Precedente Home Indice Successiva

SALUTE PUBBLICA E SVILUPPO  AMBIENTALE            A BARI

Si è svolto presso la sede dell’Arca l'incontro del Forum “ Da un’idea di città il futuro di Bari” sul tema Salute pubblica e sviluppo ambientale a Bari  con gli interventi del prof. Giorgio Assennato (al centro della foto tra Paolini e il prof. Borri) dell’Istituto di medicina del Lavoro dell’ Università degli Studi di Bari e del prof. Dino Borri del Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Bari.

Il prof. Assennato ha affermato che :

“La città di Bari è caratterizzata da una serie di problemi ambientali, che spesso interessano popolazioni sfavorite sotto il profilo socio-economico come nel caso della popolazione del quartiere Stanic, da sempre esposto all’azione di sostanze tossiche provenienti dalla raffineria prima e dalla centrale elettrica poi” ed ha ricordato “ come alcuni anni fa si propose in tale quartiere la costruzione di un inceneritore, che certamente avrebbe appesantito la situazione ambientale.”

Anche in letteratura – ha detto il prof. Assennato - è noto che questi siti interessano zone del territorio abitate da popolazioni di basso livello socioeconomico. In uno studio britannico sull’associazione tra mortalità per tumori e distanza della residenza da inceneritori è stato notata una correlazione tra le variabili, ma  non è verosimile che la correlazione sia interamente spiegata dalla più alta mortalità per tumori nelle  popolazioni di livello socioeconomico più basso, come sono le popolazioni che vivono intorno agli inceneritori.

Le disuguaglianze sociali sono quindi associate a numerosi eventi sanitari. Questo si evidenzia sia a livello macroeconomico in cui è documentato da recenti studi della York University e della Università di Salerno la correlazione tra regioni a basso livello socioeconomico e trend negativi nell’assegnazione nelle risorse sanitarie.

Questa correlazione – ha continuato Assennato - fa aumentare ancor di più la forbice peraltro rilevante tra regioni centrosettentrionali e regioni meridionali.

Ed anche dal punto di vista dei risultati sanitari lo scenario non si presenta favorevole: mentre è ben noto che i tassi di mortalità per tumori nelle regioni meridionali sono inferiori rispetto ai tassi settentrionali, le tendenze temporali sembrano indicare una convergenza dei tassi, con aumento nelle regioni meridionali e diminuzione nel Centro-nord.

Sempre per quanto riguarda i tumori, è noto che la sopravvivenza media è più bassa nelle regioni meridionali rispetto alle regioni settentrionali, che potrebbe spiegarsi con una peggiore qualità dei presidi sanitari meridionali o con un minore accesso ai servizi stessi.

E’ pure noto che i melanomi sono diagnosticati in uno stadio più avanzato in Italia meridionale, e ciò è particolarmente marcato per gli strati socioeconomici deprivati

Anche la fruibilità di programmi di screening per tumori della mammella o del collo dell’utero è minore nelle aree meridionali.

Esiste quindi una situazione sanitaria peggiore negli strati di popolazione meno fortunati. La percezione di questa disuguaglianza non sembra molto alta, mentre a volte figura un’alta percezione di eventi che sotto il profilo della priorità sanitaria non hanno l’importanza che viene loro attribuita.

E’ questo il caso dei campi elettromagnetici sia a bassa che ad alta frequenza.

Mentre per i primi c’è evidenza scientifica di un modesto ma significativo aumento di leucemie infantili, per i secondi l’evidenzia è ancor più controversa.

Cionondimeno, la percezione del rischio è piuttosto alta, anche perché  nella comunità si determina una profonda disuguaglianza tra coloro i quali sono esposti ai campi, e coloro  i quali concedono il terrazzo del loro palazzo per l’installazione del ripetitore che non sono esposti, ma percepiscono un reddito anche cospicuo.Non è invece percepito il rischio legato all’esposizione a particolato urbano.

