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SPAZIO A CURA DI MARIELLA CAPPARELLI
QUALE
SPAZIO ALLE DONNE? Firmo/Ferma.
La riflessione che ogni donna dovrebbe porsi concerne lo spazio che, nella
società in cui vive, le è “consentito”. Parto,
com’è ovvio, dal presupposto che la donna, nelle nostre piccole realtà
locali, continui a permanere in un contesto di dipendenza, latente ma, tuttavia,
reale. Quando parlo, infatti, di spazio “consentito” mi riferisco proprio a
quell’incapacità delle donne di imporsi a tutti i livelli: economico,
politico e civile. L’unico elemento da cui non si prescinde mai, in nessun
tipo di società, è il “valore” della donna, dal punto di vista biologico.
Mi preme rilevare, però, che detto valore rappresenta il fulcro del processo
sociale, stando la donna all’origine di ogni discendenza. Storicamente,
dunque, se dal punto di vista della produzione economica la loro attività è
resa discontinua proprio dal “valore biologico” (poiché con la gravidanza,
il parto e l’allattamento la donna non può continuare a svolgere le consuete
attività lavorative), è pur vero che proprio simili circostanze rendono
“effettivo” il “valore sociale” con la discendenza. Dopo
le lotte femministe degli anni Settanta, e trascorsi trent’anni da allora,
sembra quasi incredibile che una genuina emancipazione della soggettività
femminile non si sia registrata, nelle nostre realtà locali. Lo status della
donna firmense, infatti, risulta, a mio parere, di "pseudo
emancipazione", se si considerano gli spazi da essa effettivamente
occupati, nell’ambito economico e sociale. I diritti civili acquisiti (quelli,
cioè, imposti per legge), non esprimono pienamente l’autentico processo di
affermazione delle donne, dunque non li terremo in considerazione. Se
analizziamo, per contro, la percentuale delle presenze femminili, nel mondo del
lavoro, al di fuori della sfera domestica, ci rendiamo conto che questa è
davvero esigua. Solo il settore agricolo, nella maggioranza dei casi, assorbe la
forza lavoro femminile disponibile. Dunque, una disoccupazione sostanzialmente
femminile quella del nostro paese. Se ci spostiamo, poi, nel settore della
politica la situazione diventa ancora più drastica. Questo campo, infatti,
risulta di esclusivo dominio degli uomini, registrandosi un davvero esiguo
numero di donne che si occupino attivamente della cosa pubblica. L’immagine
speculare di tale situazione è rappresentata dalla completa assenza, nelle
istituzioni firmensi, di una donna, sia in maggioranza, sia all’opposizione. Quali
le motivazioni per cui esse non vengono elette? Forse perché s’interessano
poco ai problemi attinenti alla vita politica del paese? O, forse, perché
spesso si tende a sottovalutarle ed escluderle, e le si chiama soltanto in
prossimità delle elezioni, quando la legge impone che una certa quota della
lista dev’essere composta dal “gentil sesso?” Le
donne, in tal caso, dovrebbero rifiutarsi di “prestare il loro nome” (perché
solo di questo si tratta!) per il compimento del fatidico elenco. Solo così
riuscirebbero ad imporre una loro presenza più attiva e determinante nei
partiti politici in cui si riconoscono. Sono sicura, però, che un simile
atteggiamento verrebbe frainteso e interpretato dagli uomini come premonitore di
una chiusura troppo netta delle donne al “mondo della politica”, e non già,
come dovrebbe essere letto, una chiusura al preteso esclusivo protagonismo degli
uomini. Mi piacerebbe se una tale riflessione servisse da stimolo, alle donne di
Firmo ma non solo, per una partecipazione attiva a tutti i livelli del sociale.
L’impegno di emancipazione grava sul nostro senso di responsabilità: sta a
noi saperlo sfruttare, o lasciarcelo sfuggire di mano. Mariella Capparelli |