NON UNO DI MENO
(Yige dou buneng shao)

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REGIA:    
Zhang YIMOU

PRODUZIONE: Cina   -   1999   -   Dramm.

DURATA:  106'

INTERPRETI:
Sun Zhimei, Gao Enman, Tian Zhenda

SCENEGGIATURA: Shi Xiangsheng

FOTOGRAFIA: Hou Yong

SCENOGRAFIA: Cao Jiuping

MONTAGGIO: Zhai Ru

MUSICHE: San Bao

Trama

La giovane contadina Wei Minzhi viene chiamata dal capo di un povero villaggio a sostituire il maestro Gao, che si dovrà assentare un mese per accudire la madre morente. Quando un ragazzo scapperà alla ricerca di denaro per la famiglia, la ragazza, fedele alla promessa fatta al maestro di non perdere neanche un alunno, intraprenderà una ricerca con pochissime possibilità di successo in città; dopo estenuanti tentativi a vuoto, riuscirà, per mezzo della televisione a rintracciare il piccolo Zhang Huike.

Recensioni

 

 

 

Il fascino ambiguo del nuovo Yimou

Abbandonate le tentazioni avanguardistiche, sfociate nel deludente "Keep Cool", Zhang Yimou ritorna a temi e stili più consoni alla sua personalità di regista con un "on the road" a sfondo sociale che gli è valso il Leone d'oro a Venezia, l'impeccabile, affascinante e smaccatamente mistificatorio "Non uno di meno".
Già in "La Storia di Qiu Ju" il regista cinese aveva utilizzato il tema della ricerca per evidenziare, aspetto che ricorre sistematico in tutta la sua opera, le difficoltà del mondo contadino, della popolazione delle campagne, a trovare spazio, giustizia, benessere, giusto riconoscimento del proprio lavoro da parte della società gretta e burocrate del regime comunista. Questa volta, però, la protagonista del film non è una semplice rappresentante del popolo di fronte all'immutabile, insuperabile, "kafkiana" burocrazia alla base della società statalista cinese, perché assume il compito di "mediatrice" tra i due mondi nel momento in cui diventa "maestra", un incarico di  indiscutibile rilievo avendo la grande funzione potenziale di istruire un'infanzia povera equipaggiandola per un altrimenti improbabile impiego nella grande città (tra l'altro le scuole si spopolano proprio a dimostrare la sfiducia delle vecchie generazioni verso un mezzo che secondo loro non può cambiare il corso del destino di un qualsivoglia rappresentante della loro classe sociale), funzione solo potenziale dal momento che anche la scuola si limita burocraticamente ad impartire lezioni di copiatura che non possono in alcun modo coinvolgere l'alunno né tanto meno svilupparne l'intelletto. Si ha pertanto la sensazione che Zhang Yimou voglia porre fine alla sua irriducibile contestazione nei confronti del suo governo ed indicare il mezzo che conduca la Cina verso la modernità: "è la tenacia e la forza di volontà delle nuove generazioni contadine che può risollevare il paese, sburocratizzandolo e rivitalizzandolo con il loro atavico pragmatismo e buon senso". Intento lodevole
 da parte del regista ma il personaggio che dovrebbe farsi portatore di questo messaggio, risulta imbarazzante, totalmente privo di credibilità, falso. Già non è del tutto convincente, anche se a tratti piacevole,  la "trasformazione" della supplente Wei Minzhi, un'insignificante impaurita tredicenne (anche perché istruita dalla stessa inutile scuola) in una insegnante improvvisamente autoritaria (ma al punto giusto, naturalmente...) che sviluppa l'ingegno dei suoi alunni in un modo ben misterioso dal momento che a tratti sembra ottusa molto più dei piccoli bambini (al punto che impiega mezz'ora di film a trovare il modo di pagare un autobus - una simile lungaggine l'abbiamo riscontrata nel dialogo ripetitivo dei due protagonisti di Keep Cool in un locale). Ma queste perplessità potrebbero essere fugate se si trovasse una spiegazione plausibile alla sua implacabile determinazione nel trovare l'alunno fuggito. In realtà una simile determinazione l'abbiamo già riscontrata recentemente nel superbo personaggio di Rosetta dei Dardenne, ma lì era pienamente giustificata da una titanica lotta per la sopravvivenza, senza contare il tormento che permeava continuamente ogni  azione della ragazza.. In questo film, quale molla spinge la protagonista ad una tale risolutezza? Non certo il denaro, che non è sufficiente nemmeno per 6 viaggi in città (spiegazione che viene comunque fugata dal suo sincero pianto in televisione). La parola data? Quella promessa strappata a lei dal maestro di ruolo che si raccomanda che al suo ritorno vorrà ritrovare gli stessi alunni che lascia, "non uno di meno"? Questa spiegazione  sarebbe convincente e conforme alle virtù di lealtà e di mantenimento della parola data di una rappresentante del popolo... se non fosse che una bambina ha già lasciato la scuola (attraverso l'unico modo possibile per un povero di cambiare la propria esistenza al di fuori dell'istruzione, ovvero mediante lo sport). E poi, è plausibile questo ostinato inseguimento quando comporta l'abbandono del resto della classe? (che, in linea teorica, non controllata da nessuno, potrebbe fuggire in massa?). Questa carenza di credibilità delle fondamenta sui cui poggia l'intreccio narrativo condiziona purtroppo anche le bellissime sequenze espressionistiche che si susseguono durante la ricerca (due su tutte: Wei Minzhi che scrive a mano centinaia di annunci di scomparsa in una stazione attorniata da una folla dormiente, che cambia posizione mentre i fogli di lei si accumulano sempre più; gli stessi annunci volano via col vento spazzati da netturbini avvolti in una luce bluastra di meravigliosa resa visionaria) che perdono inevitabilmente forza e necessità ("effetto" di una "causa" pretestuosa).
Il tema della ricerca e della fuga dà invece la sensazione di prestarsi a più chiavi di lettura, pare sottintendere simbolismi più sottili: "fuga reale" (quella della popolazione verso la libertà  tramite l'emigrazione) o semplicemente "fuga interiore" che porta all'apatìa e la sfiducia nell'utopìa della Grande Cina, quella cantata prima dell'alzabandiera) e la "ricerca" il tentativo da parte delle istituzioni di trattenere la popolazione con argomenti più convincenti degli attuali. Tuttavia il regista non sembra approfondire troppo questo aspetto di natura ideologica o politica: l'apologia della popolazione rurale prende troppo il sopravvento su tutto il resto, anche se, a onor del vero, la contrapposizione "positivo-negativo" è duplice e trasversale, poiché l'inerzia, il menefreghismo, la mollezza, il monotono appellarsi alle "leggi" si riscontrano sia nei "vecchi" rappresentanti dei villaggi rurali (il capovillaggio e il maestro), che nei giovani cittadini (la ragazza che accompagna di malavoglia la protagonista alla ricerca dello scomparso, il ragazzo che disillude Wei Minzhi sull'utilità dei volantini alla stazione).
Come già in "Keep Cool", vengono rappresentati alcuni simboli di un'occidentalizzazione ormai radicata, ma mentre nel primo si poteva riscontrare una chiara avversione per l' acquisizione sistematica di tutti gli status symbol del capitalismo evidenziata da un sarcasmo affilatissimo, in "Non uno di meno" il regista sembra evitare di sbilanciarsi in un giudizio netto (forse per non inimicarsi i paesi occidentali che tanto e decisivo sostegno gli hanno dato nella distribuzione delle sue opere), rimanendo ambiguo soprattutto nei riguardi della televisione, dà una parte prendendone le distanze a livello estetico (la trasmissione in cui Wei Minzhi farà il suo appello non è né più né meno che un esotico "Chi l'ha visto?"), dall'altra riconoscendone una sua utilità sociale. L'aspetto forse più riuscito del film è la ridicolizzazione dei riti che preludono l'inizio delle lezioni (le enfatiche canzoni patriottiche e le grottesche gestualità durante l'alzabandiera), mentre la poetica degli elementi essenziali dell'insegnamento (i gessetti e il chiodo) è affascinante ma contraddittoria perché rappresenta proprio il vecchio metodo burocratico che il regista contesta (il gessetto serve effettivamente per scrivere dettati interminabili quanto inutili; il chiodo che, raggiunto dal sole, indicherà la fine dell'orario scolastico, è simbolo dell' inesorabilità della durata delle lezioni, a prescindere dalla "sostanza" di ciò che si insegna). Il finale è di una sdolcinatezza disturbante, anche se l'ultima scena, in cui gli alunni divengono parte attiva della propria istruzione, è di forte impatto emotivo.
In conclusione, Zhang Yimou realizza un film a tesi, con l'unica preoccupazione di colpire emotivamente gli spettatori, infischiandosene delle palesi ambiguità a livello tematico e delle rilevanti carenze di ordine narrativo. L'indubbio talento registico non basta a salvare il film dal fastidioso alone di falsità e trascuratezza che lo attraversa dall'inizio alla fine.

