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Ricordando 
ALDO
MORO

Carlo Paolini

Il 9 maggio 1978 veniva barbaramente assassinato dalle Brigate Rosse Aldo Moro; da allora, ogni anno, la sua figura e il suo ricordo sono celebrati con un fiume di parole che non sono ancora riuscite a fare piena luce sulla verità storica e politica di quell’assassinio!

Le commemorazioni

Le rituali commemorazioni forse sono servite (e servono ancor oggi, a mio avviso) a far dimenticare le gravi responsabilità di chi in quel periodo aveva il dovere di tentare, almeno di tentare!, la sua salvezza: se è vero che Moro "apparteneva" alle Istituzioni dello Stato, alla sua storia antifascista e democratica, alla formazione di una Costituzione fatta di libertà, di giustizia sociale, di democrazia (a cui amava sempre aggiungere l’aggettivo “sostanziale”!), di una democrazia nata dal sacrificio e dalla lotta di una generazione che aveva fatto la Resistenza, se questo è vero, Aldo Moro non poteva che essere salvato! 

Nei 55 tristi giorni della sua prigionia, iniziata il 16 marzo, giorno del suo rapimento e della strage della sua scorta (ricordo con grande affetto il maresciallo Oreste Leonardi: quando bisognava incontrare Moro, ci si imbatteva sempre prima con il suo dolce sorriso), se in un primo momento prevalse in me il cosiddetto "senso dello Stato" contro la possibilità di una trattativa con i terroristi, subito dopo la lettura delle sue prime lettere mi convinsi che bisognava salvare ad ogni costo la vita di un uomo che - nonostante la sua condizione - si trovava "sotto un dominio pieno ed incontrollato" e stava trattando in prima persona la sua salvezza, senza sminuire il significato dello Stato!


Il Moro che ho conosciuto

Non ho mai partecipato, per questo motivo e non solo, alle commemorazioni che si sono svolte soprattutto a Bari, sua città elettorale: ho preferito conservare vivo dentro di me il suo caro ricordo, fatto anche di molti episodi personali e significativi, e pensare costantemente a tre sue caratteristiche che paiono oggi dimenticate:

- in primo luogo la sua figura austera che sembrava in contrasto con la dolcezza e la capacità del suo "saper ascoltare". Non ho mai udito dalle sue labbra una parola di offesa o di mancanza di rispetto nei confronti di alcuno dei suoi avversari politici (e non erano pochi...): una lezione per molti dei politici attuali, che fanno dell’ingiuria personale la caratteristica del proprio stile comunicativo.

- In secondo luogo la grande "coerenza" con la forza delle sue idee e del suo progetto politico che non ha mai contrabbandato per un "posto al sole". Per sua natura era un "minoritario" nel senso che non ricercava il consenso con la forza dei numeri: riusciva però ad affermare - nei congressi nazionali del suo partito, la Democrazia Cristiana, - le sue posizioni, che poi  diventavano le linee-guida dei governi di centro-sinistra, fino al I governo con il sostegno del Partito Comunista Italiano nell’anno del suo assassinio.

- Infine il profondo significato che attribuiva all'attività di "mediazione". A noi giovani di allora (degli anni settanta), ricordava spesso che la mediazione è un metodo della politica per far avanzare il cammino della storia, per allargare le maglie della democrazia favorendo la partecipazione sempre più ampia dei cittadini; in caso contrario la mediazione si trasforma in un arido patteggiamento per il potere.


Alcune delle sue idee forti

Accanto a queste caratteristiche tipiche della sua persona, voglio ricordare alcuni motivi di fondo della sua testimonianza politica e della sua eredità.

