Recensioni
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Questa
è la realtà
Boys
don’t cry è un film vero. Vero perché non cerca di accattivare lo
spettatore con virtuosismi tecnici, vero perché non ha paura di mostrare
la realtà, spesso e volentieri misera, di un America irriconoscibile.
L’America di provincia, piccola come la mentalità dei suoi abitanti,
che non sanno vedere al di là dei loro nasi. Accade allora, che una
ragazza con serissimi problemi d’identità sessuale, Teena, si finga
uomo, e nonostante questo, sembri la persona più normale in mezzo ad una
massa di gente unidimensionale, priva di spessore ed incapace di vivere.
C’è un mondo fuori che scorre impazzito, eppure così vicino e
raggiungibile; bisognerebbe avere il coraggio di prenderlo ed insieme ad
esso la propria esistenza. Ma c’è un muro invisibile fatto di
debolezze, che attanaglia tutti i personaggi di questo lavoro, e che gli
impedisce d’essere reali. Non resta che chiudersi nel proprio privato,
fatto di vizi, di retorica, di finti ideali, ed è tutto qui. Che effetto
può avere in questo contesto una donna che non riesce ad esserlo? E che
succede se qualcuno s’innamora di lei, Lana, e lotta contro la verità,
fugge dal suo mondo, e si convince, che quell’amore impossibile, sia in
realtà fattibile e bellissimo? Andrebbe tutto bene, probabilmente, se si
vivesse in un luogo normale, ma il reato dell’ignoranza, è in questo
luogo il più comune. Qualcuno si sente in dovere di fare giustizia, di
eliminare quell’errore della natura, che appare così diverso alle loro
menti ottuse. E Teena sarà uccisa, da due ragazzi del luogo, in un
omicidio che più che di giustizia, sa di rivalsa. Persone che non hanno
avuto niente dalla vita, diventano gli unici custodi dell’esistenza di
qualcun altro, che ha come unica colpa, il manifestare la sua vera natura.
Gente che non vale nulla, si arroga il diritto di decidere la vita e la
morte d’innocenti, in un finale così tragico che ti gela il sangue. E
questa è l’America, questa la morte, questa la tragedia di un film
crudo, che ti butta addosso la verità, e che ha veramente poco della “
Bellezza americana”.
Matteo Catoni
Virtuosismo d'attrice in un film
scomodo e attuale
Com'e' triste la provincia americana
nell'interessante film di Kimberly Pierce tra giornate in cui, nonostante
la noia latente, non c'e' alcuno spazio per la realizzazione dei propri
sogni e tutto pare ruotare intorno a tacite leggi di apparente equita',
tramandate di generazione in generazione. Non c'e' spazio in questo
deserto per Brandon, che si sente uomo in un corpo di donna e segue con
spontaneita' le sue pulsioni senza lasciarsi vincolare dal possibile
giudizio degli altri. Il film segue il cammino di Brandon con un taglio un
po' a tesi che contrappone la purezza della protagonista allo squallore
delle persone che la circondano. Dopo una prima parte preparatoria, che
ben caratterizza l'atmosfera in cui si muovono i personaggi, la
degenerazione degli eventi e' ben calibrata e la tensione sale gradualmente
rendendo tangibile la violenza psicologica e fisica che subisce la protagonista
per la sola colpa di essere se stessa. Restano alcuni dubbi sulla dinamica dell'atto
sessuale per Brandon e risulta poco chiara la scansione temporale in cui
si svolge il tragico epilogo, ma il film funziona e sembra fatto apposta
per scuotere il pubblico dal facile torpore delle scelte per forza giuste
o per forza sbagliate. Nella provincia americana come dovunque!
Luca Baroncini |