MATERIALI COMPOSITI
A cura di:
Andrea Cantella
Francesco Colombo
Per materiali compositi avanzati si intendono i composti costituiti da
fibre di varia origine (vetro, carbonio, boro, fibra aramidica) inglobate in
una matrice di resina (poliestere, vinilica, epossidica, fenolica) la quale
non ha compiti di resistenza meccanica, ma garantisce la coesione tra le
fibre di uno stesso strato e tra strati adiacenti (1). La loro scoperta si deve al grosso impegno
sia economico che umano profuso dall’industria aerospaziale nella ricerca
tecnologica. In questo campo, infatti, innumerevole sono gli sforzi per
ottenere il miglior compromesso tra resistenza, peso, e costo delle strutture
degli aeromobili, in quanto il raggiungimento di tale scopo permette di
realizzare prestazioni altrimenti inavvicinabili sia in termini assoluti sia
in termini di risparmio energetico a parità di condizioni d’impiego. I
materiali metallici sviluppati in un recente passato, quali le leghe di
alluminio e titanio, non hanno soddisfatto pienamente le condizioni
precedentemente esposte, specie per l’alto costo e la complessità di
assemblaggio delle strutture, per cui i ricercatori, all’inizio degli anni
sessanta, si sono volti allo studio di nuove soluzioni. Le maggiori
attenzioni sono state ovviamente rivolte verso quegli elementi che
presentavano bassi valori di peso molecolare ossia litio, berillio boro e
carbonio; scartati il litio e il berillio perché costosissimi e poco
reperibili (anche se il berillio viene ancora usato in alcune parti dei
satelliti), le ricerche si sono concentrate su boro e carbonio. Il processo produttivo messo a punto per la
produzione delle fibre di boro consiste nel far passare un sottile filo di
tungsteno attraverso una camera di reazione piena di una miscela di boro,
cloro e idrogeno; il filo viene portato a oltre mille C° tramite il passaggio
di corrente elettrica e questa temperatura provoca la deposizione sul filo di
un sottile strato di boro. Nonostante le elevate caratteristiche meccaniche
ottenute, il processo è lungo, e quindi incide molto sia sul costo di
produzione sia sui quantitativi ottenibili ed inoltre il peso del filo di
tungsteno, che rimane all’interno della fibra, ne eleva sensibilmente la densità,
rendendo quindi il suo impiego meno interessante. Con le fibre a base di carbonio sono stati
risolti anche questi ultimi inconvenienti grazie ad una diversa tecnologia di
produzione e alla grandissima disponibilità dell’elemento in natura. Come prodotti di partenza sono stati scelti fra
i tanti possibili il poliacrilonitrile e il rayon, due polimeri che
presentano forti percentuali di carbonio (oltre il 65%) e che
contemporaneamente possiedono adatte caratteristiche termochimiche per potere
affrontare i processi di trasformazione. Per arrivare alla produzione delle fibre,
infatti, i polimeri devono subire prima una pirolisi (variazione della
composizione chimica per effetto del calore) a circa 200 C° in presenza di
ossigeno e poi una grafitizzazione (eliminazione degli elementi estranei al
carbonio) a temperature variabili tra 1600 e 2500 C°. Le elevatissime
caratteristiche meccaniche sono dovute ad una trazione esercitata sulle fibre
durante il primo oppure il secondo processo e possono essere parzialmente
modificate agendo appunto sulle predette temperature. Alle fibre di carbonio,
nel 1971 si è aggiunto un altro prodotto con resistenza meccanica
ulteriormente superiore e caratteristiche peculiari estremamente particolari:
la fibra aramidica, scoperta dall’industria DU PONT de NEMOURS e CO. partendo
non più da polimeri sintetici, ma da un composto organico della serie dei
poliamminidi aromatici che viene sottoposto ad una serie di processi tuttora
protetti da brevetto mondiale e quindi non conosciuti. Questa fibra è tutt’oggi alla terza evoluzione e
trova vastissimo impiego nei campi più diversi. Non meritano viceversa particolari attenzioni i
processi tecnologici per la produzione delle fibre di vetro, in quanto le
metodologie non sono molto dissimili da quelle già utilizzate per la
trafilatura dei materiali metallici. ------- In questa tabella si possono vedere i
valori di resistenza indicativi dei materiali compositi avanzati, confrontati
