Recensioni
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Andy Kaufman sopravviverà
Arte come strumento realizzatore dell'immortalità, un'ipotesi vecchia come il mondo, eppure "man on the moon" sembra definitivamente collocare entro queste coordinate il cinema di Milos Forman, un cinema che forse si rivela sulle note di "I will survive" che accompagnano la voce sporca, inascoltabile, di un morto che parla, anzi che canta, negli ultimi minuti del film, dopo che abbiamo visto Kaufman steso dentro a una bara, calvo, bianco, i polmoni devastati dal cancro. Eppure lo ritroviamo a cantare "I will survive", in un estremo tentativo di estrema messinscena, la morte, lo scherzo mal riuscito, il corpo che muore e che ricompare in quella forma "altra" che è Tony Clifton (cantante da night club "eccessivo" che Andy imita fino al confine con la schizofrenia) metamorfosi, alter ego se preferite, una delle schegge che feriscono il pubblico nella deflagrazione che frantuma Kaufman, lo scoppio che lo dissemina e lo rende impercettibile, ogni volta diverso e ogni volta altrove, sempre e comunque.
"Man on the moon" è la parabola di uno showman che avrebbe volentieri fatto a meno dello show-business, che ha anzi lottato per modificarlo a suo piacimento… non è un caso che Forman collochi il Kaufman bambino, in una delle prime sequenze, contro a un muro, un muro dal quale viene strappato per essere lanciato in pasto al pubblico, quel "secondo incomodo" che ne susciterà l'ira incontenibile, il pubblico dalle reazioni mancate e dalle richieste fastidiose, il pubblico che vorrebbe Kaufman incatenato ai clichè che lo hanno reso celebre, snaturando e falsando il genio dada di un artista incontenibile. Kaufman confonde, strabilia, latita in silenzi imbarazzanti che sublimano la grandezza di Jim Carrey, infonde insicurezze, scatena risse, finge e finge di fingere… sorprende. Sempre.
Il grande, enorme, merito di Forman e dei suoi sceneggiatori è stato quello di dare vita a un'opera profondamente e assolutamente "kaufmaniana", rompendo ogni convenzione fin dalle prime battute (i titoli di testa valgono più di qualsiasi dichiarazione d'intenti), immergendosi nell'opera di Kaufman e forse addirittura proseguendola in un film che gronda amore e ammirazione, infinito rispetto per un uomo dirompente e geniale nella sua folle e spirituale lucidità. Diventa persino difficile capire dove finisce il lavoro di Forman e dove inizia quello di Carrey (immenso), nella cui interpretazione si percepisce una vera ambizione "artistica", ovvero l'andare oltre la semplice mimesi per dare vita a una vera messa in scena del personaggio, non è Jim Carrey che si traveste da Andy Kaufman ma è Andy Kaufman che rivive attraverso Jim Carrey.
Situazione clou: Kaufman irritato dal pubblico di un Università legge da cima a fondo "Il grande Gatsby" ("volete che continui a leggere il libro o preferite che sentiamo un disco insieme?).
Altra situazione clou: la messa funebre di Andy.
Il film, in buona sostanza, è splendido, fra i migliori della stagione in corso, eppure incassa poco, nonostante le lodi della critica, e come se non bastasse Jim Carrey non riceve i riconoscimenti che gli spettano di diritto… proprio come da copione, in fondo.
Stefano
Trinchero |