Premessa
Nel percorrere i Campi Flegrei non
è raro imbattersi in torrioni o castelli di varia mole e
consistenza, sia restaurati che completamente
trasformati. Ma spesso soltanto un occhio attento riesce
a distinguere in mezzo allopera distruttrice
delluomo ed a quella usurante del tempo le
architetture difensive del medioevo. La maggior parte di
questi monumenti sono oggi in uno stato desolante, tanto
che la loro esistenza è nota soltanto a pochi. Eppure
quel che resta di un castrum fortificato, di un castello
o di una torre meriterebbe maggior rispetto perché essi
occupano un ruolo importante nella storia della nostra
terra. E superfluo ricordare che queste
architetture si svilupparono non solo nei Campi Flegrei e
in Italia, ma già parecchi secoli prima si parla di
castelli in Assiria o in Grecia.
§.1 Il contesto storico medievale
Intorno alla fine del V - inizio del VI
secolo, larea flegrea si trovava in una condizione
di decadenza a causa delle continue incursioni barbariche
e dellaccentuarsi del fenomeno del bradisismo
(lento movimento ascendente o discendente della terra).
Per queste ragioni degli importanti abitati romani,
sopravvissero soltanto piccoli centri fortificati
raccolti su promontori detti castri. I più
importanti erano quelli di Pozzuoli (sul Rione Terra), di
Cuma e di Miseno.
Larea fu teatro della guerra fra Bizantini e Goti
(535-553): questi ultimi, guidati dal re Totilia,
saccheggiarono Miseno e poi occuparono Cuma nel 542.
Pochi anni dopo, nel 553, il castrum cumano venne
cinto dassedio e preso per fame dai Bizantini
guidati dal generale Narsete. I Bizantini restarono
padroni della zona per qualche secolo. Nel 717 i
Longobardi di Benevento, guidati dal duca Romualdo II,
riuscirono ad impadronirsi della rocca, ma soltanto per
un breve periodo. Nel IX secolo cominciarono le
incursioni dei Saraceni lungo le coste. Miseno venne
conquistata da questa popolazione e distrutta. Nel 915
anche Cuma cadde in mano ai Saraceni e nei secoli
successivi divenne covo di pirati e predoni.
La restante area dei Campi Flegrei dovette appartenere
fino al 1026 al ducato di Napoli e successivamente ai
principi longobardi (1027-1058) ed a quelli normanni
(1058-1128) per poi ritornare al ducato napoletano fino
al 1137. Ed ancora seguì le sorti di Napoli sia sotto la
dinastia normanna (1137-1194) che sotto quella sveva
(1194-1266). Nel 1207 lacropoli di Cuma, ormai mal
frequentato, venne distrutto dalle armate napoletane
guidate da Goffredo Montefuscolo. Un ampio moto di
rivolta interessò il Mezzogiorno a seguito della morte
di Federico II (1250) ed allincitamento del papa
Innocenzo IV, a cui parteciparono anche gli abitanti del castrum
puteolano che cacciarono il loro feudatario. La rivolta
non ebbe fortuna e Pozzuoli ritornò ad essere dominio svevo.
Con la sconfitta di Manfredi (1266) ad opera di Carlo I
dAngiò, anche i Campi Flegrei passarono sotto il
governo della nuova dinastia angioina. Per Pozzuoli fu un
periodo di ripresa grazie anche al fatto che nel 1296
Carlo II dAngiò concesse alla cittadina
lautonomia di governo ed amministrativa: si passò
dai 290 residenti del 1268 agli oltre 2500 nel 1489.
Grosso impulso ebbe lattività termale tanto che
nuovi stabilimenti di cura sorsero sul territorio come
quello in località Tripergole con una capacità di 120
posti-letti. Molte erano le aree flegree destinate dai
sovrani ad attività venatorie come il Monte di Procida,
gli Astroni, la conca di Quarto. Durante la successiva
dominazione aragonese (1442-1503) si ha notizia di
diversi terremoti (1448, 1456, 1488) che contribuirono ad
uno spopolamento dellarea con forti ripercussioni
sulleconomia. A nulla valsero gli sgravi e le
esenzioni tributarie concesse da Alfonso I prima e
Ferdinando I poi: alla fine del XV secolo la vita
socio-economica di Pozzuoli era quanto mai chiusa,
arretrata e depressa. Gli inizi del 500 furono
caratterizzati ancora da numerose scosse telluriche e da
un forte accentuarsi del bradisismo ascendente. Questa
situazione culminò nelleruzione che determinò la
nascita del Monte Nuovo, avvenuta nella notte tra il 29
ed il 30 settembre 1538. Levento distrusse il
villaggio di Tripergole e causò ingenti danni in un
tutto il territorio, tanto da causare la fuga di
moltissimi abitanti di Pozzuoli e degli altri abitati flegrei. Come già accaduto nei secoli precedenti, il
governante dellepoca, il viceré Pedro De Toledo,
incoraggiò il ripopolamento con lesenzione dalle
tasse per parecchi anni. Egli stesso si fece costruire un
palazzo con una torre nei pressi del porto puteolano.