E’ noto,infatti, da studi internazionali (APHEA) e nazionali (MISA) che nei giorni immediatamente successivi ai picchi di inquinamento si determina un eccesso di mortalità nella popolazione interessata, segno di fragilità da parte della frazione più vulnerabile della popolazione, Questo aumento si manifesta anche a livelli di polverosità  respirabile ( ovvero PM10) considerati “normali”.

Gli effetti anche in questo caso sono modesti, ma statisticamente significativi e da considerarsi quindi reali.

Purtroppo sinora gli studi sugli effetti  sanitari a breve termine dell’inquinamento atmosferico non hanno incluso città pugliesi, nonostante Taranto sia una città ad elevato rischi di crisi ambientale e Bari rappresenti la seconda città dell’Italia meridionale continentale. Speriamo di poter inserire entrambe le città nel nuovo progetto MISA2

Bari – ha concluso il prof. Assennato - comunque almeno per i prossimi 20 anni continuerà a pagare caro il fatto di aver avuto all’interno della città lo stabilimento Fibronit. L’esposizione ad amianto sia dei lavoratori che della popolazione generale  continuerà a produrre casi di  tumori pleurici  ancora per molti anni , in considerazione del fatto che l’amianto è in grado anche dopo 50 anni dall’inizio dell’esposizione di manifestare i suoi effetti cancerogeni.  A ciò si aggiungano  i dati epidemiologici attuali  che già evidenziano un inaccettabile eccesso di tumori  polmonari e pleurici nei lavoratori e un’ aggregazione spaziale di casi di tumori pleurici nella città di Bari nelle vicinanze della Fibronit.”

Il prof. Dino Borri ha invece esordito come oggi ci sia “la necessità di guardare vicino e lontano, alla “emergenza” come a scenari di medio periodo o addirittura di “futura generazione” (20-30 anni) per cui se c’è una crescente importanza delle regolamentazioni, specie di provenienza sovranazionale, nel contempo esiste l’incertezza su fonti e interpretazioni di conoscenze.La stessa urbanistica moderna è nata in relazione a problemi di igiene urbana e di medicina (Menoni, 2002).”

Ha quindi analizzato alcuni  “fondamentali” ambientali della città di Bari precisando come riguardo ai grandi inquinanti atmosferici (trasporto, riscaldamento, industria), “ il trasporto si svolge prevalentemente su gomma e in modo “privato” ( poco utilizzato il trasporto “pubblico”) risultando quindi altamente inquinante; il riscaldamento domestico è largamente a gas metano e quindi modestamente inquinante, mentre l’ industria non è agevolmente analizzabile”.

A tale proposito “l’industria all’interno della città consolidata (e questo è certamente un vantaggio ambientale) è ormai una presenza ridotta -per non dire nulla-  mentre si ha una rilevante ampiezza dei tessuti industriali periferici areali (per esempio “agglomerato” ASI Bari-Modugno) e a “filamenti” (lungo le strade statali n. 96 e n. 100 soprattutto).”

“L’agglomerato ASI (ndr la zona industriale)  interessa circa 3.000 ha su 15.000 nei territori di Bari e Modugno e ad esso devono aggiungersi altri 1.000 ha circa distesi ai due lati delle statali succitate 96 e 100 (per non dire del grande filamento lungo la ss 98 tra Modugno e Bitonto, assai prossimo comunque a Bari e al suo quartiere San Paolo): una incidenza rilevante nell’analisi ambientale della città.”

Circa le aree industriali dismesse delle tre “bombe ecologiche” più note della città ( ex Fibronit,ex Gasometro ed ex Stanic) Dino Borri ha rinviato alla notorietà di vicende assai fortemente dibattute in città; ha comunque precisato che “le bombe ecologiche di Bari interessano aree del tutto inserite (Fibronit, Gasometro) nella città consolidata o comunque interne (Stanic) all’arcipelago di insediamenti che è ormai Bari anche grazie all’enorme espansione voluta dal PRG Quaroni (“città di periferie” la definì nel 1997 proprio chi ora vi parla, qui nella sede dell’Arca, in un altro incontro promosso da Carlo Paolini nello spirito di quello odierno).”

