Fara Autharena, Trezzo e Cornate d'Adda: hic sunt Langobardi


Nella zona del Nord-Est milanese, ci sono molte tracce e testimonianze del periodo Longobardo, tuttavia esistono dei paesi dove il ricordo della presenza di questo antico popolo germanico è più evidente che in altri; visitando queste località con occhio attento, ci si accorge che lo spirito longobardo aleggia ancora sopra il territorio, quasi a impregnarne anche l’aria che si respira.

FARA AUTHARENA

Il nome moderno di questo paese è Fara Gera d’Adda, ma, nel contesto in cui stiamo scrivendo, è doveroso usare il nome antico, che, tra le altre cose, ci sembra più originale e più bello. In Italia, esistono molte località che si chiamano Fara (Fara Olivana, Fara Novarese, Fara Sabina, Fara S. Martino, Farra d’Alpago, Farra d’Isonzo, Farra di Soligo, ecc.), dal momento che questa era una parola molto importante nella struttura della società longobarda: il termine “Fara” indicava, infatti, il Clan, la Tribù, la famiglia in senso molto lato (compresi i beni mobili e gli animali), venendo, in questo modo, a costituire anche l’unità militare di base.

Il paese che si affaccia sulla sponda bergamasca dell’Adda, però, può fregiarsi addirittura dell’appellativo di “Autharena” visto che la basilica di questa località vanta la sua fondazione direttamente dal re Authari (584-590), il quale - in un periodo piuttosto burrascoso, costellato dalle guerre contro i Franchi e i Bizantini - essendo alla ricerca di parentele potenti, si recò personalmente presso i Bavari a cercare moglie, incontrò Teodolinda e la sposò poco dopo, al campo di Sardi, in una località situata tra Verona e Rovereto. Teodolinda, come del resto tutti i Bavari, era cattolica, ed è ricordata come “regina illuminata”, che contribuì in modo determinante al dirozzamento del suo nuovo popolo e alla diffusione del cattolicesimo presso i Longobardi, in origine Ariani, come molte altre popolazioni “barbare”.

La basilica di Fara, dedicata poi a S. Alessandro (il soldato martire che, secondo la leggenda, fu il vessillifero della Legione Tebea ed è, come tutti sanno, il patrono di Bergamo), risale al 585 circa e, all’epoca della sua fondazione, dovette, con ogni probabilità, essere dedicata al culto ariano. Qualche secolo dopo, nell’883, viene citata dapprima in un diploma amplissimo - definito come la magna charta della Chiesa di Bergamo - del vescovo Garibaldo; poi,  nel successivo diploma imperiale “Actum Murgulam curtem”, indirizzato dall’imperatore al vescovo di Bergamo. Garibaldo, tramite Liutuardo, vescovo di Vercelli e arcicancelliere dell’imperatore, aveva fatto presente a Carlo III “il Grosso” un praeceptum con il quale re Grimoaldo (662-670) aveva donato, all’allora vescovo di Bergamo Giovanni, la chiesa di Authari, perché quel vescovo aveva convertito al cattolicesimo la comunità di Fara. E’ molto probabile che, in questa nostra “Fara”, stanziata lungo la sponda orientale del fiume Adda, vivessero i parenti del re Authari, figlio di re Clefi.

Il vescovo di Bergamo Garibaldo è spesso chiamato dallo storico G.P. Bognetti “compadrone di Inzago” a motivo dei vasti beni e possedimenti che vantava in quella località. Re Grimoaldo è il padre dello sfortunato principino Garibaldo e il marito di Wigelinda, la fondatrice del monastero femminile milanese che si trovava in prossimità dell’attuale Duomo, in via S. Radegonda.

 TREZZO sull’ADDA

Trezzo s'incunea in un promontorio roccioso e scosceso sul fiume, in una posizione strategico-militare fortissima e le memorie storiche locali tramandano l'esistenza della rocca di Teodolinda proprio sulla rupe dove, a più riprese e per tutto l'arco storico che va dall'alto Medioevo fino all'età moderna, si susseguiranno fatti d'armi più o meno rilevanti con conseguenti fasi di distruzione e di riedificazione, spesso accompagnati da ampliamenti della poderosa roccaforte.

Presso questo paese, che è uno dei più noti valichi sul fiume Adda, vennero alla luce, circa 25 anni fa, durante i lavori di scavo per le fondamenta di un edificio, 5 tombe di età longobarda. Posta lungo l’importante asse viario Trezzo-Monza, la località S. Martino, ora completamente inglobata nell'abitato di Trezzo, era già nota come zona archeologicamente interessante e continua, tutt'oggi, a fornire resti di epoca tardo romana e longobarda. A differenza dei reperti venuti alla luce in altri periodi, però, le 5 tombe trovate e studiate nel 1976/'77 rappresentarono un evento straordinario per la quantità e l'importanza del corredo funebre rinvenuto. Ultima dimora di funzionari regi (i Gastaldi longobardi furono dei controllori e amministratori che godevano della piena fiducia del re e che avevano, pertanto, dei poteri straordinari, come quello di sostituire in toto un duca), i sarcofagi vennero realizzati con lastre di pietra e mattoni sesquipedali romani per il fondo, mentre la copertura è ancora di pietra piana o a doppio spiovente. All'interno, sopra uno strato di finissima argilla, in alcuni casi, si intravvedeva il profilo delle ossa del defunto, prive ormai di ogni consistenza e, quindi, irrecuperabili.

