L'antica pieve di Pontirolo


Nel Medioevo, Trezzo e Vaprio d'Adda appartenevano alla pieve di Pontirolo, confinante, a Ovest, con le pievi milanesi di Gorgonzola, Vimercate e Brivio; a Nord e a Est, con la Diocesi di Bergamo; a Sud, con quella di Cremona.

Il problema dell'originaria dipendenza della pieve dal Vescovo di Bergamo o dall'Arcivescovo di Milano è stato oggetto di secolari discussioni, che traevano argomento dalla grande vastità della circoscrizione pievana, estesa di qua e di là dall'Adda e dal fatto che la chiesa pontirolese, anche quando risultò con certezza appartenere alla Diocesi ambrosiana, seguì sempre il rito romano. Ma, fino a che non sia stato effettuato uno spoglio attento della documentazione esistente per tutte le località della Pieve, non si può sperare di aggiungere molto a quanto fin qui si è detto, né, tanto meno, di risolvere il problema in modo soddisfacente. Benché, infatti, la tradizione voglia che la Canonica di Pontirolo sia stata fondata dalla regina Teodolinda, i documenti in cui si parla della Pieve non sono numerosi e, soprattutto, sono piuttosto tardi: precisamente, risalgono al XII secolo. La più antica menzione di Pontirolo come capopieve è, infatti, del Settembre 1134. A quella data, Enrico e Andrea, detti de Rode, furono investiti nomine pignoris, per tre anni, di tre parti dei redditi (ordines) in Arcene, Verdello e Pontirolo, da Arialdo, Preposito della chiesa pontirolese, il quale, evidentemente, si trovava in difficoltà economiche. Presso la chiesa pievana, esisteva già, dunque, una Canonica, che comprendeva almeno sette membri: oltre a quella del Preposito, infatti, il documento riporta la sottoscrizione di cinque chierici e di un sacerdote. Non sappiamo se il provvedimento preso da Arialdo sia servito a risolvere i problemi economici della Canonica; certo è che, attorno alla metà del secolo, i Prepositi si trovarono di fronte a difficoltà di genere diverso. Tre documenti ci mostrano, infatti, che erano in atto - e da più parti - contestazioni miranti a sottrarre terre o diritti alla Pieve, la quale, dovendo difendersi, ad un certo punto fece ricorso al Papato. Nel 1149, una controversia tra la chiesa di Pontirolo e il Monastero di S. Sepolcro di Astino, a proposito di alcuni appezzamenti di terra in Levate, fu terminata con una transazione: il 2 Aprile di quell'anno, il Preposito di Pontirolo e il prete Martino, detto de Levate, con il consenso dei chierici ordinari della Pieve, 14 dei quali sottoscrissero il documento relativo, rinunciarono alle terre contestate, dietro pagamento, da parte del Monastero di Astino, di 60 soldi di buoni denari milanesi d'argento; di questi, 20 dovevano servire a pagare le spese della causa e 40 furono impiegati nell'acquisto di una terra per conto della chiesa di Levate, evidentemente a titolo di risarcimento per le terre cedute nella transazione.

Nel 1155, era invece il Monastero cluniacense di Pontida a insidiare le decime della pieve di Pontirolo, soprattutto nella località di Arcene. Questa volta, il Preposito si rivolse ad Adriano IV, che, il 3 Novembre, inviò un severo richiamo al Monastero, ordinandogli di non usurpare i diritti del pievano e di restituire quanto gli avesse eventualmente sottratto.

Molto importante è un altro documento rilasciato da Adriano IV qualche mese prima, anch'esso, evidentemente, sollecitato dalla canonica pontirolese per arginare nuove usurpazioni o contestazioni possibili o in atto. Il 23 Giugno di quell'anno, infatti, il Papa concedeva al Preposito e ai suoi confratelli la protezione apostolica, stabiliva che dovessero continuare a vivere vita comune, come avevano cominciato a fare poco tempo prima per ispirazione divina e confermava possessi e beni della chiesa; di essi, dopo aver menzionato le terre in cui la pieve aveva diritto di decima, dava un elenco. Si trattava di 36 località, site sui due lati dell'Adda, i cui nomi ci danno un prezioso quadro dell'estensione della pieve poco dopo la metà del XII secolo. La riserva per i diritti dell'Arcivescovo di Milano, inoltre, indicava chiaramente che, a quella data, Pontirolo apparteneva alla Diocesi ambrosiana. Per avere un altro quadro complessivo della pieve pontirolese, bisogna arrivare alla fine del XIII secolo, e al Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, singolare documento, nel quale, a seguito delle vite dei Santi venerati nel Milanese, troviamo un elenco delle chiese e degli altari ad essi dedicati nella città e nel contado. Nella lista finale delle chiese soggette alle singole pievi, vediamo attribuite a Pontirolo 54 chiese, con 60 altari, senza contare le esenti e quelle soggette ad un altro episcopato, cioè all'episcopato di Bergamo. Dal corpo del Liber, risulta, poi, che quelle chiese erano suddivise in una trentina di località.

Archivio della Curia Arcivescovile di Milano: mappa della pieve di Pontirolo - con le principali chiese dipendenti - allegata alla relazione sulla visita pastorale di S. Carlo Borromeo del 1566.

