Recensioni
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Fantascienza secondo De Palma: missione impossibile?
De Palma dunque, in attesa dell'interpretazione
carpenteriana del soggetto, alle prese con le ansie di colonizzazione del pianeta rosso. Sembrerebbe che la fantascienza non si addica alle doti del regista, motivo di curiosità in più per presenziare alla prima proiezione del film.
Considerazioni: forse la fantascienza non si addice alle doti del regista. Quesito: quali sono le doti del regista? Un virtuosismo sconsiderato, in primis, piani sequenza funanbolici e pressoché infiniti e varie sequenze mozzafiato a volte incastonate dentro a film non certo memorabili (Mission: Impossible).
Mission to Mars a volte stenta, a volte procede senza lode né infamia (ma pur sempre senza lode, e noi vogliamo la lode), a volte si intiepidisce in qualche sortita vagamente melò, a volte crea qualche momento di suspance, ma per la verità nulla che potrebbe nuocere a un malato di cuore, se mi perdonate qualche eccesso sloganistico.
Ma il virtuosismo... il virtuosismo si libera (finalmente!) in qualche sequenza all'interno delle varie astronavi e nelle loro componenti vagamente circolari, e come ci si aspettava De Palma mostra di saper gestire con una certa maestria (o semplice mestiere?) varie rotture e confusioni delle coordinate spaziali fornite ad arte dalla solita assenza di gravità, in concomitanza con strani movimenti rotatori di alcuni meccanismi dell'astronave, che a volte ricordano certi giocattoli per criceti...
Assolutamente inascoltabile la colonna sonora, insopportabile nel suo ridondare di luoghi comuni ampollosi e magniloquenti, con una quantità smodata di archi che suonano contemporaneamente a sottolineare (ma direi a questo punto cancellare) chissà cosa, che ottengono il solo effetto di infastidire lo spettatore, a dispetto del tanto millantato prestigio del dolby surround.
Attori sciatti, forse mal diretti, ma più che altro propenderei per l'ipotesi della mancanza di talento, ovviamente eccezion fatta per Tim Robbins, qui appena nella media.
O'Connell in particolare, che qualcuno forse ricorderà protagonista del telefilm Ultraman, si muove nell' inespressività più cupa.
Baracconata finale all'insegna dei più triti (e immagino costosi) effetti di computer-grafica.
Sarà che chi scrive è tutt'altro che un cultore della fantascienza, eppure pare che il film abbia ben poco da dire e che non aggiunga nulla di nuovo a quanto già non si sapesse sull'argomento, semplicemente procede senza stupire e senza irritare più di tanto, senz'altro penalizzato dagli argomenti di cui sopra ma parzialmente risollevato dal mestiere di De Palma. Non parlare di delusione equivarrebbe comunque a mentire.
Stefano
Trinchero
Greetings (from Mars)
Cosa c'e' oltre l'infinito, oltre le stanze settecentesche del finale di 2001? E cosa c'e dietro l'astronave di incontri ravvicinati del terzo tipo? Ecco i due film di fantascienza piu' filosofici e mistici frullati e contaminati
in una prospettiva stranamente retro': marte e' la nuova frontiera, lo spazio e' di nuovo terreno di conquista per i nostri bravi yankee con barbecue e missili in giardino, in un inizio deliziosamente arguto, che dichiara la dimensione ludico/ricapitolativa di un oggetto che piu' che un film *di* pare voler essere *sulla* fantascienza.
Ci vuole coraggio a omaggiare un mito come 2001, e probabilmente solo un rodato saccheggiatore/citazionista come DePalma poteva e doveva farlo. La leggiadria della passeggiata del giovane astronauta nel modulo rotante e il ballo in assenza di gravita', insieme a quell'enorme spazio bianco solcato dalla fenditura all'interno della testa (quasi un "negativo" del monolite) sono momenti emozionanti anche per la commovente evidenza dell'affettuoso tributo. Dal capolavoro di Spielberg e' invece mutuato il nucleo del film: il sostanziale ottimismo, la montagna come centro dell'incontro, il messaggio sonoro da
decrittare come chiave per la comunicazione ("luogo" comunque tipicamente depalmiano).