L'antifascismo di Aldo Moro

Non posso oggi dimenticare il suo legame con la Resistenza e il suo essere antifascista. Amo spesso ricordare la conclusione del discorso che egli pronunciò a Bari - il 21 dicembre 1975 - proprio nel trentennale della Resistenza:

" …Via via, nel corso di questi trent’anni, un sempre maggior numero di cittadini e gruppi sociali, attraverso la mediazione dei partiti e delle grandi organizzazioni di massa che animano la vita della nostra società, ha accettato lo Stato nato dalla Resistenza. Si sono conciliati alla democrazia ceti tentati talvolta da suggestioni autoritarie e chiusure classiste. Ma, soprattutto, sono entrati a pieno titolo nella vita dello Stato ceti lungamente esclusi.
Grandi masse di popolo guidate dai partiti, dai sindacati, da molteplici organizzazioni sociali, oggi garantiscono esse stesse quello Stato che un giorno considerarono con ostilità quale irriducibile oppressore. Se tutto questo è avvenuto nella lotta, nel sacrificio, è merito della Resistenza, di un movimento cioè che si è mosso nel senso della storia, mettendo ai margini l’opposizione antidemocratica e facendo spazio alle forze emergenti e vive della nuova società.

Certo, l’acquisizione della democrazia non è qualche cosa di fermo e di stabile che si possa considerare raggiunta una volta per tutte. Bisogna garantirla e difenderla, approfondendo quei valori di libertà e di giustizia che sono la grande aspirazione popolare consacrata dalla Resistenza.

Il nostro antifascismo non è dunque solo una nobilissima affermazione ideale, ma un indirizzo di vita, un principio di comportamenti coerenti. Non è solo un dato della coscienza, il risultato  di una riflessione storica; ma è componente essenziale della nostra intuizione politica, destinata a stabilire il confine tra ciò che costituisce novità e progresso e ciò che significa, sul terreno sociale come su quello politico, conservazione e reazione.

Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico.

In questo ambito ed in questo spirito è responsabilità politica dei partiti l’effettuare quelle scelte di indirizzi, di contenuti e di schieramenti ritenuti meglio rispondenti agli interessi del Paese.

Trent’anni fa , uomini di diversa età ed anche giovanissimi , di diversa origine ideologica, culturale, politica, sociale, provenienti sovente dall’esilio, dalla prigione, dall’isolamento, ciascuno portando il patrimonio della propria esperienza, hanno combattuto, per restituire all’Italia l’indipendenza nazionale e la libertà.

      Questo è stato il nostro grande esodo dal deserto del fascismo; questa è stata la nostra lunga marcia verso la democrazia".

Una prima domanda

Rileggendo e ricordando queste sue parole, chiare e nette, mi chiedo come sia possibile che alcuni esponenti politici, che allora si definivano "morotei", possano oggi tranquillamente commemorare il Moro antifascista e nel contempo condividere la politica autoritaria di Bossi e Fini?

No, Moro non può "appartenere" a loro!

Aldo Moro, e con lui Enrico Berlinguer, aveva ben compreso che i maggiori rischi della giovane democrazia italiana provenivano dalla destra, come pure i pericoli per la nostra cara Costituzione.

La "strategia dell’attenzione"

Moro era "attento" a cogliere i fermenti di novità che si muovevano non solo dentro i partiti ma soprattutto nella società; lo spiega egli stesso nel discorso tenuto a Bari il 15 giugno 1969 sulla
"Strategia dell’attenzione":

" … Quando io dico, cari amici, attenzione a quel che avviene intorno a noi, attenzione anche alle forze politiche, ma credete che io parli solo delle forze politiche in senso stretto?

Credete che la mia "strategia dell’attenzione" sia semplicemente una formula di contatto con il partito comunista?

Sarebbe una cosa meschina e tanto più meschina se fosse, come qualcuno dice, la mascheratura di qualche altra cosa.

No! La "strategia dell’attenzione" è una cosa molto più complessa, non si esaurisce certo con il rapporto con le forze di opposizione e con il partito comunista… non si esaurisce in un congresso il quale sancisca la fine di una formula politica per annunciare, in modo più o meno coperto, l’avvento di un’altra formula.

