CITTA' NUDA
(Apo tin akri tis polis)

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REGIA:    
Constantine GIANNARIS

PRODUZIONE:  Grecia   -   1998   -   Dramm.

DURATA:  90'

INTERPRETI:
Stathis Papadopoulos, Dimitris Papoulidis,
Theodora Tzimou, Costas Kotsianidis

SCENEGGIATURA:
Constantine Giannaris

FOTOGRAFIA:
Yorgos Argiroiliopoulos

MONTAGGIO: 
Ioanna Spillopoulou

COSTUMI: 
Sanni Alberti

MUSICHE: 
Akis Daoutis

Trama

In una squallida zona periferica di Atene è concentrata una colonia di "russi del Ponto", emigrati dal Kazhakistan dopo lo smembramento dell'Unione Sovietica. Emarginati e restii ad integrarsi, un gruppo di ragazzi trascorre le giornate nella speranza di una svolta nella loro vita, infognandosi inesorabilmente nella droga e negli ambienti malavitosi. Uno di loro, Sasha, viene incaricato dal magnaccia sua amico Giorgos di badare ad una prostituta in attesa che venga venduta. Finirà in tragedia. 

Recensioni

 

 

 

Storia classica, Cinema moderno

Ci si chiede perché alcuni film, appartenenti a cinematografie minori ma non per questo meno nobili, vengano distribuiti con inspiegabile ritardo nei nostri cinema, magari in una sala in tutta Italia, nonostante la notevole qualtà della pellicola e il bisogno di diverso (se vogliamo di esotico) da parte degli amanti di cinema. Ma Constantine Giannaris non è proprio uno sconosciuto dal momento che riscosse un notevole successo a Cannes '95 con "3 steps to Heaven" e poi a Berlino '99 proprio con "Città nuda". Bah! Di certo distribuire il suo penultimo film (eh sì, perché ormai ne ha già fatto un altro) in questo periodo equivale a gettarlo nella fossa dei leoni, tra le grinfie delle agguerrite uscite settembrine. 
Peccato! Perchè "Apo tin akri tis polis" è molto interessante, soprattutto dal punto di vista formale. Il regista greco, studioso di cinema in primo luogo, rielabora gli stilemi degli autori a lui più congeniali e realizza un'opera dalle tematiche classiche ma formalmente moderna e personale. La lotta titanica per la sopravvivenza, l'epica dei miserabili, l'"Odissea"del protagonista più in fuga dallo squallido presente che alla ricerca di un futuro stabile e ben delineato, richiamano inevitabilmente a Pasolini; ma le problematiche dello sradicamento, le difficoltà di integrazione accresciute dalla diffidenza (se non razzismo: basta notare gli sprezzanti commenti sugli albanesi) della gente locale, le contraddizioni di una cultura atavicamente ancorata al Cattolicesimo dogmatico e imbalsamato della Chiesa Ortodossa e nello stesso tempo assuefatta ad accantonare senza remore scrupoli morali per conseguire i propri fini (spesso la sopravvivenza), sono elementi caratteristici delle cinematografie slave e portati frequentemente sullo schermo (impressionanti sono le similitudini con il "Brother" di Balabanov). L'ambiente in cui si svolge la vicenda, un'umida e desolante periferia di Atene dove si sono stabiliti gli emigrati russi dopo la caduta del Muro, è un habitat destinato alla tragedia, dove ogni essere umano ha la possibilità di cambiare il corso del proprio destino soltanto in peggio; dove i sentimenti hanno una falce in mano e devono essere rifuggiti; un mondo in cui l'adolescenza "bruciata" lascia come uniche doti il vitalismo (indirizzato malamente) e l'illusione: quella dei "soldi facili" (da notare come la stessa prerogativa sia perseguita dal protagonista del sottovalutato "Piccolo Ladro" di Zonca). 
Tuttavia le novità più rilevanti sono stilistiche: Giannaris destruttura il racconto in quadri e piani-sequenza ponendo il montaggio in primo piano frammentando in special modo l'unità di spazio e d'azione. Questa frammentazione è debitrice soprattutto nella prima parte al realismo di stampo documentaristico tipico della Nouvelle Vague, quando la finalità del regista è quella d'introdurre i personaggi, le loro peregrinazioni nel sottobosco ateniese e il background su cui si svolge la vicenda. Così seguiamo i personaggi (all'inizio prevalentemente il protagonista Sasha) come da una telecamera nascosta, spiamo "godardianamente" i loro volti in intensi primi piani, osserviamo filologicamente ogni loro comportamento in gruppo, magari dal lato opposto di una strada trafficata, alla maniera di Cassavetes; mentre nella seconda parte, oltre al tradizionale ma efficace utilizzo forsennato del montaggio nel seguire parallelamente il tragico evolversi del destino degli amici, il realismo è squarciato da folgoranti scene visionarie e surreali che, più che al connazionale Anghelopulos, fanno pensare a Fellini o a Bunuel. L'elemento documentaristico della pellicola è portato alle estreme conseguenze con la geniale introduzione di flash, collocati temporalmente in un momento indefinito prima dell'epilogo, di un'intervista che un non precisato operatore sta facendo a Sasha. L'unica nota stonata dal punto di vista stilistico è l'eccesso di virtuosismi (accelerazioni, ralenty) alla Wong Kar-Wai che costellano il film e che appaiono più frutto di narcisistico autocompiacimento che di strumento funzionale alla rappresentazione della storia.
A livello di scrittura qualche dubbio rimane e non per le difficoltà che una regìa di questo tipo può creare alla sceneggiatura: anzi Giannaris adotta il meccanismo classico del noir seguendo i personaggi lungo il loro cammino di predestinazione, disseminandolo di ellissi, di poche parole, di ordinarie chiacchiere tra amici, in sostanza una scrittura funzionale alla regìa e che diventa più complessa solo nel progressivo serrato alternarsi tra la vicenda che si fa tragedia e la già citata intervista; piuttosto non si spiegano alcune contraddizioni nelle quali il regista incorre, la più evidente delle quali è il combattimento finale tra i due ex-amici: perché si confrontano con la lotta se praticano sistematicamente la boxe? 
Comunque le imperfezioni sono ben poca cosa rispetto ai meriti di "Città nuda", che può vantare anche una colonna sonora notevole e dei dialoghi moderni e concreti che non scadono mai nel melodrammatico ma assumono spesso toni brillanti da commedia se non addirittura grotteschi.
Numerose le sequenze che rimangono scolpite nella memoria: la visione idealizzata di una quindicenne, il sogno del pranzo in smoking, la cui nitidezza e pulizia cromatica strìdono con la densa fotografia della realtà periferica di Atene, afosa e opprimente come lo sfondo in cui si svolge la memorabile conclusiva lotta greco-romana tra Sasha e Giorgos: tra la polvere come una sfida western, i due corpi sudati si intrecciano come le due parti di un chiasmo: lo sfruttatore tradito contro il traditore galantuomo, il cinico affidabile e il romantico infido, due facce della stessa medaglia, una medaglia di latta destinata a finire piegata nella spazzatura; e l'ultimo intenso piano-sequenza: il miraggio di un riscatto nel volto zoomato del più giovane del gruppo, colui che ha irresponsabilmente scatenato la tragedia. L'ennesimo ossimoro, l'ennesima contraddizione.

Daniele Bellucci

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Manuel
Billi
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