I preziosi corredi funebri comprendevano: la spatha (più da parata che da battaglia, era lunga circa un metro e piuttosto larga), lo scramasax (piccola spada ad un solo tagliente, molto più maneggevole della prima), lo scudo (di cui sono rimasti, naturalmente, solo l'umbone e l'imbracciatura), i coltelli, le fibbie, le borchie, gli speroni, delle cuspidi di lance, delle crocette in lamina d'oro a bracci uguali (tipiche dell'arte longobarda), dei fili d'oro dei tessuti e del broccato e, in tre delle cinque tombe, l'anello-sigillo, sempre d'oro, elemento caratteristico che conferma l'alto lignaggio dei defunti.

Gli anelli-sigillo hanno permesso di conoscere addirittura il nome di due dei loro proprietari: Ansvaldo e Rodchis (vir illustris). Quest'ultimo doveva essere alto più di 2 metri: infatti, per poterlo adagiare nella tomba, la cui lunghezza interna era di 198 cm, dovettero reclinargli la testa su una spalla e divaricargli le gambe, piegandole all'altezza delle ginocchia; evidentemente, non fu possibile deporlo diritto in tutta la sua lunghezza, nel pur capiente sarcofago.

Per ammirare i preziosi corredi funebri delle tombe di Trezzo, bisogna recarsi al Museo Archeologico di Milano, dove esiste un’ala dedicata a questi funzionari longobardi.

Tomba "numero 2" (del gastaldo Rodchis) della necropoli logobarda di Trezzo sull'Adda:

Umbone, imbracciatura e borchie dello scudo

Crocetta, anello, fibbia e puntali

CORNATE d’ADDA

Siamo attorno al 680 circa. Alahis duca di Trento si ribella a Bertarido, re dei Longobardi. Alahis, grazie all'amicizia che lo lega fin da bambino a Cuniperto, figlio del re, non solo  riesce ad evitare la condanna e la confisca dei beni, ma ottiene, addirittura, l'importante ducato di Brescia. Quando Cuniperto diventa re, alla morte del padre Bertarido, Alahis approfitta della sua assenza per invadere e occupare Pavia. Cuniperto, venuto a conoscenza della ribellione, si rifugia nell'isola Comacina, dove comincia a studiare i piani per la riconquista del suo regno. Tra Cuniperto e Alahis è battaglia aperta e l'ultima carta, la decisiva, verrà giocata dai due eserciti nella piana tra Trezzo e Cornate d'Adda (690 circa): nel racconto di Paolo Diacono, quasi si trattasse di una tragedia greca, sembra che il Fato abbia già designato le sorti.  