con quelli dei materiali metallici che sono chiamati a sostituire. Si può notare che, se anche gli acciai e il titanio sono competitivi a livello di resistenza massima, vengono notevolmente penalizzati rispetto ai compositi dalla loro densità, che ne abbassa molto la resistenza specifica. Il valore di resistenza specifica è quello che maggiormente interessa i costruttori di elementi che devono unire leggerezza e resistenza; utilizzare un materiale con elevata resistenza specifica significa costruire un particolare che a parità di peso resiste molto di più oppure che a parità di resistenza presenta un peso inferiore. ------ Nella seconda tabella, simile alla precedente, sono riportati i valori di modulo di elasticità assoluti e specifici: questa grandezza è indice della rigidità di un materiale, cioè della sua capacità di deformarsi poco sotto carico. Come si può notare boro e carbonio presentano valori ben superiori a tutti gli altri materiali. In particolare, le fibre di carbonio mostrano una notevole differenza fra i valori minimi e massimi, ciò è dovuto, come esposto in precedenza, al fatto che durante la loro produzione è possibile intervenire sulle temperature dei processi variando così il rapporto tra resistenza e modulo di elasticità, per cui esistono fibre di carbonio ad alta resistenza, le quali possiedono però un modulo di elasticità non molto elevato, fibre ad alto modulo in cui la rigidità è preferita alla resistenza e fibre intermedie in cui le due caratteristiche sono abbastanza bilanciate. Bisogna notare che, essendo i materiali compositi costituiti da fibre, le caratteristiche appena illustrate sono riscontrabili in direzione longitudinale alla fibra stessa e diminuiscono fino quasi a zero se si orienta il carico in direzione perpendicolare. Nella progettazione di elementi in materiale
composito è quindi fondamentale studiare l’ottimale orientamento delle fibre,
strato per strato, in rapporto ai carichi esterni onde ottenere la massima
resistenza con il minor impiego di materiale e conseguentemente con il
massimo risparmio in peso. (1) Un materiale composito è costituito
essenzialmente da una matrice e da
fibre di
rinforzo. Nella zona di transizione fibra-matrice, si identifica però un
terzo componente, molto importante per il comportamento del composito, la interfaccia . Inoltre, la fibra, per motivi di compatibilità con la matrice, può
essere dotata talvolta di un rivestimento o interfase. Fibra, interfase, interfaccia e matrice sono pertanto i costituenti dal
cui comportamento collettivo derivano le prestazioni del composito. Ognuno di
essi assolve a specifiche funzioni delle quali si indicano le più importanti. -sopporta
principalmente il carico funzione
dell’interfase -promuove la bagnabilità della fibra ed il
legame fibra-matrice Funzione
dell’interfaccia -accoppia la fibra alla matrice Funzioni
della matrice (resine: poliestere, fenoliche, epossidiche,
poliamiadiche) -distribuisce i carichi e li trasferisce alla
fibra |
Le fibre (di diametro compreso tra 6 e 10 micron ciascuna) vengono
commercializzate in una vasta gamma di prodotti: Fili composti da un massimo
di 4000 fibre attorcigliate fra loro per garantirne la coesione. Cavi
composti da un numero di fibre compreso fra 10000 e 15000, attorcigliate fra
loro in maniera molto leggera. Roving, insieme di fasci compatti di fibre,
generalmente non attorcigliate. Molto comune il roving di fibre di vetro. Unidirezionale
composto da più fili allineati fra loro in modo da formare un piano. I fili
vengono tenuti accostati da elementi trasversali (fili di altra natura,
sottili striscie adesive, ecc. ) collocati ad una certa distanza l’uno
dall’altro . Tessuti in cui più fili sono disposti perpendicolarmente fra
loro in modo da formare una trama ed un ordito, allo stesso modo di tutte le
altre fibre tessili. I tessuti si differenziano per il tipo di fibre
utilizzate, per il numero di fili per centimetro ( a cui è direttamente
collegato il peso per metro quadrato del tessuto ) e per il tipo di
tessitura. Visto il numero delle variabili si può affermare che esistono
infiniti tipi diversi di tessuti e che ogni applicazione può disporre del
tipo di tessuto specifico per le caratteristiche finali richieste. I tessuti
sono il prodotto di più vasta diffusione perché consentono una maggiore
facilità di lavorazione e una migliore e più uniforme distribuzione delle
sollecitazioni e vengono impiegati soprattutto quando il prodotto deve avere
una buona resistenza in ogni direzione.