Curiosamente, siamo dalle parti anche di Starship Troopers e di Mars Attack: ma se nel primo la voluta piattezza di dialoghi, situazioni e sviluppi dava luogo ad una sapida satira sarcastica e nel secondo il furore dissacrante aveva intenti palesemente parodici, qui troviamo una ironia sottotraccia, quasi malinconica nel ripercorrere luoghi comuni del film fantascientifico americano di azione. Forse troppo, dimessa e sottotraccia: la sceneggiatura e tanti snodi sono cosi' prevedibili da far pensare, in certi momenti, di essere al cospetto di una boiata stile armageddon (o, alla meglio, indipendensday) e solo attraverso certi
segnali (uno per tutti il finto missile iniziale, ma anche il ciondolo di flash gordon) ci viene il fondato sospetto dell'uso voluto e consapevole del cliche' come ironico filo conduttore attraverso il quale si sviluppa un magistrale omaggio al genere.
Lasciamo perdere qualsiasi discorso sulla perizia tecnica di DePalma e sugli effetti speciali: sono effettivamente sotto gli occhi di tutti coloro che hanno voglia e gusto per vederli. DePalma ci ammannisce movimenti gustosissimi, Marte e' esattamente come me lo immagino da quando ero bambino. La verosimiglianza? Chissenefrega se l'alieno finale suona falso come una baconota da tremila, se
nello spazio si sentono i rumori e i buchi nella navetta si riparano con il chewingum. Non e' un documentario di Piero Angela (anche se in un paio di momenti il dubbio sorge): e' l'opera di un (grande) bambino che ci (si) diverte con la fantascienza.
Angelo Taglietti
Le regole del gioco
La "frase d'ordine", per lo spettatore di un film di
De Palma, è: stare al gioco. Iniziare a cavillare in cerca di incongruenze,
a infastidirsi per le forzature, a sovraccaricarsi del troppo cinema-cinema
proiettato sullo schermo significa, semplicemente, rinunciare alla visione;
è sempre stato così, dalle facce sfregiate alle missioni impossibili, dagli
intoccabili agli occhi di serpente passando per controfigure e carliti briganti.
Ecco dunque De Palma alle prese col suo primo (e ultimo, c'è da scommetterci)
film di fantascienza, il genere che forse più di tutti lascia libertà d'agire
all'immaginazione (in barba a vincoli realistici), e dunque ai voli pindarici
della fantasia cinefila e al citazionismo più sfrenato e gratuito…poteva
il regista cinefilo-citazionista per antonomasia lasciarsi sfuggire l'occasione?
Ovviamente no. Ma. Ma De Palma fa della stima e del rispetto per l'intelligenza
dello spettatore il suo Credo da sempre e così, con encomiabile onestà
registico-intellettuale, scopre subito le sue carte "ingannatrici" e,
come un baro buontempone e disinteressato, svela i suoi intenti prima
di iniziare a giocare: parte un missile diretto su Marte ("mission to
mars" confessa candidamente il titolo di testa)…anzi no. Parte un innocuo
giocattolo per bambini che esplode tra coriandoli e stelle filanti. Si noti
che l'inganno è edificato su (in)stabili e (dis)oneste fondamenta perché il
suono col quale De Palma commenta l'immagine non è quello di un firework da
notte di San Silvestro ma un rombo amplificato e "surroundizzato" ad hoc,
dunque molto "serio" e molto "vero". Si noti altresì che la verità è svelata
con un evidente movimento di macchina che non nasconde affatto la sua "presenza"
e la sua intenzionalità. Siamo cioè di fronte a due esempi consecutivi
di enunciazione marcata che, semplificando, ci dicono: "sono Brian,
comando io il gioco, fisso le regole e mi prenderò tutte le libertà
che voglio". Non è infatti azzardato affermare che quel piano iniziale
contiene in nuce tutto il film, che si svilupperà difatti tra forzature,
cambi di registro e incoerenze assolutamente coerenti, visto l'assunto
iniziale. Il risultato? Una sorta di frullato dal retrogusto indecifrabile
dove De Palma fa convivere le più disparate suggestioni cinefantascientifiche
e non ha paura di far dialogare HAL9000 col capitano Kirk, di filmare
l'atterraggio di Flash Gordon su "il pianeta proibito" e di lasciare il
ruolo di special guest al figliastro dell'incestuosa unione tra E.T. e
i suoi fratelli di "incontri ravvicinati del terzo tipo"; ecco perché
avevamo affermato che "mission to mars" era il primo (un fatto) e
l'ultimo (una supposizione) film di fantascienza girato da De Palma,
perché è fin troppo evidente che è già una summa, uno schizofrenico
Bignami de "la science fiction secondo Brian". Il tutto, non dimentichiamolo,
girato splendidamente da un innamoratissimo del suo mestiere che non
manca, come suo solito, di deliziarci con alcune sequenze da antologia:
la prima catastrofica apparizione dell'"entità", tutto l'episodio della
falla nello shuttle-esplosione-morte di Tim Robbins o il prefinale all'interno
dell'astronave aliena (o meglio, "originaria"), solo per citarne alcune.
