Recensioni
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Oggi come oggi è difficile, e velleitario, cercare di distinguere con esattezza i generi cinematografici, poiché non esiste più un certo numero di ferree regole che vada a caratterizzare un preciso genere (cosa che invece accadeva nella Hollywood classica). Questo discorso vale ancor di più per il genere "fantastico": oggi tutto il cinema ci sembra "fantastico", e forse perché in realtà lo è sempre stato (almeno da Méliès in poi); per questo nascono nuove definizioni, nuove etichette, nuovi criteri di identificazione. The Matrix si presenta come prodotto tout court del cinema "cyberpunk", ma cosa si nasconde realmente dietro questa etichetta è difficile da dirsi, visto che i riferimenti sono tutti nella letteratura cyberpunk, nella moderna tecnologia, nelle conseguenze apportate da essa. Ma qui il discorso si complica proprio in virtù di quanto detto: ogni autore, continuamente alla ricerca di originalità e di un proprio genere, tende pericolosamente ad etichettare il proprio lavoro con nuovi ed estenuanti criteri di differenziazione. Allora a noi piace definire Matrix come un film di fantascienza: innovativo quanto si vuole, ma pur sempre un film di fantascienza. E la fantascienza, si sa, è un genere prezioso che il cinema a saputo valorizzare in diversi momenti della sua storia (dai primi capolavori del cinema muto - Metropolis e Aelita - fino alla moderna fantascienza imposta dai "must" degli anni '70, passando ovviamente per la fantascienza anni '50/'60). Allora Matrix ci sembra un film appartenente ad un genere dalla tradizione ben consolidata, che ha però il grande pregio di essere originale (e molto) in un contesto dove il cinema sembra oramai aver detto tutto. Certo, questa originalità non va assolutamente cercata nella storia, negli eventi che vengono narrati: l'originalità sta soprattutto nel "come" questi eventi sono presentati allo spettatore e nell'assoluta innovazione apportata dalle tecniche di ripresa. Da questo punto di vista, Matrix somiglia più ad un sofisticato "giocattolo", ad un videogame da milioni di dollari, ma sarebbe ingiusto ridurlo a puro "passatempo". I fratelli Wachowski hanno realizzato, a nostro giudizio, un film che mira ad essere un'esperienza da vedere e da vivere, cupa ed affascinante, terribile e minacciosa; se il messaggio che il film vuole comunicare appare fin troppo chiaro (e fin troppo abusato), Matrix apre anche una nuova parentesi nell'ambito della complessa storia del medium cinematografico: la contaminazione tra realtà/tecnica/tecnologia è giunta a livelli mai visti, toccando la strada della facile sociologia per arrivare a mostrare allo spettatore qualcosa di unico ed eccezionale. In questa prospettiva, Matrix è un esperimento unico e sicuramente riuscito, che polverizza la noia di altri pseudo-capolavori come l'ultimo (che poi è il primo) Star Wars. Certo, si tratta pur sempre di un prodotto costruito per essere venduto, che divide questa sua caratteristica con parecchio cinema commerciale, ma è allo stesso tempo innegabile che, talvolta, di questo cinema
affascinante e fracassone ne abbiamo veramente bisogno.
Claudio Dezi
Metafora d'effetto
Questo è il solito film di fantascienza che tra qualche anno sarà dimenticato come molti? Sicuramente sì se consideriamo la trama in sé. La pericolosità di un mondo in cui le macchine prendono il potere è stata messa in scena nei modi più svariati. Ma prendendo in esame i diversi elementi che costituiscono questo film ci rendiamo facilmente conto che il lavoro dei registi è stato di rara grandezza e precisione. Neo vive due vite, una buona ed una cattiva e l'agente che lo interroga gli dice che "una ha un futuro, l'altra no". In questo modo il nostro protagonista è immerso suo malgrado nel ruolo che lo contraddistinguerà per tutto il film: sarà il mezzo di unione tra due mondi. Ma quali mondi? Noi ne conosciamo uno solo! È in questo modo che i fratelli Wachowski ci spiazzano, proiettandoci in un mondo fantascientifico che non è il solito universo parallelo popolato da strani esseri simili ad insetti o da qualche astronave in cui diverse razze di alieni dagli aspetti più stravaganti convivono. Questo mondo che noi non vediamo è il nostro, un mondo di sfruttamento, di alienazione, di ingiustizia ed ignoranza. "Sei schiavo, questa è la verità" ed il film di fantascienza diventa così un modo per costruire una metafora della realtà che viviamo giornalmente. Non siamo più nel superficiale cinema di intrattenimento, siamo invece in un cinema che usa la metafora, intrattiene e ci fa pensare che dietro alla realtà che ci vogliono far vedere se ne può intravedere un'altra. A confermare questo ci sono degli elementi simbolici. Neo significa nuovo, come sarà il futuro del mondo dopo il cambiamento. Ma affinché ci sia un cambiamento c'è bisogno di una presa di coscienza. "La maggior parte di loro non sono pronti ad essere scollegati" dice il capo dei rivoluzionari Morpheus ed infatti sarà difficile per Neo capire ed accettare la realtà che gli viene svelata. Non dimentichiamoci della citazione del bianconiglio di "Alice nel paese delle meraviglie". È questo l'elemento chiave che fa del nostro eroe il mezzo tra un mondo e l'altro. "O resti nel paese delle meraviglie o vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio" gli viene detto prima di conoscere la verità.