Linteressamento di Toledo per Pozzuoli era dettato
soprattutto dallimportanza strategica del suo porto
che rischiava di trovarsi sguarnito: e difatti il 18
giugno 1544 i pirati barbareschi tentarono un assalto in
massa, ma soldati spagnoli ed abitanti puteolani guidati
dal viceré in prima persona inflissero loro una pesante
sconfitta. Le facilitazioni economiche promosse dal
Toledo richiamarono famiglie anche da zone più lontane,
dando vita a nuovi agglomerati: è il caso di Bacoli,
fondata da famiglie di agricoltori che disboscarono
larea che tra il castello di Baia e Miseno,
rendendola praticabile. Il secolo si chiuse con una serie
di movimenti tellurici che si accompagnarono ad un
bradisismo discendente.
Il 600 fu caratterizzato soprattutto dalla
terribile epidemia di peste (1656) che non risparmiò
larea flegrea. Successivamente nessun evento
notevole caratterizzò il territorio nei secoli
successivi.
§.2 I castra
I castra erano cittadelle fortificate
che erano sorte su insediamenti romani a seguito delle
invasioni barbariche. Nei Campi Flegrei abbiamo la
presenza di almeno tre importanti castra di questo tipo.
Il Castrum Misenati, ubicato sul
promontorio di Miseno nellarea della villa romana
di Lucullo. Saccheggiato da Goti e Longobardi, venne poi
fortificato nuovamente da papa Gregorio Magno nel 599.
Nella metà del IX secolo, i Saraceni loccuparono,
distruggendolo definitivamente. Attualmente non ne
avanzano tracce.
Il Castrum Cumanum era ubicato
sulla collina dove era il sito dellacropoli di Cuma. Fu prima sede della guerra tra Goti e Bizantini nel
VI secolo e poi di quella tra Longobardi e Napoletani nel
717. Venne occupata dai Saraceni nel 915 e distrutto nel
1207 dai Napoletani guidati da Goffredo di Montefuscolo.
Attualmente è possibile ancora osservare tratti delle
mura ed i resti di una torre, accanto allingresso
allacropoli, che ha inglobato quella preesistente
di epoca augustea a seguito del rifacimento operato dal
prefetto Flavio Nono Erasto nel 558.
Il Castrum Putheolanum occupava
il sito del Rione Terra di Pozzuoli. Numerosi rifacimenti
e distruzioni hanno impedito che si conservasse qualche
traccia fino ad oggi, se si eccettua il bastione
allangolo fra via Cavour e via Castello, sebbene
rimaneggiato.
Il Castrum Gipeum è documentato
a partire dallXI secolo sullisola di Nisida
intorno ad un monastero del quale si conosce ben poco:
forse esso era dedicato a S. Arcangelo del Salvatore
oppure a S. Nicola. Non si è sicuri neanche della
localizzazione: secondo alcuni esso si trovava sulla
parte alta dellisola, dove oggi sorge
listituto per i minori. Seguendo questa ipotesi, le
uniche tracce rimaste sarebbero da identificarsi con il
cosiddetto "cortile delle scuole" che ricorda,
nonostante i tanti rifacimenti, un chiostro di un
convento. Del castrum si sa soltanto che la sua presenza
non è più documentata in età angioina.
Il Castrum San Martini era
localizzato nellattuale centro di Monte di Procida
e forse venne fondato dai superstiti della distruzione di Miseno.
Il Castrum Tripergularum era
ubicato sul luogo del villaggio di Tripergole e venne
distrutto dalleruzione del Monte Nuovo nel 1538.
Va inoltre segnalato il Castrum de
Serra, fondato da Roberto I, principe di Capua, e la
cui localizzazione appare incerta: secondo alcuni autori
si tratta probabilmente del "Vado di Serra",
piccolo villaggio medievale sullaltura della
Montagna Spaccata del quale restano i ruderi di mura e di
una torretta; altri autori localizzano il castro
nellarea dellattuale Castello Monteleone.
§.3 I castelli
Il termine castello indica un edificio
ben difeso creato per assolvere funzioni militari o per
sicura dimora del signore. Larchitettura di questo
genere venne perfezionata dai Normanni e poi dagli Svevi.
Ledificio era una vera e propria residenza che
alloccorrenza si trasformava in fortificazione
ospitando anche la popolazione dei dintorni.
Il più antico edificio di questo genere nei
Campi Flegrei risale al periodo Svevo ed è il cosiddetto Castello Belvedere (detto anche
Monteleone),
ubicato in posizione dominante sul cratere di Quarto,
lungo la strada per Marano. Esso fu eretto per volontà
di Federico II tra il 1227 ed il 1229. Caduto in rovina,
venne restaurato da Carlo I dAngiò fra il 1275 ed
il 1277 che affidò i lavori prima a Pietro de Chaule e
poi a Bausolino de Lynnais. Il sito venne utilizzato
prevalentemente per gli svaghi venatori dei regnanti,
tanto che, nelle sue vicinanze, era vietata il
disboscamento e la semina. Fu così che i contadini del
luogo si spostarono a circa 6 km dal castello dando vita
allattuale Marano. In epoca aragonese venne
nuovamente abbandonato in quanto la famiglia reale gli
preferì Torre Caracciolo. Soltanto nel XVI secolo, con
il passaggio alla famiglia Monteleone, venne nuovamente
restaurato. Ma il declino ricominciò a breve. Oggi il
castello è diviso in diversi appartamenti abitati da
privati, ma la pianta delledificio è ancora
intatta: si tratta di una struttura rettangolare di m. 37
x 40 di lato. Sei torri sono ubicate lungo il perimetro:
due più grandi verso il giuglianese e le altre verso
Quarto ed il mare. Nel lato orientale si conservano
ancora una bifora (foto a lato) ad archi acuti e due
finestre circolari originarie. Si accede al cortile
interno dove è un pozzo che raccoglie le acque piovane
tramite un articolato sistema di canali. Di fronte è un
doppio forno, unico nel suo genere. Sulla destra,
attraverso un arco acuto, si accede alla scala di piperno
che, per mezzo di un ballatoio (originariamente in legno)
conducono al primo piano erano dodici stanze. Sugli altri
lati del cortile si aprivano stalle, cucine, dispense ed
altre camere.