… Il congresso di  Roma deve essere sì il congresso dell’attenzione, ma della strategia dell’attenzione che è contenuta in un grande libro che dobbiamo scrivere insieme.

la strategia dell’attenzione è la rinuncia ad una posizione passiva, alla pura e semplice difesa del potere; è la rinuncia a mantenere un determinato assetto psicologico, economico, sociale e politico; è la prontezza a cogliere i segni dei tempi.
Questo vuole essere la strategia dell’attenzione. Che se non avessimo questa vitalità, cari amici, se non avessimo questo animo aperto, questa intelligenza pronta, questo sguardo acuto e questa profonda curiosità che si ripiegano su tutte le cose, come potremmo essere, in tempi che corrono veloci come questi, i protagonisti della nuova società democratica?…"

Un secondo interrogativo

E' possibile che esponenti politici - del centro-destra come del centro-sinistra - possano commemorare la figura di Aldo Moro, se il loro sguardo è incapace di prospettiva, se i loro occhi non vanno oltre la punta del proprio naso?

No, Aldo Moro non può "appartenere" a loro!

Moro e Berlinguer

L' "attenzione" di Moro nasceva dalla considerazione che la sostanza della democrazia è rappresentata dalla possibilità dell'alternativa e del confronto, un confronto che doveva essere - secondo lui - "serio, chiaro, leale, costruttivo": per questo aveva anche intrapreso con Enrico Berlinguer un "dialogo" capace di superare le grandi "diffidenze storiche" tra i "mondi" che essi rappresentavano.

Moro aveva ben chiaro nella sua mente l'esigenza di superare - in fretta - "la democrazia difficile" che l'Italia viveva in quel periodo, in quanto era necessario garantire al Paese la "democrazia dell’alternanza":

non si potevano né si dovevano mettere in discussione i principi fondanti della Costituzione, nata dalla Resistenza, affermava Moro, in un momento in cui la Democrazia Cristiana cominciava a mostrare i primi segni di una crisi, che la porterà all’implosione dopo la sua morte.

Per questo - secondo lui - il Partito Comunista doveva necessariamente entrare nell’area governativa.

In questo percorso politico, in questa "lunga marcia" verso una democrazia compiuta, si determinò anche una forte tensione con gli Stati Uniti d’America, che considerarono l'ipotesi di una sospensione dell’Italia dal Patto Atlantico.

Il primo Ulivo

A questo punto penso sia utile ragionare sull’Ulivo delle origini...

Secondo il mio parere, il primo Ulivo (1994), quello di Romano Prodi e di Walter Veltroni, riuscì ad accendere l'entusiasmo e la partecipazione del "popolo di centrosinistra" perché cercava di realizzare l'idea progettuale che Moro e Berlinguer, dai loro due "mondi" e nell’interesse della democrazia, avevano ipotizzato per superare gli "ostacoli storici" che li dividevano.

Mai come in quel periodo  "l’attenzione" dei partiti fu così alta e sincera nei confronti delle forze sindacali, delle associazioni e dei movimenti (i "Comitati per l’Italia che vogliamo" e i "Movimenti per l’Ulivo" nati aggregando spontaneamente cittadine e cittadini sfiduciati) e portò la coalizione a vincere la sfida elettorale, con un programma alternativo al progetto berlusconiano di una democrazia aziendale.

In seguito, purtroppo, quell’attenzione si è spenta, facendo rientrare in campo i soliti "giocolieri" della politica, che hanno - di fatto - favorito la vittoria elettorale di una destra prive di memoria storica e di cultura istituzionale, che quotidianamente attenta ai capisaldi della nostra Costituzione (Scuola statale e Sanità pubblica, Rispetto della legalità e Giustizia uguale per tutti, Mezzogiorno ed Unità del Paese, Libertà di opinione e d'informazione).