40. Guerra di Alahis contro Cuniperto e morte del diacono Seno (“Historia Langobardorum” - Libro quinto)

“Cuniperto gli mandò a dire con un messaggero che lo sfidava a duello e che non era necessario impegnare i due eserciti. A questa proposta, Alahis non consentì. E poiché uno dei suoi, originario della Tuscia, cercava, chiamandolo uomo forte e bellicoso, di persuaderlo ad avere il coraggio di uscire contro Cuniperto, Alahis gli rispose così: "Benché Cuniperto sia un ubriacone e uno stupido, tuttavia è audace e di grande forza. Infatti, al tempo di suo padre, quando eravamo bambini insieme, c'erano nel palazzo dei montoni di straordinaria grandezza che egli, prendendoli per la lana del dorso, a braccio teso sollevava da terra, cosa che io non riuscivo a fare". Udendo ciò, quello disse: "Se tu non hai il coraggio di affrontare Cuniperto a duello, non mi avrai più alleato in tuo aiuto". E, detto ciò, si precipitò fuori dal campo e si rifugiò presso Cuniperto, raccontandogli quanto era avvenuto. Si disposero dunque i due schieramenti, come abbiamo detto, nella pianura di Cornate. Ed essendo ormai giunto il momento in cui dovevano scontrarsi, Seno, diacono della Chiesa di Pavia, che era guardiano della basilica del beato Giovanni Battista, posta dentro le mura della città e un tempo fatta costruire dalla regina Gundiperga, poiché amava il suo re e temeva che potesse essere ucciso in guerra, così gli disse: "O re mio signore, la nostra vita sta tutta nella tua salvezza. Se tu morissi in guerra, quel tiranno di Alahis ci ucciderebbe tutti con supplizi di ogni genere. Così ascolta il mio consiglio. Dammi la tua armatura e io andrò a combattere contro quel tiranno. Se io morirò, tu potrai risollevare le tue sorti. Se io vincerò, maggiore sarà la gloria che ne avrai, poiché avrai vinto grazie a un servo". Poiché il re diceva che non lo avrebbe mai fatto, i suoi fedeli che gli stavano vicino cominciarono a chiedergli con le lacrime agli occhi che desse il suo consenso a quanto il diacono gli aveva proposto. Vinto infine dalle loro preghiere e dalle lacrime, poiché era di animo pio, diede la sua corazza, l'elmo, gli schinieri e le altre armi al diacono, che andò alla battaglia al suo posto. Il diacono era della sua stessa statura e portamento, sicché quando uscì armato dalla tenda fu creduto da tutti re Cuniperto. Così si attaccò battaglia e si combatté con tutte le forze. E volgendosi Alahis soprattutto dove pensava fosse il re, credendo di uccidere Cuniperto, uccise invece il diacono Seno. E avendo ordinato di tagliargli la testa perché fosse infilzata sulla lancia e potesse rendere grazie a Dio, toltogli l'elmo si accorse di aver ucciso un chierico. Allora, furibondo esclamò: "Ohimè, non abbiamo risolto niente, poiché in questa battaglia tutto quello che abbiamo fatto è stato di uccidere un chierico. Ora faccio questo voto, che se Dio mi darà la vittoria, riempirò un pozzo intero con i testicoli dei chierici". 

41. Ancora la guerra fra Cuniperto ed Alahis. Vittoria di Cuniperto, che rientra trionfante a Pavia (Libro quinto)

“Frattanto Cuniperto, visto che i suoi stavano vacillando, subito si mostrò a loro e rafforzò nei cuori di tutti la speranza della vittoria. Vengono di nuovo ordinati i ranghi e, da una parte Cuniperto dall'altra Alahis, si dispongono alla battaglia. Essendo ormai giunto il momento dello scontro fra i due eserciti, Cuniperto di nuovo mandò a dire ad Alahis queste parole: "Vedi quanta gente è schierata da una parte e dall'altra: che bisogno c'è che tanti uomini muoiano? Scontriamoci noi, tu e io, a duello e a chi di noi due Dio vorrà concedere la vittoria tocchi tutto questo popolo, salvo ed incolume". E poiché i suoi lo esortavano ad accettare ciò che Cuniperto gli proponeva, Alahis rispose: "Non posso farlo, poiché fra le sue insegne vedo l'immagine di san Michele arcangelo, su cui io ho fatto giuramento". Allora uno dei suoi: "Per paura - disse - vedi quello che non c'è; e ormai è troppo tardi per pensare a queste cose". Così le due schiere si scontrarono, fra lo strepito delle trombe, e senza che nessuna parte cedesse all'altra vi fu una gran strage di soldati. Finalmente il crudele tiranno Alahis cadde morto e Cuniperto con l'aiuto di Dio ottenne la vittoria. Allora l'esercito di Alahis, avuta notizia della morte del suo capo, si diede alla fuga e dei suoi chi non morì di spada annegò nell'Adda. La testa di Alahis fu mozzata, le sue gambe tagliate e il suo cadavere ridotto a un tronco informe. A questa battaglia l'esercito cividalese non partecipò, poiché, avendo prestato giuramento contro la propria volontà ad Alahis, non volle portare aiuto né ad Alahis né al re Cuniperto e quando cominciò la battaglia se ne tornò a casa. Morto in questo modo Alahis, re Cuniperto diede ordine di seppellire con tutti gli onori il corpo del diacono Seno davanti alle porte della basilica del beato Giovanni, che egli aveva retto. Accingendosi a regnare fra l'esultanza di tutti e col trionfo della vittoria, tornò poi a Pavia”. 

17. Morte di re Cuniperto e regno di suo figlio Liutperto. (Libro sesto)

“In questo periodo (700) Cuniperto, re amato da tutti, dopo aver tenuto per dodici anni, da solo, il regno dei Longobardi, fu privato della vita terrena. Egli costruì, nella piana di Cornate, dove aveva combattuto contro Alahis, un monastero in onore del beato Giorgio martire. Fu un uomo raffinato, pieno di bontà, audace in guerra…” 

Passengiando nella piana tra Cornate e Trezzo sull’Adda, oggi non si ode più il clangore della battaglia tra gli eserciti longobardi, né il cozzare delle spathe e degli scramasax contro gli usberghi; tuttavia, basta fare quattro passi nel centro di Cornate per scoprire a chi è intitolata la chiesa parrocchiale: a S. Giorgio martire, ovviamente!