MOLOCH
(Moloch)

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REGIA:    
Aleksandr SOKUROV

PRODUZIONE: Fra/Ger/Ita/Jap/Rus   -   1999   -   Grottesco

DURATA:  103'

INTERPRETI:
Leonid Mosgovoi, Elena Rufanova,
Anatoli Schwederski, Vladimir Bogdanov,
Elena Spiridonova, Leonid Sokol

SCENEGGIATURA:
Yuri Arabov - Marina Koreneva

FOTOGRAFIA:
Aleksei Fyodorov - Anatoli Rodionov

SCENOGRAFIA: 
Sergej Kokovkin

MONTAGGIO: Leda Semyonova

COSTUMI: Lidiya Kryukova

Trama

Moloch racconta una giornata di vita (1942) di Hitler in compagnia di Eva Braun, Joseph Goebbels e moglie, nel buon ritiro sulle Alpi Bavaresi. Eva cerca invano un riscontro amoroso nel suo freddo amante.

Recensioni

 

 

 

Interessante prova del regista siberiano Sokurov, autore di film intensi come "La Madre". Stile registico inconfondibile: silenzi infiniti, luci evanescenti, immagini pittoriche, la morte che aleggia silenziosa: bagliori di poesia sublime. L’immobilismo come tentativo di esorcizzare la morte o allontanarla anche solo per un attimo, o forse catturarla per sempre...
Premio meritatissimo a Cannes ’99 per la sceneggiatura, Moloch riproduce la convivenza abituale con l’orrore ed il fascino del potere. Sokurov reinventa luoghi, spazi, per ospitare un convegno di spettri che non si accorgono di essere trapassati. Un Hitler e una Eva Braun ridotti all’essenziale, messi a nudo in tutta la loro disarmante umanità/non umanità.
I personaggi di Moloch sembrano quasi appartenere al teatro, ad una piece simil-brechtiana in cui si vuole denunciare l’assurdo che si cela spesso nel vivere. A tratti, e questo è uno dei limit del film, sembrano la parodia, la caricatura di se stessi. A volte si sconfina nel grottesco (Hitler chiede "cos'è Auschitwz?").
Tra musiche crepuscolari di Wagner e spezzoni del cinema della Riefensthal, Sokurov rappresenta un’umanità disumanizzata; Moloch sembra un’opera immersa in colori e sfumature che puzzano di morte, in cui i personaggi sembrano schiacciati dall’assurda perfezione del nulla.
Assai evidente lo stridore tra il ritratto di un uomo fragile e meschino, emblea del male nel mondo (Moloch), alla leggerezza di Eva che conserva una curiosa sintonia con la natura.

Vito Casale di Central do Cinema

Commenti

 

 

Una fortezza affogata nella nebbia e le marionette del potere mosse dai fili della banalita' piu' atroce perche' intrisa di morte e ottusita'. Figure grottesche e raggelate in un paesaggio onirico, di nuvolaglia squarciata dal sole; impasti di colore, luci soffuse, un verde smeraldo che incornicia una lugubre scala. Hitler e la sua piccolezza, omuncolo ipocondriaco, piagnucoloso, infantile: una superba nullita'. Eva: "Non sapete stare solo. Senza un pubblico davanti a voi siete soltanto un cadavere". La compagnia si diverte, balla, scherza, si odia e disprezza dietro una cortina di meschina ipocrisia, di viscido servilismo. In questo spaccato agghiacciante, lampi di cinema sublime. Le due donne vicine, dietro di loro lo schermo che celebra il vacuo splendore nazista, gli esercizi ginnici di Eva nuda sulle mura del castello (l'inizio del film, di valore assoluto, uno dei momenti piu' alti che il cinema ci abbia regalato negli ultimi anni, gia' icona irrinunciabile su FUORI ORARIO), ancora Eva, alla fine, fantasma evanescente che si dissolve in un emozionale, supremo attimo. Un altro pittore su celluloide, un altro seguace della rappresentazione dello spazio fisico in forme e colori, un altro lungo brivido dopo il capolavoro MADRE E FIGLIO. Specchi deformati, contorni delicatamente sfumati, profili rigorosi... Il fotogramma come una tela, superficie da incidere e dipingere; e in un trionfo estetico pari soltanto al genio di altri due artisti amatissimi (Ruiz e Greenaway, naturalmente) Sokurov fa a pezzi il moloch, il colosso Hitler si sgretola sotto i nostri occhi.

LuCa P@cilio


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