8 DONNE E 1/2
 

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REGIA:    
Peter GREENAWAY

PRODUZIONE:  Ger/GB/Lux/Ola   -   1999   -   Commedia

DURATA:  120'

INTERPRETI:
John Standing, Matthew Delamere, Vivian Wu,
Annie Shizuka Inoh, Barbara Sarafian, Kirina Mano, Toni Collette, Amanda Plummer, Natacha Amal, Manna Fujiwara, Polly Walker, Elisabeth Berrington, Myriam Muller

SCENEGGIATURA:
Peter Greenaway

FOTOGRAFIA: 
Reinier Van Brummelen - Sacha Vierny

SCENOGRAFIA: 
Wilbert Van Dorp - Emi Wada

MONTAGGIO: 
Elmer Leupen

COSTUMI: 
Emi Wada

EFFETTI SPECIALI: 
Osamu Kume

Trama

Un ricco uomo d'affari, Philip Emmenthal, dopo la morte della moglie, entra in crisi. Il figlio Storey cerca di consolarlo come puo'. Prima gli si propone carnalmente e poi decide di dar vita a a una sorta di bordello privato nel quale possano realizzarsi le fantasie sessuali paterne. Recluta Kito (la segretaria inappuntabile), Clotilde (la domestica sempre disponibile), Simato (Madama Butterfly, la sottomessa donna orientale sedotta dall'uomo occidentale e poi abbandonata), Mio (la donna che impersonifica l'uomo che fa la donna -"complicated"-), Griselda (l'irraggiungibile suora virtuosa), Beryl (l'amazzone), Gioconda (la madre Terra sempre incinta), Palmira (la desiderabile puttana dal cuore d'oro) e Giulietta (la mezza donna). Ma, come per tutti i progetti dei personaggi greenawayani, il fallimento e' dietro l'angolo.
("Tutti i miei personaggi sono dei falliti. E' il destino degli innovatori. E tutti sono me").

Recensioni

 

 

 

Otto motivi e mezzo per amare questo film (e Greenaway)

Un discorso di mera valutazione relativo a una qualsiasi delle opere di Greenaway implica un approccio razionale, logico e tendenzialmente oggettivo che, lo confesso, nei confronti del suo cinema mi manca del tutto. Non apprezzo o ammiro i film del regista inglese. Li amo smoderatamente, passionalmente, sconsideratamente. Per almeno otto motivi (e mezzo). 

MOTIVO UNO - L'IMMAGINE 
Greenaway mi offre tutto cio' che adoro vedere su uno schermo. I ragionamenti sul barocco, sulla cornice, sul tempo filmico, sull'enciclopedismo, sul testo o l'ipertesto giungono alla fine, sono nell'ultimo vagone. Posso anche fingere di riconoscere che 8 Donne e 1\2 sia un film minore (contra vedi alla voce MEZZO MOTIVO), che sia banale (contra vedi alla voce MOTIVO OTTO), a tratti manierato (contra vedi alla voce MOTIVO TRE) ma andatelo a dire al mio cuore. E' lui che mi trascina al cinema per vederlo la terza volta, e' lui che si arrossa di piacere sempre maggiore ad ogni visione del suddetto. Una scena: nel buio innumerevoli palline da Patchinko, illuminate, rotolano per le scale.
("L'immagine deve essere la cosa piu' importante")

MOTIVO DUE - L'ELEMENTO PITTORICO
A proposito di re-visioni: ho visto The Pillow Book cinque volte al cinema (e in videocassetta... Beh, lasciamo perdere). Annoiato? Neanche un po'. Si annoia chi cerca e segue una storia. Alla seconda visione non avra' niente da scoprire e da apprezzare. Chi ama un quadro, invece, puo' goderselo tante volte quante decide di ammirarlo (e lo sa benissimo che trovera' quella linea, quel colore o quello figura ma il sapere la tal cosa non inficia il suo piacere perche' e' esattamente quella linea, quel colore, quella figura ad emozionarlo, non cio' che rappresentano o ritiene rappresentino). Dal punto di vista visivo il regista si allontana dagli ultimi scatenati esperimenti de I Racconti del Cuscino per tornare alle origini del suo cinema, ai suoi quadri fermi di enorme suggestione: la sempre meravigliosa fotografia di Sacha Vierny restituisce i consueti riflessi acquei su pareti, visioni frontali che incorniciano luoghi e paesaggi con figure; disseziona spazi sui quali traccia linee immaginarie che li spaccano in meta' perfette e speculari (cfr. Lo Zoo di Venere), simmetriche e centrate. Schizza le calde tinte dell'Oriente, dai lascivi interni di un boudoir agli elettrici bagliori di un Patchinko Parlour, e l'algido lividore di un Occidente decaduto. 
Per questo MOTIVO vedro' questo film almeno otto volte (e mezzo).
("Dovremmo avere un cinema di pittori, non di scrittori")

