AMORES PERROS
(Amores Perros)

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REGIA:    
Alejandro GONZALEZ IÑARRITU

PRODUZIONE:   Messico   -   2000   -   Drammatico

DURATA:  147'

INTERPRETI:
Emilio Echevarría, Gael García Bernal, Goya Toledo, Alvaro Guerrero, Vanessa Bauche, Jorge Salinas

SCENEGGIATURA: Guillermo Arriaga

FOTOGRAFIA: Rodrigo Prieto

SCENOGRAFIA: Brigitte Broch

MONTAGGIO: Alejandro González Iñarritu - Fernando Pérez Unda - Luis Carballar

COSTUMI: Gabriela Diaque

MUSICHE: Gustavo Santaolaya

Trama

Tre vicende si muovono attraverso un tragico evento lungo le strade di una metropoli messicana. Un ragazzo innamorato della moglie del fratello cerca di sbarcare il lunario facendo combattere il proprio cane, fonte di guadagno insperata in un panorama di povertà e crimine. Il direttore di una rivista alla moda abbandona la famiglia per dedicarsi alla celebre amante e fotomodella, ma il loro rapporto è presto turbato. El Chivo, ex professore universitario ed ex guerrigliero rivoluzionario ora è un killer e vive solo con i suoi cani; si troverà a dover tirare le somme della sua intera vita.

Recensioni

 

 

 

Carni che lacerano anime: le strade perdute e gli amori fuggiti

Magnolia ritorna sempre alla mente, è inutile cercare di rinchiuderlo nel dimenticatoio dentro al quale meriterebbe di stare. Colpiva dei primi 10 minuti del film di P.T. Anderson (forse l'unica cosa davvero eclatante del film) la fastidiosa ostinazione con la quale si accentuava l'"incredibile" espediente narrativo che muoveva le trame del film. Storie di incroci, di corsi e ricorsi, di frammenti destinati a ricomporre il "disegno divino" iniziale. Una semplice scelta narrativa che sembra aver turbato i sonni di molti, nonostante la mancanza di criteri formali in grado di assemblare storie e personaggi in un meccanismo che fosse prima di tutto cinematografico, cosa riuscita per esempio a Cristopher Nolan, che nell'ottimo "Memento" elabora una storia frantumata ricollocandola dentro a un'orchestrazione visuale potentissima e inevitabile. Amores perros ricorre agli stessi espedienti narrativi che ultimamente bastano a sancire il successo di una pellicola, riuscendo però a destare svariati motivi di interesse che non siano meramente letterari. Dopo la visione di questo film verrebbe istintivo di mettersi a riflettere sul concetto di realismo. Chissà perché poi, dal momento che Inarritu nel primo episodio (decisamente il più interessante) ce la mette proprio tutta per allontanarsene a colpi di stacchi repentini, spingendo il piede sull'acceleratore con tutta la violenza di un montaggio irrequieto e rabbioso. Distogliere lo sguardo da una realtà tanto crudele, sentire il bisogno di ricollocarlo immediatamente altrove, sembra quasi doveroso di fronte a spigolose e violentissime vicende subproletarie colme di sesso e ai margini dell'incestuoso, di rapine, di sangue e di cadaveri. Cadaveri colti in tutta la loro potente fisicità, nella bestialità della carne lacerata da altre carne, cadaveri che diventano simbolo di un preoccupante abbassamento della soglia di umanità portato dalla miseria, corpi che non prevedono alcuna distinzione di sorta, che indifferentemente appartengono a cani uccisi da cani, uomini uccisi da uomini, cani assaliti da orde di topi. La realtà pulsa dentro la pellicola essendo "cosa fisica", cosa che al contrario del cinema può vivere e morire, e che nei suoi momenti di più inaudita bassezza mette letteralmente in crisi un cinema incapace di soffermarsi a guardarla senza rifuggire altrove, e allora ecco uno stacco e la ricollocazione dell'occhio/macchina da presa in altro spazio. Pare di cogliere un certo realismo anche nell'intento e nella struttura del film perché inaspettatamente ci si accorge che l'espediente narrativo non è quello previsto, o meglio, non è un meccanismo perfetto, ma solo un (interessante) pretesto iniziale. I vari frammenti del film non sono infatti mostrati per essere sottomessi al facile gioco di destini incrociati convogliati sapientemente dalla mano di qualcuno verso un punto preciso: Amores perros è la storia di un'esplosione e delle sue schegge, non di un puzzle e dei suoi frammenti. Inarritu si muove alla ricerca di schegge di realtà sparse per una città caotica. Sorprende la totale mancanza di punti di riferimento a cui si trovano esposti i protagonisti, la tensione centrifuga che ne spezza i legami, il pesante intervento della morte e del dolore che impongono il disorientamento delle direttrici esistenziali. Lo sguardo di Inarritu si fa impotente e disperato, mai quieto e calcolatore, lo sguardo di un cineasta mosso dal malsano desiderio di cogliere momenti di realtà in decomposizione, personaggi, storie e traumi che inevitabilmente sfuggono.
Inarritu opta per una regia forte, sempre pesantemente percettibile, in mutazione costante. Una messa in scena che offre tonalità differenti passando da un episodio all'altro, ad esempio nel passaggio da uno strato sociale inferiore a uno superiore. Particolarmente marcato è lo strappo che emerge tra il primo e il secondo episodio, nel profondo scarto che separa l'inferno suburbano proletario dalla scarna ed elegante modernità dell'appartamento altoborghese che ospita la seconda coppia di protagonisti. Il secondo segmento vede al suo interno un uomo e una donna colti all'apice del successo, ovvero nel momento dell'inizio della decadenza, qui esplicitata da un violento connubio di disfacimento fisico e da un crollo mentale mosso da pulsioni sotterranee (impossibile non pensare a un racconto del grande Dino Buzzati). Davanti agli occhi dello spettatore emerge da un fuoricampo appena percettibile (situato sotto al pavimento) un malessere sotteso in grado di vanificare la speranza data dal denaro e dal successo in una società pur sempre in rovina. 
Un vero peccato che il terzo episodio finisca per non chiudere il cerchio mostrando la corda proprio sul finale, dove avrebbe potuto chiudersi con più convinzione questo ritratto impietoso di una società sudamericana moderna. La figura de El Chivo è di per sé interessante per il modo in cui riesce a coniugare disillusione, colpa e ironia, ma perde di spessore nel momento in cui emerge la sua crisi interiore, sabotata dall'affiorare di un inopportuno patetismo e da un monologo lacrimoso che tende a banalizzare la complessità del personaggio e della sua storia. Bello invece ancora una volta il lavoro di Inarritu sul corpo dell'uomo che sceglie di riappropriarsi del proprio volto .
Un film imperfetto, che senz'altro mostra cadute di tono e ritmo di tanto in tanto (difficili da evitare lungo 150 minuti circa), ma comunque estremamente interessante per lo sforzo registico di Inarritu, cineasta di indubbio valore che riesce a muovere con decisione i propri personaggi all'interno di una vicenda complessa. Amores perros finisce inevitabilmente per essere una delle poche cose degne di nota all'interno di un panorama cinematografico desolante in questo inizio di 2001.

Stefano Trinchero

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7

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8

     
           
 

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