell’isocronismo del pendolo.

Nel 1589 accetta la cattedra di matematica di Pisa. Insegna anche astronomia, ma era tenuto a insegnare l’astronomia tolemaica. Si accosta alla visione copernicana e abbandona anche la classica teoria aristotelica del moto. Galileo insegna la teoria copernicana in contrasto con ciò che doveva insegnare.

Accetta poi la cattedra di matematica di Padova. Il periodo di Padova è il più fecondo dal punto di vista dei suoi studi perché costruisce a fianco della sua casa un laboratorio dove condurre i suoi esperimenti. Insegna la teoria copernicana e va convincendosi di un moto uniformemente accelerato verso il centro della terra, in base agli esperimenti che conduce. In questo periodo inventa il termobaroscopio, un compasso militare, reinventa il cannocchiale scoprendo le fasi di Venere, i satelliti di Giove, le macchie lunari e le macchie solari. Tutto questo viene pubblicato nel 1610 nel "Sidereus Nuncius " che lui dedica al granduca di Toscana. Inizialmente le sue scoperte non vengono sconfessate, addirittura anzi un astronomo gesuita conferma la sua scoperta. Le cose cambiano quando si occupa della scoperta il cardinale Bellarmino, gesuita, astronomo consultore del sacro Uffizio, che si rende conto della portata eversiva contenuta nelle scoperte di Galileo. Le sue scoperte vengono rifiutate.

Il metodo scientifico di Galileo è nuovo e implica i concetti della neutralità della scienza e della libertà del ricercatore.

In questo periodo scrive le Lettere Copernicane che sono quattro nelle quali conduce una battaglia contro i sostenitori della validità della Bibbia anche nell’ambito scientifico e contro i sostenitori della filosofia di Aristotele.

Galileo viene chiamato a Roma e sottoposto al primo processo in cui si adegua a quanto gli viene richiesto cioè di non diffondere le sue teorie e di ritirarsi a vita privata.

Quando muore Papa Paolo V e viene eletto al soglio pontificio il cardinale Barberini con il nome di Urbano VIII Galileo ritiene di poter nuovamente diffondere il suo pensiero. Nel 1632 pubblica il suo capolavoro "Dialogo sopra i massimi sistemi" in cui paragona i due massimi sistemi dell’universo: quello aristotelico-tolemaico e quello copernicano. Viene richiamato a Roma e sottoposto al secondo processo, condannato, costretto all’abiura pubblica, gli viene permesso di ritirarsi a vita privata nella sua villa a Cetri dove scriverà un’ultima opera "Dimostrazioni matematiche". Muore nel 1642. Galileo si dedica alla difesa dell’autonomia della scienza e della libertà del ricercatore. Questa difesa è condotta tramite una polemica contro quelli che sono i custodi della tradizione: la Chiesa e la tradizione culturale aristotelica.

Il primo ad accorgersi della forza sovversiva del metodo galileiano è stato il cardinale Bellarmino. Riguardo le sacre scritture i custodi della tradizione ritenevano che queste fossero la fonte della fede e che fossero anche il fondamento di ogni forma di sapere compreso quello scientifico, ritenevano che si dovesse credere a tutte le affermazioni della Bibbia non solo quelle direttamente legate ai dogmi ma anche qualsiasi altro tipo di affermazione. Contro questa posizione Galileo sostiene che sia la Bibbia che la natura sono creature di Dio, la Bibbia perché è stata scritta sotto ispirazione diretta di Dio, la natura perché è stata creata da Dio: la Bibbia è la fonte della fede cristiana ma la natura non può che seguire quelle leggi che sono quelle con cui Dio l’ha creata. Questo ci permette di distinguere tra le affermazioni contenute nella Bibbia che riguardano la fede e quelle che invece possono riguardare dei fenomeni naturali: quelle che riguardano la fede vanno credute, quelle che riguardano i fenomeni naturali devono essere considerate da un altro punto di vista, perché bisogna tenere conto che quando sono state scritte si rivolgevano a persone incolte, rozze e dovevano tenere conto della cultura dominante in quel momento. La natura infatti segue la sue leggi e le ha sempre seguite; le nuove scoperte non contraddicono quanto è scritto nella Bibbia perché non hanno nulla a che vedere con la fede.