Le tessiture predominanti sono: PIANA: assicura la massima stabilità
e la migliore distribuzione delle sollecitazioni, ma è poco deformabile. A
STUOIA: maggiore deformabilità rispetto alla piana, buona stabilità . DIAGONALE:
buona deformabilità, stabilità inferiore. SATINATA: ottima deformabilità,
stabilità scarsa, buona finitura
superficiale (più liscia con minore pressione). Tutte le materie prime
illustrate sono disponibili sia con fibre secche, che con fibre già
impregnate di resina. I materiali di quest’ultimo tipo sono chiamati
preimpregnati. I preimpregnati vengono prodotti immergendo le fibre in una
soluzione di resina già catalizzata, diluita con solvente, in un processo
distinto da quello di realizzazione del particolare, calibrate a spessore,
protette con una pellicola, disposte su superfici perfettamente piane e sottoposte
ad un riscaldamento che produce una prima parziale polimerizzazione. Con
questa operazione si fornisce al prodotto una prima e necessaria compattezza
senza alterarne la lavorabilità; per impedire il protrarsi del processo di
polimerizzazione è però necessario mantenere le fibre in un congelatore con
temperatura approssimativa di –18° fino al momento dell’utilizzazione. Questa
distinzione netta fra prodotti secchi e preimpregnati determina anche due
metodologie di lavoro, per giungere al composito finito, molto diverse tra
loro. Nell’utilizzazione delle fibre secche, l’impregnazione viene eseguita
tramite un pennello, al momento dell’esecuzione del particolare,
contemporaneamente all’adattamento degli strati alla superficie dello stampo.
Lo stampo è quindi inserito
all’interno del sacco a vuoto, il quale viene perfettamente chiuso grazie ad
una striscia di sigillante sul perimetro. Tramite una valvola si inizia ad
aspirare aria all’interno fino a raggiungere una depressione anche di 700-720
mm.Hg. In questo modo la pressione esterna, non più equilibrata, comprime gli
strati uno contro l’altro e contro la superficie dello stampo, assicurando
una perfetta coesione e formatura. Il sacco va poi inviato in autoclave per
ricevere l’opportuno ciclo di polimerizzazione, che viene realizzato
attraverso temperature e pressioni strettamente controllate. Il ciclo di riscaldamento produce
dapprima un rammollimento della resina che riempie così gli interstizi fra le
fibre eliminando i vuoti, quindi aumentando ancora la temperatura si provoca
l’indurimento della matrice e il definitivo consolidamento del pezzo. Il
ciclo di pressione serve invece per aumentare ulteriormente la spinta sugli
strati di fibra e la conseguente intima unione fra fibra e matrice. Alla fine
del ciclo (che comprende anche il raffreddamento graduale per evitare
tensioni interne) il pezzo viene estratto dall’autoclave, liberato dal sacco
a vuoto, tolto dallo stampo e inviato alle lavorazioni meccaniche di
rifilatura (trimmatura) del contorno e foratura per gli organi di
collegamento impiegati negli assemblaggi dei vari particolari. Lo stampo deve
essere pulito con cura e trattato con speciali sostanze definite distaccanti,
ossia agenti chimici che evitano l’attaccamento del pezzo allo stampo, il
quale è così nuovamente pronto per un’altra produzione. Qualora il
particolare da realizzare richieda spessori notevoli, comunque superiori a
quelli ottenibili con la normale sovrapposizione di più strati di tessuto (lo
spessore di un singolo strato di preimpregnato è di 0,2mm), si fa ricorso
all’inserimento fra due opposti fogli di carbonio (oppure di fibra di vetro,
di fibra aramidica o di alluminio) di un "nido d’ape" ovvero di una
struttura reticolare dello spessore e del materiale voluto, che assicura
grande resistenza e rigidità con pesi irrisori rispetto a quelli che si
avrebbero a spessore pieno. |
Applicazioni
L’industria aeronautica, essendo stata la promotrice delle ricerche che
hanno portato alla nascita dei materiali compositi avanzati, è stata
conseguentemente la prima ad impiegarli. Fino alla fine degli anni sessanta
essi furono utilizzati solamente per particolari marginali, tanto che la loro
percentuale in peso non superava l’1%del totale. All’inizio degli anni
settanta la percentuale era salita al 3-4 % circa dell’intera struttura
dell’aeromobile, ma i componenti prodotti con questa tecnologia erano ancora
limitati, si trattava solo di flap, timoni, stabilizzatori e derive. La
prudenza riguardo l’impiego dei materiali compositi era però giustificata
dall’attesa dei risultati sperimentali di volo dei nuovi prodotti sia sotto
il profilo della resistenza a fatica, sia in relazione agli agenti
atmosferici esterni (umidità, pioggia, fulmini). Alcune eccezioni si potevano
trovare nel settore dei velivoli da combattimento: ad esempio gli F4, gli
aerei da caccia schierati dagli Stati Uniti durante la guerra in Vietnam
