PREFERISCO IL RUMORE DEL MARE
 

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REGIA:    
Mimmo CALOPRESTI

PRODUZIONE: Italia   -   2000   -   Dramm.

DURATA:  88'

INTERPRETI:
Silvio Orlando, Michele Raso,
Paolo Cirio, Mimmo Calopresti, Fabrizia Sacchi,
Raffaella Lebboroni, Andrea Occhipinti

SCENEGGIATURA:
Francesco Bruni - Mimmo Calopresti

FOTOGRAFIA:
Luca Bigazzi

SCENOGRAFIA: Alessandro Marrazzo

MONTAGGIO: Massimo Fiocchi

COSTUMI:  Silvia Nebiolo

MUSICHE: Francesco Piersanti

Trama

Luigi, ricco dirigente di un importanete azienda torinese, torna in calabria per le vacanze e incontra Rosario, un ragazzo a cui è stata assassinata la madre e incarcerato il padre. Lo convincerà a venire a Torino con lui, dove vivrà nella comunità di Don Lorenzo, un prete che si impegna per salvare i ragazzi dalla strada. Rosario verrà a contatto con l'alta borghesia torinese e con Matteo, figlio di Luigi, insoddisfatto e annoiato dal lusso in cui vive, alle prese con una famiglia benestante ma distrutta proprio come quella di Rosario.

Recensioni

 

 

 

Qui non c'è il mare

A presentarsi davanti al cinema con qualche minuto di anticipo la voglia di vedere l'ultimo lavoro di Mimmo Calopresti diventa presto necessità: si rimane per un po' incantati a guardare questo piccolo gioiello confezionato ad arte che è la locandina del film, di una semplicità spiazzante, soltanto una foto di un mare blu intenso che occupa tutto lo spazio disponibile e sulla quale è impresso in caratteri arancioni questo splendido verso di Dino Campana. Davvero un biglietto da visita entusiasmante, soprattutto se confrontato con le anonime e sfiancanti locandine di molte grandi produzioni hollywoodiane, che non mancano mai di esprimere la più totale mancanza di creatività anche nella presentazione del prodotto, ma lasciamo perdere…
Viene da chiedersi se questo mare che si vede così poco sia il vero protagonista della vicenda, che si muove per la maggior parte del tempo in una Torino grigissima e oppressiva. La centralità dell'oggetto in questione scaturisce proprio dalla sua assenza, o meglio dalla lontananza che apre le porte del malessere, a contatto con la realtà alienante (se mi passate il luogo comune) e artificiosa (vedi le insopportabili luci natalizie che infestano Torino che di tanto in tanto ricorrono durante il film) delle grandi città industriali del nord Italia. Rosario fugge da una situazione di invivibilità data da cause esterne (gli "attriti" con i compaesani) e si trova in una situazione di invivibilità ancora peggiore data questa volta però da cause che sono intrinseche nel luogo in cui si trova, Torino appunto, dove si ascolta il rumore delle fabbriche incorniciato dal grigio del cemento.
"Preferisco il rumore del mare" è la storia di un continuo disagio che si espande contagiando tutti quanti a poco a poco, proprio con l'arrivo al "nord" di Rosario, ragazzo chiuso dentro se stesso che ha però la capacità di agire senza parlare, che nel suo magnetismo esasperante porta con sé un'esistenza straziata che mette a nudo lo strazio di tante altre esistenze sopite nel benessere e nel lusso accecante dell'arricchimento. Arricchito e distrutto dal prezzo della ricchezza è infatti il padre di Matteo (interpretato da Silvio Orlando), disorientato e frustrato dall'incapacità di rapportarsi con gli altri, a partire dalla giovane amante e dal figlio, che addirittura cercherà la via della morte, ormai conscio della propria inconsistenza emersa nel sofferto incontro con il lucido orgoglio di Rosario.
Calopresti ha evidentemente privilegiato il lavoro sugli attori, soprattutto sui due protagonisti, nel tentativo dichiarato di coglierne le psicologie e le reazioni più intime. Ci riesce nonostante l'interpretazione non proprio sopra le righe di Paolo Cirio (-Matteo- decisamente impacciato in alcuni frangenti, positiva invece la prova di Michele Raso- Rosario-) e lo fa senza mai un briciolo di retorica, esplorando ogni personaggio con delicatezza e lucidità, forte di una buona sceneggiatura e di un amore profondo per le storie che racconta e per i personaggi che le popolano. 
Da segnalare l'omaggio a Franti, enfant terrible del libro Cuore di De Amicis, che ricorre per tutto il film, esaltato magnificamente dalla splendida voce di Lalli degli indimenticabili Franti (appunto), gruppo seminale della scena rock italiana degli anni '80 (poi frantumatosi in vari progetti tuttora esistenti) che sono presenti con un brano nella colonna sonora (comunque già di per se molto bella, da notare anche un pezzo dei grandissimi Husker Du).
"Fabbricare Fabbricare Fabbricare. Preferisco il rumore del mare" DINO CAMPANA.

