EYES WIDE SHUT
(Eyes Wide Shut)

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REGIA:    
Stanley KUBRICK

PRODUZIONE:  Gran Bretagna   -   1999   -   Drammatico

DURATA:  153'

INTERPRETI:
Tom Cruise, Nicole Kidman,
Sidney Pollack, Marie Richardson, Todd Field,
Rade Serbedzija, Alan Cumming, Vanessa Shaw

SCENEGGIATURA:
Stanley Kubrick - Frederic Raphael
(dal romanzo breve "Doppio Sogno" di Arthur Schnitzler)

FOTOGRAFIA: 
Larry Smith

SCENOGRAFIA: 
John Fenner

MONTAGGIO: 
Nigel Galt

COSTUMI: 
Marit Allen

MUSICHE: 
Jocelyn Pook

Trama

Il Dr. William Harford, conduce una vita tranquilla, ma in seguito alle sconcertanti rivelazioni della moglie, circa un tradimento, peraltro solo immaginato, perderà ogni certezza, e si troverà immerso in situazioni che sembrano opera del più perfido dei destini.

Recensioni

 

 

 

L'Ultima Sinfonia

Descrivere, o semplicemente parlare dell'ultima opera di Kubrick è qualcosa d'arduo, perché il pensiero non va direttamente al film, ma all'idea che questa sia la sua ultima opera. Superato questo momento d'impasse, e accingendoci a discutere su questo film, le idee impazzano nella mente. C'è tutto il Kubrick-pensiero in quest'opera, e tutti i tratti distintivi che caratterizzano il suo cinema: dal protagonista maschile, in lotta con se stesso e contro il destino, al senso di impotenza dinanzi alle circostanze che il mondo ci tira addosso, al formalismo tecnico, limpido ed impeccabile che contraddistingue ogni sua opera. Questa non è semplicemente la storia di una coppia, è il viaggio attraverso la complicità tra i sessi, alla scoperta di forze primordiali positive (il senso della famiglia) o negative (il tradimento) e tutto ciò che riguarda la sfera sessuale dell'uomo e della donna. Il protagonista, sicuro nel suo guscio, formato dalla famiglia e dal suo lavoro (avete pensato a quante volte ostenta il suo patentino da medico come un magico talismano che possa aprirgli ogni porta?) si ritrova in un attimo svuotato di ogni certezza e pronto ad appagare ogni più recondito spirito animalesco che riguarda la sfera sessuale, ora che non ha più un punto di ancoraggio. Il conflitto con la moglie, nato per gioco potrebbe portare alla fine della storia, e al termine del film il dubbio rimane, anche se l'ultima battuta della Kidman, ci sorprende e spiazza in maniera disarmante; "La cosa che dovremmo fare al più presto è scopare". Il gusto dell'imprevisto e della sorpresa dinanzi a queste parole è molto, ma passa in secondo piano nei confronti di quella che è la frase testamento del regista, che ci riconduce sul piano della fisicità, annullando i sentimenti fino ad allora indagati nel film. Il ritorno di Kubrick al concetto di uomo come specie, e come desiderio di appagare i bisogni della fisicità. La grandezza di quest'opera, è pressoché insindacabile; perfetta nella regia, nella sceneggiatura, impeccabili gli attori (la Kidman è strepitosa); la scena dell'orgia è un esempio di pura arte, una di quelle sequenze che portano di diritto il cinema nell'olimpo delle arti maggiori. Definire Eyes Wide Shut un Kubrick minore è un'eresia, e in parte l'ammissione di non aver compreso la sua opera come un qualcosa di globale, che scorre di film in film. Naturalmente stroncato dalla critica di mezzo mondo, e non calcolato nell'assegnazione degli Oscar; del resto Hollywood non gli ha mai perdonato di averlo abbandonato e dimenticato. Semplicemente un film immenso, non il più bel Kubrick, ma immenso.