Coevo al Castello Monteleone e molto
simile nellarchitettura è Castello Scilla,
ubicato sulle pendici dei Camaldoli che danno verso
Marano. Costruito anchesso per volere di Carlo
dAngiò intorno al 1250, presenta una pianta
rettangolare con i lati di m. 37x40 e sei torri che lo
circondavano. Purtroppo attualmente ledificio è
stato oggetto di notevoli rifacimenti ed abusivismi che
ne hanno irrimediabilmente alterato loriginaria
architettura. Lingresso ricorda lo stesso stile
dellaltro castello con una cappella restaurata nel
1899. Il cortile è attualmente suddiviso in due parti da
un muro. Si accede al primo piano attraverso un arco a
sesto acuto. Al primo piano è un passetto in muratura
(originariamente in legno) sostenuto da grossi archi. Nel
seicento ledificio passò alla famiglia Macchia e
poi al principe di Scilla, Falco Ruffo, al quale deve il
nome. Nel corso dellottocento il castello cominciò
la sua disavventura finendo frazionato in tante
proprietà, la maggior parte delle quali non si è curata
minimamente della sua antica storia cosicché oggi ben
poco resta dellantico splendore.
Presso lo scomparso villaggio di Tripergole,
gli Angioini fecero costruire un altro castello su di una
collinetta (Monte del Pericolo) ubicata verso il Lago
dAverno: esso venne utilizzato soprattutto per
scopi venatori anche dagli Aragonesi. Il tutto scomparve,
come già riferito, con leruzione del Monte Nuovo
del 1538.
Allepoca Aragonese appartiene
unaltra dimora conosciuta come Torre Caracciolo.
Ubicata su una propaggine dei Camaldoli che dà verso
Quarto e Pianura, venne ceduta alla famiglia Ricca e poi
ai Capece-Piscicelli ed, infine, ai Caracciolo.
Attualmente è abitata da privati, ma si conservano le
caratteristiche architettoniche salienti. A pianta
rettangolare per una superficie di 2.400 mq,
ledificio presenta quattro torrette laterali con
merlatura munite di saettiere. Laccesso avviene
attraverso un androne sopra il quale campeggia lo stemma
delle famiglie Ricca e Montenegro. Qui è una piccola
cappella con la sacrestia. Più avanti è un pozzo
ottagonale rivestito in marmo, e poi le scuderie, una
cisterna, gli antichi magazzini e la cucina. Al primo
piano si accedeva attraverso un ponte levatoio in legno
(oggi sostituito da un ponte fisso in muratura): in esso
trovavano posto un salone con larmeria con volte
affrescate con scene di caccia (al centro sono gli stemmi
dei Caracciolo e dei Capece-Piscicelli). Altre camere di
cui due stanze da letto completano il piano. Al secondo
piano erano invece le stanze delle signore, la biblioteca
e lo studio. La posizione della torre consentiva di
ammirare uno spettacolare panorama attraverso le otto
finestre del primo piano e le nove del secondo dove era
anche uno stupendo balcone. La parte superiore delle
torri ospitava 44 colombaie ciascuna. A tal proposito,
una lapide apposta nel 1688 da Giovan Battista Capece-Piscicelli, ancora visibile allingresso
delledificio, ordina che "nessuna persona
di qualunque stato e condizione ardisca entrare nel
cortile della Torre dellIll.mo Arciduca D. Gio.
Battista Capece Piscicelli, sito in territorio della
terra di Marano, armato di schioppo, a sparare alli
palombi che sono in detta torre e molto meno possa
sparare vicino a detta torre e territori che possiede
detto ill.mo duca, se non nella distanza di un mezzo
miglio attorno ai territori medesimi, al fine di non
recare danno alli palombi che sono nella torre
predetta". Una scala segreta consentiva di poter
fuggire dal primo piano direttamente nei sotterranei.
Durante lultima guerra la torre ospitò prima una
base operativa tedesca e poi una brigata di paracadutisti
anglo-americana: in questoccasione per riscaldarsi
vennero bruciati nel camino anche i preziosi mobili
antichi ancora esistenti nelledificio.
§.4 I fortilizi
Allo scopo di difendersi sia dagli
attacchi costieri che da quelli dal territorio interno,
in epoca angioina vennero eretti numerosi fortilizi con
funzioni di difesa ed avvistamento.
Un importante fortilizio era ubicato
sul Monte SantAngelo, la vetta del Monte
Gauro che affaccia verso lattuale abitato di Rione
Toiano ed Arco Felice. Innalzato nel XIV secolo, venne
trasformato in chiesa agli inizi del XVIII secolo quando
stava ormai cadendo in rovina. Attualmente, dopo aver
ospitato per parecchi anni un eremita, è stato chiuso e
recintato. Allesterno, ledificio conserva
ancora evidenti tracce della sua primitiva destinazione
difensiva.
