I FIUMI DI PORPORA
(Les rivieres pourpres)

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REGIA:    
Mathieu KASSOVITZ

PRODUZIONE:  Francia   -   2000   -   Thriller

DURATA:  105'

INTERPRETI:
Jean Reno, Vincent Cassel, Nadia Fares,
Jean-Pierre Cassel, Dominique Sanda,

SCENEGGIATURA: 
Mathieu Kassovitz - Jean-Christophe Grangé
(dal romanzo omonimo di J.C. Grangé)

FOTOGRAFIA: Tierry Arbogast

SCENOGRAFIA: Tierry Flamand

MONTAGGIO: Maryline Monthieux

COSTUMI: Sandrine Follet - Julie Mauduech

MUSICHE: Bruno Coulais

Trama

In una università situata nelle alpi francesi, si verificano una seria d'efferati omicidi, sui quali viene chiamato ad investigare un poliziotto dei corpi speciali (Jean Reno). Ma la sua indagine è destinata ad incrociarsi con quella di un suo collega (Vincent Cassel) che si occupa della scomparsa del cadavere di una bambina….

Recensioni

 

 

 

Il ritorno di un grande regista

Dopo il leggendario debutto con L'Odio, film culto per le ultime generazioni, e il deludente Assassins, torna alla regia Mathieu Kassowitz, regista francese nell'animo, ma tecnicamente più simile e vicino al grande cinema americano d'azione. Le sue opere, riuscite o meno, non passano comunque inosservate, e questo ultimo lavoro, un thriller classico, è sicuramente un'opera che si fa notare, sia per la sua validità nell'ambito prettamente tecnico, sia per la buona trama dal quale è sorretto. Lo schema narrativo si snoda su due livelli, che sono destinati a ricongiungersi verso la metà del film, dando vita ad un finale esplosivo, summa delle azioni dei personaggi. Da una parte c'è un poliziotto rude e taciturno, Jean Reno, che ha visto troppe cose del mondo e che ormai è una leggenda nel suo campo, e dall'altra un giovane sergente della Gendarmerie (la polizia francese), Vincente Cassel, coraggioso, e con una voglia matta d'azione. La coesione tra le indagini che questi due uomini simili, ma allo stesso tempo molto diversi, conducono, dà vita ad una storia molto interessante, che giocata con ottimo equilibrio tra le parti, risulta intrigante e al tempo stesso spassosa, quando ci propone lo scontro generazionale tra i due. Gran parte del merito va certamente a questi grandi attori, probabilmente tra i più bravi nelle file degli artisti d'oltralpe, ma le grandi qualità della regia non vanno sottovalutate. Alcune sequenze, soprattutto iniziali, sono veramente splendide per fluidità e impatto visivo, e al tutto va aggiunto un grande lavoro a livello di scenografia e di location. Kassowitz si muove a suo agio nell'ambiente della suspense, ed è grande il debito che mostra nei confronti dei grandi maestri del genere, sia a livello formale che nell'approccio mentale: si ha come l'impressione che questo regista sia consapevole del fatto che i suoi attori si trovino all'interno di un film, e voglia renderne partecipi anche gli spettatori, facendogli vivere un'esperienza accattivante, giocando su sequenze se vogliamo esagerate (vedi lo scontro tra Cassel e gli Skins) che esulano dal contesto e dal tono del film, ma che sono accettate nell'ottica della finzione-spettacolo che l'autore vuole creare. Purtroppo, e qui siamo alle note dolenti, il finale del film non tiene il passo con il resto della storia, e appare sinceramente insufficiente. La trama che ha uno svolgimento lineare e che un effetto attesa elevato per tutta la durata dell'opera, si risolve, o per meglio dire si scioglie in un finale spartano, in cui molte sottostorie del film vengono chiuse con rapidità e con una semplicità quasi imbarazzante. Bisognava spiegare meglio, cosa accadeva realmente nell'università, e dare maggiore rilievo ad alcuni personaggi, che sono fondamentali nell'economia della storia, ma che vengono completamente dimenticati al momento opportuno (l'esempio più eclatante e il preside dell'università). Ci troviamo di fronte ad un'opera che potremmo definire incompleta, ma che comunque risulta fruibile e godibile sotto ogni punto di vista. Questo è "I fiumi di porpora", opera bella ma imperfetta. A voi la scelta.

