Recensioni
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Stregati da Blair
"L'evento cinematografico dell'anno", così c'è stato presentato questo film. Avvalendosi di una campagna pubblicitaria maestosa, ed oggettivamente ben architettata, The Blair sembrava destinato a porre una pietra miliare sul genere horror, e turbare per parecchie notti i nostri sonni. Dopo la visione del suddetto, l'impressione è quella che ci si trovi davanti ad un buon prodotto, ma niente di così sconvolgente e definitivo. Il film, girato mescolando riprese in digitale e pellicola, comincia a "disturbare" dopo pochi minuti, con le sue riprese completamente fatte a mano, mosse e a volte sfocate, che effettivamente creano una situazione di scompenso, per lo meno visivo. Conoscendo già dall'inizio la trama, ci si aspetta, da un momento all'altro, che qualcosa di veramente spaventoso accada, in questo bosco infestato; ma non sarà così. Tutto accade, nel senso che uno ad uno i personaggi seguiranno il loro triste destino, ma lo stile utilizzato, del far intuire più che vedere, alla lunga non regge molto bene. I momenti di vera angoscia sono scarsi, e non si ha mai quel vero sussulto di terrore; c'è un'ansia diffusa che pervade lo spettatore di questo film, ma niente di più. Si ha come l'impressione, che più che un'opera dell'orrore, The Blair sia un viaggio nella psicologia umana, alla costante ricerca degli scompensi che possono catturare l'uomo, allorché si ritrovi in contesti non molto ortodossi. Se il film è letto in questa chiave, risulta sicuramente riuscito, e la sua realizzazione incontestabile, con un'escalation emotiva che coinvolge gli interpreti credibile ed avvincente .Probabilmente il vero punto di forza di questa produzione sta negli attori, tutti molto bravi ed egregiamente diretti. Vedere dei ragazzi qualunque, che si ritrovano in una situazione disperata sicuramente scuote il nostro immaginario, e il fatto che la loro recitazione sia così spontanea e immediata, non che fa rendere il tutto più reale e credibile. Rimane quell'indefinibile sapore di non visto, di non accaduto, di quel qualcosa che veramente faccia PAURA. In definitiva un film soddisfacente, soprattutto per la sua realizzazione originale e fuori dai classici schemi americani, che però non possiede quella marcia in più, che da un buon film, qual è, lo renderebbe un capolavoro.
Matteo Catoni
Ma è ancora cinema questo?
Si parla di "Blair Witch Project", il "film" di cui tutti sapevano già tutto, ma che ciononostante sono andati a vedere lo stesso . Ho messo la parola film tra virgolette, perchè al confronto di questa pellicola, "Buio Omega" di Massaccesi sembra un Lubitsch . Resta il fatto che non c'è nemmeno un secondo buono in
questa brutta miscela di horror e cinema veritè per i poveri di spirito : BWP è un'ora e ventisette minuti di decerebrata spazzatura visiva, il solo e fortunato prodotto di un' incredibile operazione massmediologica, che è riuscita a prendere tutti per il naso, buoni e cattivi, (me compreso), sfruttando semplicemente la nostra stupidità ... A circa 24 ore dalla visione, mi risulta frustrante dover pensare che un pessimo prodotto come questo, sia potuto diventare per colpa solo nostra un caso cinematografico ... E oltretutto BWP non
fa paura a nessuno ... Dopo una decina di minuti di quadrato traballante, infatti, l' azione già scarseggia, con conseguenti sbuffi e stiracchiamenti degli spettatori in sala (il colmo è che gli stessi Heather, Josh e Mike, annoiandosi a morte si perdono in discorsi stupidi e volgari, e che quest'ultimo addirittura non trovi di meglio a un certo punto che sbadigliare e mangiare foglie secche), e più il tempo passa più aumenta la nostra voglia di spegnere le videocamere dei 3 (brutti e antipatici) protagonisti e tornarcene a casa . E il finale, per giunta, è di quelli che non solo non si vede il mostro (credo si sia detto per problemi di budget...), ma che viene anche voglia di farsi rimborsare il biglietto (sempre che qualche sciagurato come me avrà avuto la pazienza di attenderlo il finale, si intende) . Daniel Myrick e Eduardo Sanchez (II), non sono altro che delle oramai ricche e famose braccia rubate all' agricoltura . Voglia il cielo che non ritornino col (già previsto) prequel (o sequel) .
