UN AFFARE DI GUSTO
(Une affaire de goût)

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REGIA:    
Bernard RAPP

PRODUZIONE:   Francia   -   1999   -   Dramm.

DURATA:  90'

INTERPRETI:
Bernard Giraudeau, Jean-Pierre Lorit,
Florence Thomassin, Charles Berling, Jean-Pierre Leaud

SCENEGGIATURA:
Bernard Rapp - Philippe Ballard - Gilles Taurand

FOTOGRAFIA: Gerard de Batista

SCENOGRAFIA: Francois Comtet

MONTAGGIO: Juliette Welfling

COSTUMI: Martine Rapin

MUSICHE: Jean-Philippe Goude

Trama

Frédéric Delamont, ricco indutriale, conosce il cameriere Nicolas. Avendone intuito il talento nel riconoscere la composizione dei cibi lo invita a divenire suo assaggiatore. L'originale proposta è solo l'inizio di un rapporto sempre più particolare, sempre più pericoloso.

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Il Gusto di

Nicolas, risucchiato dalla perversa spirale dell'identificazione totale nel suo mentore, cambia vita, modo di vedere, atteggiamento di fronte agli altri. La somiglianza col principale si fa anche fisica, l'annullo del proprio carattere rasenta il limite definitivo. L'iniziale riluttanza è subito polvere. Frédéric è il gestore del proprio doppio posticcio: lo prende, lo lascia, lo usa, lo coccola, ne fa medicina e medicato. Nicolas è schiacciato dalla chiarezza di lui, dalla sua lucidità, dalla granitica determinazione nel perseguire un assurdo, impensabile proponimento: è dapprima affascinato da quello che ritiene un gioco bizzarro, poi abbacinato, infine soggiogato completamente. Perde capacità critica, vede sgretolarsi la sua individualità: è un drogato, in crisi di astinenza, che, disintossicato, riconosce l'aberrazione della sua dipendenza. A quel punto distrugge il totem, infrange l'idolo, uccide il mostro di cui era succube, spezza la
catena. Rapp narra per frammenti, lo spettatore si districa tra i flashback richiamati dalle testimonianze, dalle deposizioni all'ispettore delle persone che gravitavano intorno ai due, della donna di Nicolas, di Nicolas stesso. Decostruendo gli avvenimenti il regista gioca sulle attese creando il sospetto che le bizzarre richieste di Frédéric sottendano un fantomatico, misterioso scopo. Ma il dato agghiacciante è che tutta la strategia non ha altro fine se non quello palese di una creazione di un altro Frédéric. Nicolas deve diventare un doppione, non c'e' altro: non è una vittima sacrificale, non una testa di legno, non un fantoccio da mandare in avanscoperta, sorta di bersaglio visibile che impedisca, con la sua esposizione, attentati all'incolumità dell'uomo potente. Frédéric vuole Nicolas uguale a sè perchè è vittima del suo stesso carisma, dunque lo vampirizza, lo rivolta come un calzino, gli toglie i vizi nei quali non si riconosce (il fumo), gli aggiunge le proprie idiosincrasie (il disgusto per il pesce e il formaggio) e fa del giovane una sorta di artificioso alter ego nel quale specchiarsi. La dichiarazione d'amore che gli fa non implica alcuna pulsione omosessuale, dunque: è solo l'estremo cui Frédéric voleva arrivare, la suprema sublimazione narcisistica dell'uomo che, adorando se stesso ma non disponendo di sè come altro, non potendo guardarsi vivere, non potendo godersi, crea all'esterno un simulacro utilizzabile a quello scopo. Masturbazione mentale e sentimentale in base all'andante per il quale "l'onanista è un essere abietto ma, in verità, è la perfetta espressione logica dell'amante. E' l'unico che non finge e non si sbaglia" (Pessoa). Dopo l'incidente sulla neve, il disappunto che l'industriale manifesta nei confronti di Nicolas per la mancata istantanea menomazione autoinflitta, in una sorta di perversa, gemellare sofferenza, è quello di chi riteneva di aver creato un clone affidabile e che ne scopre, invece, le impreviste imperfezioni. Nicolas è l'assaggiatore, un assaggio che comincia coerentemente con il cibo ma che, implacabilmente, si estende al resto, fosse anche il corpo di una donna conosciuta in albergo e diviene anche il mezzo raffinato di cui Frédéric si serve per conoscere un altro se stesso potenziale a lui ignoto, le emozioni legate a quei gesti che egli non avrebbe mai commesso (lo schiaffo all'attendente, il salto nel vuoto con un paracadute), per ottenere descrizioni di sensazioni con la dovizia di particolari e di dettagli che l'uomo aveva apprezzato nella disamina degli aromi del cibo, indi appropriarsene, corredarne lo spirito. Non solo copiare un originale, dunque, ma completarlo, farne un'opera totale, perfezionarlo, riversandone il di piu' nella matrice. Rapp gestisce bene il registro psicologico - grazie anche a due attori perfettamente in parte, un Giraudeau che traduce alla perfezione la forza del personaggio e un Lorit tutto slanci e incertezze -, predilige un registro austero, mai effettato, senza picchi e senza cadute, tinge di noir i risvolti, cerca di lavorare sulle sfumature, abbozzando un po' troppo in alcuni casi, in altri approfondendo a dovere. E' curioso che in una stagione in cui la Francia ha parlato del gusto della conoscenza dell'altro (IL GUSTO DEGLI ALTRI) si presenti adesso il suo opposto: un film in cui il protagonista non intende sperimentare gli altri, ma suggere esclusivamente se stesso. Segnale di una confortante vitalita'.

Luca Pacilio

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