MOTIVO TRE - IL CATALOGO
Dopo l'accantonamento, per motivi produttivi, del progetto di The Tulse Luper Suitcase, che Greenaway culla da anni (e che oggi sappiamo in lavorazione), il regista ha ripreso in mano il vecchio disegno del film omaggio a Fellini che, alla maniera del nostro, suona quasi come uno scherzoso dileggio che parla pochissimo del cinema del maestro riminese ma che dice moltissimo sul cinema dell'inglese, costituendone una sorta di minicatalogo. Ci sono il tono grottesco e certe luci di Giochi nell'Acqua, il tema del contratto (I Misteri del Giardino di Compton House), la fredda maniacalita' de Lo Zoo di Venere (anche il plumbeo rigore delle scenografie ricorda da vicino quest'ultimo film), la sobrieta' geometrica de Il Ventre dell'Architetto
("Considero ciascuno dei miei film come il capitolo di un grande film").

MOTIVO QUATTRO - IL SESSO
Finalmente centro esclusivo del discorso filmico, il sesso in 8 Donne la fa da padrone. Ossessivo e masturbatorio come non mai, l'autore, alla maniera di Fellini, inscena un bordello con un campionario vivente delle piu' trite fantasie maschili. Quest'ultimo e' pero' molto distante dalla familiarita' e dal calore dell'harem felliniano: e' una grottesca e lugubre galleria in cui il piacere sembra confinare pericolosamente con la morte. Ma il regista non si limita a questo: con un'unica mossa (il rapporto sessuale tra padre e figlio) gioca con omosessualita' e incesto e, coerentemente alla matericita' del suo cinema, non affida il mezzo del titolo a figure metaforiche. La mezza donna e', per l'appunto, una donna a meta' (ancora Zoo). Il tutto con il consueto tono disincantato, controllato e altamente umoristico (l'umorismo greenawayano, questo non riconosciuto): valga per tutti lo straordinario discorso sul pene come capolavoro dell'ingegneria (Greenaway storyteller al suo meglio). 
Un sesso piu' evocato che mostrato: dialoghi fitti (cosa insolita), discussioni paradossali quelle tra padre e figlio, in assoluto i personaggi piu' divertenti del suo strampalato zoo narrativo. L'incrocio delle dialettiche dei due caratteri e' approfondito, spietato, ma non privo di ironia e calore. La scena del confronto allo specchio e' comparazione tra due corpi - uno decadente, l'altro asciutto e bello -, tra due generazioni e due sensibilita' finalmente sovrapposte e disposte a raffrontarsi dopo tanti anni ("Questo e' dunque lo specchio che ha visto il corpo nudo di mio figlio adolescente"). I due archetipi (Padre e Figlio) si incontrano fisicamente (in ogni senso) dopo che per tanti film questa possibilita' era stata loro negata (insisto sulla necessita' di leggere questo film in una prospettiva che racchiuda la complessiva opera del regista, a tal proposito vedi MOTIVO TRE e MOTIVO CINQUE): il disegnatore (I Misteri...), usato da Mrs Talmann per ottenere il concepimento, viene ucciso; ne Lo Zoo di Venere Alba mette alla luce due gemelli che non conosceranno mai il loro padre (i due etologi, uno a caso e' il genitore, moriranno dopo che le creature sono state affidate ad Arc -en-ciel, che meglio rispetta il principio simmetrico su cui tutto il film si fonda); ne Il Ventre dell'Architetto il figlio di Kracklite nasce durante l'inaugurazione della mostra di Boullee' al Vittoriano, proprio mentre l'architetto si suicida lanciandosi da una finestra del monumento; in Giochi nell'Acqua Cissie Colpitts 3, dopo il matrimonio e l'ottenuta gravidanza, annega il giovane marito; in Il Cuoco... il Ladro si lamenta della difficolta' della Moglie a rimanere incinta; ne I Racconti del Cuscino Jerome non verra' neanche a sapere del concepimento del figlio, rimanendo vittima di un suicidio che voleva essere solo di scena. In 8 Donne dunque la convergenza dei due personaggi e' in qualche modo epocale e va letta in collegamento obbligato con tutti i mancati confronti passati; ne' e' un caso che dei due sia Storey a istruire il padre (nell'epoca della tecnologia sono i figli a istruire i padri, ad aprire loro nuovi mondi), a liberarlo dalle sue ingenue credenze sessuali, a portarlo prima nel suo letto e poi nelle alcove delle donne che raccoglie nella villa ginevrina.
L'ovvia accusa che si e' mossa al film e' quella di vetero maschilismo (e quand'anche fosse?). Chi conosce il cinema dell'inglese sa bene, pero', che la donna e' sempre il motore delle azioni, l'elemento volitivo, quello che decide le sorti di ogni vicenda; gli uomini sono quasi sempre mediocri, deboli, illusi, confusi, raggirati. Solo in apparenza 8 Donne rovescia i ruoli; la femminilita' e', infatti, solo un oggetto ipotetico nelle mani di padre e figlio. In realta' il bordello dorato e' solo la prigione della loro sessualita', il monumento che essi erigono all'impotenza del confronto con la donna reale. Le donne sfruttano la debolezze dei due ed usano le loro patetiche fantasie per portarle ad estenuazione. Anche stavolta ne escono vincitrici.
("Il sesso e' necessario per la riproduzione della specie, l'amore no. Darwin insegna. Gli uomini amano le donne, le donne amano i bambini, i bambini amano i criceti e non c'e' verso che accada il contrario: alla natura l'amore non interessa")