Ora è tempo di ri-scoprire concretamente quella capacità di "attenzione" ai movimenti e ai mutamenti della società, capace di rinnovare sia gli stessi partiti che di ri-accendere l'entusiasmo politico per un disegno alternativo a quello delle destre di Berlusconi, Fini e Bossi.

Moro e la ricerca della pace 

Giornata mondiale PER LA PACE - Roma, 15 febbraio 2003 

Sono proprio quei movimenti che, nel corso della guerra all'Iraq di Saddam Hussein, ci ricordano il valore della pace. 
Moro diceva alle Nazioni Unite che 
"… la conciliazione fra popoli fino a ieri in conflitto può essere tentata e conseguita se si è pronti a deporre le armi, non solo quelle della guerra, ma anche quelle dell’intolleranza e delle recriminazioni…"
 
e scriveva anche che:

" …Con la guerra tutto è perduto, con la pace nulla è compromesso. Sappiamo queste cose; non possiamo non avvertire che la violenza in nessun modo può costruire l’unità, che non si può passare nel sangue, per giungere all’uomo e conquistarlo ad una causa di universale solidarietà. 
Eppure l’amore della pace non è in noi una cosa stabile, decisa, voluta ad ogni costo. Ci lasciamo tentare, sia pure per un istante, dalla idea assurda, dalla folle speranza che un problema morale, un problema di civiltà, un problema di nuove dimensioni e di nuove prospettive della vita umana possa essere risolto con una guerra…"

(G. Lamaddalena (a cura di), Aldo Moro. Una vita al servizio della Verità, prefazione di Romano Prodi, pp.325, Università degli Studi di Bari, Cattedra di Sociologia - Facoltà di Economia, 1998). 

Ricordo ancora, quando nel settembre del 1973, allorché un golpe fascista pose fine al Governo di Unità Popolare di Salvador Allende in Cile, Moro mi fece giungere il suo sostegno durante la raccolta delle firme dei cittadini (vedi foto a sinistra), di quelli che dicono di non "fare politica", su una lettera da inviargli come Ministro degli Esteri: una lettera di condanna del golpe che invitava il Governo italiano a contrastare con tutti i mezzi della diplomazia mondiale - attraverso l’O.N.U - tale nefasto evento per il popolo cileno.

In altra circostanza, ricorda N. Perrone (Il segno della DC, pp.128, Dedalo, Bari, 2002)  "al Presidente del Consiglio Aldo Moro venne ripetutamente richiesto qualche atto significativo di solidarietà nei confronti degli Stati Uniti impegnati nella guerra del Vietnam. Moro si limitò sempre a manifestare  'comprensione' per l’alleato americano, mentre lasciò che le sinistre D.C. e il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, trattassero con i vietnamiti, i sovietici e i cinesi a favore della pace e della liberazione dei popoli, non proprio per la vittoria delle armi americane…". 
E ancora
" … a Moro si sono ripetutamente richiesti gesti di solidarietà a difesa degli interessi americani in Medio Oriente e in Africa del Nord e la non ingerenza nelle questioni politiche di quell’area. La risposta italiana consisté invece nel potenziamento di una politica nazionale autonoma…".

Ancora qualche domanda...

Quanti sono gli esponenti politici che oggi, commemorando Aldo Moro, condividono la sua visione di un'autonomia piena della politica italiana? 
Una visione in cui c'è un profondo rispetto del ruolo dell’O.N.U 
"…che occorre rinnovare, rafforzare, rendere funzionale, coordinandone sistematicamente le varie attività, instaurando correlazioni fra disarmo e sviluppo, tra sfruttamento pacifico dello spazio extra-atmosferico, e delle risorse del fondo marino e finanziamento delle operazioni per il mantenimento della pace come della cooperazione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo; collegando la denuclearizzazione militare con la soluzione dei problemi della protezione delle risorse naturali dell’ambiente umano…"

Che ne pensano dunque tutti coloro che sostengono la guerra in corso, una guerra di invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, senza il mandato dell'O.N.U.? Una guerra, che vuole esportare la democrazia?