erano costruiti per il 50% in alluminio, per il 25% in compositi, per il 10 %
in titanio e per la restante parte in acciai e altri materiali. L’impulso per
la massiccia diffusione delle fibre ad alta resistenza anche nel campo
dell’aviazione commerciale venne dall’irreversibile rialzo del costo del
petrolio che impose la necessità di pervenire ad una sensibile riduzione dei
consumi di combustibile. Gli inizi degli anni ’80 segnarono quindi l’entrata
in servizio di aerei civili che incorporavano quantità non trascurabili di
materiali compositi avanzati anche in parti strutturali significative. I
compositi trovano oggi un impiego sempre più diffuso. A livello costruttivo
va detto che, per le applicazioni non strutturali, vengono impiegati fibra
aramidica e vetro, mentre per i componenti strutturalmente critici come le
superfici mobili di controllo e gli impennaggi verticali, è preferito il
carbonio. Il risparmio in peso raggiunto si aggira attorno al 25% circa,
valore notevole se si considera che su un velivolo commerciale di linea, ogni
chilogrammo risparmiato consente, durante 15 anni di vita dell’aereo stesso,
un minore consumo di carburante di 3200 litri. Viene spontaneo chiedersi
quindi perché la tecnologia dei materiali compositi avanzati non sia ancora
stata estesa anche alle strutture primarie quali fusoliere e corpi alari. Tale
reticenza è motivata dal fatto che, essendo i compositi abbastanza recenti,
manca ancora una esauriente banca dati sulle loro caratteristiche secondarie
e sulla variazione della loro resistenza nel corso degli anni. Studi accurati
vengono portati avanti riguardo l’incollaggio tra fibre e matrice, base
indispensabile per una corretta distribuzione delle sollecitazioni, mentre
desta ancora perplessità il progressivo aumento di fragilità della matrice
dovuta all’assorbimento di umidità e al prolungato contatto con vapori di
idrocarburi. A livello di sicurezza passiva si sta valutando poi la velocità
di propagazione dei danneggiamenti che dovrebbero eventualmente prodursi
sulla struttura del particolare (danni da urti, crepe, delamina zioni). Gli sperimentatori ritengono che questi
problemi possano essere risolti entro pochi anni e che quindi si possa
estendere l’uso dei materiali compositi anche alle strutture primarie. A
riguardo sarà però notevole il divario fra settore militare e commerciale:
nel 2000 un aereo militare potrà essere formato dal 50 % di compositi
avanzati, dal 30-40% di leghe di alluminio per la restante parte di titanio e
acciaio, mentre la quota di fibre nella struttura di un aereo commerciale non
supererà il 25-30%. Prototipi di questo tipo sono già in fase di
realizzazione, come il futuro caccia europeo EFA (European Fighter Aircraft)
di progetto italo britannico ------, mentre un bellissimo esemplare di
velivolo costruito quasi interamente in materiali compositi è il Voyager
------ il leggerissimo aereo sperimentale che nel dicembre ’86 compì il primo
giro del mondo senza scalo nella storia dell’aviazione (43.000 Km, senza
rifornimento in nove giorni di volo). Questo aereo è in grado di trasportare
fino a 5 volte il proprio peso, che è di 900 Kg. a vuoto ed è dotato di 17
serbatoi che alimentano due motori da 110 cv l’uno, in grado di assicurare
una velocità di crociera di 200 Km. /h. 2. I materiali compositi avanzati
vengono largamente utilizzati anche in campo spaziale, con qualche
limitazione dovuta all’ambiente in cui devono operare. In questo
settore, la necessità di ottimizzare le prestazioni operative delle strutture
è comunque ancora più imperativa, anche per i costi della messa in orbita, e
si fonda sulla attenta scelta dei materiali e sulla sofisticata progettazione
per evitare zone sovradimensionate e garantire l’assenza di punti deboli. Nel
caso dei satelliti e delle sonde spaziali non abitate il peso della struttura
rappresenta solo il 7-8% del loro peso complessivo al momento del lancio per
cui, per ottenere grandi resistenze unite a leggerezze estreme, sono
largamente impiegate parti realizzate da uno spessore di pochi decimi di
millimetro, che frequentemente varia da punto a punto del pannello. I
compositi vengono adottati anche nei lanciatori, gli elementi che consentono
la messa in orbita: i serbatoi per il combustibile solido sono, infatti,
costruiti in fibra di vetro con matrici sia in resina che metalliche. Le
fibre di carbonio vengono inoltre utilizzate in alcune occasioni come
isolanti termici per proteggere le strutture e gli altri componenti a bordo
da sbalzi eccessivi di temperatura, come nel caso del riscaldamento aerodinamico
prodotto dall’atmosfera nella fase di ascesa del vettore dai getti dei motori
di propulsione. Si tratta in questo caso di materiali ablativi che
consumandosi per sublimazione riescono a contenere la temperatura interna. 3.