Altro fortilizio, probabilmente
angioino, era il castello ubicato sulla sommità di Capo
Miseno e del quale conosciamo lesistenza da
stampe e piante antiche. Esso dovette cadere in disuso
per cedere il posto alle efficienti torri costiere.
Pur in assenza di tracce visibili, è
probabile che fortilizi del genere dovessero essere
installati anche sulla sommità di Nisida e
sullaltura dellattuale Castello di Baia. Per
quanto concerne Nisida, già agli inizi del
500 dove esistere una torre circolare come ci
informa il Celano. La stessa torre viene riportata in una
tavola dellAger Puteolanus di Claudio
Duchetti (1586). Ed ancora la torre viene riportata in
alcuni inventari dei beni della Chiesa Napoletana (come
quello del 1485, affittuario un certo Raimondo De
Griffo).
Riguardo al fortilizio di Baia,
esso dovette poi cedere il posto, intorno al 1495,
allimponente fortezza voluta da Alfonso II, su
progetto di Francesco di Giorgio Martini, valente
ingegnere militare.
§.5 La difesa costiera in età
vicereale
Nel corso del XVI e XVII secolo, le
coste flegree, come la maggior parte delle coste
tirreniche, vennero flagellate dagli assalti dei corsari
barbareschi. Questa attività era ad appannaggio delle
popolazioni dellAfrica Nord-Occidentale ed ebbe il
suo sviluppo maggiore dopo il 1574, quando i Turchi
conquistarono Tunisi, concedendo lautonomia ai capi
militari barbareschi per questo tipo di attività che era
lunico modo di assicurarsi una certa prosperità
economica. Episodi cruenti e drammatici si svolsero nei
Campi Flegrei, come il 6 giugno 1519 quando corsari
turchi saccheggiarono Pozzuoli uccidendo e facendo
prigionieri. Nel 1517 ebbe luogo una nuova incursione con
117 famiglie saccheggiate, 14 uomini uccisi e parecchie
donne e bambini fatti prigionieri. A seguito di questi
episodi, si provvide a fortificare le città, ma ben
presto ci si rese conto che occorreva anche tenere
costantemente sotto controllo il litorale. Fu così che
nel 1532, il viceré Pedro de Toledo emise
unordinanza con la quale si ordinava la costruzione
di torri costiere. Nellarea flegrea vennero così
erette una serie di torri scegliendo la localizzazione in
base alla maggiore o minore esposizione alle incursioni
corsare.
Le torri costiere di età vicereale
erano atte ad ospitare il personale di guardia e, in caso
di pericolo, lesigua popolazione dei dintorni.
Erano generalmente a pianta quadrata, alte circa 15 metri
con base strombata e sommità contornata da caditoie per
impedire lassalto ravvicinato. I tre piani della
torre erano generalmente adibiti a: magazzino,
alloggiamento, batteria. Lingresso al primo piano
veniva raggiunto tramite una passerella che veniva
ritirata in caso di assedio. Larmamento era
costituito da colubrine per sparare alle imbarcazioni e
petriere per difendersi da assalti ravvicinati. Era poi
presente un fornello per le segnalazioni. A guardia delle
torri era il "torriere" o "caporale",
coadiuvato da un "guardiano" addetto alle
segnalazioni e da uno o più "compagni".
Per ciò che concerne le torri flegree,
in particolare, alcuni documenti dellepoca ci
descrivono la presenza del "caporale" (che
svolgeva probabilmente anche le funzioni del
"guardiano") e di un "compagno".
Detti documenti, tra laltro, permettono di
stabilire che gli addetti alle torri, per essere pagati
delle loro spettanze, dovevano presentare una
dichiarazione del governante e del capo dei servizi di
polizia della città nel cui territorio ricadeva la
torre. Questo per evitare che i caporali si assentassero
dal servizio per dedicarsi ad altre attività. Di seguito
riportiamo uno di questi documenti: Si fa fede per noi
Mario Loffredo Regio Capitano della città di Pozzuolo,
et Ascanio Russo mastro Giurato della città come
Bernardo Figaroa caporale della torre di Patria et
Cristofaro Chianese soldato hanno fatto la guardia in
detta torre per tutto il passato mese di gennaio 1619 con
bonissima vigilanza come del detto servizio siamo stati
pienamente informati. Et in fede habbiamo fatto fare la
presente firmare di nostre mani sigillato del sigillo di
detta città di Pozzuoli il primo febbraio 1619.
Le prime due torri vennero costruite
presso le foci dei laghi Fusaro (torre di Gaveta)
e Patria (torre di Patria). La prima è oggi
ridotta a pochi ruderi, mentre la seconda è stata
oggetto di rifacimenti ed è abitata da privati.
A seguito delleruzione del Monte
Nuovo, nel settembre del 1538, larea flegrea subì
uno spopolamento che influì negativamente anche sulle
possibilità di difesa del territorio. Proprio allo scopo
di invogliare le popolazioni a ritornare in questi
luoghi, Pedro de Toledo nel 1540 fece costruire a
Pozzuoli uno splendido palazzo con giardino. Nella parte
meridionale della struttura venne innalzata una poderosa
torre di difesa a pianta rettangolare che prese da lui il
nome. Torre Toledo, progettata da Ferdinando
Maglione, si componeva di tre piani fuori terra ed uno
interrato: ad ogni piano era un ampio locale coperto con
camminamento interno. La torre, dopo essere stata
destinata prima a carcere borbonico (con
leliminazione della merlatura per far posto alla
passeggiata per i detenuti) e poi ad ospedale civile
(1870-1970), è oggi in stato di abbandono,
allinterno della splendida Villa Avellino.
