THE MILLION DOLLAR HOTEL
(The Million Dollar Hotel)

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REGIA:    
Wim WENDERS

PRODUZIONE: U.S.A.   -   2000   -   Dramm.

DURATA:  122'

INTERPRETI:
Jeremy Davies, Milla Jovovich, Mel Gibson,
Peter Stornmare, Amanda Plummer, Julian Sands, Tim Roth, Bono, Jimmy Smits

SCENEGGIATURA:
Wim Wenders - Bono - Nicholas Klein

FOTOGRAFIA:
Phedon Papamichael

SCENOGRAFIA: Robbie Freed

MONTAGGIO: Tatiana S. Riegel

COSTUMI:  Nancy Steiner

MUSICHE: Bono, U2, Daniel Lanois, Brian Eno

Trama

Storia di un amore tormentato tra due emarginati di Los Angeles, Tom Tom (Jeremy Davies) ed Eloise (Milla Jovovich). Sullo sfondo il luogo in cui vivono, il fatiscente Million Dollar Hotel, ultima spiaggia di tutte quelle persone che non ha più nulla da chiedere alla vita. A scuotere l'esistenza di questo luogo ci penserà un agente FBI Skinner (Mel Gibson) che indaga su un misterioso omicidio avvenuto nell'hotel, e in cui ha perso la vita il ricco Izzy Goldkiss.

Recensioni

 

 

 

Il cielo sopra Los Angeles

Film nato da un'idea di Bono Vox, cantante del gruppo pop degli U2, quest'opera ha fruttato al suo regista il Wim Wenders il premio della giuria alla 50ma mostra del cinema di Berlino. Film che affronta vari generi, dal poliziesco, al romantico, dal tragico al visionario, senza però mai convincere a pieno lo spettatore. La storia si dipana senza speciali sussulti, e la fine, per volere dell'autore, c'è già chiara dall'inizio e giunge inevitabile e scontata. Indagando sulla disperazione e l'abbrutimento della condizione umana, Wenders perde le distanze tra quello che è un buon prodotto, l'analisi colta che è propria del suo cinema e delle opere che sono definite d'autore. Si è di fronte ad un prodotto nel complesso modesto, e in cui a deludere maggiormente è proprio la regia, che offre raramente momenti emozionanti. L'errore essenziale del film probabilmente risiede nella sceneggiatura, fiacca e portata avanti in maniera canonica e in alcuni punti prolissa senza necessità. Si salvano senza dubbio le prove dei protagonisti, da Jeremy Davies, non mirabile, ma onesto in un ruolo indubbiamente complesso come quello di Tom Tom, passando per la Jovovich che continua a trasformare tutti i personaggi che fa in se stessa, e giungendo a Mel Gibson poliziotto duro e puro solo in apparenza, che ha visto e sofferto troppo nella vita per non rimanerne segnato. In definitiva un film che lascia interdetti soprattutto per il calibro dei suoi partecipanti, sicuramente non al top della forma, e con un Wenders che non fa sognare come sa. Indimenticabile "Lisbon Story" con la sua visione pura dell'immagine, e gli splendidi "Così lontano così vicino" ed il "Cielo sopra Berlino", splendidi affreschi della condizione umana, ma qui è tutta un'altra storia purtroppo. Si cerca la mano del regista nel tutto del film, ma la sua impronta e disperatamente poco incisiva e significante.

Matteo Catoni

Commenti

 

 

Quel mistero di nome Wenders

Voglio cercare di fare chiarezza (anche a me stesso) sul perché l'opera di Wenders sia così discontinua, così discussa, così "interpretabile". Secondo me Wenders è forse l'autore che più di tutti nel panorama mondiale ha un talento registico tanto grande quanto la sua presunzione, la sua ambizione di "artista", lo smisurato concetto che ha di se stesso. Una sola volta Wenders è riuscito a far (quasi) corrispondere l'ambizione delle intenzioni col valore del risultato, ed è stato con "Il Cielo sopra Berlino". Il grave errore del regista tedesco è stato quello di voler boriosamente e superbamente insistere nel ritentare qualcosa destinato a rimanere per sua natura irripetibile. Se limitiamo la nostra analisi ai lavori successivi a quel film spartiacque nella sua carriera (ma il discorso non farebbe una grinza se anche scandagliassimo il primo periodo), notiamo che Wenders realizza le sue opere migliori quando pone il suo talento umilmente al servizio della storia che racconta, quando dimentica per un attimo se stesso a favore di ciò che ama sinceramente: le infantili illusioni dei pionieri del cinema (I fratelli Skladanowski, a parte gli ultimi 5 minuti di delirante nonsenso), la fascinosa cultura portoghese (Lisbon Story), il mondo dimenticato della cultura musicale cubana e dei suoi rappresentanti (Buena Vista Social Club). Quando invece il suo scopo è trovare una storia che sviluppi le sue debordanti idee su tematiche troppo ampie, disomogenee, pretenziose, infarcite di nozioni saccenti, di intellettualismi, di finta poesia, di frasi criptiche di sicuro effetto, ecco che la storia perde di senso, di credibilità, di spontaneità, di forza emotiva, e l'irritazione che ne deriva non può essere cancellata dalla bellezza di alcune meravigliose immagini create purtroppo sul vuoto, lo stesso vuoto che separa il folle suicida di "The Million Dollar Hotel", dalla consistenza della "terra". 

Daniele Bellucci


Matteo
Catoni

Daniele
Bellucci

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