MISSION TO MARS
  (Mission to Mars)

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REGIA:    
Brian DE PALMA

PRODUZIONE: U.S.A.   -   2000    -   Fantascienza

DURATA:  113'

INTERPRETI:
Gary Sinise, Don Cheadle, Tim Robbins,
Connie Nielsen, Jerry O'Connell, Kim Delaney

SCENEGGIATURA:
Ted Tally - Jim Thomas - John Thomas - Graham Yost

FOTOGRAFIA: 
Stephen H. Burum

SCENOGRAFIA:
Ed Verreaux

MONTAGGIO: Paul Hirsch

COSTUMI:  Sanja Milkovic Hays

MUSICHE:  Ennio Morricone

Trama

Anno 2020, la prima missione della NASA destinata a portare l'uomo su Marte si conclude in tragedia, parte una missione di soccorso alla ricerca di superstiti...

Recensioni

 

 

 

Fantascienza secondo De Palma: missione impossibile?

De Palma dunque, in attesa dell'interpretazione carpenteriana del soggetto, alle prese con le ansie di colonizzazione del pianeta rosso. Sembrerebbe che la fantascienza non si addica alle doti del regista, motivo di curiosità in più per presenziare alla prima proiezione del film. 
Considerazioni: forse la fantascienza non si addice alle doti del regista. Quesito: quali sono le doti del regista? Un virtuosismo sconsiderato, in primis, piani sequenza funanbolici e pressoché infiniti e varie sequenze mozzafiato a volte incastonate dentro a film non certo memorabili (Mission: Impossible). 
Mission to Mars a volte stenta, a volte procede senza lode né infamia (ma pur sempre senza lode, e noi vogliamo la lode), a volte si intiepidisce in qualche sortita vagamente melò, a volte crea qualche momento di suspance, ma per la verità nulla che potrebbe nuocere a un malato di cuore, se mi perdonate qualche eccesso sloganistico. 
Ma il virtuosismo... il virtuosismo si libera (finalmente!) in qualche sequenza all'interno delle varie astronavi e nelle loro componenti vagamente circolari, e come ci si aspettava De Palma mostra di saper gestire con una certa maestria (o semplice mestiere?) varie rotture e confusioni delle coordinate spaziali fornite ad arte dalla solita assenza di gravità, in concomitanza con strani movimenti rotatori di alcuni meccanismi dell'astronave, che a volte ricordano certi giocattoli per criceti... 
Assolutamente inascoltabile la colonna sonora, insopportabile nel suo ridondare di luoghi comuni ampollosi e magniloquenti, con una quantità smodata di archi che suonano contemporaneamente a sottolineare (ma direi a questo punto cancellare) chissà cosa, che ottengono il solo effetto di infastidire lo spettatore, a dispetto del tanto millantato prestigio del dolby surround.
Attori sciatti, forse mal diretti, ma più che altro propenderei per l'ipotesi della mancanza di talento, ovviamente eccezion fatta per Tim Robbins, qui appena nella media. O'Connell in particolare, che qualcuno forse ricorderà protagonista del telefilm Ultraman, si muove nell' inespressività più cupa.
Baracconata finale all'insegna dei più triti (e immagino costosi) effetti di computer-grafica.
Sarà che chi scrive è tutt'altro che un cultore della fantascienza, eppure pare che il film abbia ben poco da dire e che non aggiunga nulla di nuovo a quanto già non si sapesse sull'argomento, semplicemente procede senza stupire e senza irritare più di tanto, senz'altro penalizzato dagli argomenti di cui sopra ma parzialmente risollevato dal mestiere di De Palma. Non parlare di delusione equivarrebbe comunque a mentire.