Matteo Catoni


Traumfilm

La porta alla vita individuale passa per il riassorbimento delle sovrastrutture sociali, è l'angusto, spossante lume dato dalla visione onirica, ancora meglio incubatica: gli occhi chiusi nel sogno sono spalancati sui meccanismi del conflitto, quello eterno ed inevitabile tra natura e cultura (physis e nomos nella filosofia, quella primordia, greca, legge naturale e legge umana, giuridica) e quello, sperimentabile quotidianamente, tra individuo e imposizione collettiva delle convenzioni; lo scavallamento di queste due dimensioni in prospettiva di progetto esistenziale ottimistico, ecco quello che mette in scena Stanley Kubrick nel suo - in senso assoluto - ultimo film. 
Per ammissione di Kubrick medesimo il progetto di trarre un film dal romanzo breve di A. Schnitzler "Traumnovelle" era in attesa, tra i molti ("A.I." è l'altro ben noto), da parecchi anni, è quindi ovvio che nella sceneggiatura scritta a quattro mani con Frederic Raphael si siano condensate le esperienze e le idee maturate in un ampio periodo, valutabile nell'ordine dei trent'anni. 
La lettura, meglio, il viaggio in Eyes Wide Shut può seguire molteplici direzioni, ad un livello superficiale può essere interpretato come racconto di un sogno, di Bill Harford, della moglie Alice, dell'incastro tra le loro differenti ipnerotomachie od ancora della mise en scene di entrambe; pare invece a noi di intravedere un passaggio ulteriore cui da luogo la depurazione dei fattori di narrazione della narrazione, fino ad essere pura oggettivazione dell'estremo soggettivo ch'è la vita sognata: non costruzione di discorso, od almeno in forma limitata, quanto gioco sul palcoscenico del subconscio di un giovane medico newyorchese martoriato dalla lotta con e contro i propri impulsi erotici, un vanilla american nella definizione dello stesso Kubrick, sul modello di Harrison Ford da cui Harford, cognome del protagonista. 
In tal senso vanno lette le interpretazioni dei protagonisti, quella "imbarazzata" di Tom Cruise (continua la sua difficoltà nel gestire mani e sguardi), individuo sbalzato nel glamour sessuale del suo Io stereotipico/ancestrale e quella "teatrale" di Nicole Kidman, la sua Alice è estranea al mondo -non solo filmico- legata, pare, alla sola domesticità, al di fuori del lussuoso appartamento di New York gli atteggiamenti sono esagitati, eccessivi, barcollanti e specchio di infedeltà, non solo quella - reale? - coniugale quanto legati al senso di inadeguatezza, quello non è luogo che le pertenga: ricerca la certezza del senso, non l'ondivaga verità del meneur du jeu Sidney Pollack.
Protagonista reale ed indiscusso di Eyes Wide Shut è però la frustrazione, sessuale e sociale cui è vittima il benestante medico esposto all'inveire delle proprie pulsioni (im)mediate, sgorgate nella notte umida ed avvolgente, per luci e colori, della metropoli: luogo in cui l'individuo fonde la propria isolatezza con la costrizione sociale, rendendo visibili gli spettri del desiderio e del tormento (despair and deception love's ugly twins), la figlia del paziente defunto, la prostituta, le ragazze alla festa che vogliono portare Harford "alla fine dell'arcobaleno", l'orgia meccanizzata, la società segreta. La densità del desiderio schiacciato dalla vita coniugale, dalle convenzioni è tale da farsi pericolo reale, angosciante il crollo delle impalcature, del reticolato preconcetto giudicante; smarrimento, timore della piccolezza (il fascino della teoria della sciarada), baluginare del pensiero che duplice sia il rapporto erotico, sentimento e rapporto fisico sono dunque da riallacciare, di qui la seconda visita alla prostituta, ora malata, il ritorno alla villa - con la Colpa che lì alligna - la ricerca della ragazza sacrificatasi (pia illusione che smaschera la freddezza di Bill) le parole di Alice che, saputa la momentanea verità, propone la soluzione, l'unica che sia data, l'unica possibile per sanare, ricomporre.
Niente è come sembra, parole, distorsioni e visioni di fittizia felicità e pura apparenza (gli alberi natalizi onnipresenti, la festa, la professione di medico a domicilio, gli anelli nuziali). L'incubo soffoca, costringe ma nulla lo divide dalla realtà, un girotondo stretto alla gola del povero malcapitato che non si accorge che il suo tormento si apre e chiude con lo scherzo di G. Ligeti: una nuova luce e ben più irridente dà sollievo.