L’altra polemica che Galileo conduce è quella contro gli aristotelici. Galileo ha una grande ammirazione per Aristotele ed è convinto che se dovesse tornare sarebbe il primo a confermare le sue teorie perché Aristotele consultava direttamente la natura e non faceva come i suoi seguaci che, invece di studiare la natura, si dedicano ad un "mondo di carta", cioè studiano la natura attraversi i libri e prendono dogmaticamente quanto afferma Aristotele proprio perché l’ha detto lui stesso.

Il metodo di Galileo e le sue scoperte sono preceduti da una serie di studi in cui Galileo, pur non avendolo mai formulato in maniera teorica usa il principio di inerzia che però è in aperto contrasto con la teoria aristotelica dei luoghi naturali secondo cui andavano delineandosi differenze tra moto violento e moto circolare, ecc. Il principio di inerzia elimina queste differenze. La differenza concettuale tra questo principio e la dottrina precedente è che moto e quiete nel principio di inerzia concettualmente sono uguali.

L’altro grosso apporto di Galileo alla scienza contemporanea è la formulazione del secondo principio (accelerazione), dimostrato con l’esperimento della caduta nel vuoto di una piuma e di una sfera di piombo, mentre Aristotele aveva detto che il moto è direttamente proporzionale al peso. Tutto ciò gli ha permesso di fare i funerali alla fisica aristotelica perché la scoperta dei quattro satelliti di Giove gli ha permesso di confermare la tesi copernicana come lo studio delle fasi lunari, ecc. La sintesi di tutto questo viene messa nel "Dialogo sui massimi sistemi" in cui mette in relazione il sistema tolemaico e quello copernicano. Questo dialogo si svolge in quattro giornate e avviene fra tre personaggi: Simplicio, sostenitore della dottrina tolemaica, rappresentante i custodi della tradizione; Salviati, che rappresenta la mente aperta al nuovo, la ragione libera e spregiudicata che indaga la natura e il mondo in autonomia; Sagredo che deve fare da moderatore tra gli altri due ma che per la sua mentalità aperta tende a dar ragione a Salviati. Nella prima delle giornate si fa un’analisi comparativa tra i due sistemi a tutto vantaggio di quello copernicano; nella seconda Galileo confuta tutti gli argomenti che in genere venivano sollevati per dimostrare l’impossibilità della tesi copernicana; nella terza viene dimostrato il moto di rotazione della terra; nella quarta abbiamo la teoria delle maree che però è sbagliata. Al di là dei contenuti è anche rivoluzionario il metodo proposto da Galileo mai espresso direttamente ma deducibile dai suoi libri. Galileo afferma che il metodo scientifico si basa sulla sensata esperienza e sulle matematiche dimostrazioni. La sensata esperienza è l’esperienza dei sensi, l’osservazione diretta dei fatti e volta alla descrizione quantitativa di un fatto; poi formula un’ipotesi: nella sua prima parte il metodo è induttivo, poi il metodo diventa ipotetico-deduttivo, cioè dall’ipotesi per via astratta e razionale formula delle conseguenze che poi sperimenta in una situazione artificiale creata apposta per vedere se l’ipotesi è corretta. Se l’esperimento conferma l’ipotesi questa si trasforma in legge fisica. Per Galileo la legge fisica esprime le uniformità di comportamento di un determinato fenomeno. Quindi cambia la prospettiva perché mentre prima la scienza si chiedeva il perché ora si chiede come si comporta il fenomeno in una certa situazione: la natura non è più descritta come un insieme essenzialistico e finalistico ma come un insieme di oggetti che si comportano in maniera causale: se c’è un effetto c’è una causa, se si ripropone la stessa causa si otterrà lo stesso effetto: la legge fisica si può esprimere matematicamente con una funzione. Cambia anche il rapporto tra la matematica e fisica, perché prima si riteneva che la matematica non potesse essere applicata a fenomeni fisici perché era ritenuta perfetta, mentre i fenomeni fisici erano ritenuti rozzi. Al contrario ora si ritiene che la matematica non sia ancora abbastanza evoluta per poter spiegare tutti i fenomeni fisici. Ciò permette a Galileo di proporre, nell’ambito della descrizione del mondo fisico, una classificazione tra qualità oggettive e qualità soggettive dei fenomeni. Le qualità oggettive sono quelle matematicamente quantificabili: costituiscono l’oggetto di studio della ricerca scientifica; quelle soggettive sono invece quelle che dipendono dai nostri sensi e che quindi possono costituire l’oggetto della fisica.

