Recensioni
|
Fine di un autore E' molto penoso commentare uno dei film più
deludenti della stagione in corso, quando a realizzarlo è un autore tra i
più amati di chi scrive, un regista tra i più originali e inconfondibili
dell'attuale panorama europeo. Tuttavia, da quando è stato catturato
dall'ingranaggio hollywoodiano con Michael Collins (riuscito comunque
meglio dei successivi), ha perso via via quella
sincerità, freschezza e soprattutto rigore, che avevano caratterizzato le
sue opere migliori, "Mona Lisa", ma soprattutto "Un Amore,
forse Due" e "La Moglie del Soldato", acquisendo i difetti
tipici di certo cinema americano: enfasi, retorica, autocompiacimento. In
realtà "Fine di una Storia" non parte male, tutt'altro,
nonostante una voce "off" a tratti irritante e una fotografia di
Pratt eccessivamente patinata, dai toni scuri grigio-marrone, alla
"maniera" del Tonino Delli Colli di "C'era una volta il
West". Lo spettatore viene sempre più coinvolto nel mistero che
circonda la persona di Sarah Miles, attraverso un montaggio eccezionale
che alterna sequenze al presente a flash-back prolettici rapidissimi, se
non addirittura a scene immaginate ma non avvenute; si intrecciano le
verità presunte, si viene avvolti nella spirale di indagini che i
protagonisti perseguono con scopi più o meno imperscrutabili, si è
disorientati da situazioni non spiegabili razionalmente, insomma si ha
proprio la sensazione di trovarsi in un "Neil Jordan DOC" dove
sono presenti tutti gli elementi tematici e stilistici che hanno
caratterizzato le sue opere più significative. La tensione sale
nonostante comincino a farsi sempre più insistenti e fastidiosi taluni
dialoghi sentenziosi (troppo "romanzati") dei due amanti e
noiosi gli anonimi loro amplessi, ma quando si raggiunge il climax e viene
fuori la "verità" vera attraverso il diario rubato di Sarah
(elemento narrativo abusato fino all'inverosimile) e raccontata dalla
protagonista con un'affascinante duplice cambiamento di prospettiva (la
voce "off" narrante è adesso quella della protagonista così
come il punto di vista fisico tanto che le sequenze già viste da
un'angolazione ora vengono mostrate da un'altra...) il film praticamente
non ha più nulla da dire.
Infatti, conclusosi l'aspetto "giallo" più o meno a metà film,
rimangono e piuttosto si accentuano gli aspetti "patetici" della
vicenda, nel senso negativo del termine: tautologie a non finire (la
parola "amore" ricorre continuamente e stucchevolmente nei
dialoghi melodrammatici dei protagonisti; vengono ripetute, alla faccia
delle ellissi, mille volte le stesse spiegazioni, le stesse
giustificazioni tra i due amanti), frasi ad effetto, sentenziose e
retoriche, mai smussate da un minimo di leggerezza, il registro
magniloquente ed enfatico, usato ed abusato nei melodrammi hollywoodiani
degli anni '40 e '50, così come saccheggiati abbondantemente dal cinema
di quel periodo appaiono non pochi punti-chiave narrativi (come la
tisi di Sarah, o il suo voto, o il già citato diario rivelatore). A parte il fatto che questo sviluppo del
soggetto avrebbe comunque portato a "due" film, thriller prima e
dramma poi, inficiandone inevitabilmente l'omogeneità, rimane la
sensazione che il rapporto conflittuale dello scrittore Bendrix (e per
estrapolazione di Graham Greene) nei confronti di Dio, o comunque di una
"volontà" ultra-terrena e ultra-razionale avrebbe potuto essere
realizzato in modo molto più complesso e rigoroso, introspettivo e
sottotono, e non mediante l'interpretazione debordante dei due
protagonisti, non con una colonna sonora tra le più ingombranti e anonime
che Michael Nyman abbia mai realizzato, non con la ripetizione ossessiva
della frase più significativa del film (di scontata matrice "greeniana"):
"Dio, ti odio come se esistessi veramente", (che, ripetuta
continuamente, perde di efficacia). L'unico
che sembra aver colto in pieno il tono giusto da dare alla storia è un
eccellente Stephen Rea, attore feticcio di Jordan, troppo spesso
sottovalutato, che fornisce un'interpretazione misurata, sofferta,
disincantata, che sembra uscita (questa sì, veramente) proprio da
un'opera di Greene.
Insomma un film malriuscito e dai due volti, il primo di marca "Jordan"
pieno di suspense, spiazzante, che semina dubbi e toglie certezze; il
secondo che segue pedissequamente la storia e le tematiche dello scrittore inglese con un tono
"pesantissimo" e patetico che è esattamente il contrario di quello che
contraddistingue le sue opere. Daniele
Bellucci |