Vista la crescente diffusione del loro impiego nell’industria aeronautica, i
materiali compositi avanzati sono stati rapidamente introdotti, almeno in via
sperimentale, anche nei trasporti terrestri e marini, per soddisfare le
medesime esigenze di maggiori prestazioni con minori consumi, già riscontrati
per i velivoli. Il settore delle competizioni è stato ovviamente quello che
più celermente ha recepito l’importanza della novità e già nel 1981 ha visto
la luce il primo telaio per monoposto di una nota casa automobilistica . Il
vantaggio di una scocca in fibra di carbonio non consisteva solo nella
leggerezza dell’insieme, ma anche nella superiore rigidità torsionale
rispetto ai corrispondenti telai in alluminio, quindi si poteva ottenere un
migliore assetto e una migliore efficacia della vettura. Da allora, i
materiali compositi hanno interessato in percentuale sempre maggiore le
monoposto di Formula 1, a cominciare dalle appendici aerodinamiche (alettoni,
bandelle, fondo piatto -----) in cui si ha la necessità di una perfetta stabilità
dimensionale (carbonio), fino ad arrivare al giorno d’oggi in cui le vetture
sono quasi interamente realizzate (salvo le parti espressamente meccaniche)
in materiali compositi. Tale tecnologia non è rimasta ovviamente predominio
assoluto della Formula 1, ma si è diffusa anche alle altre categorie, per poi
passare gradualmente alla produzione di serie. I costi elevati e i lunghi
tempi produttivi ne limitano per ora l’impiego su mezzi di altissimo
prestigio e a produzione limitata realizzate in larga parte con fibra di
carbonio, fibra aramidica e vetro, oppure confinando i materiali compositi a
particolari di non primaria importanza. Alcuni esempi sono le parti
smontabili (insieme tettuccio parte posteriore) di alcuni fuoristrada oppure
le cabine di camion, le furgonature per i trasporti frigoriferi, il
rivestimento superiore degli autobus, il tetto del furgone Fiat Daily. Un
esperimento estremamente interessante è stato eseguito quasi in contemporanea
da Fiat e Renault che hanno commercializzato pochi anni fa i loro furgoni da
trasporto leggero Ducato e Trafic con balestre in fibra di vetro. Le fibre
aramidiche vengono infine utilizzate con successo per rinforzare la carcassa
dei pneumatici. In campo ferroviario i materiali compositi sono ancora poco utilizzati,
principalmente per le sole divisorie interne delle vetture, ma esistono
potenzialmente molti elementi realizzabili con tale tecnologia (porte esterne
ed interne, pannelli di rivestimento esterni, tetto, soffitto, pavimento,
struttura dei sedili, ecc.) In campo
nautico, come in quello automobilistico, sono state le competizioni a
introdurre i materiali compositi nella costruzione delle barche. Già nel 1979
la barca statunitense Eclipse, vincitrice dell’Admiral’s Cup presentava scafo
e coperta realizzati in composito misto di vetro e fibra aramidica; oggi le
imbarcazioni da regata (il cui regolamento di classe consente l’impiego di
materiali compositi) hanno scafo, coperta, alberi, scotte, cime e altri
piccoli particolari di allestimento prodotti con fibra ad alta resistenza. Nel
settore commerciale delle imbarcazioni da diporto l’uso dei compositi si è
già rapidamente esteso. Vediamo qui indicativamente ----- le parti realizzate
in fibra di un cabinato modello (ponte, coperta, portelli, plancia porta
strumenti, porte e scale interne, divisorie, strutture degli arredamenti,
armadietti, ecc.). Tale evoluzione è ovviamente in atto anche nella marina
mercantile, pur con rapidità ovviamente minore. In campo nautico, oltre alle
caratteristiche meccaniche, è fondamentale la grande resistenza alla
corrosione che i compositi hanno rispetto alle leghe metalliche, inoltre la
loro assoluta amagneticità li rende adatti per le strutture di rivestimento
superiori delle imbarcazioni militari. 4. Anche in campo sportivo la
diffusione dei materiali compositi è stata assai repentina ed ha abbracciato
una grande quantità di discipline in cui la leggerezza degli attrezzi
impiegati poteva consentire minore sforzo all’atleta e migliori risultati. Abbiamo
