La
dichiarazione di guerra
Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere
della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne
d'Italia, dell'impero e del regno d'Albania! Ascoltate!
Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra
patria. L'ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata
(Grida altissime di "Guerra! Guerra!") agli
ambasciatori
di Gran Bretagna e di Francia.
Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e
reazionarie dell'occidente che, in ogni tempo,
hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato
l'esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono
riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e,
alla fine, quale coronamento dell'edificio, l'ignobile
assedio societario di cinquantadue stati.
La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi
il mondo intero è testimone che l'Italia del
littorio ha fatto quanto umanamente possibile per evitare
la tormenta che sconvolge l'Europa; ma tutto fu
vano.
Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli
esigenze della vita delle nazioni e non considerarli
intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la
stolta politica delle garanzie, che si è palesata
soprattutto
micidiale per coloro che le hanno accettate; bastava non
respingere la proposta che il Fuhrer fece il 6
ottobre dell'anno scorso, dopo la finita campagna di
Polonia.
Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se poi oggi
siamo decisi ad affrontare i rischi e i sacrifici di una
guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire
ferramente lo impongono, poichè un grande popolo è
veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non
evade dalle prove supreme che
determinano il corso della storia.
Noi impugnamo le armi per risolvere, dopo il problema
risolto delle nostre frontiere continentali, il
problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo
spezzare le catene di ordine territoriale che ci
soffocano nel nostro mare, poichè un popolo di
quarantacinque milioni di anime non è veramente
libero se non ha libero accesso all'oceano.
Questa lotta gigantesca non è che una fase dello
sviluppo logico dela nostra rivoluzione; è la lotta dei
popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori
che detengono ferocemente il monopolio di tutte
le richezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei
popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e
volgenti al tramonto; è la lotta tra due secoli e due
idee.
Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha
bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro
solennemente che l'Italia non intende trascinare nel
conflitto altri popoli con essa confinanti per mare o
per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto
prendano atto di queste mie parole e dipende da
loro, soltanto da loro, se esse saranno o no
rigorosamente confermate.
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi
che, secondo le leggi della morale fascista,
quando si ha un amico si marcia con lui fino in fondo.
("Duce! Duce! Duce!") Questo abbiamo fatto con
la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose
forze armate.
In questa vigilia di un evento di una portata secolare,
rivolgiamo il nostro pensiero alla maestà del re
imperatore che, come sempre, ha interpretato l'anima
della patria. E salutiamo alla voce il Fuhrer, il
capo della grande Germania alleata (Il popolo acclama
lungamente all'indirizzo di Hitler.)
L'Italia proletaria e fascista, è per la terza volta in
piedi, forte, fiera e compatta come non mai. (La folla
grida:"Sì!") La parola d'ordine è una sola,
categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e
accende
i cuori dalle Alpi all'Oceano indiano: vincere! (il
popolo prorompe in altissime acclamazioni.)
E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace
con la giustizia all'Italia, all'Europa, al
mondo.
Popolo italiano!
Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo
coraggio, il tuo valore!
10 giugno 1940
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