Stefano Trinchero


Greetings (from Mars)

Cosa c'e' oltre l'infinito, oltre le stanze settecentesche del finale di 2001? E cosa c'e dietro l'astronave di incontri ravvicinati del terzo tipo? Ecco i due film di fantascienza piu' filosofici e mistici frullati e contaminati
in una prospettiva stranamente retro': marte e' la nuova frontiera, lo spazio e' di nuovo terreno di conquista per i nostri bravi yankee con barbecue e missili in giardino, in un inizio deliziosamente arguto, che dichiara la dimensione ludico/ricapitolativa di un oggetto che piu' che un film *di* pare voler essere *sulla* fantascienza. 
Ci vuole coraggio a omaggiare un mito come 2001, e probabilmente solo un rodato saccheggiatore/citazionista come DePalma poteva e doveva farlo. La leggiadria della passeggiata del giovane astronauta nel modulo rotante e il ballo in assenza di gravita', insieme a quell'enorme spazio bianco solcato dalla fenditura all'interno della testa (quasi un "negativo" del monolite) sono momenti emozionanti anche per la commovente evidenza dell'affettuoso tributo. Dal capolavoro di Spielberg e' invece mutuato il nucleo del film: il sostanziale ottimismo, la montagna come centro dell'incontro, il messaggio sonoro da
decrittare come chiave per la comunicazione ("luogo" comunque tipicamente depalmiano). 
Curiosamente, siamo dalle parti anche di Starship Troopers e di Mars Attack: ma se nel primo la voluta piattezza di dialoghi, situazioni e sviluppi dava luogo ad una sapida satira sarcastica e nel secondo il furore dissacrante aveva intenti palesemente parodici, qui troviamo una ironia sottotraccia, quasi malinconica nel ripercorrere luoghi comuni del film fantascientifico americano di azione. Forse troppo, dimessa e sottotraccia: la sceneggiatura e tanti snodi sono cosi' prevedibili da far pensare, in certi momenti, di essere al cospetto di una boiata stile armageddon (o, alla meglio, indipendensday) e solo attraverso certi
segnali (uno per tutti il finto missile iniziale, ma anche il ciondolo di flash gordon) ci viene il fondato sospetto dell'uso voluto e consapevole del cliche' come ironico filo conduttore attraverso il quale si sviluppa un magistrale omaggio al genere. 
Lasciamo perdere qualsiasi discorso sulla perizia tecnica di DePalma e sugli effetti speciali: sono effettivamente sotto gli occhi di tutti coloro che hanno voglia e gusto per vederli. DePalma ci ammannisce movimenti gustosissimi, Marte e' esattamente come me lo immagino da quando ero bambino. La verosimiglianza? Chissenefrega se l'alieno finale suona falso come una baconota da tremila, se nello spazio si sentono i rumori e i buchi nella navetta si riparano con il chewingum. Non e' un documentario di Piero Angela (anche se in un paio di momenti il dubbio sorge): e' l'opera di un (grande) bambino che ci (si) diverte con la fantascienza.