“A contrastare l’inquinamento atmosferico della città non sta un’adeguata riserva di aree verdi pubbliche (parchi e giardini, boschi) o private (campi agricoli) che possa fornire una biomassa vegetale di entità tale da consentire per esempio il riciclo del CO2 con produzione di ossigeno.

Ormai degli 11mila ettari dell’intero territorio comunale di Bari ne rimangono non cementificati o asfaltati da case e capannoni e relativi cortili e da strade circa 3mila agli estremi margini. Così Bari (che ha ormai “edificato” il 75% del suo territorio ) proietta necessariamente la sua “impronta ecologica” per il ciclo anidride carbonica-ossigeno - qui richiamato- non solo sul mare ma su ampia parte del territorio agricolo che ancora residua.”

“Occorre  dunque per Bari - ha continuato il prof. Borri - urgentemente un serio “bilancio ambientale”, che guardi ai principali “cicli” ambientali e a quanto e a come e a dove in riferimento a essi si prende (sotto forma di risorse naturali) e si restituisce (sotto forma di rifiuti)”

“ Bisogna anche nell’analisi ambientale della città tener conto come il consumo per edificazione di terra agricola residua è tuttora elevato, sulla base di un Piano Regolatore Generale iperdimensionato: i 650mila abitanti pensati negli anni 1970 come obiettivo per la Bari degli anni 2010 (per una Bari che allora aveva 350mila abitanti e che ora ne ha 330mila) hanno generato per esempio una edificazione, in larga parte inutile, di 30milioni addizionali di mc solo per abitazioni (senza contare uffici e servizi)”

“Come bisogna sapere che l’industria barese è di tipo mista: larga presenza di meccanica leggera e non “calda” (quindi a limitata presenza di combustioni) ma al tempo stesso presenza di qualche stabilimento chimico, di una centrale elettrica di media potenza (Bari) funzionante a olio, di varie altre industrie non agevolmente classificabili dal punto di vista del rischio ambientale per carenza d’informazione; l’industria agro-alimentare invece scarica spesso reflui inquinanti e usa cicli caldi a combustione; fabbriche di pneumatici non adeguatamente note nella qualità ambientale dei cicli produttivi; una galassia di piccole aziende lungo i “filamenti” assolutamente non nota.”

Esiste un forte rischio ambientale come combinazione di pericolosità ambientale e vulnerabilità ambientale: attività pericolose possono essere tanto più rischiose quanto più sono vulnerabili gli ambienti biotici e abiotici entro cui si esplicano e con cui si confrontano (reflui pericolosi in Puglia o a Bari sono più rischiosi che altrove per esempio per la vulnerabilità delle falde …)”

“ In tale indagine – ha continuato il prof. Borri – non va sottaciuto come il governo locale afferma da sempre che la situazione particolarmente favorevole di Bari dal punto di vista della circolazione d’aria a causa dei venti, per la localizzazione sul mare, consente di non avere preoccupazioni soprattutto per l’inquinamento atmosferico: i dati di cui si dispone non confortano però del tutto questa tesi.

Numerose città sul mare in tutto il mondo, infatti, adottano misure contro l’inquinamento atmosferico smentendo l’impostazione rassicurante dei dirigenti politici di Bari dovuta pare a una sopravvalutazione del carattere favorevole del contesto climatico locale.”

Il prof. Borri ha denunciato inoltre come il problema dello smaltimento delle acque e della qualità delle acque di falda è un altro punto dolente delle politiche ambientali per la città.

Il ciclo dei rifiuti è infatti ancora altamente pericoloso: la raccolta differenziata a Bari è estremamente carente anche se pare si avvii un programma di realizzazione di alcune decine di “isole ecologiche”.