Attorno alla metà del XIV secolo, un Preposito di Pontirolo, Giulio Visconti, cominciò a vantare e ad esercitare speciali prerogative: nominò il chierico beneficiale di una delle cappelle soggette alla sua autorità, concesse lettere dimissorie ad un altro chierico, si qualificò più volte giudice ordinario nella sua pieve. Nel 1360, Giulio Visconti venne citato davanti al Vicario generale in spiritualibus dell'Arcivescovo milanese Roberto Visconti, per rispondere di abusi di giurisdizione «quasi episcopale». Il Preposito, infatti, il quale, come si è detto, si definiva giudice ordinario, era accusato di esaminare, nella sua pieve, cause civili e criminali non solo tra ecclesiastici, ma anche tra laici, emettendo sentenze di scomunica, interdetto, sospensione e di concedere lettere commendatizie perché venissero conferiti gli ordini. Davanti al tribunale dell'Arcivescovo, il Visconti ammise quanto gli veniva contestato; dichiarò, però, che questo non era un abuso da parte sua, ma rientrava nelle prerogative dei Prepositi pontirolesi, come poteva provare citando l'esempio dei suoi predecessori. Il Vicario dell'Arcivescovo affidò l'esame della questione al Preposito di Desio, il quale, il 21 Dicembre, diede un parere sostanzialmente favorevole al suo collega di Pontirolo, sia pure con qualche limitazione: dichiarò, infatti, provato il diritto del Preposito di visitare le chiese della pieve, di promuovere laici al chiericato, conferendo loro la prima tonsura, di esaminare cause tra ecclesiastici e tra civili e di emettere sentenze di scomunica e di interdetto, non, però, di sospensione o di deposizione del beneficio, in quanto tale decisione spettava unicamente all'Arcivescovo. Così pure, il Pievano di Pontirolo non poteva concedere lettere commendatizie, né, dopo la prima tonsura, promuovere agli ordini sacri. La vicenda non ebbe, tuttavia, ulteriori sviluppi ufficiali: ancora il 13 Gennaio 1361 i rappresentanti del Preposito e dei Canonici pontirolesi chiedevano, infatti, con insistenza al Vicario generale che il parere del Preposito di Desio fosse reso pubblico e che, in conformità ad esso, venisse stesa una sentenza regolare. Evidentemente, quindi, le prerogative particolari della pieve di Pontirolo erano apparse provate a sufficienza dalla documentazione di sostegno esibita dagli interessati, ma la Curia arcivescovile non era disposta a riconoscerle ufficialmente. Anche in mancanza di una sentenza, tuttavia, i Prepositi di Pontirolo non rinunciarono ad esercitare quelli che ritenevano loro diritti ed, anzi, ad ampliare la loro sfera di azione: continuarono a proclamarsi giudici ordinari nel XV e nel XVI secolo; uno di loro, nel 1520, concesse più volte indulgenze e, nel 1523, autorizzò la costruzione di una chiesa a Castel Rozzano; un altro, nel 1541, eresse la confraternita del Corpus Domini di Treviglio; un altro ancora, nel 1567, convocò un sinodo pievano, dichiarando di esercitare la giurisdizione ordinaria episcopale, nella sua pieve, sia in virtù di privilegi sia per antichissima consuetudine. Ma, nel XV, secolo la situazione della canonica e lo stato della pieve sembrano denunciare una notevole decadenza: dagli Statuti canonicali, emanati nel 1484, emerge che i Canonici residenti erano soltanto sei e che, ormai, era invalso l'uso - a cui si tentava di porre un rimedio - di non partecipare alle funzioni capitolari, pur continuando a godere delle prebende. La situazione non migliorò in seguito: alcuni Canonici furono sottoposti a processi criminali, nel 1534; nel 1550, la chiesa era in rovina, nelle mani di banditi e di gente di malaffare, soprattutto di provenienza bergamasca; il fenomeno della non residenza, inoltre, si era accentuato per l'ostilità dimostrata da alcuni Canonici nei confronti dei confratelli che volevano ottemperare agli obblighi liturgici. Da quando san Carlo cominciò le sue visite pastorali alla Diocesi, la pieve di Pontirolo fu visitata per ben cinque volte, tra il 1564 e il 1577. Il quadro che l'Arcivescovo milanese ne ricavò era fortemente negativo; la pieve era molto vasta: nel suo ambito, si trovavano 34 parrocchie, più altre chiese e cappelle; ma, di 21 Canonici, solo nove erano residenti e, tra questi, non vi era il Preposito, che, per di più, era solo chierico, come, del resto, altri membri del Capitolo. L'abitato di Pontirolo era ridotto a poco più di una trentina di case e, posto com'era al confine tra Milano e Venezia, era soggetto a scorrerie di vagabondi e di briganti, con grave danno dei beni e dei redditi ecclesiastici; la cura e la manutenzione della chiesa erano state a tal punto trascurate, che gli uffici divini, non frequenti né regolari, erano celebrati in sacrestia; la Canonica, infine, era in rovina. L'Arcivescovo decise, pertanto, di sopprimere la Collegiata e di trasferire il capitolo, con la maggior parte dei benefici relativi, alla chiesa milanese di S. Stefano in Brolo. Dopo un primo decreto nel 1577, che ottenne l'approvazione della Santa Sede, il documento definitivo in cui si decretava la soppressione venne redatto il 1° Settembre 1578. Il provvedimento non fu accolto senza opposizioni, soprattutto da parte di alcuni Canonici pontirolesi e dei fedeli stessi; queste, però, non sortirono alcun effetto. L'antica pieve fu, così, smembrata: delle località situate in territorio bergamasco, una parte fu attribuita alla chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Verdello, eretta appositamente in prepositura, e passò alla diocesi di Bergamo; una parte venne sottoposta a Treviglio, dove, nel 1585, fu trasferita la prepositura e la plebania. Le località a Ovest dell'Adda, rimaste senza chiesa matrice, furono successivamente riunite sotto la chiesa di Trezzo, eretta in prepositura plebana. Treviglio e Trezzo, pur continuando a far parte della Diocesi ambrosiana, conservarono, però, l'uso del rito romano, ultima traccia dell'antica pieve di Pontirolo.