A difesa del porto puteolano, Pedro de
Toledo fece anche costruire un fortino sul Rione Terra,
oggi conosciuto come "castello" e del quale, a
seguito dei rifacimenti per la trasformazione in
abitazione avvenuti nei primi anni del novecento,
rimangono soltanto larco dingresso ed alcune
sostruzioni sulla facciata.
Sempre il Toledo, intorno al 1550 fece
rimaneggiare completamente il Castello di Baia
che, dalla fondazione, aveva subìto notevoli danni
dovuti alleruzione del Monte Nuovo. Incerto il nome
dellarchitetto che progettò il rifacimento: forse
si trattava di Ferrante Maglione, già progettista di
Torre Toledo, oppure di Luigi Scribà, artefice della
ricostruzione di Castel SantElmo a Napoli.
Per evitare che i corsari potessero
utilizzare il porto di Nisida (Porto Paone) come
nascondiglio si provvide anche alla costruzione di una
torre sulla sommità dellisola. Caduta in rovina la
torre medievale, da un documento del 1546 si apprende che
il concessionario dellisola, Pietro de Ursanque,
aveva richiesto un contributo per terminare la
costruzione di una nuova torre. Un altro documento del
1550 riporta il pagamento effettuato ad alcuni soldati di
guardia a Nisida: questo confermerebbe che allepoca
la torre non era stata ancora completata, ma che comunque
un posto di vedetta era attivo considerata
limportanza strategica del luogo. Nel 1553
lisola passò a Giovanni Piccolomini, duca di
Amalfi, che, come si apprende da un documento
dellepoca, utilizzò la torre esistente, o quanto
permaneva di essa, per costruire il suo palazzo. Da tali
documenti non sappiamo se il palazzo avesse inglobato la
torre o se la torre stessa costituisse la residenza
fortificata del Piccolomini. Infatti in moltissime mappe
o vedute successive (come, ad esempio, Baratta del 1629 e
Villamena del 1652) sullisola è raffigurata in
bellevidenza, una torre circolare con basamento
scarpato e merlatura di coronamento. Sicuramente, intorno
alla metà del 600, la torre dovette subire un
rifacimento tanto che le fonti cominciano a parlare di
"castello" e non più di "torre".
Nel 1563, il viceré Perafan de Ribera
diede ordine di costruire nuove torri non solo di difesa,
ma anche di avviso, lungo la costa così che potessero
essere disposte in vista luna dellaltra.
Inoltre venne dato ordine affinché le torri private già
esistenti venissero requisite per pubblica utilità. Si
decise così la costruzione di due torri, una a Monte di
Procida (Torre Fumo) e laltra a Capo
Miseno, sul luogo dellattuale faro. Le spese di
costruzione delle torri vennero addebitate agli stessi
casali di appartenenza che, proprio per questo,
ritardarono la costruzione accampando diverse
motivazioni. Di sicuro Torre Fumo risultava già
terminata nel 1588, mentre per la torre di Miseno si rese
necessaria una nova tassazione che colpì tutte le
famiglie del casale ed in particolare per quelle che
abitavano a meno di 12 miglia dalla costa. Nel 1592 la
torre risulta quasi finita. Prima del 1613 fu comunque
costruita una seconda torre a Miseno, più piccola e poco
distante dalla prima. Tale esigenza era probabilmente
collegata alla necessità di tenere sotto controllo la
spiaggia antistante lantica cisterna romana
conosciuta come Grotta della Dragonara (non visibile
dalla prima torre). Detta spiaggia era un punto di
approdo molto importante e ricercato dai corsari in
quanto la cisterna, allepoca ancora attiva,
consentiva il rifornimento idrico. Di tutte queste torri
oggi non rimane traccia.
Nel 1636 il viceré Manuel de Guzman
fece aumentare le difese del porto di Baia con due
torri poiché il castello, data la sua altezza, non
poteva svolgere unazione difensiva particolarmente
efficiente. Il castello fu comunque maggiormente
fortificato e reso più sicuro dal lato di terra.
Nel 1641 venne ordinata la costruzione
di una nuova torre anche nellarea di Cuma,
ma sembra che essa non sia stata mai eretta, non
esistendo, tra laltro, alcuna testimonianza né
visibile, né iconografica. In ogni caso, per ovviare
alla grande distanza esistente fra la Torre di Patria e
quella di Gaveta, si ha notizia della costruzione di
alcune baracche lungo la spiaggia di Cuma che ospitavano
un paio di addetti alle segnalazioni.
Alla fine del 600, quindi, la
dislocazione delle torri lungo il litorale flegreo
consentiva la comunicazione ottica tramite segnali di
fumo. Partendo da Nord, la prima torre che si incontrava
era quella di Patria che era in comunicazione diretta (o
tramite le baracche della spiaggia cumana) con la torre
di Gaveta. Per risolvere il problema del collegamento
visivo con la torre successiva, Torre Fumo a Monte di
Procida, è probabile che sia stata costruita una
guardiola (una piccola torre) sullisolotto di San
Martino, circostanza che viene confermata anche da alcune
fonti che riportano la distruzione di una piccola torre
sullisolotto nel secolo scorso. Da questo punto era
possibile comunicare con le due torri di Miseno. Da qui
il segnale poteva essere inviato a Pozzuoli, a Nisida ed
a Posillipo. Le torri erano poi in collegamento ottico
anche con le isole di Procida ed Ischia, mentre il
collegamento con il castello di Baia, tagliato fuori
dalla visuale delle torri, avveniva probabilmente a mezzo
"cavallari" (cavalieri acquartierati lungo la
spiaggia di Miliscola).