Stefano Trinchero


Libertà di sbagliare...

Il titolo del film è un verso di una poesia di Dino Campana, scelto, ovviamente, "ad hoc" da Calopresti. 
Ancora una volta il regista ci propone temi sociali, personali, psicologici della nostra societa' e conseguente liberta' delle nostre scelte, anche sbagliate. La vicenda tocca poi i temi della dualita' genitori-figli ed il confronto tra realta' sociali differenti, attraverso il rapporto fra Matteo, ragazzo del nord apatico e viziato ma anche incompreso, e Rosario, ragazzo del sud, gia' provato dalla vita a quindici anni, orgoglioso, con le idee chiare, anche se a volte arrogante; il tema della incomunicabilita' di coppia, della solitudine, dell'annoso scontro nord-sud.
L'esposizione di tali temi e rapporti sembra, pero', parziale, non estrinsecata totalmente; gli stati d'animo, gli umori, le sofferenze interiori restano un po' troppo in superficie, cosi' come il rapporto di coppia di Luigi, il sodalizio imprenditoriale con il suocero, la scoperta delle attivita' poco lecite di quest'ultimo, i rapporti all'interno della comunita'. E' appena sfiorato anche il problema nord-sud del nostro paese, e il tema della solitudine, cosi' profondo invece, nell'attuale societa'.
A differenza dei due film precedenti, che hanno sottolineato altrettanti disagi esistenziali, ma approfonditi, in questo tutto è, non si sa se volutamente, sfiorato appena, volendo forse lasciare allo spettatore l'opera di scandaglio dei personaggi e delle situazioni. E sara' l'unico, Rosario, ad avere le idee chiare, uscendo dall'insicurezza e dalla confusione e incomprensione, ritornandosene in Calabria, affrontando il carcere minorile, ma almeno con piu' certezze....
Non molto convincente Silvio Orlando nel ruolo di Luigi, un po' sopra le righe, poco spontaneo.
Bello l'omaggio a tutto campo a Fabrizio De Andre' in uno dei suoi ultimi concerti.

Mara Taloni


Alla ricerca di un delicato equilibrio nel cinema italiano

E' mercoledi' sera. C'e' fermento in citta' e penso che il cinema a prezzo ridotto contribuisca a ravvivare il passeggio che si nota per le strade del centro. Sono con alcuni amici e decidiamo di andare al cinema. Non vogliamo fare troppo tardi, cosi' la scelta diventa molto anticinematografica e scartiamo tutti i film che superano le due ore (quindi la maggior parte di quelli in programmazione). Con un po' di fatica convinco gli altri a optare per l'ultimo film di Calopresti. Prima ancora di parlare del film, pero', mi sorge una domanda. 
Come mai i film italiani hanno cosi' poco appeal? Il problema e' annoso e di difficile risoluzione, anche perche' una sorta di "etichetta" sembra bollare i film italiani fin dalla loro uscita dividendoli, senza equilibrio, tra "caciaroni" e "palle intimiste". I trailer, in questo senso, non aiutano di certo, contribuendo in modo inopportuno a sedimentare i pregiudizi.
Eppure l'equilibrio c'e'. Il film di Mimmo Calopresti, dopo il riuscito e sensibile "La parola amore esiste", e' proprio bello. Colpisce per la capacita' di creare la giusta atmosfera tra i personaggi senza arrivare alla macchietta o alla facile soluzione narrativa e punta dritto al cuore riuscendo ad emozionare. Gli attori, soprattutto i piu' giovani, sono bravi e in parte, la sceneggiatura e' ben calibrata e la regia pare riuscire nel difficile tentativo di rendere veri e vibranti i personaggi. Un altro film sull'incomunicabilita', in cui la ragione non e' mai tutta da una parte e i diversi punti di vista dei personaggi sono ben motivati, permettendo allo spettatore di porsi domande e cercare un confronto. Non ci sono particolari virtuosismi formali, ma solo, e non e' poco, la capacita' di rendere viva e toccante una storia, con un'attenzione particolare alla recitazione degli attori. Il retrogusto e' amaro, ma non per questo il film e' una "palla intimista". Quello che manca e' un po' di coraggio nei distributori e di fiducia nel pubblico che, se messo nelle giuste condizioni, potrebbe anche scoprire che nel panorama italiano, oltre al "panettone vanziniano" con il vip del momento, c'e' dell'altro.

Luca Baroncini

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