Luigi Garella


Requiem op.13

Il "porno d'autore", il "thriller erotico" del terzo millennio. Questo il "doppio sogno" cui critica e pubblico si sono abbandonati per dodici anni, aspettando quest'opera molto liberamente tratta dal romanzo di Schnitzler, progettata da Kubrick fin dal '68 e fatalmente imperfetta (l'autore non ha potuto completare il lavoro sulla colonna sonora).
Perché si esce spiazzati dalla visione di questo film? Perché, sebbene siano presenti, nel film, tutti i tasselli promessi dal marketing, il puzzle che compongono risulta imprevedibile, sconcertante, perfettamente nuovo, assolutamente non riproducibile. Kubrick si serve degli aspetti psicanalitici della trama, ma soprattutto della sensualità animale dei suoi attori, per allestire un Trionfo della Morte e del Disinganno di gusto medievale, uno spettacolo di enorme potenza e vivacità che mette in scena l'impotenza dell'uomo di fronte all'ignoto, e la sue eterna dannazione terrena, che consiste nell'essere schiacciato da forze oscure, nel ritrovarsi senza memoria del passato, sperduto nel presente, incerto sul futuro, nel sapersi destinato ad una verità parziale, un'illusione onirica. 
Essere e sognare sono due facce della stessa realtà, che non può cancellare la Verità eterna, quella del sogno da cui non esiste risveglio. La morte ed il suo pendant nel mondo dei vivi, l'immobilità, raggelano e dominano ogni scena. Lo spazio è popolato di uomini e donne immobili, maschere, manichini, cadaveri, che il regista manipola fondendoli con l'arredamento. La macchina da presa predilige movimenti circolari, suadenti e perfetti, che avvolgono nelle loro spire i personaggi e li soffocano senza pietà. Le luci sfavillanti e le vetrine colorate di New York nel periodo natalizio non ingannano nessuno: prevalgono le zone d'ombra, le luci bluastre, i toni cupi.
Molte sono le critiche che si potrebbero muovere al film: troppo lungo, spesso lento, avaro di emozioni, povero di suspense, scarno e tedioso come una basilica romanica. Ma le perplessità svaniscono quando si considera che la morte dell'uomo, morte non solo fisica ma soprattutto cerebrale e spirituale, non potrebbe trovare un luogo migliore per agire indisturbata. E' una visione pessimistica che non ammette replica, nemmeno quella fintamente ottimista del finale: i protagonisti, circondati dai simboli del sogno americano e della retorica familiare, decidono di abbandonarsi all'istinto e alla dissimulazione, senza più preoccuparsi di avere un cervello, un cuore, una coscienza, e nessuno ci assicura che questo garantirà loro la pace.
Fatalmente imperfetto, il numero 13 della filmografia di Kubrick è un monumento del cinema, duro e cristallino come un diamante, perfettamente coerente, nel pessimismo totale e nell'inesausta cura dei dettagli, con i capolavori di questo autore, da "Barry Lyndon" a "Full Metal Jacket". Una bizzarra coincidenza: nella scena in cui Cruise entra in un bar, si ode un frammento (l'incipit del "Rex tremendae") del "Requiem" di Mozart, altro capolavoro incompiuto a causa della morte dell'autore. Ma si tratta solo di una coincidenza?

Stefano Selleri

Commenti

 

 

A distanza di circa un anno dalla visione cinematografica di Eyes wide shut e di pochi giorni dalla vendita in home video, è sempre presente la sensazione che quest' ultima opera di K. sia gelidamente incompiuta, in particolar modo in fase di montaggio, come dimostra la fase finale sorprendentemente priva di suspense se si considerano le soluzioni narrative adottate nelle sequenze iniziali. 

Come sempre le immagini di K. sono di straordinaria densità metalinguistica ed è fin troppo semplice perdersi nelle innumerevoli citazioni cinematografiche (anche autoreferenziali).

Tuttavia questi rilievi si mostrano incredibilmente marginali quando una illuminante battuta proferita da Tom Cruise svela l'essenza del film:

"Quale sciarada si conclude con la morte di una persona?"

Risposta: la vita.

E la morte?

"Non cercare di indagare altrimenti sarà peggio per te" perché risolvere l'enigma vita/morte può essere una mera operazione tautologica in quanto esprime due risvolti di una medesima messinscena come lo stesso "regista" Sidney Pollack suggerisce. 

Amara riflessione - testamento che vuole rappresentare la solitudine esistenziale dell'Uomo di fronte al Mistero per eccellenza.