Non si sa dove lo smaltimento avvenga o si sa che avviene in discariche malamente controllate: quello delle discariche è per esempio un affare abbastanza oscuro in tutta la Puglia, si intreccia a un fumus di “ecomafia”,  non dell’ultima ora; tutta l’area di Modugno, quasi 40mila abitanti, e l’area barese a confine sono ammorbate dalle esalazioni di una discarica avvelenata prossima alla città.La questione dei rifiuti è aggravata dalla questione cave e la questione cave per estrazione di pietre è una delle questioni che è stata recente protagonista, per esempio, della battaglia contro il parco nazionale dell’Alta Murgia.”

Altro problema ambientale: quello dell’inquinamento elettromagnetico. L’inquinamento elettromagnetico da elettrodotti interessa una parte sensibile del territorio di Bari, con elettrodotti in alta tensione che praticamente traversano zone abitate; l’iem da antenne per trasmissioni in radiofrequenza va visto in relazione all’alto numero di grandi antenne che s’innalzano sul tetto degli edifici di Bari in ogni quartiere.

In sostanza  - ha ribadito Dino Borri - manca un vero e proprio monitoraggio ambientale: si pensi che a Mumbai (India) da circa vent’anni esiste un servizio di rilevamento e di informazione giornaliera relativamente ai grandi inquinanti atmosferici anche se occorre riconoscere che l’inquinamento di quella città, specie -ma non solo, per la persistente presenza di industria pesante in piena area urbana- da inquinanti organici è altissimo”.

Dall’analisi ambientali  alle politiche ambientali è stato il secondo momento dell’intervento del prof. Borri che  ha detto come “La deindustrializzazione a volte è benefica: la chiusura negli anni 1980 della raffineria Stanic ha portato grande beneficio all’intera città e specie alla sua area occidentale, dall’acqua (mare) all’aria (combustioni e esalazioni), al suolo (infiltrazioni), anche se della Stanic resta la pesante eredità di alcune decine di ettari da bonificare al costo presumibile in prezzi correnti di oltre 100 milioni di euro.

La chiusura della raffineria ha recato senz’altro benefici in termini di diminuita morbilità e mortalità per malattie respiratorie e per altre gravi malattie legate alla patogenesi da presenza di idrocarburi. “Politiche di miglioramento ambientale sono quindi possibili: la realizzazione dei due depuratori a ovest e est della città negli anni 1970 ha recato grandi benefici in termini di riduzione dell’inquinamento a mare (e conseguentemente di numerose malattie infettive legate al ciclo alimentare).

I due depuratori però sono oggi insufficienti e obsoleti e mancano di processi di affinamento del trattamento e inoltre non si hanno sufficienti informazioni sulle qualità e destinazioni dei residui solidi e dei reflui: si aggiunga che i quartieri San Paolo e Japigia si sono sviluppati nei decenni successivi in modo tale da avvicinarsi pericolosamente ai due depuratori.”

Il prof Borri ha quindi ricordato come per Vitruvio (Architettura, libro I) la medicina è uno dei saperi necessari all’architetto: “… A causa della questione relativa all’inclinazione del cielo -klimata- e per quanto riguarda le proprietà dell’aria, del suolo e delle acque. Non può esserci in effetti alcun insediamento salubre senza tener conto di questi aspetti.”

“L’urbanistica moderna funzionalista dello zoning (zonizzazione dello spazio urbano per differenti funzioni, per esempio per allontanare funzioni urbane non mutuamente compatibili come sono quelle residenziali e quelle industriali in genere) non va più bene contro il rischio ambientale.

Ora occorre l’eliminazione o la riduzione del rischio anche perché siamo tutti nello stesso pianeta e il rischio è ormai globale e tutti diciamo -o abbiamo diritto a dire:NIMBY!”

Quindi alcune domande : “Quanto la Direttiva “Seveso Bis” (seguente la 82/501/CE “Seveso”, recepita dal DPR 175/88 non convertito poi in  legge e dalla L 137/97) della UE (96/82/CE) (recepita in Italia con DL 334/99) sull’integrazione di sicurezza e emergenza nelle aree interessate da industrie a rischio di incidente rilevante è applicata in Puglia e in Bari?