Con Galileo nasce la fisica moderna. Infatti i limiti del metodo precedente erano un eccessivo deduttivismo, cioè si partiva da principi teorici all’interno dei quali voleva inserire a tutti i costi l’esperienza pratica e un’eccessiva osservazione dei fatti senza che questi fossero opportunamente inseriti in una struttura matematica, anche perché la matematica nel medioevo veniva concepita in modo magico e simbolico, non si faceva uso della matematica come misurazione, e c’era una totale assenza dell’esperimento che doveva verificare la legge: mancava la verificazione attraverso l’esperimento. Il metodo di Galileo assieme alle sue scoperte astronomiche fa si che la chiesa lo condanni. In un primo tempo le teorie di Galileo erano state accolte con favore. I primi che si accorgono della portata rivoluzionaria delle sue scoperte sono i domenicani che pongono la necessità di sconfessare il metodo di Galileo: si rivolgono al Sant’Uffizio e al cardinale Bellarmino.

Il 23 febbraio 1616 la dottrina copernicana viene dichiarata falsa ed eretica. Il 27 febbraio Galileo viene convocato e viene ammonito. Nel 1633 viene nuovamente convocato a Roma, viene ritenuto colpevole, tenuto in carcere e costretto all’abiura pubblica. Galileo torna a Firenze dove trascorre i suoi ultimi anni e scrive le "Dimostrazioni Matematiche".

Il metodo di Galileo tarda ad affermarsi e verrà ufficialmente accettato solo dopo Cartesio, ma costituisce un punto di partenza determinante per tutta la filosofia moderna e contemporanea.

Il paese che per primo accetta questo nuovo metodo di ricerca è l’Inghilterra a causa del suo sviluppo economico e della crescita della borghesia, la quale necessita di mezzi sempre migliori per aumentare la propria produzione: è aiutata in questo da un parlamento capace di scelte spregiudicate. Altra causa è anche la tradizione empiristica della filosofia inglese.

Bacon

Il filosofo che meglio rappresenta questa concezione della scienza è Bacon. Nasce da una famiglia la cui tradizione è legata all’attività politica. Diventa Lord Cancelliere ma viene accusato di corruzione come lui stesso ammetterà: viene condannato e deve ritirarsi a vita privata. Muore nel 1626. Scrive la "Nuova Atlantide" in cui immagina che alcuni occidentali si imbattano in un’isola, dove incontrano una civiltà sconosciuta estremamente avanzata. Bacon, pur usando il medesimo espediente di More dell’isola immaginaria, in realtà descrive una società che esalta la tecnica: quella di Bacon non è un’analisi sociale, ma un’esaltazione del futuro della scienza. Per Bacon la scienza è possibilità di controllo della natura.

Pubblica nel 1620 il "Novum Organum" volendo proporre un nuovo metodo scientifico. Sostiene che la logica di Aristotele è utile per espugnare l’avversario, non per espugnare la natura mentre la sua propone un metodo che indaga la natura e che permette di cogliere quelle che sono le leggi naturali in modo da trasformare la conoscenza della natura in capacità tecnica di intervento per modificarla a vantaggio dell’uomo. Bacon dice che i limiti del metodo di Aristotele derivano dal fatto che Aristotele nel metodo induttivo passa dal caso particolare al caso generale saltando i casi intermedi. Invece Bacon vuole proporre un metodo che tenga conto anche dei casi intermedi ma prima di affrontare il suo metodo in positivo dice che dobbiamo liberarci la mente da quei pregiudizi che hanno impedito di trovare un corretto metodo per la scienza. La sua dottrina consta di due parti:

  1. una pars destruens, che distrugge i pregiudizi
  2. e una pars costruens, che è la parte costruttiva

I pregiudizi della mente sono classificabili in due grosse categorie: quelli che derivano dall’interno dell’uomo e quelli che derivano dall’esterno. I primi sono:

  1. idola tribus che sono propri di tutti gli uomini
  2. idola specus che derivano dalle abitudini quotidiane dell’uomo