Angelo Taglietti


Le regole del gioco

La "frase d'ordine", per lo spettatore di un film di De Palma, è: stare al gioco. Iniziare a cavillare in cerca di incongruenze, a infastidirsi per le forzature, a sovraccaricarsi del troppo cinema-cinema proiettato sullo schermo significa, semplicemente, rinunciare alla visione; è sempre stato così, dalle facce sfregiate alle missioni impossibili, dagli intoccabili agli occhi di serpente passando per controfigure e carliti briganti. Ecco dunque De Palma alle prese col suo primo (e ultimo, c'è da scommetterci) film di fantascienza, il genere che forse più di tutti lascia libertà d'agire all'immaginazione (in barba a vincoli realistici), e dunque ai voli pindarici della fantasia cinefila e al citazionismo più sfrenato e gratuito…poteva il regista cinefilo-citazionista per antonomasia lasciarsi sfuggire l'occasione? Ovviamente no. Ma. Ma De Palma fa della stima e del rispetto per l'intelligenza dello spettatore il suo Credo da sempre e così, con encomiabile onestà registico-intellettuale, scopre subito le sue carte "ingannatrici" e, come un baro buontempone e disinteressato, svela i suoi intenti prima di iniziare a giocare: parte un missile diretto su Marte ("mission to mars" confessa candidamente il titolo di testa)…anzi no. Parte un innocuo giocattolo per bambini che esplode tra coriandoli e stelle filanti. Si noti che l'inganno è edificato su (in)stabili e (dis)oneste fondamenta perché il suono col quale De Palma commenta l'immagine non è quello di un firework da notte di San Silvestro ma un rombo amplificato e "surroundizzato" ad hoc, dunque molto "serio" e molto "vero". Si noti altresì che la verità è svelata con un evidente movimento di macchina che non nasconde affatto la sua "presenza" e la sua intenzionalità. Siamo cioè di fronte a due esempi consecutivi di enunciazione marcata che, semplificando, ci dicono: "sono Brian, comando io il gioco, fisso le regole e mi prenderò tutte le libertà che voglio". Non è infatti azzardato affermare che quel piano iniziale contiene in nuce tutto il film, che si svilupperà difatti tra forzature, cambi di registro e incoerenze assolutamente coerenti, visto l'assunto iniziale. Il risultato? Una sorta di frullato dal retrogusto indecifrabile dove De Palma fa convivere le più disparate suggestioni cinefantascientifiche e non ha paura di far dialogare HAL9000 col capitano Kirk, di filmare l'atterraggio di Flash Gordon su "il pianeta proibito" e di lasciare il ruolo di special guest al figliastro dell'incestuosa unione tra E.T. e i suoi fratelli di "incontri ravvicinati del terzo tipo"; ecco perché avevamo affermato che "mission to mars" era il primo (un fatto) e l'ultimo (una supposizione) film di fantascienza girato da De Palma, perché è fin troppo evidente che è già una summa, uno schizofrenico Bignami de "la science fiction secondo Brian". Il tutto, non dimentichiamolo, girato splendidamente da un innamoratissimo del suo mestiere che non manca, come suo solito, di deliziarci con alcune sequenze da antologia: la prima catastrofica apparizione dell'"entità", tutto l'episodio della falla nello shuttle-esplosione-morte di Tim Robbins o il prefinale all'interno dell'astronave aliena (o meglio, "originaria"), solo per citarne alcune. Questo è "mission to mars", questo è Brian De Palma. Prendere o lasciare.

Gianluca Pelleschi


L'incredibile fascino dell'ignoto

E' un film molto americano l'ultima produzione a grosso budget in cui si cimenta Brian De Palma. Sia negli effetti visivi, assolutamente efficaci, che nei valori in cui i personaggi credono, quindi eroismo, famiglia, spirito di sacrificio, patriottismo. A questo riguardo, non puo' non fare storcere il naso la preoccupazione di risistemare la bandiera americana sul pianeta Marte, dopo l'avventuroso atterraggio e con tutti i problemi e le incognite che la missione pone. Nonostante cio', pero', il film trasmette un senso di meraviglia, attraverso una sorta di sospensione di incredulita' che permette di bypassare i buchi di sceneggiatura e di vivere le esperienze dei personaggi e il loro stato d'animo. Non c'è la preparazione all'impresa, la spettacolare partenza, i personaggi che gridano comandi impronunciabili davanti ad un video, l'atterraggio, ma solo quello che succede in mezzo. Dopo una parte iniziale molto routinaria, in cui la missione su Marte sembra porre le stesse problematiche di una scampagnata tra amici con dialoghi da sit-com, l'emozione nasce dai primi inconvenienti che il gruppo di salvataggio deve affrontare per raggiungere il pianeta rosso. Non c'e' il tipico ritmo concitato dei film di fantascienza americani e l'azione pare diluirsi nel tempo, ben rendendo lo stato psicologico e la solitudine in cui si muovono i personaggi. Molto eleganti i movimenti di macchina, assolutamente fluidi all'interno dell'abitacolo senza gravita' dell'astronave di soccorso, che confermano l'abilita' del regista e la cura meticolosa del dettaglio in un film che, pur in modo discontinuo, riesce a comunicare un senso di stupore e di fascinazione verso l'ignoto. Un po' imbolsito Gary Sinise, che in alcune sequenze non disdegna ombretto e lucidalabbra.

