Recensioni
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Le "risorse" di un
"free-movie"
Premiato un po' dappertutto nei festival dove
è stato presentato, "Risorse Umane" è un esempio di "free
cinema" molto classico e anche abbastanza elementare nello stile e
nella narrazione. Inoltre non ha né il geniale tocco sarcastico e
tragicomico di Ken Loach, nè il respiro epico dei lavori dei fratelli
Dardenne. Eppure ha riscosso un grande successo non solo di pubblico ma
anche di critica, pur scatenando parecchie polemiche nella cerchia degli
intellettuali di sinistra specialmente in Italia. Bisogna quindi operare
una seria riflessione cercando di separare il valore artistico del film
dalla propria aderenza ideologica a quello che è il suo messaggio,
sicuramente a tesi: non c'è nessuna possibilità di mediazione tra
padroni e operai, nessuna via compromissoria, i primi perseguono i propri
interessi a proprio piacimento anche sfruttando subdolamente leggi dello
Stato che dovrebbero teoricamente favorire i lavoratori e l'occupazione
(nel caso specifico le 35 ore); l'unica possibilità di vittoria da parte
degli operai è quella tradizionale di scioperare capeggiati dai
sindacati, bloccare le macchine, "picchettare" le entrate,
preparare striscioni di protesta a amplificare la protesta fino ad
arrivare alla stampa. Ora, a prescindere dalle ideologie, la
"tesi" appare certamente ingenua e stereotipata (anche nella
forma), in una parola "banalizzata". Dov'è allora la forza del
film? Non certo nello stile: sembra che Cantet voglia non solo sottrarsi
ai vezzi o agli estri della camera a mano o delle imperiose soggettive del
"cinema libero" odierno, ma addirittura smorzare le carrellate,
utilizzando quasi esclusivamente la camera fissa. La vera forza di
"Risorse Umane" sta in due aspetti: il primo è la
rappresentazione incredibilmente realistica dell'"inaccessibile"
mondo dirigenziale,
riuscendo nell'intento di renderlo "mostruoso", senza ricorrere a caratterizzazioni grottesche dei loro
rappresentanti, senza presentarci personaggi "hollywoodianamente"
spregevoli, anzi, tutt'altro che arroganti, piuttosto imbarazzati e impacciati quando
vengono smascherati; cioè quel "mondo a parte" risulta
detestabile proprio nella sua pavida e viscida mediocrità. Il secondo
e forse più importante merito del film sta nel meraviglioso e complesso
rapporto tra padre e figlio, che in realtà è molto di più: è un
conflitto generazionale, una contrapposizione fra due modi di intendere il
rapporto datore-impiegato, una doppia catena: il padre fa il suo lavoro
docilmente e servilmente sia perché crede come a una fede nella divisione
inconciliabile tra i due ruoli di dirigente e di operaio e sia perché in
tal modo può coronare il suo sogno di introdurre il figlio nell'altro
mondo. Il figlio è costretto nel suo ruolo di dirigente sia perché vi è
stato "forzatamente" condotto dal padre, sia perché si è
laureato ed ha vissuto per anni nella "grande" Parigi e si è
inconsapevolmente posto al di sopra dei suoi vecchi provinciali compagni
d'infanzia (un po' come il dickensiano Pip di Grandi Speranze); nel
ragazzo la presunzione consiste paradossalmente (secondo il regista) nel
credere che egli possa unire i due mondi facendosi tramite tra di essi
mediante un utopistico (ancora secondo Cantet) progetto di realizzazione
del piano sulle 35 ore che accontenti tutti. Lo spezzamento delle catene
sarà traumatico per i due uomini, prima per il figlio, poi per il padre.
Entusiasmante (doppiamente entusiasmante trattandosi di un attore, come
gli altri, non professionista) soprattutto l'interpretazione di
Jean-Claude Vallod nel ruolo del padre, soffertissima, intensamente
dolorosa, com-passionevole (nell'accezione "kunderiana" del
termine), che dà pathos e forza emotiva ad una storia che perseguendo
(con successo) il suo scopo fondamentalmente didattico, rimarrebbe
asettica e fredda, emotivamente scarna. Daniele
Bellucci
Premiato al Torino Film Festival dello scorso anno e
vincitore al festival di San Sebastian arriva finalmente anche sugli
schermi italiani la sorprendente opera prima di Laurent Cantet.
"Ressources Humaine" tratta lo scottante tema del lavoro e quello ancor
più scottante delle 35 ore. Film esplicito e sentitamente didattico,
Ressources Humaine ci ripropone il sempre caro tema della lotta di classe
che va a intersecarsi con un'analisi profonda e puntuale del rapporto
padre-figlio, auspicando la crescita di una nuova generazione votata
alla rivolta per i diritti delle classi operaie ("mi hai cresciuto nella
vergogna per la tua classe sociale" dice il figlio al padre) e lo fa con
una scarica di realismo crudo ma senza l'enfasi che trascinerebbe il film
nel ridicolo e nel patetico. L' unica pecca del film è forse l'uso
eccessivo della camera fissa che potrebbe far pensare a una carenza
di personalità registica, anche se una regia impercettibile è forse
servita proprio a conferire al film maggiore realismo. Interessante
il fatto che Cantet abbia scelto di usare per lo più attori non
professionisti assegnando i ruoli a persone reali che nella vita
occupano la stessa posizione sociale dei personaggi del film
(gli operai interpretano gli operai, il padrone della fabbrica
è un padrone vero ecc...).
Stefano Trinchero |