Emblematico, in questa chiave di lettura, il costume che T.C. indossa nella claustrofobica sequenza che lo/ci vede assistere a macabri rituali che richiamano il suggestivo e delittuoso connubio sesso/morte.

Difatti è d'uopo sottolineare che, nel bergmaniano Il settimo sigillo, la Morte, che finisce col dare scacco matto al cavaliere, veste in modo simile (superfluo ricordare che il "Gioco degli Scacchi" è quello preferito da K. ).

Inoltre è quasi prostrante il dolore che incombe nella vanità della sontuosa e luttuosa mise in abime e negli sguardi che rivelano il sottile ed insidioso inganno che amore ed arte concettualmente presuppongono sotto il profilo estetico-filosofico (ambedue mirano alla seduzione).

Ergo mai come in questa pellicola il regista ci conduce, con eleganti e sinuosi movimenti di macchina, a visitare numerosi ambienti (set) interni, tutti dettagliatamente definiti (da notare lo splendore e la ricerca formale addirittura abbaglianti nella ubriacante, ophulsiana scena del ballo che significativamente di-mostra il "gioco" dell'attrazione sessuale).

Dov'è la Verità?

Forse over the rainbow.

Quale forma assume?

Circolare.

K., folle/genio per mal de vivre, sulle orme di Nietzsche, crede nell "eterno ritorno" e negli ultimi fotogrammi possiamo osservare un negozio di "gioca-ttoli" con alcune scatole sulle quali si può leggere: "magic circle" e Nicole Kidman che conclude dicendo: "Ritorniamo a scopare (to fuck)".

Beffardamente ,K chiude la sua filmografia con un falso thriller, una falsa storia di sesso e d'amore, un falso saggio morale sulle ipocrisie borghesi.

F for fake F for fuck.

Sergio Sasso


I miei occhi aperti/chiusi

I miei occhi spalancati chiusi cosa hanno visto? Schnitzler nella prima parte, fedelissima alla novella, lo sguardo della Kidman allo specchio che diceva tutta la volutta' del desiderio, il proprio io intimo concupiscente, opposto riflesso a quello della moglie fedele che scruta nel proprio abisso. Hanno visto la crisi non dichiarata di un menage apparentemente perfetto, la desolazione e l'ipocrisia del matrimonio borghese, convenzione incancrenita; Bill viaggiare, come in un sogno, nella realta' di una notte per un accoppiamento sempre rinviato e Alice scopare in un sogno che sembra averle donato un orgasmo reale. Hanno visto il tradimento finalmente svelato nella sua essenza, non atto ma sentimento: nessuno tradisce, ci si sente traditi. Hanno accarezzato le mille luci di un salone delle feste, le acrobazie di una ballo della cinepresa, blu elettrici che ritagliavano nel buio l'interno di una camera adiacente. Hanno scrutato tra le fessure di maschere felliniane, immobili di rigor mortis, manichini e simulacri dell'occulto, vizioso mondo dell'upper class. Hanno percepito riflessi di psicanalisi, messe di simboli, intasamento di metafore falliche. Hanno fissato le labbra di un pianista che sciorinava racconti di riunioni mitiche e i cui occhi aperti/chiusi hanno visto/non visto. Hanno intuito il potere, la brama di esso, la visita nel suo salotto buono e poi nella sua cripta, nei suoi recessi piu' segreti dove si consumano riti esclusivi dei sempre potenti, l'inarrivabile creme de la creme; il denaro cha apre ogni porta, l'ossessione della ricchezza, l'opulenza gridata degli interni, un Natale come festa dello scialo. Hanno assaggiato un'opera incompiuta, con scarti, fratture, lungaggini improbabili. Hanno visto una scena inutile (Pollack che da' spiegazioni) che rovina la sospensione, il senso di non detto che illuminava la prima parte, piombando nel buio della banalita' inaccettabile perche' evidentemente compromissoria. Hanno visto un film ingiudicabile perche' interrotto: occhi aperti/chiusi, film riuscito/fallimentare, Kubrick confuso/lucidissimo.

LuCa P@cilio


Matteo
Catoni

Luigi
Garella

Daniele
Bellucci

Oboo
 
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Andrea
Carpentieri
8
Claudio
Dezi
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Stefano
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