Verità. Questa è una delle parole chiave per leggere attentamente questo film. Verrà ripetuta più volte anche dal bambino che piega il cucchiaio nella casa dell'oracolo. L'altra è ovviamente "realtà". "Che cos'è reale?" chiede il maestro Morpheus al suo futuro discepolo Neo. Queste parole sono inserite in un contesto tale che non ci possono non far pensare a quello che accade nella nostra realtà. Ma non vogliamo certo dare un'impostazione marxista al lavoro dei fratelli Wachowski. Nel loro mondo c'è anche e soprattutto la religione, intesa però come ineluttabile "destino" legato all'intuizione di un "oracolo" che però sembra fallire. Scopriremo alla fine che l'oracolo non ha sbagliato in quanto ha predetto a Trinity che si sarebbe innamorata dell'eletto. Solamente lo stereotipo del traditore è riproposto con molta superficialità. Il nostro Giuda dice che "l'ignoranza è un bene" e che vorrebbe diventare molto ricco "voglio essere un grande attore". Questo è uno dei momenti in cui si intravede quella vena umoristica e intrisa di citazioni che accompagna tutto il film. L'attore famoso vuole diventare un attore famoso. Neo imita ben due volte dei gesti tipici del cinema di Bruce Lee tanto caro ai nostri autori. Rivedendo il tutto si ha dunque l'impressione di un film complesso, farcito di citazioni, impegnato e disimpegnato al tempo stesso. Molti propenderanno per la seconda definizione, probabilmente partendo dal presupposto che un film con degli effetti speciali come quelli messi in atto dai due registi siano finalizzati al solo inebetimento di una massa di spettatori la più ampia possibile. È qui che ci si sbaglia ancora. Non solo la trama di questo film è composta di metafore, citazioni e culture diverse ma gli stessi effetti speciali sono finalizzati ad amplificare il discorso precedentemente affrontato. Dirò di più, discorrendo degli effetti speciali, la logica della struttura complessa del film verrà emergendo ancora più chiaramente.
Virtual camera movement. Inventato nel 1994, il v.c.m. è stato utilizzato da diversi registi. La cosa più interessante di questa tecnica di ripresa è che a differenza di altre invenzioni nate da esigenze pratiche, nasce da una riflessione teorica. La domanda alla quale vuole rispondere questa invenzione è la seguente: "E' possibile
eliminare lo stacco da una inquadratura all'altra dello stesso soggetto nello stesso spazio?". Quando Dayton Taylor cominciò a lavorare a questo progetto, influenzato da
La Jetee di Marker non aveva la più pallida idea di dove sarebbe arrivato. Iniziò facendo fotografie degli stessi soggetti in movimento da due punti di vista diversi. Le foto in questione avevano due cose in comune: il soggetto ed il tempo. Poi immaginò di unire quei due punti di vista e quando terminò il suo lavoro si accorse che le sue riprese davano l'impressione che il soggetto fosse congelato e che il tempo passasse. In realtà il tempo non passa, è il montaggio dei diversi punti di vista che dà questa impressione. I fratelli Wachowski, da bravi tecnici ma da eccezionali teorici non hanno potuto fare a meno di attingere a piene mani all'effetto che più di tutti si addice ad un film che parla della differenza che c'è tra quello che vediamo e quello che accade veramente. I personaggi esistono solo virtualmente (vivono vite fittizie) nelle inquadrature che vediamo. Il colmo è che anche il tempo, con l'utilizzo del v.c.m., sembra esistere ma non esiste. Le riprese riguardano un solo istante ma essendo state fatte da più punti di vista in sequenza, sembra che il tempo scorra. Un esempio per tutti può essere la ripresa precedente il calcio che Trinity sferra al poliziotto all'inizio del film. La donna sembra rimanere sospesa mentre un movimento virtuale della macchina da presa le gira intorno. Così abbiamo la conferma che il tema di questo film non è tanto la conquista del mondo da parte delle macchine, quanto la differenza tra quello che c'è e quello che sembra esserci, tra la realtà che vediamo e quella che non vogliamo vedere. In breve un film entusiasmante, riflessivo, intelligente, innovativo e soprattutto coinvolgente che gli appassionati di fantascienza non devono perdere e che i non appassionati farebbero bene a vedere.
Fabio Sajeva
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