Luca Baroncini


Fine di un mito?

E' difficile credere che il Brian De Palma accreditato in "Mission to Mars" sia lo stesso regista di Newark che solo negli anni 80' girava capolavori del calibro di "Dressed to kill" e "Body Double"... Certo, non si può dire che la tecnica che lo ha reso famoso smetta qui di inchiodare a tratti allo schermo, come pure è impossibile criticare gli effetti digitali, stavolta, al contrario di quelli realizzati per "Mission: Impossible", davvero ben realizzati e credibili... Ma a che servono le acrobazie della cinepresa e la computer grafica, mi chiedo, quando si è alle prese con una storia così brutta e scontata, e per giunta ci si è dimenticati di come si dirige un cast? Ne è uscita una terrificante ribollita fantascientifica di quasi 2 ore (la sceneggiatura scopiazza in sequenza: Apollo 13, 2001 e Incontri Ravvicinati... ho detto tutto), recitata da cani e con una decina di minuti di buon cinema a fare "l'obbligatoria differenza"... A mio avviso, già troppo pochi per il De Palma delle baracconate sotto la Manica... figuriamoci poi, per quello dei pezzi da antologia... Sprecatissimo Sinise, qui al nadir della sua carriera. Deprimente e assolutamente fuori luogo la colonna sonora di Morricone . Ridicolo (per non essere volgari) il finale. Eppure il risultato complessivo è meno noioso di quanto ci si aspetterebbe. Fine di un mito? Può darsi.

Andrea Carpentieri

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De Palma e il Citazionismo

De Palma è un regista atipico la cui produzione ha sempre creato molte discussioni nell'ambito di un mondo critico che ha adottato da tempo i canoni introdotti dal gruppo dei "Cahiers du Cinema" che ha dato poi origine allo zoccolo duro della Nouvelle Vague. Infatti De Palma è un "non autore" per definizione, eppure, nonostante ciò, la sua filmografia è inconfondibile, tutt'altro che anonima e dispersiva, riconoscibilissima: la sua peculiarità è paradossalmente il "saccheggio"di situazioni, sequenze, "azioni", elementi narrativi, provenienti indifferentemente da pietre miliari del cinema come da non eccelsi prodotti di consumo, che De Palma rielabora in modo originale e suggestivo inserendoli in diversi contesti narrativi, modernizzandoli e rivitalizzandoli dall'alto del suo enorme talento registico.
Ma in "Mission to Mars" il regista newyorkese sembra avere la lampadina spenta, le sue citazioni sono scialbe, fredde, di "maniera". Nel suo film di fantascienza, De Palma attinge dai più significativi rappresentanti del genere degli ultimi 30 anni, da capolavori come "2001 Odissea nello Spazio", "Incontri Ravvicinati del terzo tipo", a opere non certo memorabili come "Contact" e "Apollo 13", ma senza rinnovarne decisamente il linguaggio. Solo in rade scene il guizzo del genio si fa strada in mezzo ad un piatto esercizio di stile (degli altri...): il ballo in assenza di gravità, dinamicamente armonico nella rotazione orizzontale dei corpi in una rotazione verticale della nave spaziale; la lunga emozionante sequenza del tentativo di aggancio della sonda che porterà alla perdita di Tim Robbins (uno sguardo struggente indimenticabile in un grigiore recitativo generale), la montagna che si trasforma in un ciclopico drago di terra che inghiottirà il primo gruppo di colonizzatori. Il perché di tale pochezza è difficilmente spiegabile: si ha l'impressione che De Palma trovi poca ispirazione, poco "spazio immaginativo" all'infuori del thriller, suo terreno prediletto.
Ma al di là di questo è curioso notare come il "citazionismo" venga applicato anche alla sceneggiatura, che al solito funge solo da raccordo tra le memorabili sequenze depalmiane, una sceneggiatura comunque quasi sempre dignitosa, brillante nei dialoghi, mai carente di ritmo, che talvolta si eleva anche a livelli qualitativamente inusitati per un regista con le prerogative di De Palma (basti pensare a "The Untouchables" o "Carlito's Way"). Ma la scrittura di "Mission to Mars" è una sequela di dialoghi stucchevoli e noiosi, imbarazzanti per banalità e retorica, addirittura didascalici (siamo al colmo...), permeati da un'aura new-age falsissima che era stata (giustamente) stigmatizzata nel Contact di Zemeckis. Qualcuno ha parlato, non a caso, della possibilità che questa impostazione della scrittura sia una volontà precisa da parte di De Palma: fare una parodia sottopelle, dell'ironia sotterranea, un affettuosa e amorevole presa in giro degli stereotipi che hanno attraversato il "genere fantascienza". Tuttavia questa operazione presupporrebbe un minimo di distacco da parte dell'autore (come in "Starship Troopers" o "Dark Star" tanto per citare due film che rispondono ad una finalità di questo tipo), distacco che dovrebbe manifestarsi al termine di una sequenza "tipica"e abusata al fine di prenderne le distanze, o tramite una battuta "raffreddante", o mediante un anti-climax, o un'iperbole... ma tutto questo in De Palma non c'è, si aspetta... si aspetta... ma quando al momento del lieto fine in cui gli astronauti riescono a tornare alla navetta, si sente la battuta della segreteria telefonica da parte del pilota che stava per partire, ci si arrende all'evidenza. 
A conferma dell'impressione che l'ironia non era proprio nei piani del regista, c'è una recente intervista in cui De Palma nega decisamente non solo la supposta sottile vena ironica nei confronti del genere, ma anche l'omaggio a 2001 Odissea nello Spazio, ammettendo al contrario che l'ottimismo emanato dal film è un bisogno (legittimo) di speranza dopo una filmografia perennemente attraversata dal suo connaturato scetticismo sulla condizione umana.