così racchette da tennis con rinforzi in fibra di carbonio ------, sci con
solette in fibra aramidica e inoltre armi per canottaggio, canoe da discesa
fluviale, canne da pesca, mazze da golf e da hockey, archi e frecce,
giavellotti e aste per salto, telai e ruote per biciclette, bob ecc.
realizzati con materiali compositi avanzati. 5. In campo industriale fibre
secche e materiali compositi vengono già utilizzati per scopi anche molto
dissimili fra loro. Si va dal rivestimento di serbatoi per gas o liquidi in
pressione ------, conduttori per aria condizionata, condotti criogenici,
all’avvolgimento di rinforzo di tubi di gomma flessibili, tubi
idropneumatici, tubi ad alta pressione ------ nonché di cavi elettrici
telefonici e a fibre ottiche. Le fibre aramidiche sono poi utilizzate come
elemento resistente di cinghie di trasmissione e dentate, di nastri
trasportatori resistenti alla corrosione e stanno prendendo sempre più piede
nella costruzione di funi di ormeggio, cavi e corde ----, in cui riescono a
condensare resistenza pari alle funi di acciaio, basso allungamento,
leggerezza simili alle funi sintetiche e lunga durata. Ancora, le fibre
aramidiche, in virtù della grossa difficoltà ad essere recise, vengono
utilizzate per la realizzazione di guanti, coperte e grembiuli per la protezione
contro tagli e scalfitture nell’industria del vetro e dei metalli, per i
boscaioli, saldatori, macellai ecc.. A questo proposito anche la chirurgia ha
mostrato interessamento a guanti operatori in fibra aramidica per aumentare i
margini di sicurezza degli addetti ad interventi su malati di AIDS. I
materiali compositi trovano poi un buon campo di applicazione nelle parti di
macchinari dotati di moto rotatorio o alternativo, in cui la bassa inerzia
del componente può consentire movimenti più rapidi e risparmio di energia
(rulli, spolette e altre parti di telai per tessitura). Le fibre
di carbonio, infine, per il loro buon coefficiente di attrito, che aumenta
con la temperatura, sono ottimali per la realizzazione di dischi freni e
frizione, permettendo l’eliminazione dei materiali a base di amianto, dannosi
per la salute. 6. Caratteristica
peculiare propria unicamente delle fibre aramidiche è la grossa resistenza
all’impatto, ossia la capacità di assorbire senza danno grandi sollecitazioni
dinamiche. Era quindi immaginabile che le industrie specializzate in
protezione balistica ne approfittassero subito per avviare la produzione di
giubbotti antiproiettile -----, schermi e blindature vere e proprie. Per i
giubbotti antiproiettile, le fibre di aramidiche vengono impiegate senza
impregnazione di resina in spessori tanto maggiori in rapporto all’energia di
penetrazione del proiettile da arrestare . Si hanno così delle protezioni
personali estremamente efficaci senza l’obbligo di gravare l’individuo di un
peso eccessivo. I risultati sono impressionanti, tanto che in un prodotto di
media grammatura, un proiettile calibro 38 non riesce a lesionare nemmeno il
primo strato. Pannelli in fibra aramidica semirigidi vengono impiegati per la
protezione di auto diplomatiche e per il trasporto di personalità, furgoni
portavalori, sportelli bancari, divisorie di separazione settori negli aerei,
valigette e veicoli militari. Pannelli rigidi di forte spessore costituiscono
poi la blindatura di navi da guerra, motovedette, elicotteri militari e carri
armati. In fibra aramidica, già da parecchi anni, vengono costruiti gli
elmetti (soprattutto dei piloti dell’aeronautica), tecnologia che è stata
riprodotta in campo civile per la realizzazione dei caschi motociclistici,
caratterizzati ora da un maggior assorbimento d’urto unito a superiore
leggerezza. 7. Le fibre di carbonio hanno un’altra particolare proprietà,
quella di essere trasparenti alle radiazioni. Per questo vengono impiegate
nel settore nucleare (sia ingegneristico che medico) ogni qual volta sia
necessario operare misurazioni tramite radiazioni, e si abbia necessità di
dispersioni o interferenze minime. Il caso più comune in campo medico è
rappresentato dai lettini o dai piani per radiografie o schermografie. 8.