Limportanza delle torri costieri
rimase inalterata anche nel corso del XVIII secolo,
sebbene utilizzate sempre meno per difendersi dagli
attacchi dei corsari e sempre più per la lotta al
contrabbando, tanto che esse finirono per passare sotto
la giurisdizione del Dipartimento delle Finanze e date in
custodia a guardie doganali.
§.6 Le case-torri
Nel periodo vicereale scoppiò un altro
fenomeno che stavolta andò a gravare soprattutto sulle
popolazioni del territorio interno: il banditismo.
Diffuso in maniera minore già in epoca angioina, ebbe
notevole sviluppo nel corso del XVI secolo e solo alla
fine del secolo venne finalmente debellato. A seguito di
questa situazione parecchi privati eressero torri
allinterno dei loro casali e masserie per difendere
meglio le loro abitazioni. Nacquero così le cosiddette
"case-torri", edifici fortificati con la
duplice funzione di difesa e di abitazione. Tante sono le
testimonianze ancora esistenti di questa tipologia
architettonica, ma molte sono anche quelle scomparse ed
il cui ricordo resta nei toponimi.
Fra le case-torri ancora esistenti, un
bellesempio è dato da Torre San Severino (foto
a lato), nel comune di Giugliano, nei pressi di Licola.
Costruita allinterno di una masseria a corte
funzionante da grancia benedettina fino agli inizi
dell800, è attualmente in rovina anche a causa dei
danni subiti durante lultima guerra. Originaria è
la possente base "a scarpa" con bocche di lupo,
mentre i due ingressi ad arco sono aggiunte
settecentesche.
Lungo la strada che collega il cimitero
di Bacoli alla "sella di Baia" sorge la
Masseria Torre Cappella. Il suo nome deriva dalla
donazione di questo possedimento avvenuta nel 1134 da
parte di Guglielmo de Prioldo, conte di Cuma, alla Chiesa
di Santa Maria a Cappella di Napoli. Su questo terreno
sorgeva la chiesetta di San Pietro a Pertuso (oggi
distrutta) per la cui difesa venne eretta, appunto, Torre
Cappella. Abbattuta in parte alla fine dell800,
sulla sua base venne edificata lattuale casa
colonica. Linterno della base, a pianta quadrata
leggermente strombata, conserva ancora la volta a vela e
le bocche di lupo originari.
In località Monterusciello sorge
ancora Torre Santa Chiara eretta a difesa della
tenuta ecclesiastica delle clarisse del Monastero di
Santa Chiara di Napoli, da cui il nome dato alla torre.
Detto territorio, comprendente anche Monte
SantAngelo alla Corvara con il suo castello, venne
donato alle religiose dalla regina Sancia di Maiorca
nella prima metà del XIV secolo. La torre, a pianta
quadrata, è attualmente trasformata in casa privata, ma
lesterno conserva ancora loriginaria
struttura. Essa si compone di tre piani fuori terra, con
la base "a scarpa".
Nei pressi di Soccavo sorge Torre
San Domenico, eretta probabilmente nel 1654 a difesa
di una grancia dominicana. In questo caso si tratta di un
edificio inserito in un altro corpo di fabbrica la cui
funzione difensiva era legata soprattutto alla sua mole,
considerando lassenza di bocche di lupo e di
strombature. E divisa in tre livelli da due fasce
di piperno a toro e coronata da una merlatura in piperno
con arcatelle cieche. Laccesso avviene a piano
terra attraverso una grosso arcone con fascia in piperno.
Sempre a Soccavo, a difesa del casale,
venne innalzata Torre dei Franchi (foto a lato),
che deve probabilmente il suo nome alla famiglia De
Franco. La torre, a pianta quadrata, presenta quattro
piani fuori terra con i primi due ricavati nella base
strombata dove si aprono bocche di lupo. La merlatura è
andata in parte perduta, ma ancora sono visibili le
arcatelle in tufo fornite di caditoie. Purtroppo, al
momento la torre è in condizioni di rovina.
Tra Soccavo ed i Camaldoli,
nellattuale area del campo sportivo Paradiso, sono
i resti di Torre della Lopa, un masseria
fortificata conosciuta anche con il nome di Torre
Ciotola, dal nome della famiglia che nell800 era
proprietaria del complesso. La denominazione originaria
potrebbe essere riferita allantica funzione di
difesa dai lupi che una volta frequentavano larea.
Riguardo alla sua costruzione, lunica notizia certa
è che essa è anteriore al 1630. Attualmente è abitata
da privati.
In un altro casale napoletano,
Posillipo, si erge Torre Ranieri, attualmente a
pianta quadrata e base "a scarpa", ma
originariamente a base circolare. Essa presenta quattro
piani fuori terra, di cui due nella base. Deve il nome
alla famiglia Ranieri che possedeva in questa zona,
allepoca denominata Ancari, una masseria
fortificata della quale faceva parte anche la torre. Ha
subito diversi restauri, perdendo quasi del tutto il
carattere originario. Attualmente è di proprietà
privata.