Andrea Carpentieri
Un esperimento amplificato dai media
Che dire, piu' che un film e' diventato un fenomeno di
costume, un grande inganno cinematografico che una furbissima campagna pubblicitaria ha
trasformato in un appuntamento immancabile. Difficile limitare le aspettative,
ma bisogna riconoscere che l'effetto
documentario funziona, forse non avvince come vorrebbe ma permette
allo spettatore di immedesimarsi nella situazione dei protagonisti fino al
terribile finale, sicuramente la parte piu' efficace del finto docu-drama.
La storia penso sia nota a tutti con tre ragazzi che decidono di
introdursi nei boschi del Maryland per ripercorrere le tappe di un'antica leggenda su
una strega che uccideva i bambini. Manca una vera e propria escalation
emotiva con reazioni spesso esagerate o poco stupite, ma e' difficile dire
come ci si sarebbe comportati in una situazione analoga dove la
razionalita' ha ben poco spazio. Perche' non salire su un albero, accendere un fuoco, seguire il fiume
oppure provare a difendersi con qualche arma invece che con l'ingombrante
telecamera? Tutte domande che sorgono spontanee e le cui risposte rendono la
costruzione del film un po' forzata, soprattutto nella parte centrale che gira un po'
a vuoto, ma non tolgono nulla al terribile epilogo che lascia, anche per la
sua non immediatezza, davvero impauriti.
Insomma, un esperimento in parte riuscito che solletica la morbosa
curiosita' dello spettatore e deve a un'idea intelligente e ad una
promozione astuta e un po' fedifraga la sua fortuna.
Speriamo solo non diventi una moda con fior di emulatori! Luca
Baroncini
Cui Project?
Ci sono film, in genere non più di uno o due l'anno, la cui visione diventa una sorta di dovere sociale, un imperativo categorico al quale nessun cinefilo ha il coraggio di disobbedire. "The blair witch project" rientra prepotentemente in questa ristretta categoria e ne rappresenta, anzi, una sorta di archetipico prototipo: un caso ancor prima di giungere nelle sale, con le solide basi di una leggenda costruita ad arte su Internet, il "costo zero" o giù di lì, gli incassi spropositati, tutti elementi che concorrono a far lievitare la febbre della strega e a riempire le sale. Già. Ma com'è, in realtà, questo TBWP? Partiamo dall'idea di base, ossia l' "artificio retorico" del falso documentario: niente di nuovo, già una ventina d'anni fa il nostro Ruggero Deodato girò il discutibile e controverso (ma cult) "cannibal holocaust" ricorrendo a questo furbesco espediente, economico e di sicuro effetto; più di recente, tre giovani registi belgi finsero di girare un documentario sulle gesta di un feroce serial killer in "c'est arrivé près de chez vous" (da noi "tradotto" in "il cameraman e l'assassino") che oltretutto si concludeva in maniera simile a TBWP, ossia con la morte dei registi e l'inquadratura finale ripresa da una cinepresa caduta di mano all'ultimo, morituro sopravvissuto. Logica conseguenza di tale impronta documentaristica è l'estetica tutt'altro che curata di TBWP che risulta programmaticamente "brutto" da vedere, grezzo, con immagini sgranate, perennemente traballanti e un'alternanza di immagini video e altre girate in 16mm che non sembra nascondere nessuna poetica particolare, cosa che invece accadeva, solo per fare un esempio, in "nick's movie" di Wenders (in video era girata la malattia di Ray, e il cinema appariva come "infettato" dalla verità "sporca" e drammatica delle immagini video stesse). Discorso simile lo si può fare per la recitazione: in un tale contesto di non-film si è portati a sorvolare su eventuali impacci, incertezze, stonature degli attori che possono permettersi il lusso di "esserci" senza dover fornire interpretazioni memorabili. Questione a parte è invece quella del doppiaggio, prima nota veramente dolente visto che le voci italiane "appiccicate" sostituiscono le originali in presa diretta e dunque molto più veritiere e credibili, il che per un film del genere è davvero tutto (o quasi). L'effetto è straniante, fastidioso e assolutamente nemico della suspension of disbelief indispensabile per lasciarsi andare ad una visione che riesca a suscitare emozioni, paure ed angosce.