I secondi sono invece:

  1. idola fori che sono dovuti al linguaggio
  2. idola theatri che sono dovuti alle antiche filosofie viste come rappresentazioni sceniche

Per Bacon la realtà è figlia del tempo. Bacon affronta poi la seconda parte del metodo, che deve essere fondato sull’osservazione della natura (base empirica) e l’esperienza deve essere usata all’interno della struttura razionale. Partendo da questo assunto generale si prefigge il compito di fare quello che chiama la storia completa di un fenomeno attraverso una classificazione del fenomeno stesso raggiunto con tavole di presenza, tavole di assenza e tavole dei gradi, cioè nello studio di un fenomeno, nelle tavole di presenza mette tutte le volte in cui il fenomeno è presente, nelle tavole di assenza fa un elenco di tutti i casi analoghi in cui invece il fenomeno non è presente mentre nelle tavole dei gradi farà l’elenco dei casi in cui il fenomeno si manifesta con minore o maggiore intensità. Descritto così, il fenomeno sottoporrà i risultati a delle istanze: ha ancora forti legami con il passato, in Bacon c’è ancora una visione qualitativa della realtà, non quantitativa. Una volta arrivati alle istanze noi abbiamo la possibilità di conoscere un fenomeno, di capirlo. Per Bacon conoscere un fenomeno vuol dire conoscerne la causa. La causa è la forma intendibile come struttura e come processo latente.

Forma:

E’ la sostanza di Aristotele. La causa è anche principio del conoscere. Bacon pur essendo partito da una polemica contro Aristotele approda ad un concetto di forma simile concettualmente a quello aristotelico, cioè di sostanza come principio dell’essere, del divenire e del conoscere. La differenza è che la sostanza per Aristotele è metafisica, per Bacon è un principio fisico. Il mondo è costituito da sostanze diverse ma per Bacon sono fisiche, non metafisiche.

Cartesio

E’ riuscito a giustificare all’interno della religione cattolica il nuovo metodo della scienza. Dalla sua filosofia dipartono le due maggiori correnti del 1600: il razionalismo e l’empirismo.

Cartesio nasce in Francia nel 1596. Quando esce dal collegio si dichiara insoddisfatto dell’insegnamento ricevuto ma manterrà sempre legami affettuosi con i suoi maestri. Quando scoppia la guerra dei trent’anni si arruola ma essendo nobile può godere di una grossa libertà. Durante un viaggio nel 1619 ha quella che ritiene essere la sua illuminazione fondamentale, il punto di partenza di tutta la sua riflessione filosofica: l’unità degli uomini nella ragione, cioè il fatto che la ragione è l’elemento unitario che contraddistingue gli uomini. Nel 1628 va a vivere in Olanda perché essa era all’epoca uno dei paesi più tolleranti e perché poteva dedicarsi esclusivamente ai suoi studi senza alcuna distrazione. Nel 1633 aveva già pronta la sua opera principale, in cui difende il sistema copernicano, ma viene a sapere del processo a Galileo: non pubblica più l’opera. La pubblicherà nel 1637 divisa in tre parti a cui premette il suo "Discorso sul metodo", una delle sue opere principali. Nel 1641 affronta la seconda delle sue opere fondamentali: "Le meditazioni metafisiche" scritta in latino, sottoposta da Cartesio alle obbiezioni degli studiosi: quando l’opera sarà pubblicata è completa di testo originale, obbiezioni e risposte. La stessa opera verrà poi tradotta in francese nel 1647. Cartesio cerca di farne una riduzione per un uso scolastico, perché spera che la sua opera possa soppiantare nelle università la metafisica di Aristotele. Accetta l’invito della regina Cristina di Svezia di andare presso di lei per dei colloqui di filosofia. Prima di partire pubblica la sua ultima opera "Le passioni dell’anima". Morirà poco dopo il suo arrivo presso la corte di Cristina di Svezia (1650).