Matteo Catoni


La fabbrica dei corpi

Finalmente un "noir" in piena regola, della classica tradizione francese, che mette a confronto due diverse generazioni di poliziotti, che per qualche verso si somigliano, e che insieme riusciranno a dipanare l'imbrogliata matassa. Atmosfere cupe ed inquietanti, inquadrature a tutto campo delle Alpi nella loro maestosità, che sembrano essere li' a sovrastare tutti gli eventi, ed in qualche modo, esse stesse fra i protagonisti della vicenda, contribuiscono a rendere ancor piu' spettacolare la storia, alquanto intricata e macabra che procede con ritmo incalzante, incuriosendo non poco e creando un pathos che cattura in maniera incondizionata, a mio avviso, lo spettatore. Certo, forse, qualcuno si aspettava da Kassovitz un film di "contenuto" e socialmente impegnato, ripensando a "L'odio", ma l'appartenenza di questa pellicola al genere poliziesco - thriller, non sminuisce affatto la bravura registica dell'autore, anzi, ne va a tutto vantaggio, dimostrando di poter spaziare tra i vari generi. Contribuisce alla validita' del film la bravura Jean Réno, che veste i panni dell'esperto Pierre Niémans e Vincent Cassel, che interpreta il ruolo di Max Kerkérian, il giovane ed esuberante poliziotto.

Mara Taloni


Quando il genere degenera

I fiumi di Porpora conferma un dato: Kassowitz è un talento registico. La genialità del francese sta nella rara capacità di usare un vasto repertorio di tecniche cinematografiche con gran dinamismo e variabilità, senza mai cadere nel gratuito virtuosismo. Non è poco. Lo stile ricchissimo e talvolta parossistico di Kassowitz non è pesante, come quello di molti dei suoi colleghi americani, ma agile, arguto e raffinatissimo. Le prime due scene sono memorabili, due piani sequenza antitetici ma suggestivamente analoghi: il primo, ravvicinatissimo, segue le ferite di un cadavere martoriato, il secondo, tutto campi lunghi, segue le forme e di un paesaggio montano. Kassovitz dimostra come si possa sorprendere anche con la cinepresa e non solo col computer: giochi d'ombre, fuori fuoco, carrelli, e inquadrature oblique sono la grammatica di un cinema che sa sorprendere anche con effetti non-speciali ma, non per questo, convenzionali. 
Il problema di questo film è altrove: nella struttura narrativa di una sceneggiatura che è troppo più banale della regia. Seppur ambiziosa la storia tratta dal romanzo di Jean-Cristophe Grangé è stata trasformata nel prevedibile polpettone modellato sul genere del thriller psicologico americano. La forza della regia prevale nella prima parte del film dove, sovente, si lascia più spazio alla creatività e all'innovazione, tuttavia, nella seconda parte, la struttura si appesantisce e comincia a servire la logica di un intreccio complicato, ingiustificato e, in quanto slegato dall'evoluzione complessiva della vicenda, fine a se stesso. In breve: a fronte di una regia che lascia il segno nella memoria abbiamo una sceneggiatura commerciale e, in quanto tale, deperibile, degradabile e riciclata. 
L'ironia, asse portante del film, vive anch'essa su un'ambiguità insolubile: da un lato Kassowitz si prende gioco del cinema d'azione citando apertamente, e brillantemente, videogiochi alla streetfighter, dall'altro cade nella trappola di dialoghi troppo scontati in cui l'ipotetica ironia alla John Woo, se presente, non emerge.
A questo punto nasce spontanea la domanda sulla quale cadono molti capolavori di regia: perché? Qual è la ragion d'essere di questo film? A ben vedere ci sarebbe: l'anti-razzismo e l'esaltazione della differenza e della variabilità come unica salvezza del genere umano. Certamente. Il problema de I Fiumi di Porpora sta però sta nell'aver voluto far contenti troppi spettatori: sia chi entra al cinema per scendere dalle giostre e sia chi ci entra per salirci. Gli ultimi minuti del film assomigliano ad innumerevoli altre giostre hollywoodiane e fanno rimpiangere l'indimenticabilità di un finale come quello de L'odio. I fiumi di porpora è lì a dirci che il genio può ingenerare arte vera ma che il "genere" può degenerarlo.

Massimo Innocenti


Mathieu Kassovitz: Regista "ecologico"...