E sempre a proposito delle “Seveso” 1 e 2, che dire dei Piani di Emergenza da redigersi dalla Pubblica Amministrazione?

che dire dell’informazione pubblica alla e della partecipazione della popolazione alla messa in sicurezza integrata del territorio?”

E’ bene sapere che i poteri relativi ai Piani di Emergenza Esterna sono affidati ai prefetti, che li gestiscono d’intesa con Regioni e altri Enti locali e con consultazione delle popolazione (obbligo per industrie soggette a “notifica”: in  Puglia oggi 22 di “classe A” e 28 di “classe B” ai sensi della Seveso 2) mentre per altre industrie non soggette i prefetti possono intervenire ai sensi della L 225/92 sulla protezione civile in generale.

Il decreto 9.5.2001 Ministero dei Lavori Pubblici (in attuazione DL 334/99) fissa le competenze di ogni ente ai diversi livelli territoriali e i procedimenti di pianificazione territoriale e urbanistica da implementare nelle zone interessate da industrie a rischio rilevante: alla Regione il citato decreto 5/2001 attribuisce il coordinamento delle norme di pianificazione con quelle di controllo dei pericoli di incidente industriale rilevante;alla Provincia la determinazione di un assetto territoriale -attraverso strumenti di pianificazione di area vasta- attento alle relazioni tra industrie a rischio e vulnerabilità territoriale e ambientale mentre al Comune  il controllo delle industrie a rischio e dello sviluppo edilizio circostante nonché verifica della compatibilità territoriale e ambientale e rielaborazione in variante di strumenti di pianificazione urbanistica. Rilevanti infine le indicazioni della Unione Europea con la Direttiva 1996 IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) e la Direttiva 1997 EIA (Environmental Impact Assessment)”.

E allora si domanda Dino Borri

Cosa si fa a Bari in termini di politica ambientale?

Non si è fatto negli ultimi anni pressoché nulla per ridurre l’inquinamento da trasporto, per esempio, e anche nulla in termini di verifica della compatibilità urbanistica con i fattori generatori di inquinamento e di rischio ambientale.”

“Cosa dire?”

“ Che molte città in Italia e altrove costruiscono i loro scenari ambientali. Per Bari se si facesse una semplice proiezione si avrebbero cifre drammatiche poiché l’aumento delle auto per esempio è esponenziale e anche l’insediamento industriale e la cementificazione continuano. Occorre allora agire con politiche correttive.

In assenza di adeguate contromisure, per esempio relative allo spostamento di una quota significativa di trasporto dalla gomma al ferro o al ciclabile, o al pedonale (attualmente ogni giorno circolano nella città -pare- circa centomila auto e 500 TIR, pari a una quota di circa il 90% dello spostamento complessivo di persone e merci) la condizione di sanità ambientale locale non potrà che peggiorare.

Si consideri che la realizzazione di infrastrutture di trasporto su ferro è piuttosto lunga e costosa e che anche per pedonalizzare o ciclabilizzare una città occorrono misure di contorno (aree di intermodalità, parcheggi ecc.) non agevoli per tempi e costi: occorre dunque avviare già da ora coerenti politiche in questa direzione.

In conclusione il prof. Borri ha detto che

il rischio ambientale è più elevato di quanto si pensi: abbiamo una situazione pericolosa per il trasporto e per le industrie, i cui rischi appaiono fortemente sottovalutati, oltre che per alcune principali “bombe ecologiche” alle quali tuttavia si sta cercando di porre rimedio come sono da valutare meglio altri rischi (rifiuti, elettromagnetismo, acqua).

Siamo in presenza di scenari ambientali futuri di tipo “proiettivo” assai preoccupanti sulla base delle tendenze attuali per cui necessitano politiche ambientali coerenti e tempestive attraverso l’interdisciplinarità delle conoscenze e la necessaria partecipazione popolare:

realizzare un’infrastrutturazione verde attraverso il controllo popolare.”