Poco lontano, nei pressi
dellattuale Via Caravaggio, sorgeva Torre
Cervati che prendeva il nome dai proprietari, i
marchesi Cervati. La torre venne poi distrutta e del
fabbricato originale resta oggi qualche tratto di muro
perimetrale ed una lapide settecentesca che ricorda il
regio bando fatto emettere il 12 maggio 1779 contro i
cacciatori che allepoca scavalcavano il muro di
cinta della proprietà.
A Marano sono interessanti esempi di
case-torri. Collegate da un breve tratto stradale
rettilineo sono le masserie Dentice (dette
"di sopra" e "di sotto") il cui nome
deriva dalla famiglia che abitò la zona a partire dal
XVI secolo. Quella di sotto conserva il classico schema a
corte con torre esterna. Poco lontano è Masseria
Galeota, sul cui ingresso si imposta una torre con
contrafforti. Nelle vicinanze è anche Masseria
Capuzzelle con torre ancora visibile. In località Faragnano
sono le due masserie omonime ("di sopra" e
"di sotto") di cui quella superiore con
struttura a torre. Infine nella località Il Pigno è
lomonima masseria a torre.
Sebbene non rientrante nella tipologia
delle case-torri deve essere segnalata anche la Torre
degli Astroni, costruita sempre nel medesimo periodo
per volontà di Pedro de Toledo, allingresso della
tenuta da lui frequentata per svaghi venatori. La torre
è ancora esistente.
Non più esistenti sono invece diverse
case-torri come Torre Pilastri (a Largo Pilastri a Fuorigrotta, abbattuta negli anni trenta),
Torre
Piscicelli (tra Solfatara e Monte Spina), Torre
Poerio (tra Montagna Spaccata e Val di Pecora), Torre
Murale (presso il lago Fusaro). Non rientrano invece
in questa tipologia Torre Nocera e Torre Lupara,
costruite in epoca borbonica per i guardiacaccia sul
ciglio degli Astroni.
§.7 Guida alla visita
Il nostro itinerario inizia da
Posillipo in Via Torre Cervati (tra Via Caravaggio e Via Manzoni) dove un tempo sorgeva lomonima torre
della
quale resta oggi solo qualche tratto di muro perimetrale
ed una lapide settecentesca che ricorda il regio bando
fatto emettere il 12 maggio 1779 contro i cacciatori che
all'epoca scavalcavano il muro di cinta della proprietà.
Proseguendo lungo Via Manzoni verso
Posillipo, quasi al termine, al centro della strada sorge
Torre Ranieri, a pianta quadrata e base "a
scarpa". Per visitare linterno, comunque
spoglio e completamente trasformato, si può provare a
rivolgersi in loco.
Continuando verso Posillipo si può
raggiungere il Parco della Rimembranza dal quale è
possibile scorgere un bel panorama su Nisida.
Lisola conserva ben poco delle torri che ha
ospitato ed è inaccessibile in quanto sede di un
penitenziario minorile. Comunque si può inoltrare una
richiesta scritta motivata alla sede degli Istituti
Minorili di Rieducazione in Viale Colli Aminei al quale
rivolgersi per informazioni.
Si raggiunge Soccavo:
dallincrocio di Via Epomeo con Via Giustiniano,
attraverso una stradina adiacente alla rampa della
Tangenziale, si può raggiungere Torre San Domenico,
edificio inserito in un altro corpo di fabbrica. La si
può visitare rivolgendosi in loco agli abitanti, tenendo
presente che essa è stata trasformata in abitazioni
private.
Si ritorna su Via Epomeo che si
percorre fino a metà, imboccando poi Via Torre dei
Franchi da cui si raggiunge Torre dei Franchi, in
condizioni di estremo degrado. Per tale ragione
linterno è inaccessibile.
Raggiungendo larea del campo
sportivo Paradiso, sono i resti di Torre della Lopa,
conosciuta anche con il nome di Torre Ciotola.
Ledificio è attualmente è abitata da privati per
cui non è facilmente accessibile.
Si segue la strada per gli Astroni. La
torre di accesso agli Astroni è visitabile
allinterno soltanto col permesso da chiedere in
loco, ma la si può ammirare dallesterno.
Lasciata Napoli, ci si porta a
Pozzuoli. La visita delle fortificazioni puteolane è
purtroppo limitata a visioni dallesterno. Si può
partire dalla stazione della Metropolitana per
raggiungere facilmente Villa Avellino, allinterno
della quale è Torre Toledo, inaccessibile dal
dopoguerra. Dallingresso secondario della villa, si
può poi scendere verso il porto, raggiungendo la darsena
di Via Cavour, allangolo della quale è ancora
possibile scorgere lunico bastione superstite,
sebbene rimaneggiato, del "Castrum
Putheolanum". Proseguendo lungo il perimetro del
Rione Terra, è possibile osservare dal basso il
cosiddetto "castello" del quale, a seguito dei
rifacimenti per la trasformazione in abitazione avvenuti
nei primi anni del novecento, rimangono soltanto l'arco
d'ingresso ed alcune sostruzioni sulla facciata.