Il problema della filosofia di Cartesio è quello della ragione in quanto principio teoretico e principio pratico, cioè facoltà per distinguere il vero dal falso e il bene dal male. Le sue opere partono da questioni personali ma si aprono a tutti gli uomini, perché il problema è quello della ragione, che è uguale in tutti gli uomini, è il principio costitutivo dell’uomo. Cartesio nella prima parte del discorso sul metodo, ci dice di essere uscito dal collegio non avendo nessuna certezza. Inizialmente ha pensato che la causa di ciò fosse dovuta alla sua preparazione culturale troppo legata ai libri: ha cercato di trovare un fondamento alle sue conoscenze viaggiando ma non lo trova neppure in questo modo. Una conoscenza raggiunge la certezza, cioè la verità solo quando possiede un metodo usando il quale riuscirà con sicurezza a distinguere il vero dal falso dal punto di vista teoretico e il bene dal male dal punto di vista pratico. Cartesio si propone di trovare questo metodo prima dimostrando che è il metodo proprio della ragione dell’uomo, l’unico che l’uomo può usare e poi dimostrando che è un metodo che davvero produce conoscenza e ci guida nella scelta tra il bene e il male. Cartesio dice di essere sempre rimasto stupito del fatto che matematica e geometria, nella soluzione dei loro problemi, sono sempre riuscite in realtà a giungere alle soluzioni. Lo stesso avviene anche nell’ambito dei problemi della logica. Tenta una prima stesura di questo metodo ma si rende conto d’aver costruito un metodo troppo pesante, troppo facilmente fallibile: accantona l’opera e scrive il "Discorso sul metodo", contenente il suo metodo. In quest’opera Cartesio definisce il suo metodo certo e sicuro, tale per cui se noi ne seguiamo le regole in maniera corretta non possiamo sbagliare. Emerge una connotazione della ragione umana che la indica come unica, uguale per tutti gli uomini e infallibile perché se segue il metodo non può sbagliare.

Cartesio elenca quattro regole: evidenza, analisi, sintesi ed enumerazione.

Evidenza: ci dice che noi dobbiamo accettare un’idea solo quando essa è evidente, cioè deve essere il frutto di un atto di intuizione. La facoltà dell’evidenza è l’intuito, l’esatto opposto della congettura, cioè è la trasparenza, la chiarezza di un’idea alla nostra mente. L’evidenza si articola in chiarezza e distinzione. La chiarezza traspare alla mente e si identifica con la mente. La distinzione si differenzia da tutte le altre, non si può confondere con nessun’altra.

Analisi: ci dice che dobbiamo dividere un problema unico in tante parti in modo da affrontare la situazione non in maniera globale ma attraverso un processo di suddivisione dei problemi in tanti problemi minori.

Sintesi: consiste nella ricostruzione dell’unità del problema attraverso la soluzione dei singoli problemi fatta in maniera deduttiva, cioè partendo da regole assolute arrivando a regole relative. La sintesi è l’applicazione del metodo deduttivo.

Enumerazione: consiste nel ripercorrere le regole precedenti per essere certi di non aver compiuto degli errori.

Per Cartesio se usiamo correttamente questo metodo non possiamo sbagliare. L’errore non è mai frutto della ragione se essa viene usata in maniera corretta. Il metodo di Cartesio è un metodo razionale e astratto rispetto al metodo di Galileo che parte dall’osservazione empirica per poi tornare attraverso l’esperimento al fatto; il metodo cartesiano invece ha come regole fondamentali la regola dell’evidenza e la regola della sintesi, che consiste nel processo deduttivo: è un metodo razionale, astratto, basato esclusivamente sulla dimostrazione logica.

Individuate le regole del metodo, Cartesio passa alla dimostrazione che questo metodo è quello proprio della ragione: passa da un piano logico a un piano metafisico. Quando siamo di fronte a verità problematiche prive di una garanzia assoluta l’unico modo per superare questa difficoltà è sospendere il giudizio su tutto il sapere. Se dopo che abbiamo sospeso il giudizio troviamo una verità che risulta comunque indubitabile, da questa verità possiamo partire per la ricostruzione dell’intero sapere. Questa verità sarà quella che giustifica l’intero metodo. Si tratta quindi di un processo che mette in dubbio tutta la verità. Il dubbio cartesiano consta di due momenti, uno teoretico il quale dipende dalla ragione e l’altro pratico il quale dipende dalla verità. Il momento teoretico è quello in cui ci rendiamo conto dell’incertezza del nostro sapere, cioè la ragione si rende conto di non avere certezze. Il momento pratico è quello invece in cui la volontà decide di fare una epochè fino a quando non si trova una verità indubitabile.