Come giudicare un regista trentatreenne (per di più non meno presuntuoso e modaiolo di tanti suoi colleghi, eppure inspiegabilmente "protetto" dalla critica "impegnata"), che in mancanza di idee originali da riversare nel suo quarto lungometraggio (un thriller a tinte forti), abbia scelto tra le già non numerose alternative possibili, giusto quella di andare a "rubare" a man salva da una decina di capolavori del genere, nella stupida (e anche un po' meschina) convinzione di poter fare tutti "scemi e contenti"? Si tratta di Mathieu Kassovitz, furbo giovanotto d'oltralpe, che (tanto per dirne una...) già agli esordi (Métisse, 1993) era stato accusato di plagio da Spike Lee, e che oggi, dopo un film miracolosamente azzeccato ("La Haine", del 1995) e una "boiata pazzesca" tratta da un suo vecchio corto (Assassin(s), del 97'), è tornato a riciclare "di brutto" nella sua ultima fatica, " Les Rivières Pourpres", un film a grosso budget (girato tra Canada, Alta Savoia e Parigi), tratto da un best-seller (di cui personalmente non avevo mai sentito parlare) scritto da tale Jean-Christophe Grangé (con Kassovitz anche co-autore della sceneggiatura-groviera). Questa volta le "vittime" del "copione" sono state da una parte gli "psycho-movies" americani dell'ultima generazione, vale a dire il demmiano "Silenzio degli Innocenti" (l'assassino "gioca" con Niémans proprio come Buffalo Bill faceva con Clarice) e "Seven" (i saccheggi dal film di Fincher sono imbarazzanti, a partire dalla coppia Niémans-Kerkérian, sorta di versione "povera" di quella Somerset-Mills), e dall'altra (con una certa sorpresa) i gialli di Dario Argento (la moltiplicazione impazzita dei cadaveri viene da "Profondo Rosso", l'ambientazione sub-alpina da "Phenomena", lo sdoppiamento dell'assassino dall' "Uccello dalle piume di cristallo", e il movente "cromosomico" degli omicidi dal "Gatto a nove code", senza contare che pure colonna sonora cerca di imitare con scarsi risultati quella di "Suspiria") ... E' triste poi constatare, che perfino il momento più bello del film, ovvero il gran finale sul ghiacciaio (girato con sufficiente maestria da meritare di diventare un classico) anche ricorda non troppo alla lontana quello dello splendido e misconosciuto "Segno degli Hannan" (sempre di Demme, tanto per chiudere il cerchio...) al cui "senso generale" oltretutto, riconduce in fin dei conti una buona metà della pellicola. A qualcuno a questo punto, verrebbe da dire "E che c'entra tutto questo? Si può anche copiare con intelligenza"... E a Kassovitz, tutto sommato non mancano in svariate sequenze (oltre a quella già citata), apprezzabili doti di "orchestratore". Ma come fare a credergli se nelle interviste disturba saccente mostri sacri come Bava, e poi il marito della Bellucci si mette a tirare sberle al ritmo della ridicola disco-dance di un videogioco? Conclusioni: Visto che ancora imperversa nei nostri cinema, cercate di evitarlo con cura questo "Fiumi di Porpora": più che per la vostra "salute", è per la vostra "dignità" (di spettatori, ovviamente).

Andrea Carpentieri


Thriller made in france

Un famoso best-seller, un regista in cerca di redenzione dopo il flop di "Assassin(s)", due attori interessanti ed esportabili come Jean Reno e Vincent Cassell. L'amalgama non fa scintille e si mantiene sui binari del prodotto professionale ma poco originale. Dopo un inizio molto forte che lascia poco spazio all'immaginazione, l'azione scorre incalzante, scimmiottando i tanti film, spesso americani, in cui un serial-killer minaccia la quiete di un microcosmo in attesa della vittima successiva, mentre una coppia male assortita di poliziotti brancola nel buio. L'aspetto piu' interessante e' forse l'espediente narrativo con cui il blasonato ispettore proveniente da Parigi si incontra con il poliziotto locale, e quindi il modo di affrontare la complessa vicenda partendo da due storie che non sembrano avere nulla in comune. Ma per riuscire a raccapezzarsi nella successione degli eventi sarebbe necessario un registratore per memorizzare e riascoltare le tante frasi chiave che vengono disseminate dai personaggi. E forse non basterebbe lo stesso. Si arriva infatti allo scioglimento finale avendo un'idea generale che non trova validi appigli chiarificatori.
Giova al film l'inusuale ambientazione europea in un paesino perso tra i Pirenei, ma resta una cornice che per creare una vera atmosfera avrebbe avuto bisogno di maggiori dettagli. In fondo del paese di Guernon e della sua Universita', cuore della storia, viene data allo spettatore piu' che altro un'idea, funzionale alla trama ma poco evocativa. Piu' d'atmosfera, ad esempio, il vento che soffia nelle alpi svizzere del "Phenomena" di Dario Argento e piu' concreto - con i suoi pub e gli studenti (quasi assenti, questi ultimi, nel film di Kassovitz) - il paese tedesco, anch'esso sede di una prestigiosa universita', in cui e' ambientato "Anatomy", meteora estiva di Stefan Ruzowitzky.

Luca Baroncini

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Matteo
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Taloni
7

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3
Luca
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