IL GIARDINO DELLE VERGINI SUICIDE
(The Virgin Suicides)

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Trama
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REGIA:    
Sofia COPPOLA

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   2000   -   Dramm.

DURATA:  96'

INTERPRETI:
James Wood,
Kathleen Turner, Kirsten Dunst, Chelsea Swain,
Danny De Vito, Josh Hartnett, Scott Glenn, 
Jonathan Tucker, Leslie Hayman

SCENEGGIATURA: Sofia Coppola

FOTOGRAFIA: Edward Lachman

SCENOGRAFIA: Jasna Stefanovic

MONTAGGIO: Melissa Kent - James Lyons

COSTUMI: Nancy Steiner

MUSICHE: Brian Retzell

Trama

In una cittadina del Michigan, a metà degli anni Settanta, le cinque sorelle Lisbon, adolescenti d’inquietante beltà, sono l’oggetto del desiderio, della curiosità e della venerazione dei ragazzi del vicinato. La più piccola, Cecilia, tenta il suicidio: quello che seguirà è destinato a rimanere scolpito per sempre nella memoria dei sopravvissuti.

Recensioni

 

 

 

La vita sognata delle fatidiche sorelle

Al suo esordio nel lungometraggio, Sofia Coppola, figlia del regista, per il quale è stata attrice nel "Padrino- Parte III" (era la figlia di don Mike), sceglie una storia ben poco gradevole, programmaticamente "antipatica", che offre un ritratto niente affatto consolatorio dell’adolescenza, e si assume tutti i rischi del caso. Sarebbe stato facile farne una bella fiaba, buttarla sul ridere facendo un film da college o snaturando il tutto in un pasticcio dark "maledetto" e manierato: saggiamente, l’autrice ha optato per un tono onirico, che non esclude l’orrore e la tragedia, ma li sublima nell’essenza del ricordo. "Il giardino" è certamente un film sull’ossessione, sulla vita come sogno, sul contrasto tra purezza cattolica e sensualità pagana (le sorelle sono viste quasi come sirene), sulla persistenza del desiderio, ma anche un trattato sull’amore, forza universale tanto intenso da dare la morte (i genitori delle ragazze) e tanto vitale da trionfare sulla sua stessa maledizione, resuscitando i morti nel ricordo di chi sopravvive (i ragazzini adoranti); ed è, contemporaneamente, una magnifica riflessione sull’adolescenza, vista senza rimpianti alla "come eravamo" o alla "stand by me". I riti dell’età giovanile (le partite, i balli, le lezioni) sono tasselli di vita quotidiana, banali quanto i dialoghi (ad esempio quelli della festa che si conclude con il suicidio di Cecilia), speciali solo nel ricordo di chi, dopo venticinque anni, sente il bisogno di mitizzarli, perché in fondo non è mai realmente maturato (vedi il fidanzato di Lux, che deve interrompere la rievocazione per fare la terapia di gruppo). I personaggi, particolarmente quelli maschili, sono bloccati ad uno stadio d’infantile stupore (che la regista si diverte ad evocare attraverso le immagini, i colori, i suoni tipici della "American Beauty" delle pubblicità), e si ha la sensazione che le sorelle Lisbon siano condannate a morte proprio dalla loro maturità emotiva, che le rende estranee al resto del (loro) mondo. Tutto perfetto, dunque? Non proprio: perché, pur dando prova di intelligenza e sensibilità, la giovane Coppola sembra incapace di decidere il registro della narrazione, oscillando continuamente tra uno sguardo algido, da melò intellettuale, e una partecipazione emotiva innegabile, sia pur misurata, e determinando così un ininterrotto succedersi di momenti indimenticabili (la festa in casa Lisbon, la telefonata, il finale) e di altri decisamente convenzionali (il ballo, la perdita della verginità nel campo da gioco, l’accostamento tra la ragazza e l’uragano). E il gioco delle sovrimpressioni, a lungo andare, stanca. Un peccato: ma la ragazza ha il potenziale (e gli appoggi) per una bella carriera. Cast esemplare.

Stefano Selleri


Esercizio di stile poco comunicativo

E' sempre difficile mantenere l'attenzione dello spettatore quando un film inizia spiegando esattamente come si succederanno gli eventi. Ma quello che senbra piu' interessare la regista, non e' tanto raccontare una storia, quanto celebrare un'atmosfera, e il film ambisce ad interpretare in modo personale il delicato equilibrio che separa i sogni infantili dai turbamenti dell'adolescenza. Nonostante i buoni propositi, pero', l'assenza di una progressione narrativa si fa presto sentire, anche perche' lo sguardo con cui la regista accarezza i suoi personaggi e', si' complice, ma bloccato da un distacco che azzera la partecipazione emotiva, lasciando ampio spazio alla noia. Gli artifizi tecnici, poi, (le frequenti sovrimpressioni, lo split screen, i continui controluce) rischiano di diventare un pretenzioso esercizio di stile che nulla aggiunge. Bella la colonna sonora, ma non sufficiente per rendere un'atmosfera che non supera mai i confini del freddo gioco intellettuale. E alla fine la cosa piu' triste e' constatare come lo scorrere del tempo si sia abbattutto, impietoso, sulla, non troppi anni fa, bellissima Kathleen Turner.

Luca Baroncini

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