La democrazia si costruisce faticosamente all’interno della storia di un Paese: "imporla" significa semplicemente insediare un governo "amico" sostituendolo ad un altro che "amico non lo è più"!

Ciò spiega il "silenzio" su tanti governi autoritari, antidemocratici e violenti come quello di Saddam Hussein, che continuano a "vivere" anche grazie al sostegno occidentale ed americano.

No, Moro non può "appartenere" a chi vuole appropriarsene, a chi giustifica la guerra come strumento di pace! 

Moro continua a vivere...

"Moro inattuale" si dice da parte di alcuni, inattuale il suo pensiero perché la politica dei nostri tempi è profondamente degradata: 

per me e per quei cittadini che ritengono la politica una costruzione continua di spazi comuni, sempre più ampi e più partecipati da condividere nel confronto democratico, Moro è ancora vivo!
Anch'io
penso che la politica non debba essere "una tecnica arida del potere, ma un omaggio reso quotidianamente alla verità e alla bellezza della vita...", secondo la visione di Aldo Moro, che per me continua a vivere...

Aldo Moro e Giuseppe Dossetti

Continua a vivere anche grazie all'impegno politico di un'altra figura della nostra storia, Giuseppe Dossetti, che dalla piccola Monteveglio lanciò 
- il
25 aprile 1994
l' Appello per la difesa attiva della Costituzione, seriamente minacciata "dagli evidenti propositi delle destre - palesi ed occulte - di procedere a frettolose ed inconsulte modifiche del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili".

Raccolsi subito quell'appello qui a Bari con tanti amici!
Quell'appello fu il nuovo punto di partenza di una mobilitazione generale in tutta Italia (nacquero - in tutta Italia - tantissimi "Comitati Dossetti per la Costituzione") che contribuì a far cadere il Governo Berlusconi e soprattutto a sconfiggere pesantemente il tentativo di ri-scrivere la Costituzione, secondo la logica del mercato!

Ricordo il primo piano della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari gremito di quasi duemila persone di ogni età, venute per ascoltare don Giuseppe Dossetti ed i maggiori costituzionalisti italiani al Convegno nazionale organizzato dal nostro "Comitato per la Costituzione" il 13 maggio del 1995.

In quell’occasione, Dossetti parlando dell’Assemblea Costituente ricordò come da "una guerra sbagliata"  nacque un profondo senso di unitarietà e di solidarietà che coinvolgeva tutti e qui ricordò anche Aldo Moro:

"… E fu così che anche uomini del Sud, che non avevano vissuto personalmente né la Resistenza né la lotta partigiana, poterono dare un segnalatissimo contributo di unità e di creatività pacifica nella stesura della Costituzione, in piena sintonia di sentimenti e di concetti con uomini del Nord. Ricorderò almeno tre nomi fra i non pochi: tre nomi il cui intervento è rimasto, nella Costituzione, storicamente decisivo, sia dal punto di vista tecnico-giuridico che da quello politico: cioè Aldo Moro, pugliese, Costantino Mortati, calabrese, e Giorgio La Pira, siculo-fiorentino."

Nasce L’ARCA 
Centro di Iniziativa Democratica

Fu proprio da questa nuova e coinvolgente esperienza emotiva e politica che nel 1996 nacque L’ARCA - Centro di Iniziativa Democratica, con lo scopo di creare anche a  Bari uno spazio fisico in cui donne e uomini di diversa provenienza culturale, sociale e politica potevano ri-trovarsi e confrontarsi secondo uno spirito di "attenzione", di apertura, di "solidarietà politica" in grado di recuperare il piacere di incontrarsi e di condividere idee ed iniziative, il piacere dello stare insieme, di provare a costruire in una città difficile come Bari una "rete" con altri gruppi, movimenti, associazioni e singoli cittadini della nostra città.

aprile 2003