Non posso dubitare di avere idee ma posso dubitare che queste corrispondano ad una realtà esterna: riguardo l’oggettività delle idee, il fatto cioè che esse rispecchino qualcosa. Si può dubitare di ciò che testimoniano i sensi perché i sensi spesso ingannano ma ci sono verità sempre vere come le verità matematiche ma dato che non so nulla di me stesso posso pensare di essere stato creato da un genio maligno che prova piacere nell’ingannarmi ma in questo dubbio che investe tutta la realtà c’è sicuramente una cosa che è certa: per il fatto che io dubito, io penso e quindi esisto (è vera l’esistenza del mio pensiero). E’ il famoso "cogito ergo sum". Ma io cosa sono? Non posso essere un corpo perché l’esistenza del mio corpo potrebbe essere frutto del mio pensiero come tutti i corpi esterni. Posso affermare solo di esistere come sostanza pensante (cogito ergo sum res cogita). Cartesio dice che ogni volta che ci troviamo di fronte ad una realtà così evidente, chiara, distinta e così indubitabile come questa devo assumerla come vera.

Il risultato della filosofia di Cartesio non è un naturalismo ma un idealismo. Per idealismo si intende ogni forma di filosofia che fonda la giustificazione (in questo caso della conoscenza) sul soggetto. Ora Cartesio ha trovato il principio con cui giustificare la fondatezza del metodo perché il metodo è quello della ragione perché l’evidenza si fonda sulla stessa ragione. Cartesio sostiene che pensare significa avere idee; ci troviamo di fronte a un concetto di idea che è quello nostro (fino a Cartesio era intesa come un ente che la ragione può specchiare perché ha una sua esistenza autonoma rispetto alla mente). Per Cartesio l’idea è il prodotto della mente dell’uomo: da un punto di vista soggettivo (cioè come prodotto della mente dell’uomo) le idee sono tutte uguali tra loro, cambiano da un punto di vista oggettivo cioè quando noi ci chiediamo qual è l’oggetto che determina in noi la produzione di questa idea. Da questo punto di vista le possiamo classificare in idee innate, idee avventizie e idee fittizie:

In realtà tutte le idee (avventizie e innate) potrebbero essere fittizie tranne l’idea di Dio perché è l’idea di un essere perfetto, onnipotente, onnisciente: necessariamente quest’idea deve venire da Dio perché per Cartesio la causa di un’idea deve avere altrettanta perfezione dell’idea stessa. Dio è un’idea innata.

Cartesio accetta anche la prova ontologica di Anselmo circa l’esistenza di Dio. La differenza tra le due dimostrazioni è che Cartesio parte dall’idea di Dio mentre Anselmo parte dalla definizione dell’essenza di Dio. Sono ambedue dimostrazioni che ritengono che in Dio sta il principio della conoscenza.

Dimostrata l’esistenza di Dio Cartesio ha la certezza della verità del metodo perché Dio non può ingannarci. Ciò che ci sembrerà evidente non potrà che essere assolutamente vero. Il Dio cartesiano non è il Dio della religione, è un Dio delle verità scientifiche a cui l’uomo giunge attraverso l’uso del metodo. Dimostrata l’esistenza di Dio, Cartesio ritiene di avere la giustificazione assoluta del metodo: può procede a dimostrare che il metodo è fecondo. Cartesio dice di non potere dubitare di avere una facoltà passiva: anche senza che lui lo voglia riceve delle idee dall’esterno. Ma se ha questa facoltà passiva fuori c’è qualcosa con una facoltà attiva che gli manda delle idee. Poiché questa cosa al di fuori sarà completamente opposta a lui, sarà una realtà molteplice e divisibile (perché la sostanza pensante è invece unica e indivisibile): è ciò che Cartesio chiama rex extensa, cioè il corpo.

Cartesio dimostra così l’esistenza del corpo in quanto opposto alla sostanza pensante ma essendo esso stesso sostanza il corpo sarà diverso dalla ragione ma sarà una sostanza alla pari di quella pensante.

La fisica di Cartesio intende il corpo e la natura in modo oggettivo, particellare e meccanico, mentre la rex cogita segue le leggi della libertà, perché la ragione è libera, il corpo segue le leggi meccaniche.

