FINE DI UNA STORIA
(The End of the Affair)

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REGIA:    
Neil JORDAN

PRODUZIONE: Gb/U.S.A.   -   1999   -   Dramm.  

DURATA:  109'

INTERPRETI:
Julianne Moore, Ralph Fiennes, Stephen Rea,
Ian Hurt, Jason Isaacs

SCENEGGIATURA:
Neil Jordan

FOTOGRAFIA:
Roger Pratt

SCENOGRAFIA: Anthony Pratt

MONTAGGIO: Tony Lawson

COSTUMI: Sandy Powell

MUSICHE: Michael Nyman

Trama

Tratto dal romanzo "Fine di un'avventura" di Graham Greene, è l'indagine angosciante dello scrittore Maurice Bendrix (R.Fiennes) che, dopo aver incontrato in una serata piovosa un vecchio amico (Stephen Rea), con la moglie del quale aveva vissuto un'intensa relazione amorosa finita misteriosamente, e saputo da questi di un possibile tradimento da parte di lei (J.Moore), cede alla gelosia e all'insopportabile bisogno razionale di spiegare il mistero che ha posto fine alla sua felicità, e assume un investigatore (I.Hart) la cui collaborazione farà luce sull'insospettabile verità...

Recensioni

 

 

 

Fine di un autore

E' molto penoso commentare uno dei film più deludenti della stagione in corso, quando a realizzarlo è un autore tra i più amati di chi scrive, un regista tra i più originali e inconfondibili dell'attuale panorama europeo. Tuttavia, da quando è stato catturato dall'ingranaggio hollywoodiano con Michael Collins (riuscito comunque meglio dei successivi), ha perso via via quella sincerità, freschezza e soprattutto rigore, che avevano caratterizzato le sue opere migliori, "Mona Lisa", ma soprattutto "Un Amore, forse Due" e "La Moglie del Soldato", acquisendo i difetti tipici di certo cinema americano: enfasi, retorica, autocompiacimento. In realtà "Fine di una Storia" non parte male, tutt'altro, nonostante una voce "off" a tratti irritante e una fotografia di Pratt eccessivamente patinata, dai toni scuri grigio-marrone, alla "maniera" del Tonino Delli Colli di "C'era una volta il West". Lo spettatore viene sempre più coinvolto nel mistero che circonda la persona di Sarah Miles, attraverso un montaggio eccezionale che alterna sequenze al presente a flash-back prolettici rapidissimi, se non addirittura a scene immaginate ma non avvenute; si intrecciano le verità presunte, si viene avvolti nella spirale di indagini che i protagonisti perseguono con scopi più o meno imperscrutabili, si è disorientati da situazioni non spiegabili razionalmente, insomma si ha proprio la sensazione di trovarsi in un "Neil Jordan DOC" dove sono presenti tutti gli elementi tematici e stilistici che hanno caratterizzato le sue opere più significative. La tensione sale nonostante comincino a farsi sempre più insistenti e fastidiosi taluni dialoghi sentenziosi (troppo "romanzati") dei due amanti e noiosi gli anonimi loro amplessi, ma quando si raggiunge il climax e viene fuori la "verità" vera attraverso il diario rubato di Sarah (elemento narrativo abusato fino all'inverosimile) e raccontata dalla protagonista con un'affascinante duplice cambiamento di prospettiva (la voce "off" narrante è adesso quella della protagonista così come il punto di vista fisico tanto che le sequenze già viste da un'angolazione ora vengono mostrate da un'altra...) il film praticamente non ha più nulla da dire. Infatti, conclusosi l'aspetto "giallo" più o meno a metà film, rimangono e piuttosto si accentuano gli aspetti "patetici" della vicenda, nel senso negativo del termine: tautologie a non finire (la parola "amore" ricorre continuamente e stucchevolmente nei dialoghi melodrammatici dei protagonisti; vengono ripetute, alla faccia delle ellissi, mille volte le stesse spiegazioni, le stesse giustificazioni tra i due amanti), frasi ad effetto, sentenziose e retoriche, mai smussate da un minimo di leggerezza, il registro magniloquente ed enfatico, usato ed abusato nei melodrammi hollywoodiani degli anni '40 e '50, così come saccheggiati abbondantemente dal cinema di quel periodo appaiono non pochi punti-chiave narrativi (come la tisi di Sarah, o il suo voto, o il già citato diario rivelatore). A parte il fatto che questo sviluppo del soggetto avrebbe comunque portato a "due" film, thriller prima e dramma poi, inficiandone inevitabilmente l'omogeneità, rimane la sensazione che il rapporto conflittuale dello scrittore Bendrix (e per estrapolazione di Graham Greene) nei confronti di Dio, o comunque di una "volontà" ultra-terrena e ultra-razionale avrebbe potuto essere realizzato in modo molto più complesso e rigoroso, introspettivo e sottotono, e non mediante l'interpretazione debordante dei due protagonisti, non con una colonna sonora tra le più ingombranti e anonime che Michael Nyman abbia mai realizzato, non con la ripetizione ossessiva della frase più significativa del film (di scontata matrice "greeniana"): "Dio, ti odio come se esistessi veramente", (che, ripetuta continuamente, perde di efficacia). L'unico che sembra aver colto in pieno il tono giusto da dare alla storia è un eccellente Stephen Rea, attore feticcio di Jordan, troppo spesso sottovalutato, che fornisce un'interpretazione misurata, sofferta, disincantata, che sembra uscita (questa sì, veramente) proprio da un'opera di Greene. 
Insomma un film malriuscito e dai due volti, il primo di marca "Jordan" pieno di suspense, spiazzante, che semina dubbi e toglie certezze; il secondo che segue pedissequamente la storia e  le tematiche dello scrittore inglese con un tono "pesantissimo" e patetico che è esattamente il contrario di quello che contraddistingue le sue opere.

Daniele Bellucci

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