MOTIVO CINQUE - IL METACINEMA
Greenaway omaggia Fellini (e Godard) piu' che dal punto di vista visivo e iconografico, da quello concettuale. Come nel capolavoro felliniano parla infatti di cinema nel suo farsi, come in Godard della struttura del linguaggio filmico. In maniera non esplicita, ma quasi tra le righe, comprendiamo come quello che stiamo vedendo sia soltanto un film che si sta girando (o che viene immaginato) partendo dalle pagine della sceneggiatura che appaiono, a mo' di didascalie, a ogni frazione dell'opera, forse il film che lo stesso Storey (story?) dice di voler girare. Tutto questo col preciso scopo di sottolineare il carattere artificioso dell'opera, il film come opera antirealistica, tematica cara a Godard, prima ancora che a Greenaway. Riflessione sul ruolo del filmaker dunque, ma non di uno qualsiasi (vedi MOTIVO 3). Il fatto stesso che in 8 Donne manchi del tutto una colonna sonora musicale, laddove nei precedenti film essa aveva avuto sempre uno spazio e una risonanza speciale, finisce col concentrare ancora di piu' l'attenzione sull'aspetto del "making of".
("Ogni tecnica ha il suo inventore, il suo consolidatore e qualcuno che la rompe. Per me Ejsenstejn potrebbe essere l'inventore del cinema, Fellini ne sarebbe un consolidatore e Godard uno che lo ha rotto")

MOTIVO SEI - I NUMERI
13 i disegni ne I Misteri del Giardino di Compton House, 2 il numero che ricorre in Zoo, 7 le fasi dell'architettura prese in considerazione ne Il Ventre (ma 7 sono anche i colli di Roma), 100 i numeri che scandiscono la narrazione di Giochi nell'Acqua (e quando giungiamo a 50 sappiamo di essere a meta' film...), 9 le giornate che segnano la successione degli eventi ne Il Cuoco, 24 i libri di Prospero ne L'Ultima Tempesta, 13 il numero chiave di The Baby of Macon e ancora 13 sono i libri scritti sul corpo degli amanti di Nagiko in The Pillow Book. 92 saranno le valigie di Tulse Luper della prossima trilogia. Ho bisogno di dire qual e' il numero chiave di questo film?
("Mi piacciono i numeri e il loro significato")