Per Cartesio il mondo naturale è un insieme particellare, quantitativo e retto da leggi meccaniche. Il corpo sarà caratterizzato da qualità intrinseche al corpo stesso (lunghezza, profondità, estensione) le qualità oggettive e le qualità soggettive, determinate dall’incontro tra i nostri sensi e il corpo. Cartesio accetta la distinzione tra qualità oggettive, proprie del corpo, oggetto della fisica, misurabili, e qualità soggettive, derivanti dal rapporto tra i nostri sensi e la realtà esterna, che non sono oggetto della fisica.

Esiste poi un corpo con cui ogni essere umano ha un legame speciale, a cui è legato per cui l’uomo riflette quello che quel corpo sente: è il corpo della persona stessa che è il tramite attraverso cui essa riceve passivamente gli stimoli derivanti dalla Rex Estensa esterna. L’aver inteso l’uomo come costituito da sostanza pensante e da corpo ha fatto si che il corpo venisse anche considerato come un oggetto di studio e ha promosso lo studio dell’anatomia. In Cartesio il corpo non è una realtà inferiore rispetto alla mente, è connesso con essa.

Il corpo segue le leggi della meccanica come i corpi esterni. Cartesio per primo formula quelle che sono le leggi fisiche della meccanica classica: il principio di inerzia, la seconda legge della meccanica.

Bisogna affrontare il problema etico. Cartesio ci fornisce una morale provvisoria perché se dal punto di vista teoretico non avendo un metodo per distinguere il vero dal falso, è possibile sospendere il giudizio, dal punto di vista pratico bisogna vivere.

Cartesio ci fornisce una morale provvisoria perché non ha ancora dimostrato che il suo metodo è quello della ragione. Cartesio non ci ha mai fornito una morale definitiva, perché analizzando le regole della sua morale provvisoria ci accorgiamo che una volta scoperto il metodo queste sono sempre valide. Questo noi lo capiamo non da un’opera di tipo sistematico ma anche da lettere.

Cartesio distingue due atteggiamenti umani, le affezioni e le azioni:

Azioni e affezioni per Cartesio si fonda sulle due passioni fondamentali, a cui possiamo ricondurre tutte le altre: gioie e tristezza.

La gioia è accompagnata verso l’amore per l’oggetto che c’è la procura, del desiderio di possedere questo oggetto.

La tristezza è accompagnata dal dolore verso qualcosa, dal desiderio di respingerlo.

Tristezza, gioia, odio e amore sono le passioni fondamentali, ma devono essere controllate dalla ragione perché se noi le subiamo passivamente ne diventiamo schiavi, mentre la libertà per l’uomo consiste nell’essere padroni non nell’eliminarle.

Si tratta di un’etica di tipo razionalistico.

Quando Cartesio ci da la morale provvisoria dice che la prima regola è quella di accettare usi e costumi del proprio paese.

A Cartesio non interessa usare il metodo come critico sociale, politico, religioso, a Cartesio interessa il metodo come strumento di ricerca scientifica. Cartesio non si vuole opporre alla realtà sociale.

2° regola: scelta una meta, una modalità di comportamento dobbiamo essere coerenti con questa scelta.

3° regola: fatta una scelta irrealizzabile dobbiamo cambiare il nostro progetto (ê questo è stato definito l’aspetto storico della morale cartesiana).

ê accettazione del corso del mondo quando è chiaro che è impossibile cambiarlo.

La ragione è uguale in tutti gli uomini e se tutti seguissero il metodo sarebbe infallibile. Quando seguiamo razionalmente a livello teoretico il metodo la nostra volontà può decidere di non seguire le indicazioni della ragione.

La volontà non necessariamente segue la ragione, l’uomo sbaglia. La volontà è la fonte della ragione. La nostra volontà è libera solo quando segue la ragione. Questo dipende dalla definizione che viene data di libertà. Si è veramente liberi quando ciascuno di noi è causa sui nel seguire sé stesso. Ciò che fa sì che l’uomo sia veramente uomo è la ragione. La nostra volontà è causa sui quando segue la ragione, non quando l’uomo segue l’istinto, che è ciò che ha in comune anche con altri esseri.