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Gli Arbėreshė della Calabria - SAN DEMETRIO CORONE

SPAZIO A CURA DI GENNARO DE CICCO

SAN DEMETRIO CORONE:

FESTIVITA’ NATALIZIE E TRADIZIONI ARBĖRESHE

 

Durante le festivitą natalizie a San Demetrio Corone si rinnovano le caratteristiche tradizioni arbėreshe.

Nella settimana che precede la festa vengono preparati, con uova, farina, lievito naturale, zucchero e miele, i dolci tipici: Krustulit, kuleēet, skallilet, pasta kunfet, fritti nell’olio dalla padrona di casa, sotto l’occhio vigile del capo famiglia.

Nel mentre si frigge le donne intonano melodiosi  canti arbėreshė.

Quando si finisce si attacca sulla porta d’ingresso, per buon augurio, una croce di pasta.

In attesa della messa di mezzanotte e dopo il grande vespro pomeridiano ci si raccoglie in intimitą famigliare e si consuma l’abbondante cena.

Vietata dalla mensa la carne, il menł risulta composto da “nove cose”: pasta, broccoli, cavolfiori, porri, pesce, baccalą, ecc.

Il pranzo viene vissuto in maniera coinvolgente ed emotiva nel momento in cui il capo famiglia legge la letterina di auguri, scritta dal proprio figlio pił piccolo e sistemata segretamente sotto il piatto.

Nella notte santa, prima della celebrazione eucaristica e dopo che le campane annunciano la nascita di Gesł, i bambini nati nell’anno in corso, sollevati in cielo dai loro genitori, seguono il papąs che tiene il pargoletto tra le sue braccia e lo porta nel presepe vivente organizzato dai ragazzi dell’azione cattolica.

Una lacrima di commozione riga il volto dei pił sensibili, mentre si diffondono i canti: Tu scendi dalle stelle e Shėn Mėria tue kėnduar (La Madonna cantando), pubblicato da Giuseppe Schirņ (1865-1927), poeta e scrittore di Piana degli Albanesi (PA).

“Shėn Mėria tue kėnduar /  merr tė Birin e e qėllon /  e m’thot mbė te djepur: / Fjėj, o Bir, edhe bėn on. / RIT. Fjėj, o i dashur e mos qaj / rri ndė prėhert e mos bėn vaj”

Gesł Bambino viene posto nella mangiatoia del presepe e riceve l’omaggio delle zampogne (karamunxet) e degli zufoli (fishkarolėt e totėrat).

Alla fine della messa viene intonato: Viva, viva il nato Re.

Subito dopo la notte si trasforma in allegria e di casa in casa si canta la filastrocca: Dormi tu, o figlio, (Flė ti Bir), probabilmente scritta da Giulio Variboba (1724-1788), sacerdote di San Giorgio Albanese.

“Flėj ti, Bir, te jeta ime /,  flėj ti, Bir, te zėmra ime, / Shpirti shėjt ea m’e qėllo, / flėj ti, Bir, e bėn nino”.

Una ninna nanna, che parla di Gesł, ma anche della cruda realtą e della drammaticitą del mondo.

Si va in casa in casa ad augurare il Buon Natale ai parenti e agli amici e in segno di rispetto si bacia la mano ai pił anziani che rispondono: PAĒ URAT (ABBI SALUTE).

In quell’occasione si consumano i caratteristici dolci arbėreshė

GENNARO DE CICCO

 

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