MOTIVO SETTE - IL CORPO
L'anatomia (Vesalio docet), il chiodo fisso del corpo: nudo (le creature di Prospero), martoriato (Il Cuoco, The Baby of Macon), prestante e bello (M is for Man, Music and Mozart) ripugnante o cadente (Giochi nell'Acqua), gravido (Il Ventre dell'Architetto), semplicemente morto (riguardarsi l'intera filmografia e in piu' Les Morts de la Seine). Greenaway stilizza sempre di piu' il suo cinema, rende le sue immagini ancora piu' ricercate, artificiose, sofisticate ma resta costante nella rappresentazione di una fisicita' palpabile, concreta. i suoi film sono densi di umori e deiezioni corporali: urina, vomito, muco, sudore, sangue, feci, sperma; tutto cio' col chiaro intento di affermare il primato dell'essere umano come entita' fisica e corporale, quale centro del suo mondo immaginario. Una donna dissezionata e' nell'obiettivo di questo film: in carne ed ossa, depilata, ingabbiata in strutture di acciaio, incinta, asservita, femminile o mascolina, (falso) idolo profanabile (e profanato spesso e volentieri), entita' effettiva e tangibile lontana dalle rassicuranti idealizzazioni felliniane. 
("Molti intellettuali trovano estremamente difficile inquadrare il mio cinema, che da una parte si nutre di "concetti" di natura prettamente intellettuale, dall'altra parte e' determinato a dimostrare la pura fisicita' del fenomeno dell'essere vivi")

MOTIVO OTTO - LA PROVOCAZIONE
La violenza con la quale la stampa ha massacrato quest'ultima opera del regista dice poco del film e molto sull'atteggiamento di certi critici. Orio Menoni, in quella che e' stata la piu' lucida e distaccata trattazione (Segnocinema n. 103) ha, a mio parere, centrato il nodo della questione, affermando che Greenaway e' "uno dei pochissimi a saper sempre riportare il dibattito critico all'osso del fare e del vedere cinema". Perche' il parlare di cinema e' proprio quello che tanta parte della critica non sa o non vuole fare. Un film come questo (e come il precedente) pretestuoso, di esuberante gratuita', il cui protagonista, svizzero, si chiama Emmenthal, in cui attori e attrici si spogliano senza alcuna ragione apparente, in cui si muore con un urlo ultrasonico, in cui i terremoti fanno fuoriuscire dentifrici spermici dai tubetti, mette facilmente in crisi coloro che usano le loro recensioni per trattazioni sociologiche, analisi politiche o storiche, trascurando cio' che invece andrebbe valutato in primis. Di fronte alla necessita' di fare il loro mestiere, (che e' parlare di cinema, diamine!) costoro rispondono con anatemi (che la stroncatura e' troppo poco) rivelando tutto il disagio che questo cinema provoca loro. L'aplomb con il quale Greenaway porta avanti il suo sberleffo costituisce una deliberata provocazione ai soliti scribacchini che amano recensire i propri malesseri. L'autore si ammanta dei paramenti del facile bersaglio mostrando questi re della chiacchiera nella loro nudita'. Sotto questo aspetto non sorprende il livore col quale e' stato accolto il film.
("Ci sono quelli che mi adorano e quelli che mi odiano. Pochi quelli nel mezzo. E' un'indicazione di forza. La gente sa cosa aspettarsi da un film di Greenaway: sara' provocatorio nel contenuto e nella forma").

MEZZO MOTIVO 
Certi Greenaway vengono fuori alla distanza. Pensiamo al disastro di The Baby of Macon (in verita' una delle sue opere chiave, il suo acme creativo degli anni 90) che, ignorato all'uscita, oggi e' oggetto continuo di riflessioni e saggi critici. 8 Donne e 1\2 e' dunque un Greenaway minore? Riparliamone tra dieci anni.
("Sostengo il cinema nel suo stesso interesse")

http://digilander.iol.it/greenaway/

Luca Pacilio

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