Daniele Bellucci


Durante tutta la visione mi sono chiesta quale era il senso del film perchè non potevo credere che un regista come De Palma potesse veramente propinarci scientemente questa accozzaglia di banalità. La pellicola è pervasa di luoghi comuni, di patriottismo spicciolo (ma fatemi il piacere: arrivano, dopo mille peripezie, su Marte e la prima cosa che fanno, anzichè cercare il sopravvissuto, è piantare la bandierina???) che fa tanto anni Ottanta... Ma come è possibile che tutto quello che ti aspetti accada esattamente nel momento in cui te lo aspetti? Tutti i déja vu di questo genere sono presenti, snocciolati come gli m&m che formano il DNA della donna sognata dall'idiota americano...
- la tragedia personale che cancella le speranze del *sognatore* ("Sono nato per scoprire il mondo futuro..." - clap clap).
- il sacrificio del capitano per il suo equipaggio (devo ammetterlo: scena veramente toccante).
- il gruppetto di impavidi composto da un nero, una donna e uno sfigato (più politically correct di così...).
- i marziani buoni, comprensivi (nonchè nostri progenitori!) obbligati ad emigrare che mettono in naftalina il nostro novello Marco Polo.
- la partenza del *sognatore* che non ha più nulla sulla terra, ma che porta avanti una missione personale per onorare la memoria della moglie.
- le tormentose difficoltà che si sciolgono in un happy end scontatissimo (l'idiota che mima la segreteria telefonica...).
Una cosa a sua favore c'è: non male gli effetti speciali (anche se si è già visto di meglio) e ottima l'idea di ispirarsi a Modigliani (anche un po' a Brancusi) per il tempio dei marziani.
A pensarci bene: forse è una galattica presa per in giro per noi spettatori. Effettivamente indimenticabile.

Giada Bernabei


Stefano
Trinchero

Daniele
Bellucci
5

Marco
Saraga
6

Angelo
Taglietti
Gianluca
Pelleschi
7
Luca
Baroncini
7
Andrea
Carpentieri
6
Matteo
Catoni
Giada
Bernabei
4
Luca
Pacilio
8
Simone
Ciaruffoli
6
 
 

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