Da Pozzuoli si può raggiungere Baia,
sede del più famoso castello dei Campi Flegrei,
lunico regolarmente visitabile (dalle ore 9 ad
unora prima del tramonto, con biglietto di
ingresso di 4 euro (ridotto 2 euro); gratuito al di sotto dei 18 anni e
al di sopra dei 65). Il castello ospita oggi il Museo
Archeologico dei Campi Flegrei ed è in buona parte
percorribile. Dal belvedere è possibile scorgere uno
stupendo panorama su tutto il golfo di Pozzuoli ed oltre.
Da Baia, attraverso Bacoli, si giunge
in breve Miseno. Dellantico "Castrum
Misenati" non avanzano più tracce. Analogamente la
torre principale di Miseno è stata distrutta per far
posto al faro, mentre alcuni ruderi della Torre Bassa sono
visibili percorrendo il sentiero che conduce su Capo Miseno, in proprietà privata (chiedere in loco il
permesso di accesso).
Ridiscesi da Miseno, ci si può portare
a Torregaveta, dove sono i resti della torre che dà il
nome allabitato attuale. La torre è in proprietà
privata e laccesso viene difficilmente concesso.
Si prosegue per Cuma dove,
allinterno del parco archeologico, è possibile
visitare i resti dellantico "Castrum
Cumanum" costituiti da tratti delle mura e dai resti
di una torre, accanto all'ingresso all'acropoli, che ha
inglobato quella preesistente di epoca augustea a seguito
del rifacimento operato dal prefetto Flavio Nono Erasto
nel 558.
Ritornati a Pozzuoli, attraverso la Via
Campana, allaltezza dellaccesso alla
Tangenziale seguendo la strada per il Campiglione e poi
imboccando un sentiero a destra del centro Nato, si
giunge dopo circa unora alla vetta di Monte
SantAngelo alla Corvara dove è lomonima
chiesa, un tempo fortilizio angioino. Per la visita
occorre contattare preventivamente la Curia di Pozzuoli.
Il sito è raggiungibile anche dalla strada che dalla
stazione Metropolitana di Quarto sale al Castagnaro: il
percorso è sempre di unoretta circa.
Proseguendo lungo Via Campana, prima di
imboccare la Montagna Spaccata, sulla sinistra, al di
sopra della caserma dei carabinieri, si scorgono i resti
del "Castrum de Serra", piccolo villaggio
medievale del quale restano i ruderi di mura e di una
torretta.
Entrati nel cratere di Quarto,
allincrocio si prende la strada per Monterusciello,
dove sorge Torre Santa Chiara, eretta a difesa della
tenuta ecclesiastica delle clarisse del Monastero di
Santa Chiara di Napoli. Essa è attualmente trasformata
in casa privata e per visitarla occorre rivolgersi in
loco sperando di trovare la comprensione degli abitanti.
Partendo dai Camaldoli, si raggiunge la
frazione Torre Caracciolo dove è lomonima torre,
lungo la strada che conduce a Pianura (Via Marano-Pianura). La torre è ancora abitata dai
discendenti della famiglia Pignatelli Caracciolo ai quali
ci si può rivolgere in loco per laccesso (non
facilmente ottenibile).
Scendendo lungo la strada che dai
Camaldoli conduce a Marano, si svolta in Via Pigno dove
si trova la casa-torre omonima, in corso di restauro.
Continuando a scendere per la strada verso Marano si
raggiunge Castello Scilla, purtroppo molto rovinato dai
continui abusi edilizi. Si può provare a chiedere in
loco la possibilità di accedere almeno al cortile.
Dalla parte opposta di Marano, verso
Città Giardino, si può raggiungere la frazione
Faragnano dove le omonime masserie - Faragnano di Sopra e
Faragnano di Sotto - conservano begli esempi di
case-torri. Laccesso è in genere consentito
chiedendo direttamente in loco.
Si aggira Marano portandosi sulla
strada per San Rocco. Lungo la strada è Masseria Galeota, bellesempio di casa-torre in condizioni di
estremo degrado (non accessibile). Di fronte si accede ad
un viottolo che conduce alle masserie Dentice: quella di
sotto è un particolare esempio di casa-torre,
accessibile facilmente chiedendo il permesso in loco.
Proseguendo lungo Via San Rocco, si
giunge alla località Castello Belvedere, dove è
lomonimo edificio, abbastanza conservato
considerando che è stato trasformato in abitazione
privata. In loco non è difficile ottenere la
possibilità di visitare il cortile e qualche interno.
Proseguendo ancora lungo la strada che
conduce a Licola, si giunge alla Masseria che comprende
Torre San Severino, purtroppo abbastanza rovinata e
difficilmente accessibile allinterno.
Lesterno è però molto bello e chiaro nella sua
struttura.
Infine, seguendo la Domiziana fino a
Lago Patria, poco oltre lincrocio con la
Circumvallazione esterna, sul mare, è la ben conservata
Torre di Patria, annessa ad una privata abitazione.
E possibile chiedere ai proprietari, in loco, il
permesso di accedere.
Bibliografia
- Gruppo Archeologico Napoletano (a
cura di), Soccavo: masserie, proprietari e
contadini in un casale napoletano, Napoli,
2000
- AA.VV., I Campi Flegrei, un
itinerario archeologico, Venezia, 1990
- Vincenzo Cardone, Nisida,
storia di un mito dei Campi Flegrei, Napoli,
1992
- Rosario Di Bonito, Torri e
castelli nei Campi Flegrei, Napoli, 1984
- Enzo Savanelli, Marano: storia,
tradizioni e immagini, Napoli, 1986
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