E' infatti l'impatto emotivo il vero banco di prova per TBWP, costruito proprio per impaurire, che risulta altrimenti impossibile da giudicare secondo criteri cinematografici, per così dire, canonici. Fa paura 'sto film? Istintivamente verrebbe da rispondere di no, ma in realtà nessuno spettatore italiano che si sia recato nelle sale a partire dalle 15:30 di venerdì diciotto febbraio è "idoneo" a dire la sua sull'argomento; a parte la non trascurabile questione del doppiaggio, è soprattutto l'inaudita quantità di pubblicità (mai un'arma a doppio taglio fu più tagliente) che accompagna questo film a (forse) rovinarlo, visto che tutti vanno a vedere TBWP sapendo tutto di TBWP: storia, finale, aneddoti vari ma soprattutto il fatto che non vedremo nulla oltre ai tre sventurati e al bosco, il che azzera la tensione del "cosa salterà fuori dal buio?". Davvero fastidioso. Si ha voglia di avere paura ma non si è messi nelle condizioni per averne, si aspetta un'apparizione che sappiamo non apparirà mai, si segue una vicenda incerta certi di come andrà a finire e si cercano "sorprese" che non andrebbero "cercate" per definizione. C'è da scommettere (forse…ancora) che in condizioni diverse, con meno aspettative e meno consapevoli di quello che ci attende, il film dei due furbacchioni farebbe un altro effetto, ma così come stanno le cose è solo possibile intuire cosa avrebbe (forse…e tre) potuto essere. Un po' poco per pronunciarsi.
Gianluca Pelleschi
Buio in sala
Il più grande incantesimo che 'la strega di Blair' ha lanciato è stato indubbiamente quello di trasformare un film in un autentico fenomeno di costume. L'interesse e la curiosità del pubblico verso questa pellicola sono cresciuti via via attraverso canali informali e attraverso un sapiente gioco di assenze che tanto gli autori quanto la distribuzione hanno saputo costruire. Già dal trailer infatti ci si rende conto che la forza e la suggestione di questo film stanno nel lasciare intuire qualcosa senza aver mostrato niente e, a partire da ciò, montare un 'caso' che finisce, indipendentemente dal giudizio, sulla bocca di tutti. E non si parla di The Blair witch project solo come dello 'strano film dell'anno', ma se ne parla come della 'cosa che circola' investendo svariati mezzi e modi di comunicazione: il libro, i documentari, gli approfondimenti in TV, addirittura il disco delle 'musiche ispirate al film', che è sicuramente il più divertente simbolo del genere di prodotto che 'la strega di Blair' è: un prodotto in grado di generare un lp a partire dall'assenza di colonna sonora. La modernità più profonda di questo film è quindi proprio nell'apparato che gli si è costruito intorno, a partire dall'utilizzo della rete che gli autori già si apprestano a ripetere per il loro nuovo e curioso progetto, Heart of Love, per il quale già esiste un sito dove si raccolgono i 'contributi' del pubblico per poter 'costruire il progetto': linguaggio questo che ben si addice alla caratteristica essenziale del lavoro di Myrick e Sanchez: la fumosità. Eppure, anche se il film deriva il suo fascino proprio da questa fumosità, non si può dire che esso sia una noiosa nuvola di fumo.
Accettata la stranezza del modo di raccontare la storia, The Blair witch project coinvolge lo spettatore senza promettere niente e attenendosi strettamente alla pratica documentaria a partire dalla didascalia iniziale che ci avvisa che stiamo per assistere al modo in cui tre ragazzi hanno 'fatto finaccia'.
Si entra nella sala con un sovraccarico di informazioni sul film, sui registi, sui misteri e tutto il resto; dopo mezz'ora non ne rimane più nulla: si rimane al buio, con i tre protagonisti e il bosco. Il film coinvolge anche se gli spettatori sanno che non vedranno niente: si comincia a prestare attenzione a ogni rumore e a ogni fotogramma , si assiste senza noia allo schema ripetitivo del secondo tempo; addirittura si riesce a stare, nelle scene notturne, per cinque minuti con lo schermo nero e le voci in sottofondo senza tirare uno sbadiglio; fino alla bellissima sequenza finale nella quale i due ragazzi rimasti si imbattono, esaurita ogni riserva di autocontrollo, nella casa; non vista da loro durante il giorno, non capita da noi mentre le cose terminano. Vediamo uno di loro faccia al muro, come i bambini uccisi tanti anni prima, ci si rende conto che il film è veramente concluso.
Probabilmente è capitato a parecchi di sentire (o lanciare) qualche improperio sui titoli di coda, ma una reazione del genere testimonia che il film è riuscito: a partire dal nulla, dal buio, dalla mancanza di musiche ha creato un'aspettativa altissima che si schianta insieme ai protagonisti nella rocambolesca scena finale.
Certo, il rischio che il film venga svilito dall'inevitabile apparato commerciale e dai probabili sequel che saranno girati è alto; ma, preso in sé, The Blair witch project rimane uno spettacolo veramente avvincente.
Italo Tardiola
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