Questo è "mission to mars", questo è Brian De Palma. Prendere o lasciare.
Gianluca Pelleschi
L'incredibile fascino dell'ignoto
E' un film molto americano l'ultima produzione a grosso budget in cui si cimenta Brian De Palma. Sia negli effetti visivi, assolutamente efficaci, che nei valori in cui i personaggi credono, quindi eroismo, famiglia, spirito di sacrificio, patriottismo. A questo riguardo, non puo' non fare storcere il naso la preoccupazione di risistemare la bandiera americana sul pianeta Marte, dopo l'avventuroso atterraggio e con tutti i problemi e le incognite che la missione pone. Nonostante cio', pero', il film trasmette un senso di meraviglia, attraverso
una sorta di sospensione di incredulita' che permette di bypassare i buchi di sceneggiatura e di vivere le esperienze dei personaggi e il loro stato d'animo. Non c'è la preparazione all'impresa, la spettacolare partenza, i personaggi che gridano comandi impronunciabili davanti ad un video, l'atterraggio, ma solo quello che succede in mezzo. Dopo una parte iniziale molto routinaria, in cui la missione su Marte sembra
porre le stesse problematiche di una scampagnata tra amici con dialoghi da sit-com, l'emozione nasce dai primi inconvenienti che il gruppo di salvataggio deve affrontare per raggiungere il pianeta rosso. Non c'e' il tipico ritmo concitato dei film di fantascienza americani e l'azione pare diluirsi nel tempo, ben rendendo lo stato psicologico e la solitudine in cui si muovono i personaggi. Molto eleganti i movimenti di macchina, assolutamente fluidi all'interno dell'abitacolo senza gravita' dell'astronave di soccorso, che confermano l'abilita' del regista e la cura meticolosa del dettaglio in un film che, pur in modo discontinuo, riesce a comunicare un senso di stupore e di fascinazione verso l'ignoto. Un po' imbolsito Gary Sinise, che in alcune sequenze non disdegna ombretto e lucidalabbra.
Luca Baroncini
Fine di un mito?
E' difficile credere che il Brian De Palma accreditato in "Mission to Mars" sia lo stesso regista di Newark che solo negli anni 80' girava capolavori del calibro di "Dressed to kill" e "Body Double"... Certo, non si può dire che la tecnica che lo ha reso famoso smetta qui di inchiodare a tratti allo schermo, come pure è impossibile criticare gli effetti digitali, stavolta, al contrario di quelli realizzati per
"Mission: Impossible", davvero ben realizzati e credibili... Ma a che servono le acrobazie della cinepresa e la computer grafica, mi chiedo, quando si è alle prese con una storia così brutta e scontata, e per giunta ci si è dimenticati di come si dirige un cast? Ne è uscita una terrificante ribollita fantascientifica di quasi 2 ore (la sceneggiatura scopiazza in sequenza: Apollo 13, 2001 e Incontri Ravvicinati... ho detto tutto), recitata da cani e con una decina di minuti di buon cinema a fare "l'obbligatoria differenza"... A mio avviso, già troppo pochi per il De Palma delle baracconate sotto la Manica... figuriamoci poi, per quello dei pezzi da antologia... Sprecatissimo Sinise, qui al nadir della sua carriera. Deprimente e assolutamente fuori luogo la colonna sonora di Morricone . Ridicolo (per non essere volgari) il finale. Eppure il risultato complessivo è meno noioso di quanto ci si aspetterebbe. Fine di un mito? Può darsi.
Andrea Carpentieri |