Daniele Bellucci

Commenti

 

 

"Non uno di meno" è l'ennesimo film del regista cinese premiato ad un festival cinematografico e qui il Leone d'oro è più che mai meritato. Dopo la parentesi di Keep Cool, ritroviamo lo Zhang Yimou che più amiamo mostrarci una storia semplice, ma profonda che ha per protagonista, anche questa volta, una figura femminile tenera e forte, timida e caparbia (prima di lei: Qui Ju, Ju Dou) che si batte fino alla fine, coi pochi mezzi a disposizione, per tener fede ad una promessa. La giovanissima attrice è ottima interprete di questa parte così sfaccettata che la fa passare, quasi un climax cinematografico, dalla timidezza alla noia, alla decisione, alla tenacia, alla vittoria. Altro tema caro al regista (e che rimane sempre sullo sfondo) è la forte discrasia tra campagna e città: povera, arretrata, ma solidale la prima; caotica, rigida, ma comunque con un cuore la seconda. Il lieto fine non guasta, dà giusto un po' di sollievo che viene però subito smorzato dalla sovraimpressione che ci dice quanti bambini in Cina abbandonano ogni anno la scuola per problemi economici e quanti ritornano sui banchi solo grazie alle donazioni. Unica nota dolente è il doppiaggio insopportabile (come, del resto, quello dei film iraniani, russi e slavi) che dà l'idea di essere buttato lì in modo sommario e precario, giusto perché s'ha da fare.

Giada Bernabei


Daniele
Bellucci

Stefano
Trinchero
8

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Giada
Bernabei
7
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7
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7
         
 

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