Recentemente anche la medicina ortopedica ha iniziato a utilizzare i
materiali compositi avanzati nella realizzazione di componenti sostitutivi di
parti del corpo umano. In particolare le fibre di carbonio, fibra aramidica e
fibra di vetro sono impiegate nella costruzione delle strutture portanti
delle protesi, soprattutto quelle degli arti inferiori. La diversità di
caratteristiche fra le varie fibre (rigidità per il carbonio, elasticità per
la fibra aramidica), e le possibilità di realizzare prodotti a stratificazione
differenziata consentono di mettere a punto strutture a deformabilità
variabile che riproducono molto fedelmente le caratteristiche dell’ossatura
della parte mancante. Grande resistenza e leggerezza, unite ad un’ottima
tollerabilità da parte dell’organismo, fanno preferire i materiali compositi
all’acciaio inossidabile, ai composti titanio-vanadio e alle leghe di
alluminio, che vengono mantenuti solo per gli snodi dove i compositi
sarebbero penalizzati dalla maggiore usura. 9. Le fibre di carbonio hanno
trovato un loro spazio anche nel settore dell’Hi –Fi stereo. 10. Esistono
infine fibre ad alta resistenza meccanica e termica che possono essere
associate ai compositi anche se rigorosamente non appartengono a questo
gruppo. Esse sono costituite da un prodotto intermedio del processo di
produzione delle fibre di carbonio, sono a base poliacrilonitrilica e vengono
sottoposte ad un processo di stabilizzazione termica che ossidandole
impedisce ogni altra combustione. I tessuti ottenuti con queste fibre sono
così in grado di sopportare altissime temperature senza fondere né dare
origine a combustione. |
Considerazioni e sviluppi futuri
Nonostante tutta questa serie di ottime caratteristiche meccaniche e
fisiche, le applicazioni dei materiali compositi avanzati sono ben al di
sotto delle previsioni di pochi anni fa.Bisogna ammettere che c’è stato un
grande aumento dei settori che hanno introdotto i compositi nella
realizzazione dei loro componenti, ma viceversa non si è concretizzata una
vera produzione di serie relativa alle fibre ad alta resistenza. Primo
elemento che ha frenato l’espansione di questi nuovi prodotti è, come detto
per il settore aeronautico, la mancanza di una banca dati sufficientemente
attendibile sul comportamento dei compositi, per cui i progettisti
preferiscono ancora contare su materiali con proprietà decisamente note e
costanti, piuttosto che su materiali con proprietà più elevate ma dal
comportamento incerto nell’arco di vita del componente. In secondo luogo i
compositi sono ancora molto penalizzati dalle tecnologie di trasformazione. La
necessità di lunghi interventi a mano (effettuati tra l’altro da personale
altamente specializzato) riduce la produttività ed innalza molto il costo
finale del componente, inoltre compromette ulteriormente la ripetibilità
delle caratteristiche meccaniche del manufatto. Sino ad oggi, i ricercatori
si sono dedicati incessantemente allo sviluppo delle proprietà dei compositi,
arrivando a produrre fibre di natura ceramica al carburo di silicio SiC, o
composta al carburo di silicio e titanio SiTic, con matrici anch’esse
ceramiche o metalliche, materiali che rappresentano tutt’oggi il limite
evolutivo, ma non hanno dedicato nessuna attenzione alle tecniche di
trasformazione che sono ormai non tecnologicamente in linea con le materie
prime impiegate. |